Pubbl. Mar, 5 Mar 2019
Brevi cenni sui canoni di concessione del demanio marittimo alla luce della giurisprudenza più recente
Modifica paginaLa disciplina delle concessioni demaniali marittime si caratterizza per una particolare difficoltà nell’applicazione della normativa, che, pertanto, richiede una costante attività giurisdizionale (civile, penale, amministrativa, tributaria e contabile) interpretativa in continua evoluzione.
Sommario: Introduzione; 1. Distinzione terminologica tra canoni, fitti e tasse; 2. Le concessioni per la nautica da diporto e quelle per finalità turistico-ricreative; 3. Le opere pertinenziali nelle concessioni demaniali marittime.
Introduzione
Il complesso perimetro delle concessioni demaniali marittime appare caratterizzato da una crescente proliferazione di norme,[1] perciò diventa di fondamentale importanza rintracciare le rationes decidendi:[2] le motivazioni elaborate dai Giudici nell’attività di interpretazione e sviluppo di norme giuridiche astruse che serve a colmare eventuali lacune (quando si rende necessaria un’attività ermeneutica costruttiva).
Per converso, il legislatore potrebbe provare ad appropriarsi, attraverso la produzione normativa, del ruolo di guida del processo di interpretazione.
Il tentativo in tal senso non dovrebbe essere valutato dalla giurisprudenza, come un’invasione di campo; difatti, la collaborazione tra poteri dello Stato richiede un’osmosi tra poteri, per cui il modello teorico prodotto dall’uno può essere ripreso e rielaborato dall’altro.
Allo stato corrente, la complessità è aggravata dalla difficoltà di coordinare gli atti normativi (leggi dello Stato e delle Regioni) con atti regolamentari che, precedentemente, si muovevano su una scala gerarchica[3] ben definita, oggi ribaltata dalla riforma della potestà legislativa[4] realizzata con legge Cost. n. 3 del 2001.
1. Distinzione terminologica tra canoni, fitti e tasse
La gestione del demanio marittimo viene affidata, sulla base delle rispettive competenze, allo Stato, alle Regioni e ai Comuni (oltre che alle Autorità portuali).
La proprietà dei beni varia in relazione alla demanialità. In questa maniera, la distinzione tra attività gestionale e profilo dominicale risulta nitida.
L’importo del canone viene determinato in base a criteri e parametri prestabiliti dalla legge.
La procedura di riscossione coattiva è eseguita nel rispetto delle norme che regolano la riscossione coatta amministrativa.[5]
I canoni di concessione differiscono dai fitti attivi, questi ultimi rientrano nell’ambito della più categoria delle entrate patrimoniali di diritto privato dell’ente pubblico, ovvero, quelle entrate non aventi natura pubblicistica, quali i proventi derivanti dal godimento di beni e servizi connessi all’attività svolta in regime di diritto privato dell’ente.
Diversamente dalle imposte, però, il canone non è dovuto e calcolato in relazione alla capacità contributiva del concessionario o alle manifestazioni di tale sua capacità, costituendo una sorta di corrispettivo richiesto ̶ latu sensu sinallagmaticamente ̶ per l’uso particolare di un bene di proprietà collettiva.
La tassa, viceversa, si paga a fronte del beneficio ottenuto dalla prestazione di un servizio pubblico dalla stessa erogato, invece, nel caso delle concessioni, conta la disponibilità e l’uso particolare ed eccezionale, da parte di un privato, di un bene demaniale (generalmente a destinazione pubblica).
2. Concessioni per la nautica da diporto e per finalità turistico ricreative
Appare opportuno sottolineare la natura extra-tributaria dei canoni demaniali marittimi, questi risultano inquadrati nella categoria dei corrispettivi per l’uso di un bene di proprietà dello Stato e costituiscono, quindi, un prezzo pubblico calcolato in base a criteri prestabiliti dalla legge.
Un ulteriore presupposto è costituito dalla considerazione che i diritti soggettivi perfetti (non condizionati) siano comunque modificabili dal legislatore attraverso interventi normativi (naturalmente, per il diritto penale vale il divieto di retroattività della legge penale ex art. 25 Cost., secondo comma).
L’art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) ha aumentato i canoni di locazione delle concessioni demaniali marittime: “I canoni annui per concessioni rilasciate o rinnovate con finalità turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei per i quali si applicano le disposizioni relative alle utilizzazioni del demanio marittimo …”.
La modifica legislativa non giunge inaspettata e improvvisa, poiché si colloca nel solco del cospicuo aumento dei canoni stabilito dall’art. 32, commi 21, 22 e 23, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della l. 24 novembre 2003, n. 326.
La condizione che il legislatore è tenuto a rispettare è quella che “tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto” (Corte Cost., 7 luglio 2005, n. 264).[6]
Una recente sentenza interpretativa di rigetto[7] della Corte Costituzionale (27 gennaio 2017, n. 29), avente ad oggetto un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, ha definito i cardini della quaestio iuris ed ha cercato di sciogliere un nodo gordiano sulla materia de quo.
L’intervento della Consulta si ricollega a una precedente pronuncia della stessa Corte Cost., 22 ottobre 2010, n. 302, considerata la pietra miliare della materia, difatti, definisce i caratteri essenziali e traccia le linee direttrici da seguire per risolvere la questione (apparentemente inestricabile).
Con la recente pronuncia la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità dell’impianto normativo esistente sulla base del progressivo sviluppo e valorizzazione dei beni pubblici,[8] specificando che “alla vecchia concezione, statica e legata ad una valutazione tabellare e astratta del valore del bene, si è progressivamente sostituita un’altra, tendente ad avvicinare i valori di tali beni a quelli di mercato, sulla base cioè delle potenzialità degli stessi di produrre reddito in un contesto specifico”.
La Corte Cost., diversamente, non ha ritenuto che gli anzidetti profili costituiscano un vulnus nei confronti degli operatori del settore in relazione agli artt. 3 e 41 Cost. equiparando, in buona sostanza, le concessioni per la nautica da diporto alle concessioni con finalità turistico ricreative.[9]
L’anzidetta pronuncia non ha carattere innovativo perché il thema decidendum era stato già esaminato (Corte Cost., 22 ottobre 2010, n. 302, sopraccitata), comunque, conferma l’uniformità tra gli operatori economici che operano nell’ambito delle concessioni demaniali marittime.
La motivazione della Corte Costituzionale non si basa su un semplice revirement dei precedenti approdi ermeneutici; si introduce un quid novi sulla base della logica del numerus clausus per ciò che attiene al catalogo degli esistenti beni demaniali, considerati come risorsa limitata.
Infine, si può affermare che l’intervento del Giudice delle leggi, lungi dal configurarsi come un colpo di mano ermeneutico, appaia saldamente ancorato agli elementi di rango super primario che danno forma alla materia de quo, superando d'emblée tutti i profili di illegittimità costituzionale proposti.
La mancata distinzione tra le tariffe, relative alle concessioni per scopi turistico-ricreativi e quelle aventi ad oggetto la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, ha comportato un forte incremento degli importi di queste ultime.
Purtuttavia, sulla base dei presupposti di fatto nonché delle ragioni giuridiche contestualizzate in precedenza, si riscontra un impianto normativo che non ingenera una lesione del principio di affidamento e di certezza del diritto per gli operatori del settore.
Lo Stato è indubbiamente un contraente forte, tuttavia sembra che abbia operato legittimamente la modifica delle tariffe per riequilibrare il rapporto economico-finanziario tra concessionari di beni demaniali e imprese affittuarie di beni privati.
In questa maniera si esclude la violazione dei principi comunitari di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Si possono annoverare casi di rinvio pregiudiziale alla CGCE ma non sono stati accolti.
In tale ottica si intende realizzare un incremento dei canoni demaniali che consenta di aumentare le entrate per l’Erario e di adeguare i canoni a quelli del mercato.
È proprio questa la ratio che contraddistingue la norma de quo; al contempo, l’occasio, cioè l’insieme delle ragioni politiche, economiche e sociali che hanno determinato la modifica legislativa.
Nella stessa direzione si muove la CGCE con le sentenze 29 aprile 2004 C-487/01 e C-7/02, che confermano la valenza delle considerazioni di cui sopra per la necessità di perequare, in un certo qual modo, gli imprenditori che beneficiano di beni pubblici e quelli che locano beni privati.
Il Consiglio di Stato nella qualità di Giudice remittente ha messo in evidenza come il comma 252 dell’art. 1, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, differisca per oggetto dal comma 251, poiché riferito alla nautica da diporto: “Oltre ad essere numericamente limitate, essendo ristretto il numero dei porti turistici, esse comporterebbero ingenti investimenti, sia per la realizzazione delle opere strutturali, destinate ad essere poi acquisite gratuitamente dal demanio, sia per l’impegno gestionale. Ciò richiede un piano economico-finanziario di lungo periodo, nell’ambito del quale l’importo del canone è elemento determinante.”
3. Le opere pertinenziali nelle concessioni demaniali marittime
Ai sensi dell'art. 817 c.c. il termine pertinenza, utilizzato in senso tecnico, indica “…le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”.[10] Il concetto di pertinenza è ripreso anche dall’art. 29 del Codice della Navigazione “Le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale, sono considerate come pertinenze del demanio stesso.”
Può succedere che, durante il corso del rapporto giuridico il concessionario, costruisca sul terreno demaniale nuove opere.
L’incidenza della problematica si riverbera almeno in cinque ambiti:
- la determinazione dell’importo del canone di concessione demaniale;[11]
- la quantificazione dell’imposta connessa al canone;[12]
- il pagamento dell’IMU, difatti, non è dovuta dal concessionario nel caso di concessione di aree demaniali.[13]
- la possibile rilevanza penale della costruzione abusiva;[14]
- il riscatto o l’incameramento per accessione delle opere costruite da parte dello Stato.[15]
La soluzione di questi aspetti tecnici è imperniata sul discrimen tra le opere di facile e di difficile rimozione.
La suddetta linea di demarcazione, da lungo tempo oggetto di una costante attenzione della giurisprudenza amministrativa, civile, penale e contabile, non è affatto agevole ed è ragione di un contenzioso risalente.[16]
La distinzione, comunque, rimane determinante ai fini della quantificazione dell’importo dei canoni di concessione.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa relativa alle concessioni per la nautica da diporto non può portare alla conclusione che su tutte le opere pertinenziali, anche quelle costruite successivamente, non si paghi il canone di concessione demaniale.
Ex adverso, il concessionario risulta tenuto al pagamento del canone sulle opere pertinenziali non previste dall’atto di concessione.[17]
D’altra parte, tale interpretazione è suffragata dal tenore letterale della sentenza della Corte Cost. 27 gennaio 2017, n. 29, che al punto 5.6 così stabilisce: “Gli effetti discriminatori ed irragionevoli censurati attengono, infatti, alla modifica del calcolo di convenienza economica derivante dall’incremento dei canoni, in quanto applicati a quelle opere che il concessionario si sia impegnato a realizzare in epoca antecedente all’entrata in vigore della nuova disciplina.”
Sulla base di questo excursus, la difficoltosa distinzione tra opere di facile e difficile rimozione, per nulla agevole da un punto di vista strettamente tecnico, viene accantonata, sussistendo difficoltà, in sede di accertamento, anche di un organo giudicante super-qualificato come il TAR.[18]
La valenza del bene pertinenziale consente di dare corpo all’iter argomentativo seguito dalla Consulta, spostando l’attenzione sulle opere pertinenziali non amovibili oggetto di accessione ai sensi dell’art. 49 del Codice della Navigazione. Sul punto era già intervenuto più volte il Consiglio di Stato[19] distinguendo tra pertinenze costituenti “locali commerciali” e quelle di “proprietà privata”.[20]
La vicenda appare complessa. Sul tema si sono succedute diverse sentenze del Supremo Consesso di Giustizia amministrativa.[21]
Il comune denominatore sulla questione è basato sulla distinzione tra opere pertinenziali (opere, manufatti o edifici) già di proprietà statale al momento della concessione e quelle realizzate a spese dell’amministrazione concedente.
Per le concessioni che prevedono la costruzione di strutture realizzabili medio tempore dal concessionario non si applicheranno i nuovi criteri di calcolo.
Sembra azzardata, invece, un’interpretazione che estenda il perimetro giuridico stabilito dalla Consulta, volto ad adottare una deminutio dei canoni anche per le opere non previste dall’originario atto di concessione e costruite, pertanto, in maniera abusiva al di fuori dai parametri della legalità.
Oltretutto, un’indiscriminata riduzione dei canoni sarebbe causa di una consistente perdita di entrate per il pubblico Erario.
È sempre indovinato il brocardo “un grammo di fatto sposta una tonnellata di diritto”.[22]
[1] “Io sono il tuo miglior amico. Io sono il tuo peggior nemico. Io sono Giano. Il dio delle soglie. Degli inizi. Delle fini. Delle scelte.” Rick Riordan, La battaglia del labirinto: Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo, Mondadori, 2013.
[2] La sentenza della Cass. Civ., Sez. Trib., 17 dicembre 2004, n. 23476, così recita: “La Commissione Tributaria Provinciale, nel rigettare l’istanza di rimborso, ha stabilito che il contribuente era decaduto dalla relativa azione per non avere osservato il termine di diciotto mesi stabilito dall’art. 38 del D.P.R. n. 602.73. Ha poi motivato anche nel merito, osservando che trattasi di indennità imponibile siccome connessa alla cessazione anticipata del rapporto di lavoro. Siffatta “doppia motivazione” è stata impugnata relativamente alla seconda “ratio decidendi” (merito), talché è passata in giudicato la prima statuizione, inerente alla decadenza.
La Commissione Tributaria Regionale non si è avveduta che il contribuente non aveva impugnato la decisione di primo grado sulla decadenza, ed erroneamente è entrata nel merito. Viceversa, il ricorso del contribuente in appello doveva essere dichiarato inammissibile in quanto non censurava la prima “ratio decidendi”.
[3] Per una disamina recente si veda: S. PARISI, Ascesa, declino e mutazioni della gerarchia delle fonti, Napoli 2012.
[4] A. PIZZORUSSO, La produzione normativa in tempi di globalizzazione, Torino, 2008; F. SORRENTINO, Le fonti del diritto, Padova, 2009.
[5] Lo stesso legislatore, a seguito dell’emanazione del d.l. 50/2017, svincolando l'affidamento della riscossione dall'applicazione dei principi comunitari dell'evidenza pubblica, ha manifestato la sua preferenza per il ruolo a dispetto dell'ingiunzione.
Il quadro normativo che disciplina la natura delle entrate recuperabili attraverso tale istituto nonché le relative procedure risulta costituito, principalmente, dalla l. 28 settembre 1998, n. 337, recante “Delega al Governo per il riordino della disciplina relativa alla Riscossione”, all’art. 1 lett. B) prevede la “possibilità, per gli enti diversi dallo Stato legittimati a riscuotere tramite i concessionari e per le società cui partecipino i medesimi enti, di affidare mediante procedure ad evidenza pubblica agli stessi ogni forma di riscossione delle proprie entrate, anche di natura non tributaria” e dal d.lgs 26 febbraio 1999, n. 46, emanato in attuazione della succitata legge delega, all’art. 21 indica i presupposti dell'iscrizione a ruolo: “Salvo che sia diversamente disposto da particolari disposizioni di legge, e salvo, altresì, quanto stabilito dall'art. 24 per le entrate degli enti previdenziali, le entrate previste dall'articolo 17 aventi causa in rapporti di diritto privato sono iscritte a ruolo quando risultano da titolo avente efficacia esecutiva”.
Sul tema cfr.: G.A. MICHELI, Primi appunti sull’efficacia soggettiva (limiti soggettivi) dell’iscrizione a ruolo, in Opere minori di diritto tributario, Milano, 1982. Si veda, infatti, l’affermazione secondo cui il ruolo è “atto che presuppone l’esistenza dell’avvenuto accertamento”, pag. 339.
[6] In senso conforme Corte. Cost., 24 luglio 2009, n. 236; per una giurisprudenza risalente ma sempre nello stesso perimetro giuridico: Corte Cost., 2 novembre 2002, n. 446.
[7] A seguito della sentenza interpretativa di rigetto, la reductio ad legitimitatem può essere realizzata in via interpretativa dagli stessi giudici comuni.
[8] Sul tema si veda: L. ANCIS, Tendenze evolutive delle concessioni turistico-ricreative sul demanio marittimo, in Dir. trasp., 2006, vol. I; C. ANGELONE, Le concessioni stagionali di demanio marittimo per finalità turistiche e ricreative, in Dir. mar., 2005.
[9] M. CASANOVA, Il demanio marittimo, in A. ANTONINI (coordinato da), Trattato breve di diritto marittimo, vol. I, Principi, Soggetti, Beni, Attività, Milano, 2007.
[10] Sull’applicazione del criterio civilistico di cui all’art. 817 c.c. nel contenzioso tributario cfr: Cass., Sez. V, 23 settembre 2004, n. 19161.
[11] M. SMIROLDO, Brevi considerazioni sullo stato di attuazione del sistema di valorizzazione del demanio marittimo: le concessioni di aree demaniali per finalità turistico–ricreative, relazione al convegno Le infrastrutture marittime ed aeronautiche. Evoluzione concettuale e problematiche di gestione, Palermo, 2-3 maggio 2008.
[12] S. GALASSO, Regime dominicale dei beni demaniali marittimi, in Il demanio marittimo e il regime delle concessioni. Il nuovo sistema tributario marittimo, atti del seminario ITA, Roma, 24-26 novembre 2008, p. 112.
[13] L’art. 9 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, richiamato dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, stabilisce che, nel caso di concessione di aree demaniali, il concessionario è soggetto passivo dell’IMU.
[14] Sulla distinzione tra reato permanente di abusiva occupazione, che determina la sottrazione dell’area alla fruibilità collettiva, e reato istantaneo di illecita innovazione, nel caso di una nuova opere che non determini limitazioni al godimento comune del bene si veda: Corte Cass., Sez. III, 8 giugno 2018, n. 26249.
[15] S. LICCIARDELLO, Demanio marittimo e autonomie territoriali, in A. POLICE (a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Atti del Convegno di studi Ville Tuscolane, Milano, 2008, p. 265.
[16] Si segnala in ambito penale: Corte Cass., sez. pen. III, 24 luglio 2017, n. 36605. In ambito amministrativo, ex plurimis: Cons. St., 4 luglio 1962, n. 450; Cons. St., 17 febbraio 1967, n. 115, Cons. St., sez. VI, n. 1345/1988; Cons. St., sez. VI, 31 dicembre 1988, n. 1345; Cons. St., sez. VI, 26 giugno 1990, n. 664; Cons. St., 16 marzo 1993, n. 244; Cons. St., 5 maggio 1995, n. 406; Cons. St., 27 aprile 1995, n. 365; Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2000, n. 2035; in ambito civilistico: Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2004, n. 5842.
[17] “Non tutti i manufatti insistenti su aree demaniali partecipano della natura pubblica – e dell’inerente qualificazione demaniale – della titolarità del sedime, poiché solo ad alcuni, nella stessa dizione della legge, appartiene la natura pertinenziale. Per gli altri (che la legge indica come impianti di difficile o non difficile rimozione: definizione che appare inadatta a stabilire una differenza di categoria, dato che anche gli immobili pertinenziali sono o possono essere, di per sé, rimovibili con facilità o con difficoltà) si deve allora riconoscere, per esclusione, la qualificazione di cose immobili di proprietà privata fino a tutta la durata della concessione, evidentemente in forza di un implicito diritto di superficie” (Cons. St., sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3308). Nella stessa direzione: Cons. St., sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3307; Cons. St., sez. VI, 10 giugno 2013, n. 3196.
[18] La CTU (Consulenza Tecnica d'Ufficio) è ammessa anche all’interno del processo amministrativo. Tuttavia le norme della procedura, in gran parte mutuate dal processo civile, devono rispettare il princio generale del contraddittorio processuale e la possibilità di un confronto di natura tecnica.
Cons. St., 17 gennaio 2017, n. 175: “... si deve ricordare che l'art. 67 del c.p.a. prevede, a garanzia della correttezza degli accertamenti che devono essere effettuati e per il rispetto dei diritti di difesa e del contraddittorio fra le parti, un articolato procedimento attraverso il quale deve essere svolta la consulenza tecnica d'ufficio”.
[19] Ex plurimis: Cons. St., Sez VI, 14 ottobre 2010, n. 7505: “Quando pertanto, come nel caso di specie, la pertinenza demaniale marittima non sia di per sé idonea ad avere destinazione produttiva, deve ritenersi che la stessa – quando utilizzabile solo come supporto materiale di appoggio – sia assimilabile al suolo, di proprietà pubblica, indipendentemente dal fatto che sullo stesso siano installati immobili ad uso produttivo, il cui utilizzo compete a chi ne sia proprietario.”
[20] Nella circostanza si trattava dell’occupazione di un pontile di appoggio per la collocazione sopra lo stesso di tavoli e sedie a servizio dell’attività di ristorazione oggetto della concessione.
[21] Cfr. ex multis: Cons. St., 19 gennaio 2018, n. 340; Cons. St., 16 gennaio 2018, n. 218.
[22] G. ABBAMONTE, L’ingresso del fatto nel processo amministrativo, Testo della Relazione al Convegno organizzato dalla Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti, “La legge n. 205 del 2000 e l’ingresso del fatto nel processo amministrativo”, Aula congressi del TAR Catania, 2002.