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Pubbl. Gio, 26 Set 2019

Ambiente e surriscaldamento globale: strumenti giuridici per ridurre le emissioni nocive

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Federica Prato
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Napoli Federico II


Dopo l´allarme lanciato dagli scienziati sul surriscaldamento globale e i repentini aumenti delle temperature, le varie Nazioni e le organizzazioni mondiali per la tutela dell´ambiente hanno deciso di adottare apposite misure per cercare di limitare le conseguenze irreversibili di questo fenomeno.


Sommario: 1. Introduzione –- 2. Una panoramica sulla politica internazionale per combattere il fenomeno del Global Warming – 3. La politica europea per la tutela dell’ambiente, gli obiettivi imposti agli Stati membri tramite direttive e regolamenti – 4. Quadro legislativo italiano sulla riduzione dell’emissione di gas serra – 5. Problematiche di non facile risoluzione - 6. Conclusioni 

Abstract [ITA] Il fenomeno del global warming è da sempre stato fonte di preoccupazione per ambientalisti, scienziati, leader mondiali e grandi industriali. Nell’ultimo decennio, tali preoccupazioni sembrano essere aumentate e si concentra sempre di più l’attenzione sul tema in esame, preoccupandosi delle imminenti e inarrestabili conseguenze. Tanti e di vario genere sono stati gli strumenti giuridici utilizzati a livello internazionale, regionale e sub-regionale, sulla cui efficienza ci si interroga ancora, e altrettanti sono gli obiettivi prefissati a livello non solo globale per garantirci un futuro ecosostenibile, con l’unico auspicio di scongiurare danni irreversibili. Con l’Accordo di Parigi del 2015, infatti, ci si propone di rafforzare la risposta globale alla minaccia dei cambiamenti climatici, necontesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi volti a sradicare la povertà.

Abstract [ENG] The global warming has been a source of concern for environmentalists, scientists, world leaders and industrialists for a long time. In the last decade, these concerns seem to have increased and the focus is on the topic under consideration, taking care of the imminent and unstoppable consequences. Many and different are the legal instruments used at international, regional and sub-regional level, perhaps efficient, and there are many objectives set at not only global level to guarantee an eco-sustainable future, hoping to avoid irreversible damage. By the Paris Agreement of 2015, in fact, we want to strengthen the global response to the threat of climate change, in the context of sustainable development and efforts to eradicate poverty.

1. Introduzione

Il fenomeno climatologico del surriscaldamento globale, meglio conosciuto come global warming, da diversi anni desta sempre maggiori preoccupazioni[1], non solo tra esperti in materie ambientali, ma anche tra gli studiosi del diritto che, meglio di altri, potrebbero suggerire l’uso di strumenti giuridici preventivi e/o coercitivi per limitare emissioni nocive per il pianeta.

Per fornire una panoramica generale al lettore si ricorda che il fenomeno in discussione deriva dalle emissioni dei c.d. gas serra, di provenienza prevalentemente industriale, nell’atmosfera che causano un vertiginoso innalzamento delle temperature e provocheranno nel breve termine[2] un mutamento climatico globale tale da generare dissesti di vario genere.

Nello specifico, l’emissione di tali gas nell’atmosfera, insieme ad altri fenomeni, come quello della deforestazione, sono in grado di trattenere sulla superfice terrestre le irradiazioni solari e aumentare la quantità di anidride carbonica; tale meccanismo genera un mutamento delle condizioni climatiche terrestri, con rischi legati allo scioglimento dei ghiacciai con conseguente innalzamento del livello dei mari e sommersione dei territori che affacciano sul mare.

Si può tranquillamente affermare che quello del il surriscaldamento climatico è il più grande e preoccupante problema ambientale, di matrice antropica, dell'era contemporanea.

Come sarà specificato nei paragrafi che seguono, il problema che ci occupa non è da sottovalutare[3] e l’unico modo per ottenere risultati soddisfacenti, al fine unico di evitare il peggio, è solo una reazione globale da attuare tramite efficaci strumenti di cooperazione internazionale e di sviluppo ecosostenibile[4].

Tralasciando ulteriori spiegazioni di carattere scientifico sul fenomeno in discussione, ci si occuperà del regime giuridico internazionale, europeo e nazionale relativo ai cambiamenti climatici, analizzandone le strategie, gli strumenti, le correnti di pensiero, le evoluzioni e soprattutto l’efficienza.

2. Una panoramica sulla politica internazionale per combattere il fenomeno del Global Warming

Storicamente, nel 1979 si tenne la prima conferenza mondiale sul clima, la quale si concluse con l’approvazione di una Dichiarazione che, in maniera ancora molto timida, invitava tutti gli Stati mondiali ad adottare degli accorgimenti per prevenire e scongiurare condotte umane in grado di inficiare sugli equilibri climatici del pianeta.

Grazie anche alle pressioni dell’UNEP (United Nations Environment Programme), nel 1985 si arrivò alla più incisiva Convenzione di Vienna, con la quale gli Stati contraenti si impegnavano ad adottare misure adibite a limitare tutte quelle attività che potevano indebolire lo strato di ozono nell’atmosfera.

Tali accordi necessitavano di incontri periodici per monitorarne i risultati e per introdurre le modifiche necessarie a migliorare l’efficienza delle misure, infatti, nel 1987, con il Protocollo di Montreal[5] vennero dettate istruzioni più precise per la riduzione progressiva della produzione e del consumo dei gas-serra, tramite misure restrittive per il commercio dei prodotti contenenti tali sostanze[6].

A seguito di una crescente sensibilità verso il tema in questione[7] all’interno dell’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) venne costituito per la prima volta un Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) con le funzioni di studio e monitoraggio dei fenomeni ambientali e delle condotte dei vari paesi; è proprio sulla base delle ricerche effettuate da questo istituto e delle soluzioni prospettate dallo stesso – trascritte in rapporti periodici[8] - che sono state elaborate le future convenzioni.

Nonostante varie conferenze e accordi di minor rilievo[9] tenutesi in quegli anni[10], si ricorda con maggior fervore la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici siglata - da 154 Stati e ratificata da 185[11] - a Rio de Janeiro durante della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo nel 1992[12] (conosciuta anche come Summit della Terra).

In quella sede, i leader mondiali si sono accordati ai fini di attuare e rendere realizzabile una strategia comune per uno sviluppo sostenibile, garantendo una progressione economica ma cercando di evitare devastazioni che arrecherebbero un enorme pregiudizio alle generazioni future[13] (principio dell’equità intergenerazionale). Si andava a creare, in tal modo, anche un sistema di coordinamento e collaborazione tra le Nazioni. Si prevedevano, per l’esattezza, una serie di attività informative relative alle politiche adottate dai singoli Stati per i fini preposti dalla Convenzione, con lo scopo di fornire un quadro dell’operato di ogni paese e garantire uno scambio di idee ed esperienze tra le Nazioni per migliorare le proprie strategie ambientali[14].

 Un particolare non trascurabile è che tali accordi, così come stipulati, non erano legalmente vincolanti, prevendendo, però, la possibilità in capo ai Governi aderenti di adottare, in apposite conferenze, dei protocolli aggiuntivi (ma anche accordi di regionali o atti di diritto interno) adibiti a limitare in maniera vincolante le emissioni di gas nocivi.

Tra i tanti[15], maggiore importanza assunse nel 1997 il Protocollo di Kyōto (entrato in vigore nel 2005 dopo la ratifica da parte della Russia[16]). Si tratta di un accordo internazionale funzionale a contrastare il surriscaldamento globale tramite la collaborazione[17] di tutti i governi.

Brevemente, con tale protocollo si richiedeva alle Nazioni firmatarie di ridurre le proprie emissioni di gas inquinanti, stabilendo la percentuale diversa per ogni Paese e di effettuare operazioni di monitoraggio nei due periodi prestabiliti, ovvero, una prima fase con una durata quadriennale dal 2008 al 2012 ed una seconda fase che si chiuderà nel 2020. Concretamente, le Nazioni si sono impegnate ad adottare politiche economiche, ambientali ed industriali tali da rallentare e progressivamente ridurre l’avanzare del fenomeno del Global Warming, consapevoli delle sanzioni in caso di mancato rispetto dei parametri prestabiliti.

Per dovere di completezza, è il caso di ricordare che l’Italia ha ratificato il Protocollo nel giugno del 2002, ma tra i paesi che non l’hanno fatto troviamo gli Stati Uniti che lo ha firmato nel 1998, ma non lo ha ratificato, il Canada che è stato il primo paese a uscirne e Brasile, India e Cina che, pur essendo tra i principali paesi ad emettere gas nocivi, non hanno preso parte all’accordo[18].

Ben presto, però, ci si rese conto che il sistema di riduzione progressiva delle emissioni inquinanti così come illustrato, non poteva garantire efficientemente risultati positivi e si ipotizzò l’introduzione di strumenti di flessibilità, come suggerito dalla Banca Mondiale. Tali escamotage erano costituiti da emission trading, joint implementation e clean development mechanism; questi consentivano alle Nazioni di avviare le loro politiche industriali verso l’eliminazione delle emissioni nocive con costi ridotti e tramite dei finanziamenti. Si veniva a creare un vero e proprio mercato dell’anidride carbonica, per intenderci, i paesi che producevano maggiormente gas-serra potevano acquistare da paesi meno sviluppati dei “permessi ad inquinare”, per quanto tale spiegazione possa sembrare riduttiva, in realtà è esattamente la riproduzione del meccanismo che era stato creato per disincentivare tali emissioni, in quanto rappresentando un ingente costo per chi non investiva nell’ecologia, si incentivavano le imprese a mutare la loro condotta e a rispettare le norme nazionali ed internazionali.

Nonostante tali strumenti a disposizione dei Paesi industrializzati, dallo studio condotto dall’ Intergovernmental Panel on Climate Change nel 2014, emerge che l’aumento della temperatura terrestre non è arrestato e che, addirittura, per scongiurare il peggio entro la metà del secolo si dovrà produrre metà dell’energia globale da fonti a bassa emissione di inquinanti e per la fine del secolo, eliminare completamente i combustibili fossili.

Risulta palese però, che le difficoltà attuative erano molte e soprattutto rendevano difficoltose delle politiche coordinate tra i vari Paesi troppo diversi tra loro, rendendo impossibile un accordo mondiale sulla politica industriale, per tanto si suggerirono politiche e strategie regionali o bilaterali tra Nazioni con comuni interessi e sistemi economici affini.

Nel 2012 a Doha, vennero approvati degli emendamenti al Protocollo con la previsione di nuovi obblighi, applicabili nel periodo 2013-2020, ma non risultano ancora entrati in vigore.

Un’ulteriore svolta di ammodernamento si verifica nel 2015 con l’Accordo di Parigi[19].

Tale accordo entrerà in vigore nel 2020 e pertanto necessitava della ratifica di almeno 55 paesi che rappresentano complessivamente il 55 % delle emissioni mondiali di gas nocivi per l’ambiente, lo stesso – come recita l’art. 2 - “nel contribuire all’attuazione della Convenzione, inclusi i suoi obiettivi, mira a rafforzare la risposta globale alla minaccia dei cambiamenti climatici, nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi volti a sradicare la povertà.”

In breve, venivano prestabiliti una serie di obiettivi da raggiungere, in primis – tramite sforzi ambiziosi[20] - limitare l’aumento della temperatura nei 2° con un sistema di monitoraggio costante. Una particolarità è il finanziamento da parte degli stati più sviluppati – nonché da parte di privati - affinché si potessero diffondere in tutti i paesi le c.d. tecnologie verdi al fine di ‘decarbonizzare’ l’economia, nonché la creazione di un sistema di rimborsi per compensare le perdite finanziarie subite da alcuni paesi a causa dei repentini cambiamenti climatici, tutto per tutelare e garantire un facile adattamento non sono al nuovo equilibrio climatico, ma anche a sistemi di sviluppo economico ecosostenibili[21].

L’Accordo di Parigi per quanto rivoluzionario e apparentemente più efficiente rispetto ai tentativi del passato, presenta diversi e non trascurabili punti critici, che furono anche motivo di una protesta ambientalista nel dicembre del 2015.

Studiosi di ogni genere hanno criticato i tempi di tale progetto, affermando che la dilazione fosse eccessiva e poco utile a fronteggiare un’emergenza e soprattutto che l’assenza di una data entro la quale dovevano ridursi drasticamente le emissioni e il mancato controllo dei gas di scarico di aerei e navi, rendevano il progetto evanescente[22]; ma la nota dolente dell’Accordo è relativa al monitoraggio delle emissioni dei vari paesi, affidato agli stessi, nonostante la maggior parte dei governi pretendeva che fossero organismi internazionali ad eseguire tali controlli.

Però, nonostante le pesanti critiche, c’è da dire che, contrariamente a quanto avvenuto in passato, l’Accordo era stato accolto da tutti i paesi, compresi i maggiori inquinatori dei Pianeta, ovvero - oltre all’Europa - Cina, India e Stati Uniti.

In merito agli Stati Uniti, però dopo la sua elezione, il presidente Trump ha dichiarato di non voler più far parte dell’Accordo di Parigi[23], essendo lo stesso ingiusto per gli USA[24] e ciò ovviamente, ha generato ira e sgomento mondiale; “Gli Stati Uniti formalmente potranno uscire dall’Accordo di Parigi il 4 novembre 2020, a 3anni + 1 dall’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi avvenuta il 4 novembre 2016, come previsto dallo stesso accordo: il 3 novembre 2020 si svolgeranno le presidenziali Usa: se vincerà Trump di nuovo questo potrebbe succedere, se vincerà un democratico molto probabilmente rientrerà tutto”[25].

L’Accordo di Parigi sarà in grado - se non di risolvere - quantomeno di arginare l’emergenza? Solo il tempo potrà darci risposte…

3. La politica europea per la tutela dell’ambiente, gli obiettivi imposti agli Stati membri tramite direttive e regolamenti

L’Unione Europea nel suo complesso, rappresenta insieme a Cina, India e USA, uno tra i maggiori inquinatori del Pianeta. Nonostante ciò, al contrario degli altri è da sempre risultata molto collaborativa per combattere il fenomeno del surriscaldamento globale[26]; nello specifico, la politica economica europea ha cercato di impegnare sempre più risorse finanziarie per investimenti nel campo delle tecnologie ecosostenibili e dell’energia rinnovabile, contemporaneamente il legislatore europeo ha creato idonei strumenti coercitivi ai fini di ridurre le emissioni di anidride carbonica[27].

A sostegno di quanto appena affermato, si ricordano i vari obiettivi che l’UE si è prefissata negli ultimi anni, come ad esempio, una riduzione del 20% delle emissioni nocive entro il 2020, nonché un’ulteriore riduzione del 40% entro il 2030 e dell’80-95% entro il 2050.   

Il Consiglio Europeo nel 2007 ritenne necessario sviluppare un quadro di riferimento tecnico, economico, normativo al fine di diffondere le tecnologie per la cattura e il sequestro del carbonio entro il 2020 e veniva approvato il c.d. “Pacchetto clima-energia”, ossia un insieme di provvedimenti legislativi finalizzati a dare attuazione agli impegni assunti. I più innovativi furono: la Decisione 406/2009/CE9, la c.d. Decisione “Effort Sharing” e la Direttiva 2003/87/CE, ovvero la c.d. Direttiva “Emissions Trading”, modificata mediante la 2009/29/CE)[28].

Prima di soffermarci sui singoli interventi delle istituzioni europee, analizziamo il processo di interiorizzazione degli accordi e trattati internazionali.

Già nell’ambito della Conferenza per il Protocollo di Kyōto, l’UE riuscì a imporsi per salvaguardare la propria competitività sul mercato mondiale, facendo sì che tutti i firmatari accettassero in egual misura i vincoli previsti e riuscì ad individuare politiche e norme strumentali al perseguimento degli obiettivi ai quali si era vincolata.

Ad esempio, per il settore dell’energia si pensò di agire sulle strategie di produzione di calore ed energia elettrica, sull’efficienza energetica e tramite il Libro bianco sulle fonti energetiche rinnovabili, mentre per l’agricoltura il percorso venne tracciato dall’Agenda2000, in base alla quale risultavano necessarie analisi approfondite sull’impatto sul clima dell’evoluzione dei mercati agricoli e dello sviluppo rurale.

Pochi anni dopo, la Commissione europea adottò il programma europeo per il cambiamento climatico[29], adibito a esplicitare la c.d. strategia di doppio binario, ovvero ai fini di ridurre le emissioni si creava un sistema di scambio di massimali di emissione (quote di inquinamento, plafonds,) tra gli Stati membri, garantendo così il rispetto dei parametri prefissati ma si istituivano anche gruppi di lavoro con il compito di preparare le future proposte della Commissione.

Sempre in cooperazione con il sistema internazionale[30] volto a combattere il surriscaldamento globale, la decisione 2002/762/CE autorizzava tutti gli Stati membri a firmare, a ratificare o aderire nell’interesse della Comunità e nell’ottica della tutela ambientale - alla Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni derivanti dall’inquinamento determinato dal carburante delle navi del 2001 (L’Italia ha provveduto alla ratifica con un disegno di legge approvato il 21 gennaio 2010)[31] e la decisione 2002/971/CE, invece, autorizzava gli Stati membri a ratificare o ad aderire alla Convenzione internazionale sulla responsabilità e sul risarcimento dei danni prodotti dal trasporto via mare di sostanze pericolose e nocive[32].

Particolare importanza assume la Direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento[33]. La stessa prevede dei meccanismi coercitivi tramite il rilascio di autorizzazioni a seguito del rispetto di determinati parametri per la riduzione delle emissioni per poter porre in essere attività industriali/agricole con alto potenziale inquinante.

Sempre nell’ottica del raggiungimento di tali obiettivi, la Strategia Europa 2020. Con questo strumento, l’UE prestabilì dei compiti da portare a termine entro il 2020, tra cui la riduzione delle emissioni di gas serra del 20% rispetto al 1990[34], ottenimento del 20% del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili e aumento del 20% dell'efficienza energetica (obiettivo ricordato come 20-20-20)[35].

Sullo stesso modello, si è formata anche la Strategia Europa 2030, la quale prevede una serie di obiettivi chiave da portare a termine nel periodo che va dal 2021 al 2030. Nello specifico, in materia climatica, si vorrebbe ottenere a) una riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990); b) potenziare l’energia rinnovabile, portandola ad una quota di almeno il 32%; c) un miglioramento almeno del 32,5% dell'efficienza energetica[36].

In generale, si può affermare che le istituzioni europee hanno avuto e continuano a prefissarsi lo scopo di riformare la normativa in materia di prodotti energetici, adottando diverse tipologie di strumenti a loro disposizione per far sì che siano i gli stati membri ad utilizzare un sistema di tassazione basato sul contenuto di carbonio dei diversi combustibili, lasciando loro una certa percentuale di discrezionalità sul modus, in base ai dettati dei principio di sussidiarietà.

D’altronde, non può essere trascurato uno dei principi cardine del diritto ambientale: il principio c.d. di precauzione contenuto nell’art. 191 TFUE (ex articolo 174 del TCE)[37]

Tale principio di matrice internazionale viene prontamente recepito in ambito europeo tramite il Trattato di Maastricht, nonché in ambito nazionale dai vari legislatori degli stati membri ed adottato come metodo decisionale per la gestione del rischio in vari ambiti, tra cui quello ambientale.

Il suo nobile scopo[38] è quello di favorire la cooperazione internazionale ai fini di tutela dell’ambiente e non solo; lo stesso è stato addirittura esteso ad altri ambiti[39], riconosciuto da diverse convenzioni, ispirandole, e utilizzato nell’ nell'Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (SPS).

La Commissione europea[40] ha specificato che tale principio può essere applicato, ai fini della gestione del rischio, quando un determinato evento è potenzialmente idoneo a generare effetti – oggettivamente – pericolosi.

Prima di ricorrere a tale metodo di gestione del rischio è necessario aver identificato degli effetti potenzialmente pericolosi, valutato i dati scientifici disponibili e constatato il margine di incertezza scientifica. In tal caso, sarà possibile agire tramite l’adozione di diverse tipologie di misure, sia giuridiche che non, come il finanziamento di programmi di ricerca o di misure d’informazione al pubblico. È fondamentale che la misura adottata sia proporzionale al rischio da evitare, non ci siano discriminazioni in fase di applicazione della stessa, sia rispettosa del principio di uguaglianza sostanziale e venga riesaminata in caso di nuovi sviluppi.

Avviandoci alla conclusione di questo breve excursus sulla normativa europea, per dovere di competenza ricordiamo che l’attività delle istituzioni europee procede senza sosta da oltre cinquant’anni ma la stessa per poter raggiungere completamente gli scopi prefissati necessita di costanti operazioni di monitoraggio[41] dell’attuazione a livello nazionale[42] e, a tal fine, si rende opportuna però una seria ed ininterrotta collaborazione da parte degli stati membri[43].

4. Quadro legislativo italiano sulla riduzione dell’emissione di gas serra

La nostra Nazione è una tra le più motivate a porre in essere azioni preventive al surriscaldamento globale, in quanto, per via della sua posizione geografica e della sua conformazione peninsulare, potrebbe addirittura scomparire a seguito dell’innalzamento del livello medio del mare derivante dallo scioglimento dei ghiacciai[44].

Il legislatore italiano ha da sempre prestato molta attenzione al tema della tutela dell’ambiente, con idonei strumenti sia preventivi che urgenti per risolvere tempestivamente le più svariate emergenze.

Restando ancorati al tema esaminato, lo stato italiano già nel 1990 si impegnò a ridurre entro 10 anni, le emissioni di CO2 ridimenzionandole nei parametri europei ed internazionali.

Perseverando con tale politica, dopo pochi anni venne elaborato  dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica un programma nazionale per contenere tali emissioni, basato su dati raccolti negli anni precedenti in ambito europeo, evitando in tal modo squilibri tra vincoli imposti a vari stati membri.

Solo nel 1995 si intravide una timida schematizzazione relativa agli eventuali metodi adibiti a favorire il risparmio energetico, garantendo al contempo uno sviluppo sostenibile, ma tali elaborazioni rimasero esclusivamente teoriche dato che non vennero indicate le modalità pratiche per darne attuazione.

Fondamentalmente, il primo passo decisivo si ebbe nel 1998 con la creazione della “La guida linea per le politiche e le misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”, ovvero un gruppo di ricerca interministeriale, con tanto di approvazione da parte del CIPE.

Le delibere CIPE servirono a stabilire modalità e tempistica delle riduzioni delle emissioni dei gas nocivi entro il 2012, in attuazione degli impegni assunti dall’Italia, anche nell’ambito dell’assimilazione dei dettami del Protocollo di Kyōto.

Con la Legge n. 120/2002[45], in materia di politiche ambientali, il legislatore nazionale ha voluto lanciare un chiaro segnale strumentale ad ottenere nel breve periodo un miglioramento del sistema economico nazionale delle fonti di energia rinnovabili, tramite l’utilizzo dei meccanismi di JI e CDM istituiti dal Protocollo di Kyōto e tramite la realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici per la produzione di energia alternativa ed ecosostenibile.

In tempi più recenti, invece, ai fini di garantire l’attuazione del Regolamento 2018/1999/UE in materia di energia e azioni per il clima, l'Italia ha inviato alla Commissione europea una propria proposta di PNIEC (nel gennaio 2019), prevedendo una serie di obiettivi in linea con quelli stabiliti dall’UE[46], tenendo presente che entro la fine di ogni anno per 10 anni dal 2019 ogni Nazione europea deve inviare alla Commissione il piano nazionale integrato per l'energia e il clima (il primo di questi piani deve riferirsi al periodo che va dal 2021 al 2030), nonché dal 2018  per 10 anni  inviare sempre alla Commissione la proposta del piano nazionale integrato per l'energia e il clima.

Inoltre, proprio per monitorare l’attività dell’Italia in merito alla riduzione delle emissioni, con la Legge 39/2011 di rimodulazione degli strumenti e del ciclo di bilancio all’art. 2 si stabilisce che “in allegato al DEF è presentato un documento, predisposto dal Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, sentiti gli altri Ministri interessati, sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, in coerenza con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia in sede europea ed internazionale, e sui relativi indirizzi.”

Anche nella Legge 145/2018 (legge di bilancio 2019) sono presenti disposizioni relative alla prevenzione e alla gestione del surriscaldamento globale.

In particolare, si disciplinano le modalità di erogazione di finanziamenti a tasso agevolato derivanti dal Fondo Kyōto, concedendo una proroga al 31 dicembre 2019 del termine previsto per usufruire della detrazione del 50% per gli interventi di ristrutturazione edilizia nonché per avvalersi della detrazione del 65% per le spese relative ad interventi di riqualificazione energetica degli edifici (Ecobonus).

Tale proroga veniva estesa anche per l'acquisto e la posa in opera di micro-cogeneratori in sostituzione di impianti esistenti (fino a un valore massimo della detrazione di 100.000 euro). Viene, inoltre, estesa al 2019 la detrazione del 50% per le spese sostenute per l'acquisto e la posa in opera di impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili, nonché per l'acquisto di mobili e di elettrodomestici di classe non inferiore ad A+ (A per i forni).

Si prevede, inoltre, la proroga, limitatamente all'anno 2019, della detrazione del 36 per cento dall'IRPEF delle spese sostenute (nel limite massimo di 5.000 euro) per interventi di "sistemazione a verde" di aree scoperte di immobili privati a uso abitativo, pertinenze o recinzioni (art. 1, comma 68); si autorizza la spesa per la riqualificazione energetica degli immobili della Pubblica Amministrazione; e si introducono, infine, delle imposte disincentivanti per gli acquisti di automobili con emissioni di CO2 superiori ad una determinata soglia e al contrario, incentivi economici per l’acquisto di auto con minori emissioni[47].

Da documenti pubblicati dal Servizio Studi della Camera dei Deputati si rende noto che ci sono norme che il Parlamento dovrà esaminare in materia di tutela all’ambiente e nello specifico: “l'articolo 12 del disegno di legge di delegazione europea 2018 (Atto Senato n. 944), che contiene la delega al Governo per l'attuazione della direttiva (UE) 2018/410, che modifica la direttiva 2003/87/CE in materia di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra e per altri atti in materia; l'articolo 11 del disegno di legge europea (Atto Camera n. 1432), recante disposizioni relative alla partecipazione alle aste delle quote di emissioni dei gas-serra, volte alla piena attuazione del regolamento (UE) n. 1031/2010, che attribuisce alla CONSOB la competenza ad autorizzare i soggetti che beneficiano dell'esenzione prevista dalla MiFID II a presentare offerte nel mercato delle quote di emissioni”.[48]

5. Problematiche di non facile risoluzione

Ricollegandoci ai vari Trattati ed Accordi internazionali è intuibile che, per quanto innovativi ed ingegnosi, sembrano non tener conto del fenomeno del long term carbon feedback, ovvero il meccanismo in base al quale il surriscaldamento globale potrebbe generare un vertiginoso aumento dei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera, conseguente alla perdita di carbonio dagli ecosistemi terrestri. Diversi studiosi sostengono che entro il 2100, il fenomeno del global warming potrebbe accelerarsi grazie alle conseguenze del riscaldamento stesso sul ciclo del carbonio[49].

Sostanzialmente, il problema è molto più complesso nella realtà fattuale[50], ovvero questa volta non basteranno lievi accorgimenti per arginare i problema, ma come già specificato, sarà necessario un impegno serio, con mutamenti radicali.

Un particolare punto di vista[51], invita a riflettere sul fatto che la causa di tali eventi non è da ricercare unicamente nelle emissioni di anidride carbonica ma anche nel generalizzato mancato rispetto per la natura, c’è chi suggerisce che bisognerebbe "trovare modelli scientifici e misurabili.

La vera sfida riguarda proprio la ricerca per dare strumenti adeguati allo studio del clima che abbiano una valenza scientifica. E di ricerca si parla sempre meno. Anche nelle conferenze sul clima"[52].

Inoltre, l’ultimo rapporto dell’IPCC descrive come lo sfruttamento eccessivo (per fini agricoli/industriali), del suolo, delle foreste il disboscamento e di altri biomi come praterie e zone umide, stia causando enormi danni all’ambiente (ma anche sociali[53]), incidendo non poco sul fenomeno che ci occupa.

6. Conclusioni 

Avviandoci alla conclusione di questa breve panoramica sull’attività legislativa nazionale, internazionale e comunitaria per far fronte all’emergenza climatica globale, si ritiene opportuno lasciare al lettore degli interrogativi e invitare alla riflessione su determinate micro-tematiche.

Indubbiamente, non possono essere accusati di inattività gli organismi internazionali e la maggior parte dei governi dei paesi sviluppati e non, almeno dal punto di vista formale e burocratico, ma solo il tempo sarà in gradi di fornire risposte circa l’efficienza degli strumenti da questi utilizzati…

Purtroppo, però al contrario di quanto avviene per altre tipologie di fenomeni, l’inquinamento globale, l’emissione dei gas serra e tutti ciò che altera gli equilibri del sistema Terra, generando catastrofi ambientali ed irreversibili mutamenti climatici, non sono imputabili ad un Paese piuttosto che ad un altro.

Lo stesso dicasi per i danni provocati di cui ne risentono e ne risentiranno tutti i Paesi in egual misura, anche perché tutti, in un modo o nell’altro, concorrono a provocarli.

Tutti gli strumenti utilizzati ai fini di rimarginare e ridimenzionare il problema non sono altro che scommesse alle quali gli Stati firmatari partecipano senza aver capito realmente qual è la posta in gioco[54].

I leader mondiali, le grandi multinazionali, i produttori di petrolio e i paesi industrializzati, probabilmente, sono consapevoli dell’irreversibilità dei danni il circolo vizioso dell’economia[55] li spinge verso l’autosabotaggio dell’intero Pianeta[56].

Tracciato questo schema riepilogativo non resta che auspicarsi, per il futuro del Pianeta e della razza umana, una maggiore collaborazione tra tutti gli Stati… sperando che, il prima possibile, siano in grado di trascendere da interessi politici, economici e finanziari e anteporre a qualsiasi loro politica un sistema internazionale per combattere – o quanto meno arginare - il fenomeno del riscaldamento globale[57].

La strategia alla quale si fa riferimento, però, non può più definirsi preventiva al fine di evitare danni, perché allo stato attuale la situazione risulta già di dimensioni tali da dover richiedere, a tutti i Paesi, attività incisive volte a bloccare il progressivo riscaldamento atmosferico prima che sia troppo tardi...

Per riassumere il concetto di fondo e l’anima dell’intero contributo è possibile prendere in prestito le parole del I principio della Dichiarazione di Rio sull'Ambiente e lo Sviluppo:

“Gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo sostenibile. Essi hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura.”

Note e riferimenti bibliografici

[1] Per approfondimenti sul tema si rinvia a: CARLI, L' uomo e il clima. Che cosa succede al nostro pianeta?, Il Mulino, 2017; MELLONI, Fuori controllo. Un'antropologia del cambiamento accelerato, Enaudi, 2017; RICH, Perdere la Terra. Una storia recente, Mondadori, 2019.

[2] Perché i cambiamenti climatici in questione sono talmente veloci e pertanto non consentono un altrettanto veloce processo di adattamento in grado di evitare, ad esempio, l’estinzione di alcune specie.

[3] V., APPLEGATE, Environmental risk. Aldershot,  Ashgate publishing, 2003.

[4] Diversi studi rivelano che una minima percentuale del PIL globale totale consentirebbe adeguati investimenti in un'economia ecosostenibile.

A titolo esemplificativo, la relazione Stern 2006 indicava che la gestione del surriscaldamento globale avrebbe avuto un costo annuo pari all'1 % del PIL mondiale, mentre il costo dell'inazione si sarebbe attestato intorno a cifre pari ad almeno il 5 % del PIL globale, fino ad arrivare al 20 %.

[5] Per approfondimenti, v. TRASK, Montreal Protocol non compliance procedure. The best approach to resolving international environmental disputes?, in Georgetown law journal, 1992, pp. 1980 ss.

[6] DeSOMBRE, Riduzione della fascia dell’ozono. L’esperienza del Protocollo di Montreal, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2001.

[7] V. DI PLINIO, Diritto pubblico dell’ambiente e aree naturali protette, Torino, 1994. IUCN-Environmental Law Center, Draft international Covenant on environment, in Environmental policy and law paper, Gland-Cambridge, 1995; MAFFEI, PINESCHI, SCOVAZZI, TREVES, (a cura di), Participation in world treaties on the protection of the environment. A collection of data. International law policy series, 1996.

[8] A titolo dimostrativo, tra i vari rapporti presentati dall’IPCC, particolare scalpore destò quello pubblicato nel 2001 nel quale si legge che: “la maggior parte del surriscaldamento atmosferico verificatosi negli ultimi cinquanta anni deve essere attribuito all’attività dell’uomo”.

[9] 1985 the Villach Conference; 1988 the Toronto Conference; 1989 the Ottawa Conference; 1989 the Tata Conference; 1989 the Hague Conference; 1989 the Noordwijk Conference; 1989 the Cairo Conference; 1990 the Bergen Conference; 1990 la seconda Conferenza mondiale sul clima.

[10] L’impegno della comunità internazionale è ravvisabile nelle varie Dichiarazioni di carattere mondiale, comunitario o regionale, nonché nella Carta mondiale della natura, adottata dall’Assemblea generale il 28 ottobre 1982.

[11] Il dato numerico non è irrilevante perché si deve considerare che tra i governi che hanno ratificato la Convenzione, c’erano anche quelli da cui derivava almeno il 55% delle emissioni inquinanti provenienti da paesi industrializzati.

Per esempio, La Cina non è vincolato dal Protocollo ma lo ha ratificato nel 2002, in occasione del World Summit on sustainable development di Johannesburg.

[12] Tra le altre cose, prevedeva che gli Stati industrializzati - fonte di gas-serra – erano obbligati a ridurre il livello delle emissioni almeno del 5% al di sotto del livello misurato nel 1990 entro il periodo di controllo 2008 - 2012.

[13] POLITI, Tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile. Profili e prospettive di evoluzione del diritto internazionale alla luce della Conferenza di Rio de Janeiro, in Scritti degli allievi in memoria di Giuseppe Barile, Padova, 1995, pp. 450 ss.

[14] WERKSMAN, The conferences of parties to environmental treaties, in Greening international institution, a cura di Werksmann, London, 1996, pp. 57 ss.

[15] V. LANZA, Il cambiamento climatico, Il Mulino, 2000.

[16] Affinché il trattato entrasse effettivamente in vigore erano necessari due requisiti: a) che fosse ratificato da almeno 55 Nazioni; b) che le Nazioni firmatarie rappresentassero, almeno, il 55% delle emissioni serra globali. Tale numero è stato ottenuto solo nel 2005 con la sottoscrizione da parte della Russia.

[17] Principio 7 – Dichiarazione di Rio

“Gli Stati coopereranno in uno spirito di partnership globale per conservare, tutelare ripristinare la salute e l'integrità dell'ecosistema terrestre. In considerazione del differente contributo al degrado ambientale globale, gli Stati hanno responsabilità comuni ma differenziate. I paesi sviluppati riconoscono la responsabilità che incombe loro nel perseguimento internazionale dello sviluppo sostenibile date le pressioni che le loro società esercitano sull'ambiente globale e le tecnologie e risorse finanziarie di cui dispongono.”

[18] Si consideri che solo Stati Uniti e Cina costituiscono il 50% delle emissioni mondiali.

[19]L’Accordo di Parigi entra in vigore il 4 novembre 2016 e vincola oggi 103 parti.

Cfr. Nespor, S., La lunga marcia per un accordo globale sul clima: dal Protocollo di Kyoto all’Accordo di Parigi, in Riv. trim. dir. pubbl., 2016, 81; Gervasi, M., Rilievi critici sull’Accordo di Parigi: le sue potenzialità e il suo ruolo nell’evoluzione dell’azione internazionale di contrasto al cambiamento climatico, in La Comunità Internazionale, 2016.

[20] Articolo 3: “Come contributi determinati a livello nazionale alla risposta globale ai cambiamenti climatici, tutte le Parti intraprendono e comunicano i loro sforzi ambiziosi quali definiti agli Articoli 4, 7, 9, 10, 11 e 13 al fine di conseguire lo scopo del presente Accordo, come definito all’Articolo 2. Gli sforzi delle Parti tracceranno, nel tempo, una progressione, riconoscendo, al contempo, l’esigenza di sostenere le Parti che sono paesi in via di sviluppo per l’efficace attuazione del presente Accordo.”

[21] Articolo 7: “1. Le Parti stabiliscono l’obiettivo globale sull’adattamento, che consiste nel migliorare la capacità di adattamento, rafforzare la resilienza e ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, al fine di contribuire allo sviluppo sostenibile e assicurare una risposta adeguata in materia di adattamento nell’ambito dell’obiettivo sulla temperatura di cui all’Articolo 2. 2. Le Parti riconoscono che l’adattamento è una sfida globale che riguarda tutti, con dimensioni locali, sub nazionali, nazionali, regionali e internazionali, e che esso è un elemento chiave della risposta globale di lungo termine ai cambiamenti climatici per proteggere le popolazioni, i mezzi di sussistenza e gli ecosistemi, tenendo conto delle esigenze urgenti ed immediate delle Parti che sono paesi in via di sviluppo e che sono particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici. 3. Gli sforzi di adattamento delle Parti che sono paesi in via di sviluppo sono riconosciuti, in conformità con le modalità che saranno adottate dalla Conferenza delle Parti che agisce come riunione delle Parti all’Accordo di Parigi, in occasione della sua prima sessione. 4. Le Parti riconoscono che l’attuale esigenza di adattarsi è significativa, e che maggiori livelli di mitigazione possono ridurre l’esigenza di ulteriori sforzi di adattamento, nonché che maggiori esigenze di adattamento possono comportare maggiori costi di adattamento. 5. Le Parti riconoscono che l’azione di adattamento deve basarsi su un’impostazione guidata dai paesi, sensibile all’eguaglianza di genere, partecipativa e pienamente trasparente, che tenga conto dei gruppi, comunità ed ecosistemi vulnerabili, e che sia basata e ispirata dalle migliori conoscenze scientifiche disponibili e, laddove appropriato, dalle conoscenze tradizionali, dalle culture delle popolazioni indigene e dalle culture locali, al fine di integrare l’adattamento, se del caso, nelle politiche e misure socioeconomiche e ambientali. 6. Le Parti riconoscono l’importanza del sostegno e della cooperazione internazionale a favore degli sforzi di adattamento e l’importanza di tenere conto delle esigenze delle Parti che sono paesi in via di sviluppo, in special modo quelli che sono particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici. 7. Le Parti rafforzano la loro cooperazione in materia di miglioramento dell’azione di adattamento, tenendo conto del Quadro di Adattamento di Cancún, in particolare per: (a) scambiare informazioni, buone pratiche, esperienze e lezioni apprese, anche, laddove appropriato, se queste si riferiscono alla scienza, alla pianificazione, alle politiche e alla messa in atto di azioni di adattamento; (b) rafforzare i meccanismi istituzionali, compresi quelli esistenti in virtù della Convenzione che concorrono all’applicazione del presente Accordo, per facilitare la sintesi delle informazioni e conoscenze pertinenti, e l’offerta di sostegno e indicazioni tecniche alle Parti; (c) rafforzare le conoscenze scientifiche sul clima, inclusa la ricerca, la osservazione sistematica del sistema climatico e sistemi di allerta precoce, in modo da supportare i servizi metereologici e agevolare la presa di decisioni; (d) assistere le Parti che sono paesi in via di sviluppo nell’individuare pratiche di adattamento efficaci, esigenze di adattamento, priorità, sostegno offerto e ricevuto per azioni e sforzi di adattamento, nonché sfide e lacune, in modo coerente, così da incoraggiare le buone pratiche; (e) migliorare l’ efficacia e la durata delle azioni di adattamento. 8. Le organizzazioni e agenzie specializzate delle Nazioni Unite sono incoraggiate a sostenere gli sforzi delle Parti volti a dare attuazione alle azioni di cui al paragrafo 7 del presente Articolo, tenendo conto delle disposizioni di cui al paragrafo 5 del presente Articolo. 9. Ciascuna Parte, ove opportuno, si impegna in processi di pianificazione dell’adattamento e nella attuazione di misure che consistono in particolare nella messa a punto o rafforzamento dei pertinenti piani, politiche e/o contributi, i quali possono comprendere: (a) la realizzazione di misure, programmi e/o sforzi di adattamento; (b) il processo di formulazione e attuazione dei piani di adattamento nazionali; (c) la valutazione degli effetti dei cambiamenti climatici e la vulnerabilità nei suoi confronti, al fine di definire azioni prioritarie, determinate a livello nazionale, tenendo conto delle popolazioni, luoghi ed ecosistemi vulnerabili; (d) il controllo e la valutazione dei piani, delle politiche, dei programmi e delle azioni di adattamento e gli insegnamenti che ne derivano; e (e) una resilienza maggiore dei sistemi socioeconomici e ecologici, anche attraverso la diversificazione economica e la gestione sostenibile delle risorse naturali. 10. Ciascuna Parte, ove opportuno, presenta ed aggiorna periodicamente una comunicazione sull’adattamento, che può contenere le priorità, le esigenze di attuazione e di sostegno, i piani e le azioni, senza creare alcun onere aggiuntivo per le Parti che sono paesi in via di sviluppo. 11. La comunicazione sull’adattamento di cui al paragrafo 10 del presente Articolo ove opportuno, è presentata e aggiornata periodicamente, come componente, o congiuntamente ad altri comunicati e documenti, compreso il piano di adattamento nazionale, i contributi determinati a livello nazionale di cui all’Articolo 3, paragrafo 2 e/o la comunicazione nazionale. 12. La comunicazione sull’adattamento di cui al paragrafo 10 del presente Articolo è registrata in un registro pubblico custodito dal Segretariato. 13. Un sostegno internazionale rafforzato, su base continua, è messo a diposizione delle Parti che sono paesi in via di sviluppo per l’attuazione dei paragrafi 7, 9, 10 e 11 del presente Articolo, in conformità con le disposizioni degli Articoli 9, 10 e 11. 14. Il bilancio globale di cui all’Articolo 14, inter alia: (a) tiene conto degli sforzi di adattamento delle Parti che sono paesi in via di sviluppo; (b) sostiene l’attuazione delle misure di adattamento tenendo conto delle comunicazioni sull’adattamento di cui al paragrafo 10 del presente Articolo; (c) rivede l’adeguatezza e l’efficacia dell’adattamento e del sostegno offerto per l’adattamento; e (d) rivede il progresso complessivo compiuto nel conseguire l’obiettivo globale di adattamento di cui al paragrafo 1 del presente Articolo”

[22] Gli ambientalisti pretendevano che entro il 2050 si dovesse giungere ad una riduzione pari al 70% delle emissioni e portarle all’azzeramento per il 2060, ma bisogna pur dire che gli stessi paesi più sviluppati, nonché i produttori di petrolio e gas, si sono fermamente opposti alla specificazione di una data precisa per l’eliminazione delle emissioni nocive.

[23]Valsania, “Trump: accordo di Parigi su clima ‘pessimo’, negoziato male da Obama”, Articolo del Sole24Ore del 1.06.2017

[24] Watts M., C40 Executive Director, (12 giugno 2017), “Mayors lead the global response to Trump’s pull out of the Paris Agreement”.

[25] Ilsole24ore, “Greta, le Cop, Trump e tutto quello che c’è da sapere sul clima”, a cura di Riccardo Barlaam (18 marzo 2019)

[26] A titolo esemplificativo, si ricorda che l’UE nel 2013 era già riuscita a ridurre le emissioni in misura del 19% rispetto ai livelli del 1990.

[27] Rubagotti, Meccanismi flessibili per la lotta ai cambiamenti climatici: al via lo schema europeo di scambio di diritti di emissione, in Rivista giuridica dell’ambiente, fasc.1, 2005, pp.199-201.

[28] Fonte: DEF 2018 - Relazione del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. L. 39/2011, art. 2, c. 9

[29] ECCP-PECC, datato marzo 2000

[30] Già in passato: decisione 1993/389/CE istituiva un meccanismo di controllo per ridurre l’anidride carbonica e altri gas serra, tale decisione nasceva dalla prima direttiva comunitaria in materia del 1970 70/220/CE che prevedeva misure contro l’inquinamento prodotto dai veicoli a motore. Nel 1999 la Commissione ha adottato due proposte di direttiva COM che rientrava nella strategia adottata del 1997 per combattere l’acidificazione e la seconda proposta di direttiva sui limiti nazionali di emissione per taluni inquinanti atmosferici. Nel 2001, invece, sempre la Commissione europea ha presentato la comunicazione relativa al programma “Aria pulita per l’Europa”.

[31] Convenzione di Londra del 2001 (conosciuta come Bunker Oil Convention).

La Convenzione fu negoziata presso l’Organizzazione marittima internazionale (IMO), è entrata in vigore a livello internazionale il 21 novembre 2008. La Convenzione ha colmato un vuoto legislativo nel diritto internazionale, che non prendeva in considerazione l’inquinamento provocato dalla fuoriuscita e dal versamento in mare di petrolio utilizzato per il funzionamento e la propulsione delle navi.

Composta da un preambolo e da 19 articoli, la Convenzione prende in esame tutte le dinamiche relative agli incidenti che causano inquinamento: responsabilità degli armatori, campo di applicazione (le navi militari ad esempio sono escluse), obblighi assicurativi e relativa certificazione di validità i cui Stati contenti s’impegnano ad accertare per le navi che entrano nei loro porti.

[32] (Consolidated text of the International Convention on Liability and Compensation for Damage in Connection with the Carriage of Hazardous and Noxious Substances by Sea, 1996, and the Protocol of 2010 to the Convention)

[33] Direttiva del 15 gennaio 2008, conosciuta come la direttiva IPPC (integrated pollution prevention and control).

[34] Vettori, Un nuovo programma generale d’azione per l’unione Europea in materia di ambiente fino al 2020, in Rivista

Giuridica dell’Ambiente, fasc. 2, 2014, p. 283-289

[35] Per ulteriori approfondimenti, V., Paganetto, Europa 2020. La sfida della crescita, Eurilink, 2010

[36] Fonte: sito web della Commissione europea

[37] “La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, protezione della salute umana, utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.

La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio ‘chi inquina paga’.

In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell'ambiente comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo dell'Unione.

Nel predisporre la sua politica in materia ambientale l'Unione tiene conto: dei dati scientifici e tecnici disponibili, delle condizioni dell'ambiente nelle varie regioni dell'Unione, dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall'azione o dall'assenza di azione, dello sviluppo socioeconomico dell'Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni.

Nell'ambito delle rispettive competenze, l'Unione e gli Stati membri collaborano con i paesi terzi e con le competenti organizzazioni internazionali. Le modalità della cooperazione dell'Unione possono formare oggetto di accordi tra questa ed i terzi interessati.

Il comma precedente non pregiudica la competenza degli Stati membri a negoziare nelle sedi internazionali e a concludere accordi internazionali.”

[38] cfr.: Butti, Principio di precauzione, Codice dell’Ambiente e giurisprudenza delle Corti comunitarie e della Corte costituzionale, in Riv. giur. ambiente, f. 6, 2006

[39] Conclusioni del Consiglio europeo di Nizza del 7-10 dicembre 2000: “(…) il principio di precauzione fa parte dei principi da prendere in considerazione nella politica della Comunità in materia ambientale; che tale principio è altresì applicabile alla salute umana nonché ai settori zoosanitario e fitosanitario (…)”

[40] Comunicazione della Commissione sul ricorso al principio di precauzione (COM 2000) 2 febbraio 2000

[41] La rete di monitoraggio dell’UE (IMPEL) è una rete internazionale composta dalle autorità ambientali degli Stati membri, adibita a invogliare all’effettiva applicazione delle norme in materia. Nel maggio 2016 la Commissione ha avviato il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali, per garantire un aggiornamento costante.

[42] In Italia, con la legge 133/2008 di conversione, con modificazioni, del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, è stato istituito l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ISPRA.

[43] V. Cartei, Cambiamento climatico e sviluppo sostenibile Scritti di: Cafagno, Cartei, De Leonardis, Ellerman, Fidone, Fracchia, Maracchi, Pazienza, Perrone, Tonoletti, Giappichelli, Torino, 2013

[44] Wadhams, Addio ai ghiacci. Rapporto dall'Artico, Bollati Boringhieri, 2017

[45] "Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l'11 dicembre 1997" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 142 del 19 giugno 2002.

[46] Una percentuale di produzione di energia da fonti rinnovabili nei consumi finali lordi di energia pari al 30%, in linea con gli obiettivi previsti per il nostro Paese dall'UE; - una quota di energia da fonti rinnovabili nei consumi finali lordi di energia nei trasporti del 21,6% a fronte del 14% previsto dalla UE; - una riduzione dei consumi di energia primaria rispetto allo scenario di riferimento (PRIMES 2007) del 43% a fronte di un obiettivo UE del 32,5%; - la riduzione dei "gas serra", rispetto al 2005, per tutti i settori non ETS del 33%, obiettivo superiore del 3% rispetto a quello previsto dall'UE. (fonte: sito ufficiale Camera dei Deputati)

[47] Fonte: sito ufficiale Camera dei Deputati – Cambiamenti climatici (18.01.2019)

[48] Fonte: sito ufficiale Camera dei Deputati – Cambiamenti climatici (18.01.2019)

[49] COX, BETTS, JONES, SPALL, TOTTERDELL, "Accelerazione del riscaldamento globale grazie ai feedback del ciclo del carbonio in un modello climatico accoppiato", pp. 184–7, Bibcode, 2008.

[50] V. PRODI F., I dubbi sui cambiamenti climatici: “Il fenomeno è molto più complesso rispetto a come ce lo presentano”, da Libero (Quotidiano.it), del 2 giugno 2017.

[51] PRODI F., I dubbi sui cambiamenti climatici: “Il fenomeno è molto più complesso rispetto a come ce lo presentano”, da Libero (Quotidiano.it), del 2 giugno 2017.

[52] ID, op. cit

[53] Per le popolazioni indigene

[54] Ex multis: Silvestrini, Due gradi. Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l'economia, Edizioni Ambiente, FrancoAngeli, 2016; Amendola, Crimi , Venticinque anni di negoziati sul clima, in Equilibri, fasc. 2, agosto 2015, p.247-254;

[55] Cfr: Ciani Scarnicci , Marcelli , Pinelli , Romani , Russo, Economia, ambiente e sviluppo sostenibile,

[56] Come risulta dal V Rapporto di Valutazione dell’International Panel on Climate Change

[57] V. LUCARINI, La scienza clima, in Equilibri, 2001