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Pubbl. Sab, 25 Gen 2020

Il peso delle ordinanze contingibili e urgenti sulla crisi della legalità amministrativa

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Agnese Iemma


Strumenti irrinunciabili, nati dall´esigenza di colmare i vuoti di una legalità rigida e incapace di predeterminare gli infiniti casi in cui la P.A. è tenuta ad intervenire, le ordinanze contingibili e urgenti, oggetto dei più accesi dibattiti in dottrina, si definiscono, oggi, uno dei fattori più evidenti della crisi della legalità tradizionale.


Sommario: 1. Il principio di legalità e il depotenziamento della concezione sostanziale; 2. Le ordinanze contingibili e urgenti; 3. Il potere di ordinanza extra ordinem del Sindaco; 4. Riflessioni conclusive.

1. Il principio di legalità e il depotenziamento della concezione sostanziale

Il principio di legalità, fondamento di ogni Stato di diritto, deve la sua elaborazione al diffondersi del costituzionalismo liberale, che in netta contrapposizione all'assolutismo monarchico, concepì l’idea di creare uno Stato dove a garanzia della libertà dei cittadini, il potere pubblico fosse ancorato e sottomesso a norme giuridiche generali ed astratte.

Attenuato nel diritto civile, dove l’autonomia negoziale riconosce alle parti ampio raggio d’azione, al punto tale da consentire ai privati anche la predisposizione di contratti atipici, si fa più severo nel diritto penale e nel diritto amministrativo, dove la Pubblica Amministrazione, tenuta al perseguimento dell’interesse pubblico, è sempre obbligata ad agire nei limiti di quanto disposto dal legislatore.

Più nello specifico, nel diritto amministrativo il principio di legalità si pone ora come guida del potere amministrativo, ora come presidio di garanzia per i cittadini e rinviene il suo fondamento nell’art. 97 Cost., secondo cui “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge”, negli artt. 24 e 113 Cost. che riconoscendo tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A., implicano la soggezione alla legge anche della stessa attività amministrativa, nonché nell’art. 23 Cost.  secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”, e nell’art. 42 Cost. alla luce del quale per motivi di interesse generale, nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo, la proprietà privata può essere espropriata.

Anche se solo implicito a livello costituzionale, l’operatività del principio de quo, trova la sua espressa enunciazione nel dispositivo dell’art. 1, L. n. 241/1990,  il quale per la prima volta afferma chiaramente che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario”.

Inteso ora in senso liberale, ora in un’accezione più forte, di tipo formale e ora in una ancora più stringente, in senso sostanziale, negli anni il principio di legalità ha subito una significativa evoluzione.

Specificamente, nell'accezione liberale la P.A. si considera autorizzata a fare tutto ciò che non le è espressamente impedito dalla legge, secondo quella formale, invece è la legge stessa a dover ex ante attribuire il potere alla P.A., che quindi sarebbe legittimata ad agire solo nei limiti di quanto previsto e autorizzato dal legislatore, mentre in senso sostanziale, la legge non sarebbe solo tenuta ad attribuire il potere all'amministrazione, ma anche chiamata a predeterminarne forma e contenuto del provvedimento, che perciò potrebbe dirsi legittimo solo quando conforme alla ratio ispiratrice della norma stessa.

Tale ultimo orientamento, oggi maggioritario, è stato condiviso anche dalla Corte Costituzionale, che con sentenza del 7 aprile 2011, n. 115, intervenuta nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del d.l. 18 agosto 2000, n. 267, di cui a breve si dirà, ha posto l’accento sull'imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi, la legge oltre ad attribuire il potere, debba anche determinare i confini dello stesso ed individuare con sufficiente precisione l’autorità competente, i destinatari dell’atto, il tipo di potere ed il risultato da raggiungere.

Da tale concezione derivano diversi corollari applicativi, tra cui l’eccezionalità dell'esecutorietà dei provvedimenti che comportano obblighi per i destinatari, l’eccezionalità degli atti amministrativi destinati a formare certezza legale privilegiata ed infine quello della tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi, i quali, frutto di un potere attribuito dal legislatore al fine di perseguire uno specifico risultato, devono chiaramente ritenersi un numerus clausus.

In particolare, secondo il principio di tipicità, l’Amministrazione è legittimata ad emanare solo provvedimenti, che in ossequio ad una concezione sostanziale della legalità, siano predeterminati nel contenuto, nei presupposti e nell'oggetto, differentemente da ciò che accade nel diritto privato, dove l’autonomia privata è lasciata libera di creare contratti atipici.

Nonostante quanto finora affermato, le politiche di liberalizzazione, la complessità del “nuovo” sistema delle fonti, arricchito da fonti trasnazionali e la conseguente perdita di centralità dello Stato rispetto alle istituzioni europee, nonché il diffondersi del c.d. fenomeno giuridico dell’emergenza, hanno operato un depotenziamento della legalità sostanziale non trascurabile.

2. Le ordinanze contingibili e urgenti

In tal contesto, il legislatore si è infatti trovato costretto a fare i conti con una legalità ormai obsoleta, troppo rigida e severa, per poter anche solo pensare di determinare efficacemente tutti i nuovi possibili scenari e campi d’azione che il potere amministrativo è oggi chiamato a dover affrontare; perciò, spinto soprattutto dagli orientamenti più avanguardisti si è lentamente allontanato da tale concezione, per abbracciarne una più debole ed elastica.

Sulla scia di tale presa di coscienza, si collocano le ordinanze contingibili e urgenti, espressione di un potere amministrativo extra ordinem, che consente alle pubbliche autorità di adottare provvedimenti “straordinari” in grado di fronteggiare situazioni di urgente necessità, non altrimenti fronteggiabili.

Caratterizzate dalla mancanza di un contenuto predefinito, di volta in volta determinato con l’adozione del provvedimento stesso, le ordinanze extra ordinem sono atti autoritativi volti ad imporre, vietare, regolamentare o gestire situazioni di urgente necessità in materia di ordine e sicurezza pubblica ovvero sanità ed igiene pubblica, in grado anche di derogare alle disposizioni di legge, pur sempre nel rispetto dei principi costituzionali e generali dell’ordinamento, nonchè delle norme comunitarie. In chiara deroga al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, attualmente rappresentano, per l’appunto, uno dei fattori più evidenti della crisi della legalità tradizionalmente concepita.

Nonostante i diversi dubbi di legittimità, come confermato anche dalla Suprema Corte, la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la compressione di diritti e interessi privati, operata dall'utilizzo di uno strumento atipico come quello delle ordinanze extra ordinem, deve oggi ritenersi ammesso se rispettoso di specifici presupposti, tra cui quello dell’urgenza e della contingibilità del provvedimento, quindi dell’impossibilità di differire l’intervento e di fronteggiare la situazione di pericolo con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento, quello della temporaneità e quello della necessaria predisposizione di “una istruttoria adeguata e di una congrua motivazione”  (TAR Campania, Napoli, Sez. V, 26 luglio 2018, n. 5003).

Per quanto riguarda la natura giuridica delle ordinanze de quo, parte della dottrina concorda nel riconoscergli natura normativa, stante il loro contenuto generale e astratto, nonchè la capacità di derogare a norme di legge, anche se per periodi di tempo brevi e determinati.

Una seconda ricostruzione, avallata anche dalla Corte Costituzionale, gli attribuisce invece natura formalmente e sostanzialmente amministrativa, in virtù del carattere temporaneo che per l’appunto consente solo di modificare ma non abrogare le norme alle quali derogano.

Mentre un terzo orientamento, ritenuto intermedio, le considera atti generalmente amministrativi ed eccezionalmente normativi, poiché seppur previste solo temporaneamente e in casi circoscritti, si caratterizzano, comunque, per la particolare vis derogatoria, nonché per la generalità e l’astrattezza.

A seconda dell’orientamento a cui si decide di aderire, la tutela giurisdizionale verrà ora attribuita al giudice ordinario, ora al giudice amministrativo; in ogni caso non essendovi una tesi maggioritaria, l’ordinamento riconosce comunque ai privati una tutela risarcitoria per i danni cagionati per effetto del potere di ordinanza.

Le ordinanze contingibili e urgenti si contraddistinguono, dunque, perché provvedimenti che non possono a priori essere definiti in tutti i loro aspetti, dal momento che regolano situazioni eccezionali di urgente necessità, per natura non predeterminabili; invero tale circostanza rappresenta uno degli aspetti più complessi dell’istituto in esame, che come detto concorre a distorcere ulteriormente una concezione di legalità, già in crisi.

3. Il potere di ordinanza extra ordinem del Sindaco

Tra i diversi soggetti a cui il legislatore attribuisce il potere di ordinanza extra ordinem si ricordano certamente i Sindaci, i quali data la loro prossimità alla cittadinanza sono in grado di individuare rapidamente problematiche e criticità del territorio e di conseguenza operare un pronto intervento.

Palesemente legato alla crescente percezione di insicurezza dei cittadini e delle comunità urbane, dovuta più che altro a fenomeni di criminalità e di degrado urbano, il potere sindacale di ordinanza extra ordinem trova il suo fondamento ex art. 50 T.U.E.L., dove in veste di rappresentante della comunità locale, il Sindaco è legittimato ad emanare ordinanze contingibili e urgenti in caso di “emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale”; nonchè nell’art 54 T.U.E.L., dove in veste di ufficiale del Governo, gli è invece riconosciuto il potere di adottare “con atto motivato provvedimenti anche contingibili ed urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana

Alla luce di quanto riportato, appare chiaro come i poteri conferiti al primo cittadino siano nei presupposti e nelle relative modalità di esercizio ampi ed incerti, tuttavia mentre le disposizioni contenute nell’art. 50, non sembrano aver destato grandi perplessità, lo stesso non può dirsi per quelle contenute nell’art. 54, le quali soprattutto in seguito all’introduzione della congiunzione “anche”, ad opera del legislatore del 2008, hanno finito con il sollevare diversi dubbi di legittimità.

Così come modificato il testo dell’art. 54, si prestava infatti ad un’interpretazione quasi attributiva di un nuovo potere di ordinanza, che legittimava i Sindaci a provvedere anche in assenza di situazioni emergenziali, ponendosi di fatto in contrasto con la ratio ispiratrice dello strumento stesso.

Tali dubbi di legittimità, giunsero nel 2011 al vaglio della Corte Costituzionale, la quale rilevò che l’intervento operato dal legislatore del 2008, lasciava effettivamente spazio ad un’interpretazione eccessivamente creativa della norma, che in spregio al principio di legalità conduceva ad un uso distorto di tale potere di ordinanza.

Nello specifico la Consulta affermò - con sentenza del 7 aprile 2011, n. 115 - che ai fini del rispetto del principio di legalità nella sua accezione sostanziale, l’attribuzione al primo cittadino di un potere così incerto, vincolato dalla sola tutela di un bene, tra l’altro di difficile definizione come la sicurezza urbana, fosse da considerarsi insufficiente e accertato che nel corso degli anni,  tali poteri erano stati più volte utilizzati per scopi più che altro politici, dichiarò con la sentenza n.115, l’illegittimità dell’art. 54 T.U.E.L.., nella parte in cui anteponeva la locuzione “anche” alle parole contingibili e urgenti.

Il Giudice delle Leggi sottolineò nella citata sentenza, come la norma censurata, “interpretata come impone  la  presenza  della locuzione  «anche»  prima delle  parole  «contingibili  e  urgenti», si poneva evidentemente in contrasto con i principi costituzionali di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità,  enuncleabili  dagli  artt.  23,  97,  70,  76,  77  e  117  Cost.”, perchè attributiva di “un potere normativo sganciato dai presupposti fattuali della contingibilità ed urgenza, tendenzialmente illimitato, capace di incidere sulla libertà dei singoli di tenere ogni comportamento che non sia vietato dalla legge” e contrastare con quanto disposto in materia di libertà personale, libertà di circolazione e soggiorno, libertà di riunione e in materia di iniziativa economica.

La decisione della Consulta pose, quindi, l’accento sulla funzione di garanzia svolta dei presupposti della contingibilità e urgenza, elevati a requisiti imprescindibili e su come nonostante il Sindaco debba considerarsi l’organo più idoneo ad intervenire dinanzi a determinate emergenze locali, il legislatore non può e non deve mai trasformarlo in un “Sindaco Sceriffo”, a cui riconoscere “la possibilità di sovrapporre proprie arbitrarie prescrizioni alle norme penali, nonchè alle regole di garanzia dei diritti individuali”.

In direzione opposta al quadro appena delineato, si pongono però le recenti modifiche apportate dal decreto Minniti, d.l. n. 14/2017, il quale contravvenendo al dictum della Consulta, ha operato un significativo potenziamento dei poteri sindacali di ordinanza extra ordinem, sottolineando la scelta di sussidiarietà verticale che impone di allocare funzioni e poteri pubblici ai livelli istituzionali più prossimi ai cittadini.

Specificamente, dopo aver fornito una definizione legislativa del concetto di sicurezza urbana, intesa come “il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione, anche urbanistica, sociale e culturale, e recupero delle aree o dei siti degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità ed esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione della cultura rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile…” da tempo attesa, la novella si è soffermata sui poteri di ordinanza riconosciuti in capo al Sindaco, sia in quanto ufficiale di Governo sia come rappresentante della comunità locale, finendo per il riconoscergli limiti d’azione ben più ampi di quelli tradizionalmente previsti.

Tale potenziamento, nello specifico, è avvenuto grazie alla previsione nel comma 5 dell’art. 50, del potere di adottare in casi di urgente necessità, ordinanze “volte a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche”; nonchè attraverso l’introduzione del comma 7 bis, successivamente modificato dal d.l. n. 113 del 2018, attributivo di un ulteriore potere di ordinanza c.d. ordinario secondo cui “Il Sindaco, al fine di assicurare il soddisfacimento delle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti nonché dell'ambiente e del patrimonio culturale in determinate aree delle città interessate da afflusso particolarmente rilevante di persone, anche in relazione allo svolgimento di specifici eventi, o in altre aree comunque interessate da fenomeni di aggregazione notturna, nel rispetto dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, può disporre, per un periodo comunque non superiore a trenta giorni, con ordinanza non contingibile e urgente, limitazioni in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche,  nonché limitazioni degli orari di vendita degli esercizi del settore alimentare o misto, e delle attività artigianali di produzione e vendita di prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato e di erogazione di alimenti e bevande attraverso distributori automatici”; e del comma 7 ter al medesimo articolo.

 4. Riflessioni conclusive

Concludendo, nonostante siano dai più considerate provvedimenti irrinunciabili in ogni Stato di diritto moderno, le ordinanze contingibili e urgenti rappresentano un punto dolente dell’ordinamento, con il tempo complicatosi anche a causa delle numerose norme settoriali emanate in materia.

A prova di quanto detto si veda, per l’appunto, come il recente potenziamento dei poteri di ordinanza sindacali, enfatizzando il coinvolgimento dei Sindaci quale longa manus dello Stato nella lotta alla criminalità a livello locale, non ha fatto altro che ingenerare nuovi dubbi di legittimità, anche dovuti all'ambiguità del concetto stesso di sicurezza urbana che nonostante gli sforzi definitori, non può che considerarsi tutt'oggi di difficile, se non impossibile, definizione.

Invero, attualmente dottrina e giurisprudenza sembrano essere concordi nell’affermare che i maggiori dubbi di costituzionalità, quando si parla di ordinanze contingibili e urgenti, sorgono proprio in relazione a quei casi in cui il potere di ordinanza, si slega dai presupposti dell’ urgenza e della contingibilità e dà vita a provvedimenti che in contrasto con una concezione più rigida della legalità, si considerano frutto dell’assoluta discrezionalità dell’Autorità.

Come visto anche il Giudice delle leggi, recentemente si è mosso in tal senso per arginare lo strapotere dei Sindaci, calcando la mano sull’imprescindibilità dall’urgenza e dalla contingibilità, nonchè sulla necessità che sia lo stesso legislatore, ai fini della legittimità di tali provvedimenti, a doverne individuare contenuti e modalità d’azione.

Malgrado i numerosi casi di uso distorto, l’esercizio legittimo di tale strumento in campi dove la rigidità del principio di legalità sostanziale cede terreno all'imprevedibilità e all'incertezza, ha condotto a risultati più che positivi, cosa che inevitabilmente ha contribuito da un lato a potenziare l’utilizzo dello strumento de quo, ma dall’altro a depotenziare sensibilmente il principio di legalità, alimentando così i dubbi di legittimità.

Alla luce di quanto finora esposto, anche noi in primis non possiamo non domandarci se tale potenziamento/depotenziamento, sia davvero l’unica via percorribile per colmare le lacune di una legalità sostanziale non più in grado di fronteggiare i “nuovi” fenomeni emergenziali, per natura impossibili da prevedere e predeterminare.

Indubbiamente strumenti elastici come le ordinanze extra ordinem, in grado di adattarsi facilmente alle situazioni più disparate, non possono essere accantonati, ciò nonostante è bene chiedersi fin dove tale elasticità può considerarsi legittima e soprattutto, se l’urgenza e la contingibilità sono i presupposti irrinunciabili di tale potere, garanzia dei diritti dei consociati, la previsione di ordinanze contingibili e urgenti che pur di consentire l’intervento dell’Autorità non si fondino su questi, è davvero tollerabile?