La responsabilità della PA: risarcimento del danno e mancato rispetto dei termini procedimentali
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Olga Paola Greco
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5834 del 10 ottobre 2018, ha chiarito che il risarcimento del danno da ritardo richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze processuali è imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta ed immediata del ritardo, nonché la prova del danno.
Sommario: 1. Premessa; 2. La Responsabilità della Pubblica Amministrazione. Excursus storico e fondamento; 3. Natura della Responsabilità della Pubblica Amministrazione; 4. Il risarcimento del danno della Pubblica Amministrazione; 5. Il risarcimento del danno da ritardo; 6. La sentenza del Consiglio di Stato n. 5834 del 10 ottobre 2018.
1. Premessa
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5834 del 10 ottobre 2018 ritorna sull’annosa questione delle condizioni per la risarcibilità del c.d. danno da ritardo della Pubblica Amministrazione.
Il problema che si pone all’attenzione degli interpreti è quello di capire, nel caso in cui la Pubblica Amministrazione non rispetti i termini previsti per la conclusione del procedimento amministrativo, a quali condizioni sia tenuta a risarcire il danno. Ci si chiede, dunque, cosa debba provare il privato e se la risarcibilità derivi dalla sola violazione dei termini procedimentali oppure sia necessario un provvedimento favorevole.
2. La Responsabilità della Pubblica Amministrazione. Excursus storico e fondamento.
La responsabilità della Pubblica Amministrazione ha subito nel tempo una profonda evoluzione dovuta alla necessità, sempre più sentita, di tutelare il privato. Inizialmente, infatti, vi era una presunzione di legittimità dell’attività della Pubblica Amministrazione e si riteneva che essa non potesse essere né responsabile e né in mala fede essendo la sua attività funzionalizzata al perseguimento del pubblico interesse.
Con il tempo, però, ci si è resi conto che la Pubblica Amministrazione non solo può sbagliare ma anche commettere illeciti. Con l’avvento della Costituzione, infatti, si da atto di questa possibilità attraverso la previsione di cui all’art. 28 Cost. La norma prevede, appunto, la responsabilità dei funzionari che si estende anche alla Pubblica Amministrazione[1]. Mentre inizialmente, però, la Pubblica Amministrazione era ritenuta responsabile solo quando agisse come privato, successivamente la situazione è mutata. Fondamentali in tal senso sono state le sentenze n. 500 e 501 del 1999 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
La Corte, infatti, ha affermato l’ammissibilità di una responsabilità extracontrattuale della Pubblica Amministrazione, ex art. 2043 c.c.[2], non solo per la lesione di diritti assoluti, ma anche per la lesione di interessi legittimi, sia pretensivi che oppositivi. La maggiore novità ha riguardato gli interessi legittimi pretensivi. Mentre in quelli oppositivi, infatti, c’è un bene della vita attuale ,in quanto il soggetto si oppone ad un provvedimento che limiti la sua sfera giuridica, in quelli pretensivi manca un bene della vita attuale del quale, appunto, si chiede l’acquisizione. Problemi non sorgono nel caso in cui l’attività della Pubblica Amministrazione sia vincolata in quanto il giudice può valutare la spettanza del bene vita, mentre maggiori problemi vengono in rilievo nel caso di attività discrezionale. In tal caso, infatti, in virtù del principio di separazione dei poteri e di riserva dei poteri amministrativi, di cui agli artt. 2, 4, 6 e 8 LAC (Legge abolitrice del contenzioso amministrativo), non si può avere la certezza del bene della vita in quanto il giudice non può sostituirsi alla Pubblica Amministrazione in merito alla valutazione.
Per tale motivo oggi molti ritengono che quando l’attività della Pubblica Amministrazione sia discrezionale risulti risarcibile solo la Chance nel caso di serie possibilità di successo.
Oggi, però, a differenza del passato, non ci si chiede più se la Pubblica Amministrazione possa essere responsabile ma il problema si è spostato sull’individuazione della condizioni al ricorrere delle quali possa configurarsi tale responsabilità. Va dato atto, poi, della tendenza odierna che è nel senso di ampliare le ipotesi di responsabilità per consentire una tutela immediata ed effettiva del privato. E che tale esigenza sia forte lo si desume dall’art. 1 del codice del processo amministrativo (D.lgs. 2 luglio 2010, n.104)[3], che si apre proprio con il principio di effettività della tutela, cosa che è dovuta, tra l’altro, alle spinte prima comunitarie ed ora europee.
Nell’ambito di questa esigenza di tutela effettiva gli interessi legittimi si sono progressivamente avvicinati ai diritti soggettivi e ciò ha comportato un ampliamento degli strumenti di tutela del privato e maggiori poteri del giudice amministrativo. L’interesse legittimo, infatti, non è più considerato un interesse procedimentale alla legittimità del procedimento, né un mero interesse che nasce e si definisce nell’ambito del procedimento amministrativo, ma una posizione giuridica originaria e sostanziale preesiste al procedimento che si concreta in un interesse al bene della vita che, però, necessita per il suo soddisfacimento della cooperazione della Pubblica Amministrazione.
Per tale motivo si è ampliato il novero delle azioni consentite al privato e la tutela caducatoria dell’annullamento è stata affiancata da altre azioni e, cioè, da quelle di accertamento e di condanna (e tra queste ultime rientra anche quella di risarcimento del danno) nella consapevolezza che essa fosse insufficiente.
3. Natura della Responsabilità della Pubblica Amministrazione
Tradizionalmente la responsabilità della Pubblica Amministrazione è inquadrata all’interno della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 (o Aquiliana, dalla lex Aquilia de Damno del III sec a.C.) in quanto tra la Pubblica Amministrazione e il privato non sussiste un contratto. Essa è, dunque, considerata una responsabilità soggettiva per colpa che richiede la prova di tutto lo scheletro della stessa comprensivo di condotta, danno, nesso di causalità tra condotta ed evento ed elemento psicologico.
Dato che, però, l’elemento psicologico (del dolo o della colpa) è il più difficile da provare la giurisprudenza ricorre talvolta a presunzioni semplici e, ad esempio, nel caso di attività illegittima (e, quindi, anche nel caso di ritardo a provvedere) presume la colpa della Pubblica Amministrazione. In tal modo si inverte l’onere della prova per cui sarà quest’ultima a dover provare l’assenza di colpa. Questa prassi, criticata da una giurisprudenza più rigorosa, rientra nella tendenza ad implementare la tutela del privato.
Nel solco di questa tendenza si pone anche la giurisprudenza più recente che, anche se minoritaria, riconduce la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione all’interno della responsabilità contrattuale e, in particolare, di quella da contatto sociale qualificato. Oggi, infatti, si ritiene che anche la Pubblica Amministrazione debba rispettare i doveri di correttezza e buona fede di cui all’art. 2 Cost. e, quindi, possa incorrere in responsabilità precontrattuale. All’evidenza pubblica, infatti, viene attribuita una doppia anima non solo pubblicistica ma anche privatistica in quanto essa tende alla formazione della volontà della Pubblica Amministrazione e alla stipulazione di un contratto.
Generalmente, non essendovi in tal caso ancora un contratto la responsabilità precontrattuale viene ricondotta nell’alveo della responsabilità extracontrattuale(con quel che ne deriva in termini di onere probatorio). Va dato atto, però, dell’orientamento di una giurisprudenza più recente che, attraverso la strada del contatto sociale qualificato, la considera una responsabilità contrattuale in quei casi in cui si sia instaurato un procedimento amministrativo[4].
Tale soluzione non è generalmente accolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa prevalente in quanto in tal modo la responsabilità della Pubblica Amministrazione sarebbe sempre contrattuale, dato che quasi sempre si instaura un procedimento amministrativo. Inoltre si rileva come, in alcuni casi, si accoglierebbe una nozione anacronistica di interesse legittimo come interesse al corretto svolgimento del procedimento amministrativo.
Tradizionalmente si ritiene, poi, che la Pubblica Amministrazione possa essere responsabile in via precontrattuale solo a seguito dell’aggiudicazione in quanto, trattandosi di una responsabilità da affidamento, il partecipante si individua solo a seguito dell’aggiudicazione e, quindi, solo allora può sorgere un affidamento meritevole di tutela[5].
Di recente, tuttavia, l’Adunanza Plenaria con sent. n. 5 del 2018 ha abbracciato un orientamento minoritario ritenendo possibile la sussistenza di una responsabilità precontrattuale prima dell’aggiudicazione.[6] Al di là dell’iter argomentativo seguito, che è stato criticato da parte della dottrina, questa pronuncia si colloca nel solco della tendenza ad ampliare le ipotesi di responsabilità della Pubblica Amministrazione.
Egualmente rientra nella tendenza ad implementare la tutela del privato quell’orientamento che ritiene risarcibile il c.d. danno da mero ritardo della Pubblica Amministrazione.
4. Il risarcimento del danno della Pubblica Amministrazione
Come già chiarito, in un’ottica di implementazione della tutela del privato, l’azione caducatoria di annullamento è stata affiancata anche dall’azione di condanna e nell’ambito di quest’ultima rientra l’azione di risarcimento prevista oggi dall’art. 30 d.lgs 104 del 2010[7].
Il risarcimento del danno da parte della Pubblica Amministrazione segue le stesse regole del danno civilistico. Trattandosi di una responsabilità extracontrattuale sarà, dunque, necessario provare tutto lo scheletro della responsabilità, comprensivo del danno, del nesso causale e dell’elemento psicologico. Per quanto riguarda la prova del danno, poi, come avviene in ambito civilistico devono essere risarciti solo i danni- conseguenza ( e non è sufficiente la prova del danno-evento) e saranno risarcibili sia il danno emergente (danno effettivamente subito) che il lucro cessante (mancato guadagno).
Un rilievo particolare assume in ambito amministrativo il danno che deriva al privato dal ritardo a provvedere e a concludere il procedimento nei termini previsti dal legislatore (c.d. danno da ritardo). In proposito va rilevato come una parte della giurisprudenza ricorra a presunzioni semplici e, non solo nel caso di illegittimità dell’azione amministrativa ma anche nel caso di ritardo a provvedere, ritenga sussistente una presunzione di colpa della Pubblica Amministrazione che comporta, quindi, una inversione dell’onere probatorio[8].
Accogliendo tale impostazione non sarà il privato a dover provare la colpa della Pubblica Amministrazione ma sarà questa a dover dimostrare la sua assenza. L’orientamento giurisprudenziale più rigoroso, invece, non ritiene sufficiente nel caso di ritardo il mero superamento dei termini procedimentali e sostiene la necessità che il privato dimostri che tale superamento derivi da colpa della Pubblica Amministrazione e, quindi, dalla violazione delle regole dell’agere amministrativo.
5- Il risarcimento del danno da ritardo
Il danno da ritardo costituisce una ipotesi di responsabilità da comportamento della Pubblica Amministrazione che si concreta quando la stessa adotti in ritardo un provvedimento violando, quindi, i termini di cui all’art. 2 Legge 241/1990. Il presupposto perché si configuri tale danno è l’adozione tardiva di un provvedimento e non la mancata adozione dello stesso (come avviene nel caso di inerzia).
In proposito, secondo alcuni tale danno può profilarsi solo quando il provvedimento amministrativo sia favorevole, in quanto non costituendo il tempo un bene della vita autonomo , solo nel caso di provvedimento favorevole il soggetto può subire un effettiva lesione del proprio interesse dovuta al ritardo nel provvedere della Pubblica Amministrazione.
Questa soluzione, a lungo prevalente, sembra oggi superata dai sostenitori dell’ammissibilità del c.d danno da mero ritardo. Secondo tale orientamento, infatti, non rileva il segno del provvedimento in quanto il tempo ha una sua autonoma rilevanza. In tal caso, indipendentemente dal segno dello stesso, se il danno, l’elemento psicologico e il nesso causale sono provati il danno va risarcito. Questa è la soluzione accolta di recente dall’Adunanza Plenaria con sentenza n. 5 del 2018.
L’Adunanza richiama tra gli argomenti l’art. 30 co 4 c.p.a[9]. e l’art. 2 bis co 1 Legge 241/90[10] che non fanno alcun riferimento al tipo di provvedimento emanato. Essa richiama, inoltre, anche l’art. 133 co 1 lett a) del dlgs 104 del 2010[11] chiarendo che , nel caso di danno da ritardo sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quanto accanto ad interessi legittimi (il privato ha chiesto un provvedimento) sussistono anche diritti soggettivi (il diritto alla tempestiva conclusione del procedimento che non è nella disponibilità della Pubblica Amministrazione). Il che sarebbe confermato anche dal legislatore che, con la legge 69 del 2009 ha chiarito che la domanda di risarcimento è autonoma e, quindi, non sussiste la c.d. pregiudiziale amministrativa (processuale) e, nel caso di silenzio o inerzia della Pubblica Amministrazione, il soggetto può agire per il ristoro del danno a prescindere dall’impugnazione del silenzio.
La questione sembrava dunque “risolta”, dopo anni di dibattito, in favore dell’ammissibilità del c.d. danno da mero ritardo ma, successivamente, si è pronunciato il Consiglio di Stato con sentenza 5834 del 10 ottobre 2018.
6- La sentenza del Consiglio di Stato n. 5834 del 10 ottobre 2018
Il Consiglio di Stato con la sentenza 5834 del 10 ottobre 2010 si è pronunciato in materia di provvedimenti di autotutela a carattere demolitorio (quali la revoca e l'annullamento) con specifico riguardo all’aggiudicazione provvisoria. Tale pronuncia si segnala, in particolare, per l’orientamento espresso in materia di risarcimento del danno da ritardo.
Il Consiglio , infatti, afferma che,nel caso di interessi legittimi pretensivi, è necessaria una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e la dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e ,quindi, la dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse. Questo accoglie, infatti, l’orientamento secondo il quale l’art. 2-bis della legge n 241 del 1990 non ha elevato il tempo a bene della vita autonomo, suscettibile, quindi, di autonoma tutela.
Il Consiglio ritiene, infatti, l’interesse al rispetto dei termini procedimentali un mero interesse procedimentale come tale non tutelabile nel caso in cui non sia collegato ad una spettanza dell’interesse sostanziale. Perché sia riconosciuta la Responsabilità della Pubblica Amministrazione il Consesso ritiene, altresì, necessario non solo dimostrare il tardivo esercizio della funzione amministrativa, ma anche la prova dell’elemento psicologico. Esso richiede, quindi, che l’inosservanza dei termini procedimentali sia imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione e che il danno lamentato sia conseguenza diretta e immediata del ritardo dell’Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato.
Nessun dubbio crea il fatto che il Consiglio accolga l’orientamento prevalente secondo il quale il principio generale dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c. , si applica anche all’azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al giudice amministrativo e, dunque, spetta al danneggiato provare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria e, quindi, del danno. Tale principio è applicabile, come già chiarito, anche nel caso di danno da ritardo dato che esso è ricondotto nello schema di cui all’ art. 2043 c.c.[12] Egualmente non crea perplessità il fatto che il Consesso richieda, ai fini della risarcibilità del danno da ritardo la dimostrazione circa la sussistenza dei presupposti oggettivi del risarcimento invocato (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subìto) e di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa della P.A.). Nessun rilievo critico può essere fatto sulla precisazione che non è sufficiente il “dato oggettivo del procrastinarsi del procedimento amministrativo”[13]. Seguendo, infatti, le coordinate civilistiche possono essere risarciti solo i danni-conseguenza e non i danni-evento.
Appare egualmente logica l’affermazione secondo la quale in conformità ai principi solidaristici di cui all’art. 2 della Costituzione, anche in tema di danno da ritardo è necessario valutare non solo il comportamento dell’Amministrazione ma anche la condotta dell’istante, che con il suo comportamento può incidere sulla tempistica e sull’esito del procedimento stesso, attraverso il ricorso ai rimedi amministrativi e giurisdizionali riconosciutigli dall’ordinamento giuridici.
Infatti, come chiarito sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, se è vero che la c.d pregiudiziale amministrativa è venuta meno in ambito processuale non è, invece, venuta meno la c.d. pregiudiziale di merito. Il comportamento del privato va, infatti, tenuto presente e ,in virtù dell’art. 1227 c.c., può comportare l’esclusione del risarcimento o la sua riduzione[14].
L’affermazione che desta maggiori dubbi è quella secondo la quale il tempo non costituisce un bene della vita autonomo e, quindi, è necessario dimostrare la spettanza del bene vita e, dunque, che il provvedimento sia di segno favorevole. Tale lettura del fenomeno infatti sembra contraria sia al dato letterale degli artt. 30 c.p.a. e 2 bis legge 241/90, i quali non fanno alcun riferimento al segno del provvedimento, sia al rilievo attribuito al tempo in ambito interno e in ambito Europeo.
In ambito interno si sottolinea come i tempi del procedimento ed il loro rispetto costituiscano parametri fondamentali circa l’efficienza dell’azione amministrativa[15] nell’ottica che il superamento di tali termini renda inutile e improduttivo l’intervento dell’Amministrazione[16]. Anche in ambito sovranazionale, poi, è fortemente sentita l’esigenza del rispetto del tempo che è considerato un valore che merita tutela effettiva , come dimostrato dalla disciplina della ragionevole durata del processo- procedimento di cui all’art. 6 Cedu recepita anche dal legislatore costituzionale all’art. 111 co 2 Cost[17].
In tal modo, inoltre, Il Consiglio di Stato non risulta in linea con la tendenza attuale che è nel senso di ampliare la responsabilità della Pubblica Amministrazione in un ottica di effettività della tutela del privato (sancita espressamente dall’art. 1 c.p.a.) e di eliminazione dei privilegi della Pubblica Amministrazione. Oggi, infatti, a differenza del passato, il procedimento amministrativo non tende più solo a perseguire l’interesse pubblico ritenuto prevalente rispetto all’interesse del privato, ma svolge anche una funzione di garanzia e di tutela del privati[18].
La soluzione preferibile appare, dunque, quella accolta di recente dall’Adunanza Plenaria con sentenza n. 5/2018 secondo la quale, ferma restando la necessità di provare il danno subito in virtù del ritardo a provvedere della Pubblica Amministrazione, non rileva la spettanza del bene vita e, quindi, il segno del provvedimento.
Note e bibliografia
[1] Articolo 28 Cost.” I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.
[2] Art. 2043 c.c. “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
[3] Art. 1 D.lgs. 104 del 2010 : “La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”.
[4] Vedi, tra le altre CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE , SENTENZA 12 luglio 2016, n.14188
[5] In tal senso, tra le altre, Adunanza Plenaria n. 6 del 2005
[6] Già prima dell’Adunanza Plenaria in tal senso ma con diverso iter argomentativo Corte di Cassazione n. 15260/2005
[7] Art. 30 c.p.a. “-L'azione di condanna può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma.
-Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall'articolo 258 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica.
-La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti.- Per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.
- Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.
-Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo.
[8] Corte di Cassazione, sez. III civile n. 5621 del 22 marzo 2016;
[9] Art. 30 co 4 dlgs. 104/2010 “Per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere”.
[10] Art. 2 bis co 1 Legge 241/1990 “1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.
[11] Art. 133 co 1 lett a) dlgs 104 del 2010 “1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: a) le controversie in materia di: 1) risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo”;
[12] In proposito il Consesso ribadisce come già chiarito da altra giurisprudenza che il principio dispositivo, sancito dall’ art. 2697 comma 1, c.c. , “opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento”[12]
[13] In tal senso, tra gli altri, Vedi Cons. Stato, sez. V, 18 giugno 2018, n. 3730.
[14] Vedi, tra gli altri, Cons. di Stato , IV, 13 aprile 2016, n. 1459
[15] M. Clarich, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995.
[16] M.T. ONORATO, considerazioni sul termine di conclusione del procedimento amministrativo, in TAR, 1998, II.
[17] Art. 111 co 2 Cost. “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.
[18] M. Nigro, il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e trasformazioni dell’amministrazione, in F. Trimarchi (a cura di) , Atti Convegno Messina- Taormina 25-26 febbraio 1988, Milano, 1990.