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Pubbl. Mar, 9 Lug 2019

In tema di vitalizi è competente il Consiglio di Giurisdizione della Camera dei deputati.

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Editoriale a cura di


Con ordinanza 8 luglio 2019 n. 18265, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite dichiara inammissibile il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione.


Il prof. Paolo Armaroli aveva proposto ricorso al Consiglio di Giurisdizione della Camera dei deputati per ottenere sia l'annullamento della deliberazione 12 luglio 2018, n. 14 dell'Ufficio di Presidenza della stessa Camera per effetto della quale aveva subito, con decorrenza 1 gennaio 2019, una decurtazione del 44,41% dell'assegno vitalizio in quanto ex parlamentare, sia l'accertamento del proprio diritto a percepire il vitalizio nella misura che gli era stata attribuita.

Successivamente, il ricorrente ha proposto con un unico motivo il regolamento preventivo di giurisdizione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per chiedere che venga dichiarata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario o, in subordine, quella del giudice amministrativo e non quella del Consiglio di Giurisdizione della Camera dei deputati.

Infatti, Il ricorrente sosteneva che la giurisdizione del Consiglio di Giurisdizione della Camera dei deputati integrerebbe la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, come si desume anche dalle sentenze della Corte costituzionale n. 120 del 2014 e n. 262 del 2017, le quali hanno delineato una nozione di autodichia ristretta, riferibile soltanto ai rapporti dei dipendenti delle Camere.

Pertanto, la nozione ristretta di autodichia, delineata dalla Corte Costituzionale citata, non sarebbe comprensiva di controversie che riguardino direttamente o indirettamente "soggetti terzi". Di conseguenza, il ricorrente non rientrerebbe in tale nozione visto che non è più parlamentare dal 2001.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il suddetto ricorso per regolamento preventivo per la seguente ragione:

“Gli assegni vitalizi dovuti, in dipendenza della cessazione dalla carica, a favore dei parlamentari si collegano all'indennità di carica goduta in relazione all'esercizio del mandato pubblico; che tale indennità, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego (Corte cost., sentenza n. 289 del 1994 e, nello stesso senso: Cass. 1 ottobre 2010, n. 20538; Cass. 20 giugno 2012, n. 10177; Cass. 10 febbraio 2017, n. 3589), essendosi sottolineato che la sua attribuzione ai membri del Parlamento, a norma dell'art. 69 Cost., è finalizzata a garantire il libero svolgimento del mandato.

In altre parole, dal suddetto collegamento tra indennità parlamentare e assegno vitalizio si desume che così come l'assenza di emolumento disincentiverebbe l'accesso al mandato parlamentare o il suo pieno e libero svolgimento, rispetto all'esercizio di altra attività lavorativa remunerativa; allo stesso modo l'assenza di un riconoscimento economico per il periodo successivo alla cessazione del mandato parlamentare varrebbe quale disincentivo, rispetto al trattamento previdenziale ottenibile per un'attività lavorativa che fosse stata intrapresa per il medesimo lasso temporale; che, pertanto, se il c.d. vitalizio rappresenta la proiezione economica dell'indennità parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato - sebbene esso non trovi specifica menzione nella Costituzione, a differenza dell'indennità prevista nell'art. 69 Cost. - può dirsi che la sua corresponsione sia sorretta dalla medesima ratio di sterilizzazione degli impedimenti economici all'accesso alla cariche di rappresentanza democratica del Paese e di garanzia dell'attribuzione ai parlamentari, rappresentanti del popolo sovrano, di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l'indipendenza, come del resto accade in tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione democratica dello Stato; che anche se la rispettiva disciplina sostanziale dei due istituti è rinvenibile in fonti differenti, visto che solo per l'indennità è prevista la riserva di legge (che tuttora trova riscontro nella legge 31 ottobre 1965, n. 1261), è indubbio che entrambi gli istituti rientrino nell'ambito della normativa "da qualificare come di diritto singolare" che si riferisce al Parlamento nazionale o ai suoi membri, a presidio della posizione costituzionale del tutto peculiare loro riconosciuta dagli artt. 64, primo comma, 66 e 68 Cost. (Corte cost., sentenze n. 66 del 1964 e n. 24 del 1968 nonché sentenza n. 379 del 1996); che l'anzidetta derivazione dell'assegno vitalizio dall'indennità parlamentare esclude che rispetto alle controversie relative al diritto all'assegno vitalizio dell'ex parlamentare e alla relativa entità l'ex parlamentare possa essere considerato "soggetto terzo" solo perché la sua carica è cessata; che da quanto si è detto deriva che le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura dell'indennità parlamentare e/o degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari non possono che essere decise dagli organi dell'autodichia, la cui previsione risponde alla medesima finalità di garantire la particolare autonomia del Parlamento e quindi rientra nell'ambito della suindicata normativa di "diritto singolare" la cui applicazione consente il superamento anche del principio dell'unicità della giurisdizione, in base al quale il giudice ordinario è dotato della giurisdizione generale e i giudici speciali previsti dalla Costituzione operano in via meramente derogatoria e sulla base di previsioni legislative (principio che, invece, trova applicazione ad esempio per le controversie originate dalla rimodulazione in riduzione dell'assegno vitalizio erogato a consiglieri regionali cessati dalla carica)”.

Alleghiamo il testo dell’ordinanza 8 luglio 2019 n. 18265: link