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Pubbl. Mer, 9 Set 2015

Il danno non patrimoniale degli enti giuridici.

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Gemma Occhipinti


Analisi delle posizioni assunte dalla giurisprudenza in merito alla risarcibilità del danno non patrimoniale subito dagli enti giuridici di diritto privato e di diritto pubblico.


Il codice civile individua due tipologie di soggetti destinatari delle sue le norme: le persone fisiche e quelle giuridiche, quest’ultime ulteriormente distinte in persone giuridiche di diritto privato (cui si applica la disciplina codicistica) e persone giuridiche di diritto pubblico (per le quali, ex art. 11 c.c., si rinvia alla normativa pubblicistica).

L’importanza delle attività compiute dagli enti giuridici non era ancora percepita appieno dal legislatore del 1942: lo dimostra il  fatto che la regolamentazione analitica del fenomeno è parecchio posteriore all’emanazione dello stesso codice - si ricordi l’introduzione, solo nel 2001, della responsabilità da reato degli enti giuridici. Il crescente impatto, sia sociale che giuridico, dovuto al riconoscimento dell’esistenza di questi soggetti, ha quindi messo in luce diverse problematiche di definizione del loro status e dei loro rapporti con le persone fisiche.

In particolare, la giurisprudenza si è più volte domandata se sia concepibile una totale equiparazione di disciplina tra persone fisiche e persone giuridiche, specialmente ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale eventualmente subito, o se invece sia necessario mantenere una diversificazione giustificata dalla differenza ontologica tra i due soggetti.

Il danno non patrimoniale, indicato dall’art. 2059 c.c., è quel danno prodottosi nella sfera non economica del soggetto. Diverse pronunce giurisprudenziali hanno tentato di meglio definire i contorni della lesione in esame e, in particolare, una nota pronuncia della Cassazione del 2008 ha espressamente chiarito come il danno indicato dal 2059 c.c. racchiuda diversi aspetti: il danno biologico (inteso come lesione della salute), il danno morale (inteso come patema d’animo generato nel soggetto) ed il danno esistenziale (danno arrecato al fare areddituale dell’individuo che si riverbera sulle sue condizioni di vita). E’ stato altresì precisato come tali tipologie di danni non rappresentino autonome poste del danno non patrimoniale, ma suoi differenti “aspetti” che, come tali, non sono risarcibili cumulativamente bensì alternativamente. Infine è stato individuato il criterio-guida di determinazione del danno, nel giudizio equitativo affidato al giudice assieme al riferimento alle note tabelle milanesi.

Il problema, a questo punto, rimane nella eventuale estensione del risarcimento ex 2059 c.c. anche alle persone giuridiche. E’ fuor di dubbio che la norma sia stata pensata, nel 1942, per le persone fisiche: in quel contesto storico, erano loro le (quasi) indiscusse protagoniste della vita economica; ma è anche vero che non può non tenersi conto del mutato quadro di riferimento e dell’ampliarsi delle azioni riconducibili agli enti collettivi.

La risposta al quesito posto è necessariamente influenzata dal modo con cui si sceglie di considerare il fenomeno in esame. Infatti, qualora aderissimo al nota teoria “finzionistica” - che ritiene che “persone” siano solo gli individui e che, l’attribuzione ad altri di tale qualità, sia una mera fictio iuris operata dal legislatore - allora dovremmo necessariamente propendere per una risposta negativa. Il danno, per definizione, è una lesione cagionata ad una persona, e gli enti giuridici, di fatto, non lo sono (se non per determinati fini previsti dalla legge). A sostegno di questo assunto, si potrebbe pensare al dato letterale dell’art. 2059 che rimanda, in effetti, ad ipotesi tassativamente elencate e tra le quali non sono contemplati casi di risarcimenti ad enti collettivi.

Diversamente, potrebbe darsi risposta positiva qualora si considerasse l’ente non come un diverso ed autonomo soggetto di diritto, ma come la somma delle relazioni giuridiche dei soggetti che lo compongono. In quel caso, il risarcimento sarebbe giustificato dal fatto che il danno non verrebbe subito da un ente astratto ma solo da coloro che ne fanno parte - pur essendo un danno qualitativamente diverso da quello subito individualmente. E’ questa la conclusione a cui è pervenuta la Cassazione in diverse pronunce (ad esempio nella sent. 12929/2007). Il ragionamento della Corte parte dal presupposto che anche le persone giuridiche, come quelle fisiche, possano subire, nel compimento delle proprie attività, dei danni di tipo non economico; tali danni devono però riguardare dei diritti corrispondenti a quelli fondamentali già attribuiti alla persona dalla Costituzione, come il diritto al nome, all’identità, all’immagine. Una lettura costituzionalmente orientata del 2059 impone, infatti, che nei casi tassativamente indicati dalla legge rientrino anche le disposizioni della carta costituzionale e che la violazione dei diritti, da essa tutelati, venga parimenti punita. Invero, sarebbe illogico riconoscere la risarcibilità del danno non patrimoniale alla persona fisica solo qualora agisca “in proprio” e non all’interno di un ente collettivo che, in qualità di formazione sociale, meriterebbe di essere tutelato alla luce dell’art. 2 Cost.

Quanto alla tipologia di danno non patrimoniale risarcibile all’ente giuridico, i giudici di legittimità hanno ritenuto che l’ente, pur non potendo patire - per definizione - un danno morale soggettivo, possa comunque subire le conseguenze negative della lesione alla sua immagine. Si tratta di conseguenze apprezzabili sotto un profilo sia interno che esterno: una deminutio di rispettabilità e considerazione dell’ente, da un lato, potrebbe potenzialmente ridurre la produttività dei soggetti che vi operano all’interno (indipendentemente dal fatto che essa avvenga concretamente o no) e, dall’altro lato, potrebbe anche influire negativamente sui soggetti esterni che dovessero decidere se intrattenere rapporti con l’ente stesso. Inoltre, relativamente alla liquidazione del risarcimento in esame, nulla osterebbe all’utilizzo degli stessi parametri previsti per il risarcimento del danno non patrimoniale subito dalle persone fisiche.

Infine, è opportuno considerare come, quanto esposto, si applichi non solo agli enti giuridici di diritto privato, ma anche a quelli di diritto pubblico. Anzi, per questi ultimi le esigenze di tutela dell’immagine risultano ancor più rafforzate, trattandosi di soggetti esercenti pubbliche funzioni e per questo bisognosi di un’approvazione sociale ben più marcata. Il danno all’immagine della P.A. deriva dall’azione di un soggetto, legato a quest’ultima da un rapporto di impiego e/o di servizio, che agisca in violazione di precisi doveri d’ufficio (in particolare dell’obbligo di adempiere le pubbliche funzioni con disciplina ed onore). Il procedimento di quantificazione risulta essere, però, parzialmente diverso rispetto a quello previsto per gli enti privati. Infatti, in luogo del normale criterio equitativo cui rimanda l’art. 1226 c.c., la legge anticorruzione n. 190/2012 è intervenuta in parziale modifica delle disposizioni del Lodo Bernardo. In un’ottica di lotta rafforzata ai fenomeni corruttivi dilaganti nelle P.A., la legge Severino ha stabilito che “nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della P.A. - derivante dalla commissione di un reato contro la stessa P.A. e accertato con sentenza passata in giudicato - si presume, salvo prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.