ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Lun, 30 Mar 2020

Osservazioni sulla risarcibilità del danno da mero ritardo

Modifica pagina

Francesco Leone
AvvocatoUniversità degli Studi di Palermo



Il legislatore, superando per tabulas il diverso orientamento, ha introdotto la risarcibilità anche del c.d. danno da mero ritardo, che si configura a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento (ad esempio, il diniego di autorizzazione o di altro provvedimento ampliativo adottato legittimamente, ma violando i termini di conclusione del procedimento). Ad. Plen. 4 maggio 2018 n. 5


Sommario: 1. Risarcimento del danno della P.A.: la svolta storica delle Sezioni Unite con la sentenza n.500/19993; 2. Il danno da ritardo. Le ipotesi applicative; 3. Sul danno da mero ritardo: il primo orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla Plenaria del Consiglio di Stato n.7/2015; 4. La novità della l.69/2009 e le visioni discordanti in dottrina; 5. Il comma 1-bis dell’art.2-bis introdotto con il D.l. n.69/2013; 6. La Plenaria del Consiglio di Stato n.5/2018: il danno da mero ritardo trova espressa cittadinanza nel nostro ordinamento?; 7. Una nuova pronuncia sul tema: La sentenza del 21 giugno n.358/2019 della IV sezione del Consiglio di Stato; 8. Considerazioni conclusive. Il silenzio serbato dalla Plenaria sulla natura della responsabilità della P.A. 

Abstract (ita): Al giorno d’oggi, il dibattito relativo al risarcimento del danno da ritardo causato    dalla P.A. aleggia costantemente negli ambienti dottrinali e giurisprudenziali. Chi scrive, col presente elaborato, si pone come obiettivo quello di ripercorrere le tappe evolutive dell’argomento, focalizzando in particolare l’attenzione sul c.d. danno da ritardo mero. A tal fine, si cercherà di ricostruire lo stato dell’arte e di fare il punto sulle recenti prese di posizione della giurisprudenza.  Nelle considerazioni conclusive verrà poi svolta una breve riflessione sulla correlata questione della natura giuridica della responsabilità della P.A.

Abstract (eng): Nowadays, the discussion about the damage caused by delay of Public Amministration is a present-day issue among legal experts and judges.  The objective is  retrace the stages evolution of this topic paying close attention to the damage from “pure” retard . To this purpouse, an ispection of state of the art will be carried out and the most recent stances from the Courts will be evalueted. In conclusion, a brief discussion regarding the releated issue of the juridical nature of responsibility of Public Amministration.

 

1. Il Risarcimento del danno della P.A.: la svolta storica delle Sezioni Unite con la sentenza n. 500/1999

Come è ben noto, la sentenza n.500/1999 della Cassazione a Sezioni Unite è assurta a caposaldo in materia di risarcimento del danno.

 Prima di tale pronuncia, a dispetto del chiaro e innovativo linguaggio usato dal Codice del 1942, dove l’art.2043 testualmente recita che «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno», in dottrina e giurisprudenza si faceva fatica a distaccarsi dall’atavica quanto mai anacronistica concezione[1]della risarcibilità del danno per fatto illecito. I Giudici del supremo Collegio, con la pronuncia richiamata, si sono fatti promotori di quell’indirizzo, già in precedenza indicato e positivizzato dal Codificatore, spianando la strada ad un’innovativa concezione della responsabilità aquiliana, adottando non più la prospettiva offensiva dell’agente (sanzionando il fatto colpevole e ingiusto), bensì quella vittimologica del danneggiato (ripristinando lo status quo ante).  Il turning point è evidente. L’art.2043 c.c. non è più norma secondaria e punitiva di altre disposizioni aliunde poste dall’ordinamento giuridico, ma è essa stessa norma primaria e avente portata precettiva, la cui violazione comporta come conseguenza il risarcimento del danno[2].

Ciò che interessa ai fini del presente contributo è che la suddetta sentenza, oltre ad essere una pietra miliare nell’ambito della responsabilità per fatto illecito, ha espressamente riconosciuto come meritevoli di tutela non più solamente le posizioni giuridiche di diritto soggettivo, ma anche di interesse legittimo. In particolare «la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse non di mero fatto ma giuridicamente rilevante, rientra nella fattispecie della responsabilità aquiliana»[3]. Tuttavia i Giudici hanno ritenuto necessario delimitare la portata applicativa di tale affermazione, disponendo che, affinché si possa configurare un’ipotesi risarcitoria, la lesione dell’interesse legittimo del privato sia necessaria, ma non sufficiente. Ed invero, con riferimento agli interessi legittimi c.d. pretensivi, è altresì necessario verificare che, nel caso di specie, vi sia stata anche lesione dell’interesse finale al conseguimento del bene della vita cui l’interesse legittimo inscindibilmente si correla[4]. Sicché occorreva «un giudizio prognostico, da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno dell’istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una situazione suscettibile di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, e cioè una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta».

2. Il danno da ritardo. Le ipotesi applicative

In relazione a tale tipologia di danno, il Consiglio di Stato ha elaborato una tripartizionein base alla quale possono prospettarsi tre diversi possibili scenari[5]:

  1. Adozione di un provvedimento favorevole al privato ma emesso in ritardo;
  2. Inerzia della Pubblica Amministrazione;
  3. Adozione di un provvedimento legittimo emesso in ritardo e sfavorevole al privato;

Con riferimento alla prima ipotesi è pacificamente riconosciuto che la configurazione di un danno da ritardo sia prospettabile. Nell’ipotesi in esame, infatti, la P.A. riconosce esplicitamente la spettanza del bene della vita al privato, sicché qualora sussistano gli altri elementi della fattispecie risarcitoria, ed in particolare un comportamento doloso o colposo rimproverabile alla P.A., appare indubbiamente legittima la richiesta risarcitoria avanzata dal privato.

Il secondo possibile scenario è quello, come detto, dell’inerzia della P.A., intendendoil caso in cui la P.A., non adotta – neanche tardivamente – alcun provvedimento, né favorevole né sfavorevole. Per reagire a tale comportamento il Codice del processo amministrativo riconosce al privato la possibilità di attivare il rimedio di cui all’art.117, il quale dispone che, a fronte del silenzio asignificativo della P.A., si possa chiedere al Giudice amministrativo di valutare la fondatezza della pretesa e, se del caso, ordinare alla P.A. di adottare il provvedimento favorevole al privato. Anche in tal caso, quindi, ben potrebbe affiancarsi in via complementare la richiesta risarcitoria, dovuta al conseguimento tardivo del bene della vita spettante al privato, ancorché la valutazione di tale spettanza discenda non direttamente dalla P.A. ma dal giudizio del Giudice Amministrativo.

La terza ed ultima ipotesi - quella che in questa sede preme piùfocalizzare - è quella del c.d. risarcimento per “mero” ritardo. Con tale locuzione, si intende la richiesta di ristoro da parte del privato scissa dalla legittimità o meno del provvedimento adottato dalla Pubblica Amministrazione, con cui viene negata la spettanza del bene della vita. Nella suddetta ipotesi, il privato non si duole del provvedimento sfavorevole emesso dalla P.A. nei suoi confronti, ma esclusivamente delle tempistiche che hanno portato alla definizione del procedimento.

3. Sul danno da mero ritardo:il primo orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla Plenaria del Consiglio di Stato n.7/2005

La questione è stata rimessa in un primo momento alla Plenaria del Consiglio di Stato dalla IVSezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 875/2005. Secondo quanto argomentato dall’Organo remittente il bene “tempo”, ovvero l’affidamento del privato alla definizione in tempi certi del procedimento amministrativo, era da considerarsi ex semeritevole di tutela risarcitoria, parimenti al bene della vita finale cui aspirava conseguire il privato. La prospettiva che comincia ad incalzare anche in sede giurisprudenziale è quella del c.d. “contatto amministrativo”, intendendo per tale l’applicazione - anche in diritto amministrativo - del paradigma civilistico del “contatto sociale qualificato” quale fonte di responsabilità contrattuale. Il Collegio ha voluto sostenere cioè che fra la P.A. e il privato, per l’effetto dell’avvio di un procedimento amministrativo, si generasse un legittimo affidamento nei confronti del privatotale per cui il procedimento si sarebbe dovuto concludere osservando obblighi di correttezza procedimentale, anche alla luce del principio generale del buon andamento della P.A.

A fronte di tali osservazioni, tuttavia, La Plenaria del Consiglio di Stato ha assunto posizione diametralmente opposta, restando fedele all’orientamento tradizionale inaugurato dalla Cassazione con la sentenza n.500/1999 e optando per la non ristorabilità del danno per mero ritardo. Ed invero si è detto che il risarcimento del danno è intrecciato inscindibilmente con la spettanza del bene della vita cui aspira conseguire ovvero conservare il privato col provvedimento amministrativo, presupposto indefettibile affinché possa aver luogo la tutela risarcitoria. Al contrario, quando il provvedimento adottato in ritardo è (legittimamente) negativo, il ritardo dell’agire amministrativo non è fonte autonoma di risarcimento[6].

4. La novità della l.69/2009 e le visioni discordanti in dottrina

La legge n. 69/2009 ha espressamente previsto il risarcimento del danno da ritardo introducendo un nuovo articolo, il 2-bis, nella legge 241/1990. Esso infatti dispone che «le pubbliche amministrazioni […] sono tenut[e] al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento». L’introduzione di tale disposizione ha nuovamente fomentato in dottrina il dibattito sulla ristorabilità o meno del ritardo mero che sembrava ormai sopito alla luce della posizione presa dalla Plenaria sopra esposta.  Secondo taluni, la positivizzazione da parte del Legislatore del danno da ritardo andrebbe interpretata – in assenza di confini circoscritti – come apertura senza limiti ad ogni species di danno da ritardo e, conseguentemente, anche del ritardo mero.  Secondo altri, invece, il Legislatore avrebbe semplicemente messo per iscritto ciò che in precedenza era stato già abbondantemente elaborato in via giurisprudenziale,e che quindi il risarcimento del danno cui la legge fa riferimento sarebbe sempre correlato all’indagine circa la spettanza o meno del bene della vita. Si è osservato, infatti, che «l’art.2-bis, proprio per il suo carattere anonimo rispetto al problema del risarcimento del danno da ritardo puro, non è idoneo a indurre un mutamento degli ormai indirizzi giurisprudenziali consolidati in materia»[7].

Negli anni che si sono susseguiti,la giurisprudenza non ha assunto una posizione univoca. Seppur vada riscontrato un orientamento nettamente prevalente che ripudia la tesi della risarcibilità del danno da mero ritardo[8],  vi sono state alcune pronunce che hanno abbracciato il diverso orientamento interpretativo, in base al quale anche il mero ritardo sarebbe suscettibile di risarcimento economico, valorizzando il “tempo” quale bene della vita autonomo[9].

5. Il comma 1-bis dell’art.2-bis introdotto con il D.l. n.69/2013

Appare doveroso nel ripercorrere le tappe evolutive sul risarcimento del danno da ritardo della P.A. citare l’introduzione del comma 1-bis all’art.2-bis della legge n.241/90 in virtù del quale «fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l'obbligo di pronunziarsi, l'istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge […]».

La previsione de quoha indotto parte della dottrina e della giurisprudenza a ritenere ormai superata l’annosa questione della risarcibilità del danno da mero ritardo. Ed infatti, secondo taluni, alla luce della lettera della legge, in caso di violazione delle tempistiche procedurali, il privato avrebbe esclusivamente diritto ad un meroindennizzo. Sicché, secondo tale indirizzo interpretativo, la voluntas legislatoris andrebbe intesa come volta aqualificare il pregiudizio patito per il mero ritardo non come fatto illecito, ma come ipotesi autonoma, volta a compensare un comportamento omissivo - ma non illecito - della P.A., tale per cui l’unica aspirazione che i privati possono avere è quella volta ad ottenere un indennizzo forfettario, e non un risarcimento. Tale conclusione, se da un lato semplifica decisamente l’onus probandi del privato per ottenere la compensazione economica (posto che non è chiamato a dimostrare la sussistenza dei presupposti tipici dalla fattispecie risarcitoria), dall’altro si circoscrive sensibilmente nel quantum il ristoro, poiché viene individuatoin base ai parametri espressamente stabiliti dalla legge.

6. La Plenaria del Consiglio di Stato n.5/2018: il danno da mero ritardo trova espressa cittadinanza nel nostro ordinamento?

Con la Plenaria del Consiglio di Stato n.5/2018 si è nuovamente riaperta la questione sulla risarcibilità del danno da ritardo mero, registrandosi un’autentica svolta rispetto all’indirizzo giurisprudenziale e dottrinale prevalente inaugurato dalla precedente Plenaria n.5 del 2005. Ed invero, in tale occasione la Plenaria ha riconosciuto espressamente la configurabilità di un danno da ritardo indipendentemente dalla bontà o meno del provvedimento amministrativo, sulla scorta di principi di diritto che hanno permesso di approdare a conclusioni diametralmente opposte rispetto agli arresti giurisprudenziali pregressi.

Secondo l’interpretazione del Consiglio di Stato con l’art. 2-bis, comma 1 della l.241/90 «il legislatore – superando per tabulas il diverso orientamento in passato espresso dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 15 settembre 2005, n. 7 – ha introdotto la risarcibilità (anche) del c.d. danno da mero ritardo, che si configura a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento (ad esempio, il diniego di autorizzazione o di altro provvedimento ampliativo adottato legittimamente, ma violando i termini di conclusione del procedimento)»[10].

 Il ragionamento condotto dalla Plenaria sembrerebbe affondare le proprie radici nella teorica del contatto sociale qualificato.  Ed invero essa afferma che «il generale dovere di solidarietà che grava reciprocamente su tutti i membri della collettività, si intensifica e si rafforza, trasformandosi in dovere di correttezza e di protezione, quando tra i consociati si instaurano ‘momenti relazionali’ socialmente o giuridicamente qualificati, tali da generare, unilateralmente o, talvolta, anche reciprocamente, ragionevoli affidamenti sull’altrui condotta corretta e protettiva […] ea maggior ragione, da chi esercita una funzione amministrativa, costituzionalmente sottoposta ai principi di imparzialità e di buon andamento (art. 97 Cost.), il cittadino si aspetta uno sforzo maggiore, in termini di correttezza, lealtà, protezione e tutela dell’affidamento, rispetto a quello che si attenderebbe dal quisque de populo»[11].

Nonostante il caso rimesso alla Plenaria avesse ad oggetto un pubblico appalto, il supremo Collegio ha esternato dei principi generali che - seppur si attaglino perfettamente alle gare pubbliche dove vi sono evidenti intrecci fra discipline pubblicistiche e privatistiche – hanno il merito di poter estendere la loro portata applicativa anche al di fuori di questo specifico settore[12].  In altri termini non si tratta di un vestito confezionato su misura esclusivamente per questo specifico settore, ma va ben oltre imponendo che le regole privatistiche di buona fede e correttezza trovino applicazione anche nei settori non caratterizzati da procedure ad evidenza pubblica. Per usare le parole del Consiglio di Stato «le regole di diritto pubblico hanno ad oggetto il provvedimento (l’esercizio diretto ed immediato del potere) e la loro violazione determina, di regola, l’invalidità del provvedimento adottato. Al contrario, le regole di diritto privato hanno ad oggetto il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) […]. La loro violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità. Non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di correttezza e buona fede non sono regole di validità (del provvedimento), ma regole di responsabilità (per il comportamento complessivamente tenuto)»[13].

A conferma di quanto detto, il Consiglio richiama un recente orientamento giurisprudenziale con il quale le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno ammesso, ad esempio, la configurabilità (anche al di fuori dall’ambito dei procedimenti amministrativi finalizzati alla conclusione di un contratto) di una responsabilità dell’amministrazione da provvedimento favorevole, poi annullato in via giurisdizionale o inautotutela[14].

Si può dunque ritenere che le considerazioni svolte dal Consiglio di Stato non siano da limitarsi alle ipotesi di responsabilità precontrattuale. È indubbio che esse siano state svolte dall’autorevole Collegio con riferimento a tale responsabilità, posto che il caso concreto aveva ad oggetto un procedimento ontologicamente finalizzato alla stipula di un contratto. Tuttavia i Giudici del Consiglio di Stato hanno altresì affermato che  i doveri di correttezza, lealtà e buona fede, lungi dall’essere circoscritti all’ambito precontrattuale,  hanno un ampio campo applicativo, anche rispetto all’attività procedimentalizzata dell’amministrazione, operando pure nei procedimenti non finalizzati alla conclusione di un contratto con un privatoemirando a tutelare non già la conclusione di un contratto, bensì il diritto alla libertà di autodeterminazione negoziale del privato.

Ciò che può ancora oggi essere oggetto di discussione - argomento solamente toccato ma non approfondito dalla Plenaria n.5 del 2018 - è se,ed eventualmente in quali casi, a seconda dell’intensità e della pregnanza del momento relazionale e della forza dell’affidamento da esso ingenerato, la correttezza rilevi come mera modalità comportamentale la cui violazione dà vita ad un illecito riconducibile al generale dovere del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c., continuando ad essere disciplinato come fatto illecito, o diventi l’oggetto di una vera e propria obbligazione nascente dal “contatto sociale” qualificato e, come tale, inquadrabile nell’ambito della responsabilità contrattuale[15].D’altronde il problema si pone anche con riferimento alla stessa categoria dogmatica della responsabilità precontrattuale che viene invocata nel caso di specie e di cui discorre il Consiglio di Stato. Ed infattiin dottrina e giurisprudenza non vi è uniformità di vedute circa l’incasellamento della stessa all’interno della responsabilità aquiliana ovvero della responsabilità contrattuale.

Secondo un primo indirizzo interpretativo andrebbe ricondotta al meccanismo di cui all’art.2043 c.c.; per contro, secondo altro orientamento, la responsabilità precontrattuale andrebbe sussunta nell’ambito della responsabilità contrattuale e, nello specifico, da contatto sociale qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art.1173 c.c.

Seppur non si possa analiticamente affrontare tale questione,è stato osservato dalla dottrina che essa, lungi dall’essere puramente teorica, ha importanti ricadute sul piano applicativo, in tema di riparto dell'onere probatorio, danno risarcibile e termini prescrizionaliapplicabili.

Al di là di tale questione non specificamente affrontata dalla Plenaria (si rinvia alle considerazioni conclusive per uno spunto sul tema), appare lampante l’importanza che assume questa sentenza in ordine al risarcimento del danno per ritardo mero.

Impone di ripensare il rapporto che si instaura fra Pubblica Amministrazione e privato. Il privato non vanta più esclusivamente una posizione giuridica di vantaggio consistente nell’interesse legittimo a conseguire o preservare un determinato bene della vita. Il rapporto fra cittadino e amministrazione è molto più complesso, è un mosaico in cui convergono una pluralità di situazioni giuridiche soggettive, non solo di interessi legittimi ma anche di diritti soggettivi. Ed in particolare, ciò che è da ritenersi reale punto nevralgico del ragionamento seguito dal Consiglio di Stato è la considerazione in forza della qualenon è tanto  il “tempo” quale bene della vita autonomo, come sostenuto dalla giurisprudenza in precedenza, a venire in rilievo e ad essere suscettibile di ristoro economico, quanto la considerazione che la condotta tenuta dalla Pubblica Amministrazione, se non ispirata ai criteri della probità e correttezza, rischia di ledere il diritto soggettivo dell’autodeterminazione negoziale dei privati. 

Sarà poi onere del privato ai fini del risarcimento del danno da mero ritardo dimostrare tanto il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), quanto il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate)sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione. Ed infatti, il Supremo Collegio afferma che «il ritardo nell’adozione del provvedimento genera, infatti, una situazione di incertezza in capo al privato e può, dunque, indurlo a scelte negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni) che non avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l’adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dell’amministrazione»[16].E’ di tutta evidenza che nel caso di specie siamo al di fuori del meccanismo risarcitorio tradizionale che fino a quel momento aveva come presupposto indefettibile l’indagine sulla spettanza o meno del bene della vita da parte del privato. In questo caso non è necessaria alcuna indagine perché ancora prima non vi è alcuna lesione dell’interesse legittimo del privato. La violazione del termine di conclusione sul procedimento di per sé non determina, infatti, l’invalidità del provvedimento adottato in ritardo (tranne i casi eccezionali e tipici di termini “perentori”). Il provvedimento,di regola, risulta dunque legittimo. Ciò di cui invece il privato si duole è un “comportamento scorretto dell’amministrazione, comportamento che genera incertezza e, dunque, interferisce illecitamente sulla libertà negoziale del privato, eventualmente arrecandogli ingiusti danni patrimoniali[17].

7. Una nuova pronuncia sul tema: La sentenza del 21 giugno n.358/2019 della IV Sezione del Consiglio di Stato

Nonostante la pronuncia della Plenaria, la IV sezione del Consiglio di stato con sentenza n.358/2019 sembrerebbe aver assunto una posizione parzialmente divergente sulla risarcibilità del danno da ritardo mero. Ed infatti se da un lato riconosce che la con la Plenaria n.5/2018 il Consiglio di Stato abbia effettivamente riconosciuto cittadinanza nel nostro ordinamento al danno da ritardo mero[18], dall’altro ha ristretto la cerchia dei soggetti che possono essere destinatari di questo tipo di danno. Il postulato della ratio decidendi del Collegio in tale occasione sarebbe che la lesione del diritto soggettivo all’autodeterminazione negoziale può ravvisarsi esclusivamente con riferimento a quei soggetti aventi natura imprenditoriale.  Afferma infatti testualmente che “tale ricostruzione presuppone di regola, come è evidente, la natura imprenditoriale del soggetto che assume essere stato leso dal ritardo dell’amministrazione nell’emanazione del provvedimento (ancorché legittimamente di segno negativo), dovendosi invece ritenere che, negli altri casi, sia indispensabile la prova della spettanza del bene della vita cui si ricollega la posizione di interesse legittimo”[19].

Secondo il parere di chi scrive la prospettiva adottata dalla 4° sezione del Consiglio di Stato circoscrive ingiustificatamente dal punto di vista soggettivo i confini applicativi della fattispecie del danno da ritardo mero. Ed invero non vi sarebbe in realtà alcuna ragione per distinguere fra l’imprenditore che presenta un’attività funzionale all’esercizio dell’attività d’impresa e il normale privato. D’altronde del requisito della natura imprenditoriale nella pronuncia della Plenaria non vi è traccia. Se ciò che è meritevole di tutela dall’ordinamento giuridico è il diritto alla libertà di autodeterminazione negoziale, allora questa va indiscriminatamente riconosciuta a qualunque soggetto, imprenditore e non, che nell’esercizio della sua autonomia negoziale possa essere danneggiato a causa dall’inerzia della P.A.

8. Considerazioni conclusive. Il silenzio serbato dalla Plenaria sulla natura della responsabilità della P.A.

Come chiosa al presente elaborato si ritiene opportuno svolgere un’ultima considerazione seppur, sia consentito, parzialmente fuori tema rispetto alla tematica del risarcimento da mero ritardo, ormai espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa - almeno allo stato attuale - ogni qual volta a causa del comportamento tardivo della P.A. si determini una lesione al diritto soggetto all’autodeterminazione negoziale del privato, seppur, come detto, sia ancora discusso ed incerto il perimetro soggettivo dei possibili danneggiati per ritardo mero dalla P.A.

Il Consiglio di Stato, come già ricordato, non ha voluto affrontare l’intricata e quanto mai controversa questione in virtù della quale ci si chiede se il legittimo affidamento ingenerato nel privato da parte della P.A. debba ricondursi al principio generale del neminem laedere ovvero intendersi quale oggetto di una vera e propria obbligazione nascente da contatto sociale qualificato. Ebbene, in tale circostanza, ha aggirato il problema affermando che la suddetta questione «è oggetto di un dibattito giurisprudenziale e dottrinale dai risultati così controversi, da rendere inopportuno, in questa sede, ogni ulteriore approfondimento»[20].

Probabilmente la mancata presa di posizione sul tema da parte del Supremo Collegio si giustifica con il fatto che, qualora si ritenesse di non ricondurre la lesione del legittimo affidamento(rectius la lesione del diritto soggettivo della libertà all’autodeterminazione negoziale) nel paradigma della responsabilità aquiliana, si rischierebbe di scardinare l’impostazione tradizionale e prevalente(seppur si registrino orientamenti contrari) della responsabilità della Pubblica Amministrazione sulla scorta dello storico insegnamento della sentenza delle Sezioni Unite n. 500/1999.

Si ritiene che tale problematica appare talmente intricata e controversa che non si presta a facile soluzione e pertanto non possa essere affrontata adeguatamente in questa sede. Si vuole solo fare notare, in estrema sintesi, che la trasposizione delle categorie elaborate in via civilistica appare quanto mai di difficile, se non dubbia, applicazione nei rapporti fra Pubblica Amministrazione e privati. Basti guardare le evoluzioni giurisprudenziali succedutesi relative alla colpa quale elemento soggettivo della responsabilità della P.A. per prendere atto che, comunque, anche a volere aderire all’impostazione aquiliana, vi siano delle evidenti divergenze dalla disciplina privatistica giustificate dal rapporto giuridico in ambito amministrativo. Ed infatti, se ai sensi dell’art. 2043 c.c. ricade sul danneggiato l’onere della prova del comportamento doloso o colposo del danneggiante, nell’ambito della responsabilità della P.A., viceversa, il privato possa limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto quale indice di presunzione della sussistenza della colpa, da valutarsi insieme ad altri indici gravi precisi e concordanti. Spetterà poi alla P.A. vincere e superare la presunzione così introdotta verificandosi dunque in fatto un’inversione dell’onere probatorio.Da quanto detto, sembrerebbe che l’onere della prova indicato nei termini suddetti presenti maggiori tratti di somiglianza con quanto avviene nell’ambito della responsabilità contrattuale piuttosto che con la responsabilità aquiliana. Ed invero nella responsabilità per inadempimento ai sensi dell’art.1218 c.c., chi agisce per fare valere la responsabilità della controparte si potrà limitare ad allegare l’inadempimento della controparte e del nesso causale, gravando invece sul convenuto l’onere di dimostrare che l’inadempimento è stato determinato da una causa ad egli non imputabile.

D’altro canto, secondo il parere di chi scrive, la responsabilità della P.A. dovrebbe comunque continuarsi a qualificare di tipo extracontrattuale. La lesione dell’affidamento del privato, e quindi, del suo diritto soggettivo all’autodeterminazione negoziale, ben può essere inteso come danno ingiusto posto in essere in violazione del generale principio del neminem laedere, rientrando quindi nel campo applicativo dell’art.2043c.c.. D’altronde si ritiene che questa sia l’interpretazione più fedele alla volontà del Legislatore. Egli, nel disciplinare l’art.30 del c.p.a. ha espressamente fatto riferimento agli istituti proprio della responsabilità aquiliana: «si pensi al richiamo al risarcimento del danno ingiusto, al dolo o alla colpa della P.A., alla possibilità di optare per il risarcimento del danno in forma specifica ex art. 2058 c.c.»[21].

Quello che è certo è che comunque, come detto, la questione è aperta e ogni possibile soluzione appare quanto meno opinabile, prestandosi a critiche e perplessità più che legittime. Ovviamente è di tutta evidenza che la suddetta questione si pone nelle relazioni di diritto pubblico che si instaurano fra la P.A. e il privato nell’ambito dell’esercizio di un potere autoritativo. Nulla quaestio, invece, con precipuo riferimento alle ipotesi in cui la P.A stipula con i privati negozi giuridici di diritto comune. È infatti pacifico che in tali occasioni, sebbene la fase antecedente la stipula del contratto si regolata dalle cc.dd. regole di evidenza pubblica, la fase successiva relativa la regolamentazione degli interessi patrimoniali attraverso lo strumento contrattuale seguirà la disciplina propria di diritto privato con conseguente applicabilità della disciplina di cui agli artt.1218 e ss. c.c. in caso di inadempimento della P.A.[22].

Questo è lo stato dell’arte nell’attuale momento storico e si auspica che in un futuro non troppo prossimo, così come sulla specifica questione del danno da mero ritardo, vi possa anche essere una maggiore chiarezza e uniformità di pensiero in ordine alla natura della responsabilità della Pubblica Amministrazione.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Essa trovava la sua ragion d’essere nel codice civile del 1865 che, prevedendo espressamente una responsabilità per fatto ingiusto, limitava le ipotesi di risarcimento alla violazione di altre norme primarie presenti all’interno dell’ordinamento a tutela di soli diritti soggettivi assoluti;

[2] Testualmente: “… la norma sulla responsabilità aquiliana non è norma (secondaria), volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme (primarie), bensì norma (primaria) volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell’attività altrui”. Cass. Sez. Un. n.500/1999;

[3]Sent. ult.cit;

[4] Ciò non vale per gli interessi legittimi c.d. oppositivi che, secondo l’indirizzo inaugurato dalle Sez. Un. Con la sentenza n. 500/1999 erano meritevoli di tutela risarcitoria per il fatto stesso dell’illegittimità dell’agere amministrativo. Sul punto tuttavia non vi è uniformità di vedute. In senso contrario,Sent. Cons. Stato, n.1261/2004 secondo cui anche per il caso di lesione di interessi legittimi oppositivi il giudice del risarcimento deve formulare un giudizio prognostico sulla definitiva spettanza del bene della vita. In particolare occorrerebbe verificare che, annullato l’atto lesivo della P.A., questa non possa legittimamente riproporlo in termini parimenti pregiudizievoli per il privato.

[5]R. Garofoli,Manuale di Diritto Amministrativo,Roma, 2018, 1550.

[6]R.Garofoli, op. ult. cit, 1552.

[7]R.Garofoli, op, ult. cit.,1554.  L’autore fa riferimento anche a Toschei, obiettivo tempestività e certezza dell’azione;

[8] In talsenso Tar Milano, sent. n.35/2011; Tar Umbria, sent. n.80/2012; Cons. St., Sez. IV, sent. n.2964/2014; Cons. St., Sez. IV, sent. n.4452/2013;

[9]Cons. St., Sez. III, sent. n°2279/2014: «secondo la posizione assunta da questo Collegio, il ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo ed il mancato rispetto dei tempi certi del procedimento rappresentano di per sé un danno ingiusto dal momento che incide sulle prospettive, le aspettative e le scelte dei privati, condizionandone la loro vita e la loro attività, indipendentemente dalla considerazione circa la spettanza del bene della vita cui il privato aspira».

[10] Sent. A.P. Cons. St. n°5/2018, par.42

[11]Sent. ult.cit., par.24;

[12]«Nell’ambito del procedimento amministrativo (e del procedimento di evidenza pubblica in particolare) regole pubblicistiche e regole privatistiche non operano, dunque, in sequenza temporale (prime le une e poi le altre o anche le altre). Operano, al contrario, in maniera contemporanea e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione».Sent. ult.cit., par.34.

[13]Sent. ult.cit., par.34.

[14]cfr. Cass. civ., Sez. Un., ordinanze “gemelle” 23 maggio 2011, nn. 6594, 6595, 6596; Cass. civ., sez. un., 22 gennaio 2015, n. 1162 e Cass. civ., sez. un., 4 settembre 2015, n. 17586. In tali pronunce si afferma chiaramente che nei casi in cui, successivamente alla rimozione del provvedimento favorevole, il privato beneficiario prospetti di aver subito un danno ingiusto per avere confidato nella legittimità del provvedimento ed aver regolato la sua azione in base ad esso, la relativa responsabilità dell’amministrazione si connota come responsabilità da comportamento da violazione del diritto soggettivo alla libertà di autodeterminazione negoziale. Il privato, infatti, lamenta che l’agire scorretto dell’amministrazione ha ingenerato un affidamento incolpevole sulla legittimità del provvedimento attributivo del beneficio e, quindi, sulla legittimità della conseguente attività negoziale (onerosa per il patrimonio del privato) posta in essere in base al provvedimento. Attività che, invece, una volta venuto meno il provvedimento, si rivela, perché anch’essa travolta dalla sua illegittimità, come attività inutile e, quindi, fonte – in quanto onerosa – di perdite o mancati guadagni.

[15] Sent. ult. cit.par.26.

[16] Sent. ult.cit., par.42.

[17] Sent. ult.cit.

[18] Sent. Cons. St., IV Sez., n.358/2019, par.6.1.2;

[19]Sent.ult.cit.;

[20]Sent. AP. Cons. St. n°5/2018, par.26.

[21]R.Garofoli, op. ult. cit., 1501.

[22] In talsensoR.Garofoli, op. ult. cit., 1561.