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Pubbl. Gio, 28 Feb 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

La colpa amministrativa: come opera in materia di appalti? Evoluzione giurisprudenziale e normativa

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Maria Erica Gangi
Avvocato


Dalla Sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite - intervenuta a sdoganare il risarcimento dell´interesse legittimo pretensivo - molto è cambiato; tanti i punti di contatto, dalla Responsabilità Amministrativa alla colpa in specie in materia appalti. Quale tutela al concorrente pretermesso? compensativa o risarcitoria? Un´analisi storico-evolutiva.


Indice: 1) 20 anni dalla Sentenza n. 500/1999: anche l’interesse legittimo pretensivo può essere risarcito; 2) La colpa amministrativa: cosa cambia? 3) L’evoluzione giurisprudenziale in seno al CdS: da colpa in re ipsa a colpa salvo errore scusabile; 4) la colpa in materia di appalti, come opera e con quali correttivi; 5) Strumenti di tutela per l’operatore economico indebitamente pretermesso. 

1.20 anni dalla Sentenza n. 500/1999: anche l’interesse legittimo pretensivo può essere risarcito

La questione posta all’odierna attenzione necessita di un’accurata analisi che dia adeguato rilievo al valore apportato, nel nostro Ordinamento, dalla famigerata Pronuncia n. 500/1999 con la quale il Supremo Consesso ha sdoganato la risarcibilità dell’interesse legittimo a carattere pretensivo.

Per comprendere il revirement che si registrò è necessario dare atto di quale fosse il contesto in cui esso si mosse1.

Invero, fino all’arresto pretorio di cui si discute, il privato che fosse stato leso dall’azione Amministrativa avrebbe trovato tutela risarcitoria unicamente nel caso fosse stato raggiunto da provvedimento contrastante con un interesse legittimo oppositivo; ciò in ossequio alla tesi che vedeva in detta tipologia di interesse un diritto soggettivo affievolito o sfumato dal provvedimento, talché l’annullamento dello stesso avrebbe determinato la riespansione del diritto con conseguente meritevolezza della tutela risarcitoria.

Nessuna azione, a contrario, avrebbe potuto validamente essere esperita in caso di lesione di interesse pretensivo, ritenuto una pura aspirazione ad un bene della vita che, ragionevolmente, avrebbe potuto trovare limitazione in favore di un preminente interesse pubblico2.

Convinzione diffusa e radicata tanto in Dottrina quanto in Giurisprudenza che trovava la propria ratio nella lettura – volutamente letterale – dell’art. 2043 c.c.

Si riteneva che la norma civilistica potesse riferirsi unicamente alle situazioni di diritto soggettivo non anche di interesse legittimo considerato che il danno evento – quale interesse meritevole di tutela che fosse stato leso – per ottenere adeguato risarcimento dovesse postulare una condotta non iure e contra ius, ossia, rispettivamente, contraria alle norme che impongano doveri comportamentali nonché ingiusta. Caratteri, questi, che – secondo l’orientamento tradizionale – potessero reperirsi nei soli diritti soggettivi3.

Ciò che si registrò nel nostro ordinamento fu alquanto contraddittorio: da una parte giungeva una giurisprudenza Comunitaria che imponeva la condanna dell’Italia per mancato recepimento di una direttiva self – executing ove avesse riconosciuto posizioni giuridiche di vantaggio al privato e fosse – ontologicamente – immediatamente applicabile4; da altro lato, sul piano del diritto interno, continuava a verificarsi un vuoto di tutela verso il privato che per la lesione dell’interesse legittimo pretensivo avrebbe potuto disporre unicamente dell’azione di annullamento e non anche di quella risarcitoria, con buona pace dei principi costituzionali afferenti il diritto di difesa e consacrati negli artt. 24 e 111 Cost.

Diverse le soluzioni auspicate, tra queste anche un possibile intervento legislativo che, tuttavia, non si rese necessario per merito dell’intervento Pretorio del Giudice di Legittimità.

Si propose – com’è giusto che fosse – una lettura sistematica dell’art. 2043 c.c. valorizzando il lemma “danno” si evidenziò che nessun riferimento esclusivo vi fosse circa gli interessi legittimi i quali – al pari dei diritti soggettivi – ben potevano accedere sotto l’alveo della tutela patrimoniale.

Il punto di approdo raggiunto fu emblematico.

Per la prima volta si scardina un dogma che per decenni aveva attribuito un’aurea di intoccabilità al Soggetto Pubblico chiamato a rispondere non più e non soltanto per generale violazione del principio di neminem laedere ma ogniqualvolta dal proprio agire fossero scaturite delle conseguenze pregiudizievoli ai danni del privato espressione di violazioni di uno status giuridico comprensivo tanto delle situazioni di diritto soggettivo che di interesse legittimo.

All’uopo e per soddisfare esigenze di completezza espositiva va dato atto dell’intima connessione riscontrabile tra la riconosciuta risarcibilità dell’interesse legittimo e il radicamento della giurisdizione amministrativa.

In verità non fu conquista indolore ma accompagnata da un animato percorso normativo sul quale – da ultimo – si assestò la Consulta con la Sentenza n. 204/2004 in cui chiosò che la tutela risarcitoria, e la sua conseguente attribuzione al Giudice Amministrativo, non avrebbe rappresentato un ampliamento improprio delle ipotesi di giurisdizione esclusiva quanto più una maggiore considerazione della posizione del privato leso5.

Ma v’è di più.

Riconoscere la unicità della giurisdizione – di annullamento e risarcitoria – altro non è che attuazione del principio di concentrazione delle tutele professato in sede Comunitaria; a contrario, ove si fosse mantenuto un sistema di duplice giurisdizione talché per l’annullamento del provvedimento si fosse radicata la G.A. mentre per la tutela risarcitoria quella del G.O. giocoforza il privato sarebbe stato doppiamente cagionato dal peso di un duplice giudizio con il conseguente sacrificio del proprio diritto di difesa, mai sacrificabile in un sistema – quale il nostro – che decanta la piena ed effettiva tutela giurisdizionale.

Dirimente è stato il ruolo del Legislatore che con l’art. 30 c.p.a ha disciplinato l’azione di condanna precisando – al comma secondo – che la medesima può essere chiesta a titolo di risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria6 .

Poche osservazioni su detto articolo la cui portata è dirompente in punto di pregiudiziale amministrativa.

Con esso il legislatore pone fine all’annosa querelle dimostrando di aderire ad un orientamento maggiormente conforme alla c.d. tesi tutta civilistica che, dal 2006, ne sconfessava la esistenza in favore dell’assoluta autonomia tra le due azioni; tuttavia sposa una autonomia c.d. temperata da due limiti: temporale allorché l’azione risarcitoria debba essere esperita entro il termine di 120 giorni dal provvedimento lesivo o – qualora sia stata proposta azione di annullamento – il predetto termine decorrerà dal passaggio in giudicato della Sentenza che ne dispone la caducazione.

Altro limite è il riferimento, implicito, alla disciplina di cui all’art. 1227 c.c. per cui la liquidazione del danno dovrà essere riconosciuta previa valutazione della condotta assunta dal ricorrente.

2. La colpa amministrativa: cosa cambia?

Tornando alla lettura della Sentenza n. 500/1999 occorre soffermare l’attenzione sulla incidenza che la stessa ha avuto sull’elemento psicologico richiesto in capo alla P.A. il cui accertamento è condizione per la liquidazione del danno.

Ancora una volta deve guardarsi al passato per poter carpire il riverbero nel presente.

In un contesto antecedente l’estate del 1999 si riteneva – lo si ribadisce – non assistito da tutela risarcitoria l’interesse legittimo pretensivo; differentemente, con riguardo all’interesse legittimo oppositivo, questo si riteneva risarcibile stante la provata illegittimità del provvedimento lesivo.

Ne discendeva un regime sulla colpa declinata quale responsabilità oggettiva nella misura in cui la sola dichiarata illegittimità dell’atto lesivo fosse per ciò solo idonea e sufficiente a radicare la colpa amministrativa e, conseguentemente, la meritevolezza dell’interesse risarcitorio.

Si è, a buon diritto, parlato di colpa in re ipsa, non superabile con alcuna prova contraria né poteva validamente ammettersi una forma di scusabilità in capo all’Amministrazione la quale, di fatto, era chiamata a rispondere per violazione di norme di legge, ipotesi di colpa specifica di cui all’art. 43 c.p.

La responsabilità oggettiva radicata in detta circostanza fu ampiamente scardinata con la Pronuncia n. 500/1999.

Invero con detto arresto gli Ermellini vollero perseguire un duplice fine: ammettere la risarcibilità degli interessi legittimi pretensivi, quindi ampliare le ipotesi in cui l’agire amministrativo dovesse conformarsi al privato, ma, parimenti, detta espansione doveva essere accompagnata dalla introduzione di adeguata previsione circa i criteri di imputabilità al fine di porre un argine al dilagare delle pretese risarcitorie.

Non più colpa in re ipsa ma da provare, accertamento dell’elemento psicologico quale condizione di rimproverabilità del Soggetto Pubblico per un agire lesivo e precludente posto in essere ai danni del privato.

Ciò posto è possibile rappresentare e cogliere il ruolo che ha avuto la Sentenza del 1999 anche con riguardo alla evoluzione della colpa amministrativa.

Le Sezioni Unite hanno, invero, ritenuto non più sufficiente la sola illegittimità del provvedimento amministrativo perché si configurasse l’elemento psicologico della P.A. ma, a fortiori, detto carattere doveva essere espressione della violazione dei più generali principi di buon andamento, imparzialità e correttezza amministrativa.

Il quadro prospettato dall’intervento giurisprudenziale appariva rafforzato e più esigente: non soltanto la accertata illegittimità dell’atto idonea ad aprire la tutela risarcitoria ma, ancor più, questa doveva essere conseguenza della violazione dei doveri di buona amministrazione che trovano nell’art. 97 Cost. il proprio referente normativo7.

Non tardarono a giungere le critiche a detta tesi.

Si ritenne come gli Ermellini avessero ancorato la illegittimità del provvedimento a figure tipicamente sintomatiche di eccesso di potere avanzando un parallelismo nuovo, forzato e che, soprattutto, non trovava domiciliazione nel nostro ordinamento.

3. L’evoluzione giurisprudenziale in seno al CdS: da colpa in re ipsa a colpa salvo errore scusabile

La Giurisprudenza del Consiglio di Stato, negli anni successivi all’arresto del 1999, ha svolto un lavoro alacre volto a superare i limiti evidenti di cui sopra si è detto.

Si è introdotta – a far data dai primi anni 2000 – una ipotesi di colpa amministrativa superabile nel caso di scusabilità dell’errore e quindi positivamente riscontrata nel caso di errore inescusabile8.

Secondo alcuni Autori si trattava di un ritorno al passato, di una riesumazione della colpa in re ipsa – quindi tipicamente oggettiva – per lungo tempo professata nel nostro ordinamento con esclusivo riferimento agli interessi legittimi oppositivi, allorché si riteneva la sola illegittimità del provvedimento sufficiente ad aprire la strada alla tutela risarcitoria.

In verità nessun parallelismo poteva validamente ammettersi atteso che la nuova concezione della colpa, sorta negli ambienti della Giustizia Amministrativa, ammetteva la prova liberatoria esperibile da parte del Soggetto Pubblico e subordinata al c.d. errore con cui l’atto stesso fosse stato posto in essere.

È proprio in detto segmento che si inscrive il dibattito sorto circa la natura giuridica della responsabilità amministrativa le cui considerazioni si intersecano intimamente con la colpa quale criterio soggettivo alla cui indagine – e accertamento – subordinare la liquidazione del danno.

Senza voler pretendere canoni di esaustività occorre dare atto delle differenti tesi emerse sul punto per cui, secondo alcuni, si trattava di responsabilità contrattuale da declinare nella forma del contatto sociale: la P.A. non può ritenersi un mero quisque de populo ma un soggetto qualificato, tenuto a doveri di natura Costituzionale talché il privato che vi entri in contatto matura un affidamento verso la legittimità e conformità dell’azione amministrativa; pretesa che, ove lesa, autorizzerebbe l’esperimento dell’azione contrattuale.

Secondo altro formante sarebbe una ipotesi di responsabilità precontrattuale per lesione dei generali principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. idonea, pertanto, a ledere il diritto alla libertà negoziale del contraente9.

Un orientamento – timidamente sorto in seno ad alcune pronunce del CdS – parlò di responsabilità speciale, connotata da peculiarità tali da non potersi assimilare né a quella contrattuale che precontrattuale.

Nonostante l’innegabile pregio giuridico da riconoscere alle tesi sopra esposte la Giurisprudenza maggioritaria, unanimemente alla Dottrina, ritenne che si dovesse discutere di natura extracontrattuale della responsabilità amministrativa con conseguente maggior aggravio in capo al ricorrente in punto di onere probatorio.

Invero il privato, leso dal provvedimento illegittimo, avrebbe potuto ottenere la liquidazione del danno previa soddisfazione dei requisiti di cui all’art. 2043 c.c.: danno evento, danno conseguenza, doppia causalità materiale e giudiziale nonché la prova afferente l’elemento psicologico.

Proprio su detto aspetto è stata particolarmente benevola la giurisprudenza del CdS che, al fine di alleggerire l’onere probatorio in capo al privato ricorrente ha elaborato una serie di indici cui lo stesso avrebbe potuto fare ricorso per dare prova del danno subito e della colpa amministrativa.

Tra essi: la natura vincolata dell’attività amministrativa, l’esistenza di costante e pacifica giurisprudenza che riconosceva una data attribuzione allo stesso, ingiustamente negata dalla P.A., l’eventuale partecipazione al procedimento amministrativo, tipica sede in cui realizzare il bilanciamento dei differenti interessi in gioco (pubblici e privati) talché sovente appare indispensabile l’intervento della parte proprio per esporre le proprie ragioni o prospettare una soluzione alternativa, meno pregiudizievole.

Del pari, la P.A. avrebbe potuto assolvere la propria prova liberatoria dimostrando che la norma al cui ossequio sarebbe stata tenuta era oggetto di interpretazioni difformi, o, ancora, che l’intervento del privato nulla aveva apportato in punto di decisione finale10.

Scopo, insomma, sarebbe quello di fornire la prova che se di colpa si discute questa è stata dovuta ad errore scusabile e pertanto non condannabile né imputabile all’azione amministrativa.  

4. La colpa in materia di appalti, come opera e con quali correttivi

Il quadro così composto e tracciato sembrava essere pacificamente riconosciuto e tollerato finché sorsero momenti di fibrillazione circa l’applicabilità di detto criterio di colpa – superabile con la prova che si fosse trattato di errore scusabile – alla materia degli appalti.

Ambito tipicamente delicato, animato da criteri di tutela della concorrenza, del libero mercato nonché della salvaguardia circa la partecipazione equa degli operatori economici alle procedure di gara. Il confronto con la giurisprudenza comunitaria è stata l’occasione per gettare nuove ombre su un sistema che non si palesava come garantista ma, al contrario, particolarmente protettivo per il soggetto pubblico che agevolmente si sarebbe visto sottratto da qualsivoglia profilo di responsabilità ove avesse dato prova della scusabilità dell’errore.

Non v’è dubbio, tuttavia, che il punto di rottura si ebbe con la Sentenza Stadt – Graz della Corte di Giustizia dell’UE C. 314/09.

Due i pilastri che vennero per l’occasione ribaditi: la Pubblica Amministrazione è chiamata a perseguire l’interesse pubblico, questo, nella materia degli appalti, si esplica attraverso lo svolgimento di procedure di evidenza pubblica, così dette perché riferite a quei contesti il cui il Soggetto Pubblico è chiamato a stipulare un contratto di appalti, servizi, o forniture la cui procedura deve essere svolta secondo regole di esternalizzazione, devono palesarsi i criteri di scelta nonché i requisiti richiesti per conseguire l’aggiudicazione, parimenti la medesima evidenza pubblica deve animare la fase di formazione del consenso.

Considerata la peculiarità della materia la P.A. è chiamata a garantire le regole del mercato, della libera concorrenza e della parità di trattamento degli operatori economici concorrenti.

Ne discende un aggravamento della responsabilità amministrativa che, considerata la funzione che svolge, ben può giustificare una ipotesi di colpa oggettiva.

In secondo luogo va mitigato il criterio di accertamento della colpa – fino alla sua estinzione – alla luce del criterio di eguaglianza delle tutele: invero nessuna prova circa la colpa amministrativa è richiesta nel caso di azione volta al subentro dell’operatore pretermesso; parimenti l’accesso alla tutela per equivalente deve sottrarsi al requisito psicologico quale condizione per il positivo riconoscimento.

Stante le predette considerazioni la CGUE ha postulato una diversa considerazione della colpa in materia appalti, sussumibile ad ipotesi di responsabilità oggettiva sottratta, pertanto, alla prova liberatoria del c.d. errore scusabile11.

5. Strumenti di tutela per l’operatore economico indebitamente pretermesso

Al fine di comprendere pienamente l’arresto sovranazionale e il principio garantista di cui esso è stato portatore, pare opportuno perimetrare la materia appalti e connotarla quale ambito particolarmente delicato e sensibile, non foss’altro per la complessità dei differenti interessi in gioco, tutti parimenti meritevoli di tutela e considerazione.

Invero, nell’ambito di una procedura di gara rileva l’interesse dell’Amministrazione a continuare il rapporto contrattuale con l’operatore aggiudicatario, v’è, in via preliminare, l’interesse alla legalità ed al rispetto della Lex specialis; considerazione merita l’operatore aggiudicatario alla continuazione dei lavori quale conseguenza della stipula del contratto; tuttavia non può tacersi la posizione del privato pretermesso che, pur in possesso dei requisiti richiesti dal bando, non sia stato aggiudicatario vedendo, quindi, leso il proprio interesse legittimo di natura pretensiva.

Ove, a seguito della predetta aggiudicazione, il privato leso impugni il provvedimento conclusivo, contestualmente chiede l’annullamento di questo, del contratto nelle more stipulato nonché il riconoscimento del proprio diritto a subentrare nella procedura negoziale12.

Stante le considerazioni sopra svolte è agevole comprendere che trattasi di interesse non indefettibile ma sacrificabile in specie quantunque il provvedimento venga impugnato per vizi non gravi di cui all’art. 122 c.p.a e in presenza dei quali non v’è alcun obbligo del G.A di procedere all’annullamento dell’aggiudicazione e conseguentemente del contratto; piuttosto l’Autorità Giudiziaria è chiamata a svolgere un giudizio di bilanciamento tra gli interessi coinvolti e, verosimilmente, propendere per la non inefficacia del contratto perché il vizio non sia tanto grave da giustificarne la caducazione o, perché, lo stato dei lavori sia talmente avanzato da non ritenere congruo un annullamento con conseguente subentro.

In ipotesi di tal fatta la tutela in forma specifica viene mortificata e il privato pretermesso indotto a una tutela alternativa c.d. per equivalente vista nella liquidazione del danno monetario a norma dell’art. 124 c.p.a

Ordunque, ove si subordinasse l’accesso a detta tutela al requisito della colpa e al regime di favore di cui vanta l’Amministrazione il privato verrebbe ampiamente leso.

In sede comunitaria, pertanto, è stato pacificamente perseguito l’interesse ad abolire l’indagine sulla colpa, del resto non richiesta con riguardo alla tutela in forma specifica.

Ciò postulato è opportuno disquisire circa la natura giuridica di detti rimedi, se risarcitori o compensativi.

In merito dirimenti sono stati gli arresti Pretori del CdS che ne hanno valorizzato il carattere compensativo e non anche risarcitorio; del resto, ove si fosse ritenuto che le azioni esperibili dal privato avessero natura risarcitoria non si sarebbe potuto abdicare il requisito di cui all’art. 2058 c.c. che richiede la prova della colpa13.

I rimedi attivabili dal privato in seno all’azione di annullamento di provvedimento illegittimo, invero, hanno natura compensativa essendo presentati sotto le vesti di mera tutela in forma specifica e per equivalente, pertanto, agevolmente sottraibili dalla scure afferente la prova del requisito soggettivo.

Circa l’azione processuale, trattasi di azione di esatto adempimento pubblicistico, di conio tedesco, oggi disciplinata nel codice di rito dell’actio amministrativa e non anche di risarcimento in forma specifica proprio allorché, lo si ribadisce, la funzione svolta dalle tutele sopradette è tipicamente compensativa volta a ripristinare uno status indebitamente non riconosciuto e non anche ad ottenere una prestazione diversa rispetto alla originaria.

Del resto il ricorrente nell’avanzare richiesta di subentro, altro non fa che chiedere la medesima prestazione cui avrebbe acceduto ove fosse risultato aggiudicatario all’esito della procedura di gara.

Conclusioni

Complesso e articolato il percorso descritto nel presente contributo il cui fine è voluto essere quello di celebrare la ricorrenza del ventennale della Sentenza 500/1999 alla quale va il merito di aver riscritto le pagine del nostro ordinamento in punto di tutela risarcitoria; inevitabili i riverberi sul profilo della colpa amministrativa che, come visto, si muove su un sistema binario con maggiore peculiarità e meno dogmatismo circa la materia appalti rispetto alla quale si colloca una tutela in forma specifica diversa ed ultronea rispetto alla tutela risarcitoria che consente, ancora una volta, di evidenziare come la primaria funzione della responsabilità civile – e anche amministrativa – sia compensativa e ripristinatoria nella misura in cui l’obiettivo vuole essere quello di agevolare il restauro di un interesse indebitamente leso da un provvedimento di aggiudicazione illegittima. 

Note e bibliografia

  1. R. Chieppa – R. Giovagnoli; Manuale di Diritto Amministrativo; Giuffré Editore, III Edizione;
  2. Per la definizione di interesse legittimo leggasi la teoria di Giannini il quale lo definisce quale “aspirazione ad un bene della vita il cui conseguimento può essere riconosciuto al titolare a seguito di un adeguato giudizio di bilanciamento che la P.A. deve compiere (il procedimento amministrativo) nel quale contrapporre l’interesse del singolo con eventuali interessi pubblici contrastanti”;
  3. M. Clarich; Manuale di Diritto Amministrativo; Il Mulino Strumenti – III Edizione;
  4. Il riferimento è alla Sentenza Francovich e altri contro Repubblica Italiana Cause riunite C – 6/90 e C – 9/90;
  5. R. Chieppa – R. Giovagnoli; Manuale di Diritto Amministrativo; Giuffré Editore, III Edizione – Le fattispecie di responsabilità della P.A. e il riparto della giurisdizione;
  6. Così recita l’art. 30 c.p.a  “L'azione di condanna può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma. Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall'articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica. La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti. Per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza. Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo.”
  7. Per il commento alle SS. UU: Cass. 500/1999 vedasi “Commento di Roberto Giovagnoli”;
  8. Sentenza Consiglio di Stato Sez. VI n. 3338/2002 e Sentenza Consiglio di Stato Sez. VI n. 2622/2008;
  9. Per le diverse declinazioni della responsabilità leggasi V. Roppo Il Contratto; Giuffrè Editore; M. Di Pirro Il manuale di Diritto Civile; Simone Editore; III Edizione;
  10. Consiglio di Stato, Sezione V n. 4239/2001;
  11. “Tutela in forma specifica e tutela per equivalente dell’interesse all’aggiudicazione” di R. Giovagnoli; commento a Corte Giustizia Sez. III 30 settembre 2010, C 314/09;
  12. “Vizi della procedura e patologie contrattuali”;
  13. Per l’analisi della responsabilità civile vedasi A. Torrente – P. Schlesinger; Manuale di Diritto Privato; Giuffrè Editore; M. Di Pirro Manuale di Diritto Civile; Simone Editore; III Edizione.