Accesso generalizzato e linee guida Anac
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Sommario: 1. Premessa; 2. Rapporto tra accesso e trasparenza; 3. L’evoluzione della trasparenza; 4. Verso un vero diritto d’accesso; 5. Natura giuridica del diritto d’accesso; 6. Evoluzione del diritto d’accesso; 7. Il Foia Italiano; 8. Ambito soggettivo di applicazione; 9. Ambito oggettivo di applicazione; 10. Aspetti procedimentali e forme di tutela; 11. Il riordino degli obblighi di pubblicità; 12. I limiti all’accesso e le specificazioni dell’ANAC; 13. Il ruolo delle linee guida ANAC; 14. Trasparenza proattiva o reattiva?; 15. Conclusioni.
1. Premessa
Con il presente elaborato ci si propone di esaminare, con occhio critico, la disciplina del diritto d’accesso, con particolare attenzione all’attuale punto d’arrivo rappresentato dall’accesso generalizzato, introdotto con il «decreto trasparenza».
È proprio la diversa valenza che è stata attribuita nel tempo alla trasparenza che traccerà i passaggi fondamentali della nostra disamina. La trasparenza amministrativa si sostituisce alla logica dell’inacessibilità degli arcana imperii, e da canone dell’attività amministrativa diviene principio generale della stessa, proponendosi di realizzare il paradigma dell’Amministrazione come casa di vetro, ritenuto un antidoto alla corruzione pubblica.
Espliciteremo come la corroborata importanza del principio in questione si tradurrà nell’implementazione del correlato strumento; in questo senso si parla di accesso totale.
La legittimazione a richiedere l’ostensione degli atti della pubblica amministrazione non sarà più limitata dalla titolarità di una correlata situazione giuridica meritevole di tutela, e al contempo la sua finalità meramente difensiva si arricchirà di una prospettiva effettivamente partecipativa.
L’accesso diventa civico; letteralmente: che è proprio dei cittadini. Viene riconosciuto alla generalità dei consociati per esercitare un controllo sull’attività amministrativa e prevenire i fenomeni di maladministration.
Vedremo che, se sotto il profilo soggettivo l’estensione è massima, non si può dire lo stesso in merito all’aspetto oggettivo. L’accessibilità agli atti e documenti in possesso della p.a. è sì garantita, ma solo nella misura in cui questi risultino gravati da obblighi di pubblicità.
Approfondiremo la scelta del legislatore di adottare un sistema di trasparenza proattiva, al quale solo nel 2016 affiancherà una trasparenza reattiva, invertendo i termini del rapporto di disclosure e prevedendo quale unico limite all’ostensione dei documenti amministrativi la tutela di interessi assiologicamente superiori, normativamente individuati. Così introducendo, con un ritardo di mezzo secolo rispetto alle democrazie più evolute, il diritto del cittadino di essere informato, nella veste di FOIA (freedom of information act) italiano; aspirando a realizzare una democrazia intesa come regime del potere visibile. Infine, la nostra indagine verterà sull’ individuazione della chiave di volta del sistema di full disclosure.
2. Rapporto tra accesso e trasparenza.
L’accesso può essere definito come uno strumento di trasparenza, [1] che si innesta in un sistema di meccanismi di conoscibilità, in cui è lo strumento a delineare l’esatta consistenza e l’effettività del diritto.[2]
In tale contesto, in cui è invalsa una sorta di assimilazione, o meglio, corrispondenza biunivoca tra il principio e l’istituto che ne rappresenta una manifestazione concreta,[3] risulta opportuno far partire la nostra analisi del diritto d’accesso dalla definizione del principio di trasparenza, individuando ciò che rimane fuori dal principio stesso.
In questo ambito, diversamente da come si potrebbe superficialmente ritenere, la trasparenza non si risolve nel principio di pubblicità, inteso come mera conoscibilità dell’azione amministrativa da parte dei cittadini; infatti, benché quest’ultima possa risultare funzionale alla prima, ai fini della configurabilità di una vera trasparenza amministrativa, è richiesto un quid pluris, rappresentato della comprensibilità dell’attività amministrativa ad opera dei consociati.[4]
Ad ogni modo, se questa è una chiave di lettura piuttosto consolidata, non mancano opinioni contrarie in dottrina, secondo le quali, in ragione degli interventi normativi che hanno determinato l’evolversi del diritto d’accesso nato con la l. 241/1990, si è avuto un forte avvicinamento tra trasparenza e pubblicità. [5] In tal senso, basti pensare all’assunto introdotto con la riforma del pubblico impiego del 2009, riproposto anche nel d.lgs. 150/2009, che sancisce che «la trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti internet delle pubbliche amministrazioni […]».[6] Tuttavia, sembra più corretto ritenere che l’intenzione del legislatore fosse quella di prevedere degli obblighi di pubblicazione funzionali agli obiettivi propri della trasparenza, senza però equiparare la pubblicità alla trasparenza, piuttosto, rendendo la prima servente rispetto agli scopi della seconda.
In questo quadro così delineato, che potrebbe indurre in confusione, per trovare la più corretta modalità di composizione del contrasto concettuale, risulta necessario indagare quello che è stato il processo di trasmutazione del principio di trasparenza alla luce dell’evoluzione dell’istituto dell’accesso.
3. L’evoluzione della trasparenza.
Il legislatore del 1990 con la legge n. 241 segna il passaggio dal regime del segreto amministrativo a quello della trasparenza, e prevede, per la sua realizzazione, l’istituto dell’accesso documentale; ovverosia, uno strumento di difesa e di promozione della partecipazione del cittadino all’attività amministrativa, riconosciuto esclusivamente a soggetti legittimati dalla titolarità di una particolare situazione giuridica soggettiva correlata al documento rispetto al quale si richiede l’accesso.
A seguito delle modifiche cristallizzate nel d.lgs. 33/2013, la trasparenza diviene foriera di un controllo generalizzato sull’operato della p.a., in quanto tale, non più ancorato ad una posizione legittimante, bensì esteso a tutti i cittadini.
Implementando la trasparenza dei procedimenti e degli assetti organizzativi, l’intento è quello di porre un argine fondamentale al fenomeno della corruzione pubblica e contestualmente garantite l’efficienza dell’apparato amministrativo.[7] Con tale approccio si intende dissuadere il pubblico ufficiale dal malaffare, in ragione dell’esposizione dell’attività dello stesso al controllo sociale e quindi all’opinione pubblica.[8]
Dall’esegesi dei testi normativi citati si evince il mutamento che ha avuto ad oggetto la trasparenza, non solo rispetto agli strumenti di riferimento, ma in sé stessa considerata: da canone dell’attività amministrativa che dà vita al diritto di accesso documentale diviene principio generale della stessa.[9] Quest’ultima, in quanto teleologicamente orientata al miglioramento della qualità dell’azione pubblica, altro non è che un corollario dei criteri che informano l’agire amministrativo, e in particolare di quello del buon andamento.[10]
Ciò nonostante, a questa (innegabile) evoluzione del diritto vivente non è conseguito (a tutt'oggi) un recepimento del principio all’interno della nostra legge fondamentale; pertanto, la problematica che ci si è sin da subito posti è rappresentata dalla mancanza di un’esplicita affermazione del crisma della trasparenza amministrativa a livello Costituzionale.[11]
Ad ogni modo, il suddetto impasse trova una sua possibilità di superamento grazie alla tesi che riconosce alla trasparenza la qualità di principio implicito.[12]
Il percorso logico-argomentativo, avvalorato dai fautori della summenzionata teoria, si fonda sull’assunto, secondo il quale, la richiesta di costituzionalizzazione del principio obbedisce alla necessità di un controllo sulla pubblica amministrazione, che deve essere esercitato inderogabilmente da chi è la fonte della sovranità del potere.
Ciò posto, il mezzo preferibile per l’esercizio del controllo in questione sarebbe proprio la trasparenza, nella veste di strumento di partecipazione del cittadino all’attività amministrativa. Si sceglie di valorizzare l’accezione democratica del principio in questione, che diventa un espediente per avvicinare gli amministrati agli amministranti, in un contesto in cui l’amministrazione come casa di vetro, acquista vitalità.[13]
Allo stesso modo emerge la correlazione con il principio di legalità, infatti, il controllo sociale suddetto è volto a garantire, da un lato, legalità e appropriatezza dell'operato delle amministrazioni e quindi legalità formale, e dall’altro, strumentalmente, efficienza, efficacia, economicità e qualità dell'azione amministrativa, ovverosia, la c.d. legalità sostanziale.[14]
Di conseguenza, non si può prescindere dal ritenere la trasparenza, intesa come accessibilità totale, declinazione anche del principio di legalità. La stessa si erge a misura di legittimità dell’azione amministrativa e rappresenta una prestazione dell’amministrazione, a cui è espressamente associato il carattere di livello essenziale che deve essere garantito in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, perciò radicando una competenza legislativa statale esclusiva.[15]
Risulta a questo punto quasi lapalissiano, che grazie ad un’interpretazione costituzionalmente orientata e sistematica dei principi presenti nella nostra legge fondamentale, che ricordiamo essere di tipo programmatico, e quindi volta ad adattarsi ai mutamenti propri del diritto vivente, possiamo affermare l’esistenza di un principio di trasparenza che assurga a principio fondamentale.[16]
Da ciò si evince che alla polisemia concettuale della nozione di trasparenza corrisponde la multiformità teleologica del concetto,[17] inizialmente volto alla mera difesa e partecipazione individuale, e successivamente innalzato a mezzo di contrasto dei fenomeni di maladministration amministrativa generalmente riconosciuto. È proprio in questa seconda veste che si può notare l’avvicinamento tra trasparenza e pubblicità,[18] che non consiste in un risolversi della prima nella seconda, bensì nell’utilizzo strumentale della pubblicità per raggiungere gli obbiettivi propri della trasparenza; fine raggiungibile solo se la pubblicità risulta affiancata da mezzi di enforcement.[19]
4. Verso un vero diritto d’accesso.
Se questi erano i fini, lo strumento così come disciplinato nel d.lgs. 33/2013 risultava zoppo. Il right to know, in controtendenza rispetto all’Europa, non è ancora riconosciuto rispetto a tutti gli atti in possesso della pubblica amministrazione, così come dovrebbe essere, in ragione della considerazione, secondo la quale, le amministrazioni pubbliche detengono informazioni, non nell’interesse proprio, bensì, nell’interesse pubblico, agendo come custodi dell’interesse generale.
Si parla in questo senso di diritto all’informazione amministrativa, obiettivo realizzato per mezzo dell’accesso generalizzato introdotto dal legislatore del 2016, che conseguentemente qualifica la trasparenza come tecnica per garantire il diritto di essere informati,[20] un diritto passivo che troverebbe un suo riconoscimento nell’art. 21 Cost.[21] Se pur quest’ultimo si curi esplicitamente solo del profilo attivo della libertà di espressione, dobbiamo ritenere che, attraverso un’interpretazione estensiva, si possa ricomprendere anche il profilo passivo in questione.
L’essere informati rappresenta una premessa indispensabile del buon funzionamento di un regime liberal-democratico,[22] in cui i pubblici poteri sono tenuti ad esercitare un potere visibile e palese, ma soprattutto, controllabile da parte dei cittadini;[23] inoltre, se anche si volesse rigettare tale impostazione dogmatica, il diritto in questione sarebbe in ogni caso tutelato grazie alla CEDU.
L’art. 10 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo ha qualificato il diritto di accesso alle informazioni quale specifica manifestazione della libertà di informazione, nella parte in cui sancisce il diritto a ricevere informazione senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche. Tale previsione comporta che il suddetto diritto assurga a parametro di riferimento costituzionale, in qualità di fonte interposta ai sensi dell’art. 117 comma 1 Cost.; si trasforma così l’accesso in diritto fondamentale.
Una volta ritenuta non esauriente la scelta del legislatore italiano in merito all’accesso civico semplice, che limitava la trasparenza ai soli documenti gravati da obblighi di pubblicazione legislativamente previsti circoscrivendo l’area del conoscibile, si declina la trasparenza come diritto a conoscere, che diventa una regola sempre valida salvo eccezioni ed attribuisce al cittadino il potere di ottenere l’ostensione di atti della pubblica amministrazione.
Con il decreto legislativo 97 del 2016, il Governo, attuando la delega della legge Madia,[25] ha introdotto un modello nel quale, fermi restando gli obblighi di pubblicazione, chiunque ha diritto ad accedere a qualsiasi informazione, secondo il principio della full disclosure,[26] e in cui la trasparenza assurge a grimaldello in grado di porre chiunque nella condizione di entrare in possesso delle informazioni detenute dalle amministrazioni, eccezion fatta per quelle oggetto di esclusione.[27]
Oltre a tale evoluzione normativa si è assistito anche ad un progressivo mutamento di orientamento sulla natura giuridica da attribuire all’accesso. Se pur oggi sia invalso l’utilizzo del termine diritto d’accesso, tale qualificazione non è sempre risultata pacifica in dottrina, e forse non lo è tuttora.
5. Natura giuridica del diritto d’accesso.
Ripercorrendo l’excursus evolutivo della natura giuridica dell’accesso tre sono i passaggi fondamentali che bisogna analizzare.
Il primo è segnato dal contributo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che fu la prima a confrontarsi in modo compiuto sul controverso tema. Con la decisione del 24 giugno 1999 n. 16 ha riconosciuto la configurabilità della posizione legittimante all’accesso in termini di interesse legittimo, sottolineando il collegamento della posizione del privato con l’interesse pubblico e facendo leva sulla struttura impugnatoria del giudizio avente ad oggetto un provvedimento autoritativo, come tale soggetto a termini decadenziali.
Tale assunto si fonda sulla considerazione, secondo la quale, a fronte della pretesa del singolo a conoscere il contenuto di atti e documenti amministrativi si configura l’esercizio di un potere discrezionale della pubblica amministrazione, che è chiamata a contemperare le contrapposte esigenze di riservatezza e accessibilità ai fini della decisione sull’ostensione delle informazioni, provvedendo con istanza motivata. Si è, altresì, evidenziata la peculiarità dei poteri istruttori e decisori del giudice, i primi volti a valutare la sussistenza dei requisiti sostanziali che legittimano all’accesso, al di là delle ragioni addotte dall’amministrazione nell’atto, i secondi estesi all’imposizione all’amministrazione di un comportamento positivo, consistente nell’adempimento dell’ordine giudiziale di esibizione dei documenti.
Il legislatore con le leggi n. 15 e 80 del 2005 segna una brusca inversione di rotta sul punto, qualificando l’accesso in termini di diritto soggettivo e facendo propria la tesi che riconosce un potere di decisione della p.a. sull’istanza di accesso non discrezionale ma vincolato, in quanto limitato ad una verifica formale sulla sussistenza di determinati e specifici presupposti stabiliti dalla legge e sulla contestuale assenza di motivi ostativi. Tale scelta risulta confortata dalla riconduzione del giudizio in tema di accesso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.[28]
L’accesso non è più solo il diritto degli interessati di prendere visione e estrarre copia dei documenti amministrativi, ma diviene una prestazione essenziale afferenti i diritti civili e sociali da garantirsi, secondo standard uniformi, su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m) Cost.
Nel 2006 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è tornata a pronunciarsi sul punto con decisone n. 6 del 18 Aprile. Questa volta pur riconoscendo che il legislatore abbia espressamente manifestato di ritenere che ci troviamo di fronte ad un vero e proprio diritto soggettivo, e che, nonostante la decisone 16/1999, spesso anche il Consiglio di Stato si sia orientato in tal senso, lungi dall’essere risolutiva sul tema, l’Adunanza glissa sulla questione principale, ovverosia, la natura della situazione giuridica soggettiva coinvolta, limitandosi a sostenere la natura strumentale dell’accesso.
Ne deriva che l’organo preposto a dirimere il contrasto in punto di diritto circoscrive il suo apporto alla questione, attenendosi esclusivamente a chiarire che l’acceso si configura come una situazione soggettiva che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere, oramai, non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale funzionali alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (sia esso un diritto o un interesse).
Il carattere essenzialmente strumentale di tali posizioni si riflette inevitabilmente sull’importanza della relativa azione, indispensabile per assicurare la tutela della posizione soggettiva.
Tale impostazione logico-argomentativa porta a ritenere che a preoccupare i giudici dell’Adunanza Plenaria non sia l’individuazione della natura giuridica dell’istituto; poiché, qualunque essa sia, a rilevare sul piano fattuale è la garanzia della tutela dell’interesse che l’accesso è volto a realizzare. Pertanto, risulta necessario concentrare l’attenzione del legislatore e dell’interprete sul regime giuridico concretamente riferibile all’azione, al fine di assicurare la tutela dell’interesse ma anche la certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni giuridiche di terzi controinteressati.
In conclusione, possiamo ritenere che, sebbene il legislatore dal canto suo abbia collocato l’accesso nella giurisdizione esclusiva, facendo chiaramente intendere di avere optato per la sua natura di diritto soggettivo, la giurisprudenza in passato abbia sostenuto entrambe le tesi ed attualmente tende pragmaticamente a glissare sul punto. Tuttavia, sotto il profilo pratico, dal momento che in materia non sorgono questioni di giurisdizione, questo non è poi un gran problema, perché sia il diritto soggettivo che l’interesse legittimo sono comunque poteri di agire nel proprio interesse.[29]
6. Evoluzione del diritto di accesso.
Originariamente l’istituto dell’accesso contemplava esclusivamente il c.d. accesso documentale, di cui all’art. 22 della l. 241/1990, ovverosia, il diritto del privato, anche se portatore di interessi pubblici o diffusi, di conoscere i documenti amministrativi solo in quanto titolare di una situazione giuridicamente rilevante, e quindi, di un interesse diretto, concreto ed attuale, collegato al documento al quale è richiesto l’accesso.[30]
In questi termini ci riferiamo ad un accesso qualificato dalla tutela di un interesse del singolo, che, per espressa previsione normativa, non può mai concretarsi in una forma di controllo diffuso dell’attività della pubblica amministrazione.[31]
Tale limite, proprio dell’accesso della l. 241/90, diventa essenza stessa di quella accessibilità totale, introdotta dal legislatore del 2009 con il decreto 150.[32] Si afferma un nuovo modello di trasparenza, che promuove la partecipazione dei cittadini all’attività amministrativa, e consente forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’uso delle risorse da parte dell’apparato pubblico, prevenendo in maniera trasversale il fenomeno corruttivo.[33]
Nasce così un meccanismo di valorizzazione delle esigenze conoscitive diffuse, fondato su degli obblighi di pubblicazione imposti alle amministrazioni, in ragione di un’individuazione ex ante operata dal legislatore, di quelle informazioni rilevanti per i cittadini, in cui l’interesse alla conoscibilità risulta poziore rispetto agli altri interessi sottesi, si parla in questo senso di proactive disclosure.[34] La legittimazione soggettiva non incontra limiti, poiché spetta a chiunque, nell’ottica di quello che oramai assurge a vero e proprio diritto fondamentale,[35] azionabile senza formalità, senza necessità di motivare l’istanza, o di dimostrare l’utilità dell’atto che si intende conoscere, bensì, fondato sul solo inadempimento in cui l’amministrazione è incorsa rispetto agli obblighi di pubblicità.
Il legislatore, con il d.lgs. 33 del 2013, ha scelto di adottare una soluzione di compromesso, si parla di accessibilità totale, ma in realtà questa è limitata ai dati, documenti e informazioni per i quali vi è un obbligo seriale, esigibile dal cittadino, di pubblicazione, e non si estende a qualsiasi tipo di informazione non riservata, pertanto non si parla ancora di reactive disclosure.
Tale scelta è figlia di un legislatore poco audace, di un ceto politico-amministrativo diffidente verso una disciplina politica che avrebbe legittimato la verificabilità e sindacabilità delle sue decisioni, e della scoperta legislativa di internet. Difatti, attraverso la pubblicazione online di informazione di interesse pubblico, è stato possibile, innanzitutto, minimizzare i costi amministrativi,[36] nell’era della spending review, ma anche, evitare istanze seriali e massimizzare le possibilità di accesso dei cittadini, attraverso un semplice click.
Nasce così l’accesso civico,[37] un tertium genus tra l’accesso documentale, e il FOIA (freedom of information act) un diritto d’accesso generalizzato.
L’accesso civico formalmente volto a favorire un controllo diffuso sull’operato della macchina statale e a valorizzare la partecipazione dei cittadini, allo scopo di rafforzare l’accountability e l’effettività del principio democratico, sostanzialmente si traduce in una misura di enforcement degli obblighi di pubblicità imposti alle amministrazioni.[38]
Alla scelta di applicare il regime degli open data a tutte le informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria consegue un ulteriore criticità del sistema,[41] poiché tali documenti talvolta ricomprendono dati personali, che così risultano alla mercé di chiunque, provocando uno svilimento della contrapposta istanza di tutela della dignità della persona che potrebbe essere lesa dalla comunicazione di dati sensibili.
7. Il Foia Italiano.
A seguito dell’emersione delle suddette problematiche relative allo strumento dell’accesso civico, il nostro legislatore ha deciso di ribaltare la prospettiva, in modo che l’area del conoscibile non termini più laddove finiscono gli obblighi di pubblicazione e la regola della pubblicità-conoscibilità assurga a principio generale: tutti i dati in possesso della pubblica amministrazione diventano pubblici, in quanto patrimonio della collettività; cosicché la libertà di informazione del singolo divenga piena e si arresti solo dinanzi ai limiti espressamente previsti e non viceversa.[42]
All’art. 2 del d.lgs. 33/2013, così come modificato dal d.lgs. 97 del 2016 si stabilisce che «la libertà di accesso di chiunque ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni e dagli altri soggetti di cui all'articolo 2-bis, garantita, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, tramite l'accesso civico e tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni e le modalità per la loro realizzazione».
In un quadro così tracciato i diversi modelli di accesso si stratificano senza sostituirsi, si affiancano gli uni agli altri, dando vita ad un nuovo modo di intendere la trasparenza, il cui scopo è quello di coinvolgere gli amministrati nel controllo dell’attività della macchina amministrativa che deve risultare rispondente ai canoni costituzionali, e che funge da strumento di efficienza ma anche di contrasto e prevenzione alla corruzione.
In altri termini, tale disciplina prevede un diritto a titolarità diffusa, volto a garantire a qualsiasi cittadino, a prescindere dalla spettanza di una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela e/o da una motivazione dell’istanza,[43] l’accesso a dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni e dai soggetti indicati dal legislatore.
Coerentemente rispetto a tali premesse il legislatore, con il d.lgs. 150/2016 poi trasfuso nel d.lgs. 33/2013, sceglie di introdurre una categoria generale di accesso civico, che garantisca, imprescindibilmente, l’accesso in tutti i casi di pubblicazione obbligatoria, e al contempo preveda la possibilità di avanzare altre istanze di accesso rispetto a dati e documenti in possesso dell’amministrazione non soggetti a obblighi di pubblicità. In merito a tali informazioni l’accesso sarà garantito nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti pubblici e privati predeterminati dal legislatore.
8. Ambito soggettivo di applicazione.
Ampia ed evolutiva è la qualificazione di amministrazione pubblica tenuta a garantire l’accesso. Difatti, così come si evince dalla lettura dell’art. 2 del d.lgs. 33/2013 e dalla delibera ANAC 1309 del 28 dicembre 2016, l’ambito dei soggetti nei confronti dei quali è possibile attivare il FOIA, è rappresentato da tutte le pubbliche amministrazioni in senso stretto, individuate attraverso un rinvio dinamico all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Si tratta di
Con il solo limite della compatibilità della disciplina, l’esigibilità della prestazione connessa all’esercizio del diritto può avvenire anche nei confronti di: enti pubblici economici e ordini professionali; società in controllo pubblico come definite dal decreto legislativo emanato in attuazione dell’art. 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (d.lgs. 175/2016 c.d. Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica); associazioni, fondazioni e enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche amministrazioni e in cui la totalità dei titolari o dei componenti dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni; e limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all'attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea alle società in partecipazione, come definite dal decreto legislativo emanato in attuazione dell’art. 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (d.lgs. 175/2016) nonché alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici.
Risulta doveroso specificare che il vaglio di compatibilità della disciplina ai fini della sua applicazione, così come richiesto dal legislatore, è già stato effettuato dall’ANAC, con esito positivo, stante la ratio propria dell’istituto, la natura e le finalità dei soggetti sopra elencati e considerato che l’attività svolta da tali soggetti è diretta alla cura di interessi pubblici.
9. Ambito oggettivo di applicazione.
L’esercizio del diritto di accesso generalizzato può avvenire rispetto ai «dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis».[44]
La distinzione tra dati e documenti è rilevante nel momento in cui il legislatore, prevedendo un parametro informativo ampio, legittima la richiesta del cittadino che si limiti ad individuare i dati ai quali vuole avere accesso a prescindere dall’identificazione del documento che li contiene. Specificando che «l'istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti»,[45] si evince che non è ammissibile una richiesta meramente esplorativa, volta semplicemente a scoprire di quali informazioni l’amministrazione dispone.
L’ANAC, in ossequio all’orientamento in materia del Consiglio di Stato,[46] partendo dal presupposto secondo il quale il rispetto del principio di buona fede e del divieto d’abuso del diritto assurgono a canoni ai quali parametrare la fondatezza e ragionevolezza della richiesta di accesso, sancisce l’inammissibilità dell’istanza di accesso in ipotesi massive, quindi con finalità meramente esplorative, che richieda un facere straordinario, capace di paralizzare l’attività della p.a. La ratio di tale limite si rinviene in quello che è il concetto attuale di trasparenza, intesa come strumento di solidarietà e partecipazione dei cittadini e non intralcio al buon andamento dell’attività amministrativa.[47] Le richieste inoltre non devono essere generiche, ma consentire l’individuazione del dato, del documento o dell’informazione, con riferimento, almeno, alla loro natura e al loro oggetto.[48]
Rispetto al rilascio di «informazioni» strettamente intese possiamo notare che, se pur previste come oggetto dell’istanza di accesso, non sono contemplate nella definizione generale ai sensi dell’art. 5 comma 2 d.lgs. 33/2013;[49] da ciò discende che l’amministrazione non ha l’obbligo di rielaborare i dati ai fini dell’accesso generalizzato, ma solo di consentire l’accesso ai documenti nei quali le stesse siano contenute, se già detenuti e gestiti dall’amministrazione stessa.[50] Restano così fuori le informazioni nel senso più ampio, cioè quelle risultanti da complesse operazioni di elaborazione.
10. Aspetti procedimentali e forme di tutela.
Nel rispetto del principio del minor aggravio possibile nell’esercizio della pretesa conoscitiva, si prevede che l’istanza possa essere presentata in via telematica e ad una pluralità di uffici,poiché potrebbe essere ignoto al richiedente quale sia l’ufficio in possesso dei dati o documenti ai quali richiede l’accesso. Al medesimo fine il legislatore ha sancito la gratuità della fruizione, fatto salvo il costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali.[52]
In merito al procedimento, il legislatore distingue le ipotesi dell’accoglimento da quelle del diniego e individua una specifica disciplina per le ipotesi in cui siano presenti soggetti controinteressati.[53]
La regola generale prevede che la conclusione del procedimento, attivato con la richiesta di accesso, si concluda nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza con provvedimento espresso e motivato, comunicato al richiedente e agli eventuali controinteressati.[54] Coerentemente con il principio di trasparenza inteso come comprensibilità dell’azione amministrativa, il legislatore ha richiesto sia nei casi di accoglimento che in quelli di rigetto un provvedimento espresso e motivato dell’amministrazione coinvolta, con l’ulteriore specificazione che in caso di rifiuto, differimento e limitazione all’accesso, la motivazione deve dare conto della specifica correlazione tra questi e i limiti di cui all’art. 5 bis, anche ai fini di un più agevole ricorso ai mezzi di tutela previsti.[55]
Questi ultimi si sostanziano nella possibilità per l’istante, ovvero per il controinteressato che ha proposto opposizione, di presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ovvero di ricorrere al difensore civico in caso di atti delle amministrazioni delle regioni o degli enti locali, e ancora nella possibilità di presentare ricorso secondo il rito speciale di cui all’art. 116 del codice del processo amministrativo.[56]
Nel primo caso il responsabile deciderà nel termine di venti giorni, sempre con provvedimento espresso e motivato. Se l'accesso è stato negato o differito a tutela di dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia, il suddetto responsabile provvede sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta. In tal caso il termine del procedimento resterà sospeso, ma al fine di garantire le esigenze di speditezza, solo per il periodo intercorrente tra la comunicazione al Garante e la sua pronuncia e comunque non oltre dieci giorni.
Il ricorso che abbia ad oggetto atti delle amministrazioni delle regioni o degli enti locali può essere altresì presentato al difensore civico competente per l’ambito territoriale, e se non costituito a quello per l’ambito territoriale immediatamente successivo. In questa ipotesi è necessaria la notifica all’amministrazione interessata, la decisione viene presa nel termine di trenta giorni e se propende per l’illegittimità del differimento o del diniego l’accesso è consentito salvo che l’amministrazione ne dia conferma.
In presenza di controinteressati, e quindi di soggetti portatori di un interesse uguale ma contrapposto rispetto a quello del richiedente, è prevista l’attivazione di un procedimento formale che contempli il loro coinvolgimento, seguendo una disciplina abbastanza dettagliata ed attenta ad evitare le ostensioni nelle more del procedimento. Infatti, fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l'amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, in quanto titolari degli interessi pubblici o privati che costituiscono un limite all’istanza d’accesso, è tenuta a darne comunicazione agli stessi. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione alla richiesta di accesso; durante tale lasso di tempo, il cui dies a quo è rappresentato dall’invio della comunicazione, il termine di trenta giorni per provvedere sull’istanza rimane sospeso. In caso di accoglimento della richiesta di accesso civico, nonostante l'opposizione del controinteressato, salvi i casi di comprovata indifferibilità, l'amministrazione ne dà comunicazione allo stesso e provvede a trasmettere al richiedente i dati o i documenti richiesti non prima di quindici giorni dalla ricezione della stessa comunicazione da parte del controinteressato.
In ipotesi di accoglimento il legislatore prevede che l’amministrazione provveda a trasmettere tempestivamente al richiedente i dati o i documenti dei quali ha fatto domanda, ovvero, nel caso in cui l'istanza riguardi dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi del presente decreto, a pubblicare sul sito i dati, le informazioni o i documenti richiesti e a comunicare al richiedente l'avvenuta pubblicazione degli stessi, indicandogli il relativo collegamento ipertestuale.[57]
11. Il riordino degli obblighi di pubblicità.
Come già specificato, la previsione di un diritto di accesso generalizzato esteso a tutte le informazioni in possesso della pubblica amministrazione, non si sostituisce, bensì si aggiunge a quello che era il precedente sistema di trasparenza fondato sulla previsione di obblighi di pubblicità. Questi ultimi vengono rivisti e riorganizzati dal d.lgs. 97 del 2016 che, alla luce delle emerse criticità del sistema, cerca di modificarne l’assetto, prevedendo un regime di pubblicità al quale si affianca l’indispensabile e complementare tassello dell’accesso generalizzato.
Una funzione interpretativa e chiarificatrice di questi obblighi è stata svolta dall’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione),[58] attraverso un intervento la cui chiave di lettura risiede nell’intento del legislatore di creare un sistema di dati aperto, in cui ciascun dato deve essere trasformato e divulgato in un’informazione. Infatti, la pubblicazione in formato integrale di una molteplicità di dati, talora superflui, ha rischiato di creare opacità per confusione, piuttosto che concretarsi in un mezzo che garantisse il diritto di essere informati e quindi di comprendere, e non solo di conoscere, gli aspetti dell’attività amministrativa resi pubblici.
Tale effetto indesiderato è causato dall’impossibilità o difficoltà di identificare i dati rilevanti, cioè quei dati che realmente interessano i cittadini come tali o come utenti dei servizi.
Si è così proceduto ad un’opera di razionalizzazione dei suddetti obblighi, in ossequio ai principi di semplificazione amministrativa, adeguatezza e proporzionalità.
A questo scopo il legislatore ridimensiona quantitativamente la mole di atti soggetti a pubblicità, in tutti quei casi in cui la sottoposizione a tale disciplina è stata ritenuta manifestamente superflua o sproporzionata.[59] Contestualmente, al fine di evitare che un eccessivo ridimensionamento degli obblighi di pubblicazione venisse percepito come un atteggiamento di arretramento sul fronte della trasparenza, delega all’ANAC un sistema di semplificazione, che se pur permanente, diluisce nel tempo i propri effetti.
Quest’ultima, sentito il Garante della privacy, potrà, con propria delibera identificare i dati, le informazioni e i documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria, per i quali la divulgazione in formato integrale è sostituita con quella di informazioni riassuntive elaborate per aggregazione.[60] Viene, inoltre, riconosciuto all’ANAC il compito di diversificare le modalità di adempimento degli obblighi in questione, calibrandone l’intensità in ragione delle diverse tipologie di enti, avuto riguardo alle loro capacità organizzative, strutturali e dimensionali, allo scopo di evitare un eccessivo aggravio in capo agli enti minori.
In tale prospettiva si tiene conto di quella che è stata la ratio ispiratrice dell’intervento riformatore del legislatore: la riduzione quantitativa degli obblighi di trasparenza, in favore di un innalzamento qualitativo degli stessi, limitando al contempo l’onere gravante sui soggetti coinvolti, compensato dall’ampliamento oggettivo dei confini dell’accesso.
In merito l’Autorità Nazionale Anticorruzione segnala che il diritto di accesso generalizzato si caratterizza per consentire dinamiche conoscitive che operano meno in profondità rispetto a quelle dell’accesso documentale, poiché, le esigenze di controllo diffuso ad opera del cittadino devono garantire un accesso meno pervasivo ma più esteso, indipendentemente dal soggetto che ne faccia richiesta.[61]
Il paragrafo tre della delibera ANAC si è occupato del profilo qualitativo delle informazioni, evidenziando che tali obblighi debbano essere improntati a integrità, costante aggiornamento, completezza, tempestività, semplicità di consultazione, omogeneità, facile accessibilità, conformità ai documenti originali, indicazione della provenienza e riutilizzabilità. Il fine sotteso è quello di assicurare un pieno e agevole accesso alle informazioni, in un contesto nel quale chiunque ha diritto a fruirne, utilizzarle e riutilizzarle.
Il crisma dell’effettività dell’accessibilità alle informazioni viene così garantito non solo dalla pubblicità in formato digitale in internet, ma anche dall’indicizzazione e rintracciabilità dei dati, diversi da quelli sensibili e giudiziari, diffusi per mezzo dei siti istituzionali degli enti tramite i comuni motori di ricerca web.
Nel solco dell’opera di disclosure perpetrata dal legislatore rispetto agli obblighi di pubblicazione, è stata normativamente prevista la pubblicazione di dieci banche dati centrali, finora gelosamente custodite come patrimonio conoscitivo riservato alle amministrazioni,[62] probabilmente un retaggio del principio di segretezza come regola generale rispetto all’agere publicum.[63] Nell’ottica della semplificazione, nei casi di obblighi relativi ai dati contenuti nei suddetti archivi elettronici, sarà sufficiente per le amministrazioni onerate la pubblicazione sul proprio sito del collegamento ipertestuale, ovverosia, un link permanente alle suddette banche dati.
Ancora, al fine di favorire la massima conoscibilità e disponibilità dei dati pubblici, si riconosce alle amministrazioni la possibilità di pubblicare qualsiasi altro dato, diverso da quelli previsti nel decreto 97 del 2016, e comunque di quelli utili a favorire la massima conoscibilità dell’attività amministrativa, anche ricorrendo a forme di anonimizzazione in presenza di dati personali, fermi restando i limiti e le condizioni espressamente previste dalla legge.
La scelta è quindi quella di puntare sul regime degli open data, applicabile ad un nucleo duro e non comprimibile di informazioni, che vengono perciò diffuse e rese disponibili in formato aperto, per mezzo di strumenti digitali e informatici.[64]
Questo processo di
Tali mezzi rappresentano il punto di forza di questa disciplina sull’accesso, che a costo zero riesce potenzialmente a rendere effettiva la capacità di fruizione delle informazioni rese pubbliche, tuttavia, analizzando il fenomeno da un diverso angolo visuale, potrebbero porsi come limite alla stessa, in ragione dell’arretratezza italiana nell’uso delle tecnologie da parte delle pubbliche amministrazioni, che inevitabilmente opacizza e rallenta la circolazione delle informazioni.[65] Sarebbe pertanto auspicabile la promozione di processi cognitivi web oriented, corrispondenti ai naturali meccanismi conoscitivi dei nativi digitali ed alle esigenze informative proprie della società della conoscenza.
12. I limiti all’accesso e le specificazioni dell’ANAC.
L’analisi della disciplina sui limiti all’ostensione delle informazioni a seguito di richieste di accesso generalizzato, risulta di particolare interesse e complessità al fine di disvelare l’effettiva pervasività del diritto d’accesso nel contemperamento della contrapposta istanza di tutela della riservatezza.[66] Difatti, pur sostenendo che oggi la trasparenza assurga a principio implicito costituzionalmente tutelato, non si può disconoscere il pari rango del diritto alla riservatezza, tutelato nelle sue molteplici sfaccettature dalla nostra legge fondamentale, ed è proprio da tale difficile bilanciamento che trae origine la disciplina normativa sui limiti all’accesso generalizzato.
Il legislatore, con il d.lgs. 97 del 2016, individua due diverse categorie di eccezioni all’accesso generalizzato: le c.d. eccezioni assolute, in ragioni delle quali il bilanciamento tra trasparenza e riservatezza è effettuato ex ante con prevalenza di quest’ultima, e le eccezioni relative, in merito alle quali si sposta in capo all’amministrazione destinataria della richiesta d’accesso l’onere di verificare se l’ostensione degli atti possa determinare un pregiudizio concreto e probabile agli interessi indicati dal legislatore; pertanto, al ricorrere dei suddetti limiti le amministrazioni rispettivamente devono o possono rifiutare l’accesso generalizzato.
La normativa in oggetto prevede numerose eccezioni, non tassative, ed in quanto tali caratterizzate da incertezza e genericità, con conseguenti spazi di discrezionalità più o meno ampi in sede applicativa. Tale problematica viene in parte arginata grazie alla ricca giurisprudenza comunitaria formatasi in materia, alla quale risulta agevole attingere poiché gli interessi-limite normativamente individuati coincidono in larga parte con quelli del FOIA dell’Unione Europea.[67] Ciononostante, il legislatore ha scelto di affidare all’Autorità nazionale anticorruzione, d’intesa con il Garante della privacy, l’adozione di Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 comma 2 del d.lgs. 33/2013.
Questo atto di soft law, costituisce un riferimento fondamentale per indagare le potenzialità conoscitive effettive del nuovo strumento, infatti, l’ampia ostensione, in termini di legittimazione soggettiva, consentita dal nuovo accesso generalizzato è contrappesata dalle più stringenti limitazioni oggettive, ed è alla luce di queste ultime che risulta opportuno valutare la portata innovativa del nuovo istituto.
È da questa cornice normativa che si può procedere ad un’analisi compiuta delle esclusioni previste.
Così come anticipato, il legislatore opera, innanzitutto, una generale e preventiva individuazione di esclusioni assolute all’accesso generalizzato, per tutelare interessi fondamentali e prioritari, ai sensi del comma 3 dell’art. 5 bis.[68] Ci si riferisce ai casi di segreto di Stato e alle ipotesi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990. In merito a quest’ultima ipotesi l’ANAC si preoccupa di specificare che si tratta, a ben vedere, nella maggior parte, di ipotesi in cui l’accesso non è escluso assolutamente, ma è subordinato a condizioni particolari o al possibile uso del potere di differimento da parte delle p.a.
L’art. 24 comma 6 della l. 241/90 prevede (l’ancora attesa) adozione di un regolamento governativo che disciplini i casi di sottrazione all’accesso con riferimento alle stesse categorie di interessi che la normativa sull’accesso generalizzato identifica come casi di esclusioni relative; si potrebbe così venire a configurare un’inammissibile sovrapposizione di ipotesi di esclusioni assolute e relative. Tenuto conto della diversa ratio dell’accesso 241 e dell’accesso generalizzato, si ritiene auspicabile che il Governo, nel predisporre il regolamento ex art. 24 comma 6, valuti attentamente l’evidenziata sovrapposizione fra le due normative e individui soluzioni compatibili con la disciplina dell’accesso generalizzato e con l’evoluzione del principio di trasparenza nel nostro ordinamento, salvaguardando il favor per la trasparenza stabilito dalla normativa di riferimento.[69]
Eccezion fatta per le complessità in merito a quest’ultimo caso, si tratta di ipotesi che non destano difficoltà di applicazione, poiché l’amministrazione non è tenuta a porre in essere alcun tipo di giudizio di ponderazione degli interessi, effettuato a monte dal legislatore, che, ad opera di una norma di rango primario, ritiene, nelle suddette ipotesi, cedevole l’interesse alla conoscibilità diffusa rispetto ad altri predeterminati interessi fondamentali.
Diversamente, al di fuori dei casi sopra indicati, possono ricorrere limiti (eccezioni relative o qualificate) posti a tutela di interessi pubblici e privati di particolare rilievo giuridico elencati ai commi 1 e 2 dell’art. 5-bis del decreto trasparenza,[70] il cui bilanciamento rispetto all’interesse pubblico alla full disclosure deve essere effettuato caso per caso dall’Amministrazione interessata. Ciò comporta che la stessa sia tenuta a verificare, una volta accertata l’assenza di eccezioni assolute, se l’ostensione degli atti possa determinare un pregiudizio concreto e probabile agli interessi indicati dal legislatore. Questi ultimi possono essere interessi pubblici, riconducibili a funzioni sovrane, essenzialmente di ordine dello Stato, ovvero a funzioni che per l’imparzialità che le caratterizza richiedono un certo grado di riservatezza durante il loro svolgimento, o ancora, interessi privati di rango costituzionale.
In tali ipotesi l’amministrazione è tenuta a verificare la sussistenza di un pregiudizio concreto. La scelta del suddetto criterio, recepita all’art. 5 bis comma 1 del d.lgs. 33/2013, testimonia il favor italiano per la tecnica dell’harm test come strumento per negare l’accesso. A tal fine sarà sufficiente, oltre al ricorrere di uno degli interessi limite di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo in oggetto, l’individuazione da parte dell’amministrazione dello specifico interesse, tra quelli normativamente previsti, che verrebbe pregiudicato in concreto della diffusione dell’informazione; la sussistenza di un nesso di causalità tra il pregiudizio che verrebbe causato e la rivelazione dell’informazione richiesta; la probabilità del danno, che quindi non deve configurarsi come meramente ipotetico, bensì come ragionevolmente prevedibile.[71]
Si richiede una mera verifica formale sulle probabili conseguenze negative alle categorie di riservatezza legislativamente individuate,[72] escludendo ab origine l’esercizio di un qualsivoglia potere discrezionale al fine di contemperare l’interesse del richiedente con l’interesse alla riservatezza. Si sceglie così di escludere un ulteriore momento di bilanciamento, foriero di una maggior salvaguardia del principio di trasparenza, che così procedendo, cederebbe solo dinanzi ad un danno all’interesse limite, più serio e probabile di quello alla conoscibilità.
Per queste ragioni quest’ultima soluzione, denominata del public interest test,[73] è stata invece prediletta dalla maggior parte dei FOIA esistenti, compreso quello europeo.[74] Siffatto modello consente di evitare una sorta di automatismo nel diniego dell’accesso al configurarsi di un interesse alla riservatezza pubblica o privata, ritenendo quest’ultimo recessivo solo quando, operato un bilanciamento alla luce del canone della proporzionalità, il pregiudizio concreto arrecato all’interesse alla divulgazione si configuri di maggior portata. Si potrebbe in un certo senso parlare di clausola di salvaguardia, in forza della quale, nonostante il positivo accertamento di un pregiudizio concreto all’interesse limite, se ne ammette il superamento in ragione della sussistenza di un prevalente interesse pubblico alla divulgazione.
Accertata la mancanza di questo ulteriore momento di garanzia nel nostro ordinamento, l’ANAC ha cercato di porvi rimedio, prevedendo l’utilizzo del criterio della proporzionalità nella valutazione delle richieste di accesso, in ragione del quale, l’istanza non potrà essere rifiutata se risulta sufficiente un suo differimento, ovvero, un accesso parziale in ipotesi in cui i limiti riguardino solo alcuni dati o parti del documento richiesto, contemplando, altresì, la possibilità di ricorrere alla tecnica dell’oscuramento dei dati se necessaria e sufficiente a garantire la disclosure evitando il pregiudizio concreto.[75]
Si può affermare che per mezzo del canone della proporzionalità la trasparenza diventa ragionevole, realizzando correttamente il necessario equilibrio con la protezione degli altri interessi meritevoli di tutela.
Allo scopo di temperare ulteriormente il diniego dell’accesso generalizzato, l’ANAC specifica che il pregiudizio va valutato avuto riguardo al contesto temporale in cui viene formulata la domanda, dovendo accertare la sussistenza del pregiudizio concreto in ragione del contesto e del momento in cui viene resa accessibile la domanda, non ritenendo possibile valutare la stessa in termini assoluti ed atemporali.
In definitiva, possiamo ritenere che pur non adottando il public interest test, a parziale correttivo, funga da succedaneo il criterio di proporzionalità, introdotto per mezzo della linee guida FOIA, la cui applicazione privilegia, nei limiti del ragionevole, la scelta più favorevole all’accesso del richiedente.[76]
Allo stesso modo opera in questa direzionela previsione di un meccanismo che ricorda le valutazioni di public interest nel confronto tra accesso civico generalizzato e protezione dei dati personali,[77] dove l’accesso non sembra escluso in re ipsa, bensì, risulta legato a una valutazione attinente alla natura dei dati dei quali si richiede l’ostensione e alla necessità, pertinenza e non eccedenza della richiesta, tenuto conto anche del ruolo ricoperto nella vita pubblica, della funzione pubblica esercitata o dell’attività di pubblico interesse svolta dalla persona cui si riferiscono i predetti dati.[78]
13. Il ruolo delle linee guida ANAC.
Da quanto su riportato si può facilmente notare come in questa materia il legislatore si sia più volte rimesso all’attività interpretativa e chiarificatrice dell’ANAC affinché elaborasse una disciplina applicativa della normativa in oggetto.
L’attribuzione all’Autorità nazionale anticorruzione del suddetto compito trova la sua ragion d’essere nel potere di vigilanza sulla trasparenza amministrativa attribuito alla stessa, così come desumibile sia da quanto previsto dall'art. 1, comma 2, lett. f), e comma 3, l. n. 190/2012, sia, nello specifico, dal combinato delle norme di cui agli artt. 45, commi 1, 3, 4, 47 e 48 del d.lgs. n. 33/2013.[79]
Più in generale l’istituzione di autorità indipendenti, come l’ANAC, nel nostro ordinamento è una prassi piuttosto invalsa che affonda le proprie radici nella trasformazione dell’intervento dello Stato nell’economia, in larga parte ascrivibile all’adesione ad un mercato unico europeo. Si tratta del particolare fenomeno denominato «rolling back the States: l’uscita di scena dal mercato dello Stato imprenditore, che diventa regolatore a seguito della privatizzazione delle grandi imprese pubbliche, allo scopo di continuare a tutelare quegli interessi pubblici sottesi alla fornitura di servizi.[80]
La loro istituzione in ogni caso risponde anche all’esigenza di attori nel panorama giuridico dotati di un elevato grado di specializzazione tecnica, testimoniato dai requisiti di alta professionalità e competenza, richiesti non solo ai loro componenti, ma anche a dirigenti e funzionari e alla necessità di una normazione flessibile e tecnica più confacente alle esigenze di un mercato in continua evoluzione.
Nella materia che ci occupa, così come già detto, è la potestà di vigilanza attribuita all’autorità indipendente che legittima l’esercizio del potere di regolazione. In merito a quest’ultimo potere ci si potrebbe chiedere come se ne possa ritenere legittimo l’esercizio trattandosi di Autorità indipendenti la cui legittimazione non è politica bensì tecnica. Tuttavia, le stesse pur affette da un c.d. deficit di democraticità riescono a colmarlo, così come sostenuto dal modello madisoniano.[81] Ciò avviene in quanto la legittimazione e l’accountability possono essere assicurate con modi e strumenti diversi dal comando politico, quali: la consultazione degli operatori; l’AIR (analisi di impatto della regolazione) e la VIR (verifica di impatto della regolazione), la raccolta in testi unici, l’adozione di forme adeguate di pubblicità, che quindi oltre ad una funzione di better regulation svolgono in quest’ottica anche una funzione legittimatoria. In questi casi ci si riferisce ad una legittimazione che viene dal basso, intesa come coinvolgimento attivo dei cittadini nell’attività regolatoria. Se secondo il modello tradizionale i cittadini esercitano la propria sovranità per mezzo dei rappresentanti da loro scelti in seno al parlamento, nelle ipotesi di regolazione vengono direttamente coinvolti con gli strumenti alternativi in questione.
Accertata la legittimità dell’esercizio del potere di regolazione da parte dell’ANAC, risulta opportuno indagare la natura delle linee guida in questione.
Sul punto si è espresso il TAR Lazio richiamando il parere n. 1257 del 29 maggio 2017 della Commissione speciale del Consiglio di Stato, specificando che si tratta di un «atto non regolamentare» mediante il quale l'ANAC chiarisce la portata applicativa e le ricadute organizzative degli adempimenti stabiliti dalla normativa. Si tratta di un mero atto di indirizzo e supporto che, in quanto tale, può essere oggetto di impugnazione davanti al Giudice amministrativo solo unitamente all'atto specifico che, in applicazione di tale indirizzo ove recepito, incida in maniera puntuale sulla posizione giuridica del destinatario, poiché, in mancanza di quest’ultimo risultano prive di immediata lesività, e pertanto carenti dell'interesse al ricorso che rappresenta una condizione dell'azione amministrativa. Infatti, avendo le linee guida in oggetto una mera finalità istruttiva, i destinatari ben possono discostarsi dalle stesse mediante atti che contengano una adeguata e puntuale motivazione, anche ai fini di una trasparenza idonea a dar conto delle ragioni della diversa scelta amministrativa. Al più, al di fuori di questa ipotesi, la violazione delle linee guida può essere considerata, in sede giurisdizionale, come elemento sintomatico dell'eccesso di potere, sulla falsariga dell'elaborazione che si è avuta riguardo alla violazione delle circolari.
Il Consiglio di Stato ha inoltre elaborato tre diverse categorie di linee guida: quelle approvate con decreto ministeriale, che proprio in ragione di tale approvazione hanno pacificamente natura normativa; quelle non vincolanti, quindi classificabili come atti amministrativi generali, al pari di circolari, contenenti istruzioni operative sull’applicazione della normativa di riferimento; e le linee guida vincolanti, per le quali sorgono i problemi di inquadramento accennati.
Nel caso di specie risulta chiaro che ci troviamo nell’ipotesi di linee guida non vincolanti, che in quanto tali non creano problemi di collocamento nella gerarchia delle fonti, essendo assimilabili alle circolari amministrative.[82]
Ad ogni modo, potremmo definirli come nuovi strumenti di controllo,[83] esercitati da soggetti nati come organi indipendenti di controllo (come l’ANAC),[84] che oggi si trovano ad esercitare vere e proprio funzioni di comando, che trovano terreno fertile nel contesto di diffusa debolezza delle amministrazioni che oggigiorno ci interessa.[85]
Rispetto a tale potere, quasi paranormativo, c.d. regolazione, si pongono problemi nn solo di qualificazione giuridica, in ragione dell’emersione di nuove fonti del diritto, ma anche di indagine sulla generale crisi che affligge oggi il sistema amministrativo, produttiva di questi nuovi strumenti.[86]
Se questa indagine ci porta a ritenere che a tali problematiche sia ascrivibile l’emersione dei nuovi strumenti di controllo, innegabile è che la stessa risponda anche a ragioni di attuale preminenza del mercato sulla politica, che porta ad una destrutturazione dell’assetto delle fonti, attraverso un processo di progressiva erosione della sfera della regolazione autoritativa formale e costituzionale in favore di strumenti di normazione flessibile, atipica e concertata.
14. Trasparenza proattiva o reattiva?
Tirando le fila della disamina sin qui realizzata, risulta di particolare interesse scientifico valutare l’effettività dell’attuale modello di trasparenza nel quale si affiancano l’accesso civico e il FOIA.
Un interrogativo di stimolante rilievo porta a chiederci se la tanto agognata introduzione di un sistema di trasparenza reattiva soddisfi realmente le aspettative avanguardiste, o se, considerato il ritardo dell’intervento del legislatore in materia, si tratti di un sistema ormai superato.
In lettura vi sono innegabilmente strenui sostenitori della reactive disclosure,[87] ritenuta la premessa giuridica indispensabile per una partecipazione consapevole alle scelte pubbliche e per esercitare un controllo informato sull’attività delle amministrazioni. Si parla in questo senso di uno strumento, figlio della democrazia partecipativa, che si estrinseca nel right to know dei cittadini sull’attività del proprio Governo, in un contesto in cui tale partecipazione attiva rappresenta non solo un diritto ma anche un dovere della cittadinanza democratica.[88]
Due sono quindi i punti focali di questo nuovo (per l’Italia) sistema di trasparenza: rendere conoscibile lo svolgimento dell’attività amministrativa al fine dell’esercizio di un controllo ex post sulla stessa da parte dei consociati, funzionale allo scopo finale di contrasto alla corruzione; e, nell’ottica di una democrazia partecipativa, prevedere uno strumento che consenta forme di dibattito pubblico informato, strumentale allo sviluppo dell’azione amministrativa grazie all’apporto che la società civile è messa nelle condizioni di dare.
Dall’esperienza di Stati che prima dell’Italia hanno adottato il modello della trasparenza reattiva,[89] risulta che la stessa, così come si proponeva, abbia portato ad un decremento del fenomeno corruttivo,[90] con impatti positivi sull’accountability dell’amministrazione e sul riconoscimento di una legittimazione sociale delle istituzioni pubbliche; tuttavia, lo stesso non si può dire in merito all’obiettivo di attuazione di un effettivo meccanismo di disclosure che garantisca il diritto all’informazione dei cittadini.[91]
I fautori del sistema FOIA, oltre a evidenziarne la riscontrata efficacia in qualità di mezzo per la prevenzione della corruzione amministrativa, ne esaltano la funzione di perfetto calmieratore tra le contrapposte istanze di riservatezza e trasparenza.[92] Diversamente, il sistema open data che prevede la diffusione attraverso la rete, e l’indicizzazione nei motori generali del web, può determinare la permanenza online di dati personali per un tempo illimitato, dando luogo ad un insanabile contrasto con il principio della temporaneità del trattamento degli stessi, proprio del Codice della privacy, e con il diritto all’oblio dell’interessato, in ipotesi di informazioni potenzialmente lesive o comunque utilizzabili in maniera pregiudizievole per l’interessato.[93]
Ad ogni modo, anche coloro che ancora solo in prospettiva futura, propugnavano l’introduzione del FOIA, sebbene sul piano inevitabilmente concettuale, ne evidenziavano possibili paradossi e conseguente inattese, tra le quali possiamo citare, a titolo esemplificativo, l’attuazione di strategie difensive da parte dell’amministrazione volte ad eludere il controllo diffuso, o, ancora, il rallentamento dei processi decisionali.
Dalla potenzialità alla concretizzazione di tali problematiche il passo è breve, soprattutto se diamo uno sguardo a ciò che è accaduto oltreoceano dove il sistema FOIA pur potendo vantare mezzo secolo di attività è affetto proprio dai suddetti limiti.[94]
La conseguenza che ne deriva è paradossale: viene frustrata la stessa esigenza di conoscenza di informazioni che idealmente lo strumento in questione si prefiggeva di soddisfare; così come dimostra la storia dei numerosi dinieghi totali o parziali all’accesso da parte delle amministrazioni.[95]
La trasparenza reattiva riconosce un accesso totale ma con dei limiti, enfatizza una disclosure ex post, e prevede il rilascio di informazioni solo al singolo soggetto che vi faccia richiesta e non alla generalità dei consociati,[96] imponendo oneri burocratici più gravosi per le amministrazioni, e rimettendo alle stesse la ponderazione degli interessi in gioco.
Di contro la proactive disclosure si rivolge ad un pubblico più ampio, e a prescindere dalla sollecitazione del singolo individuo, garantisce a chiunque il diritto di fruire delle informazioni, utilizzarle e riutilizzarle. Forse solo in questo senso si può parlare di accesso effettivo, perché pieno ed agevole, se pur limitato ai dati oggetti di obbligo di pubblicazione.
Tale approccio è stato in parte fatto proprio dal nostro legislatore, che ha provveduto ad un enforcement quantitativa e qualitativa di tale disciplina in termini di ampiezza, comprensibilità e riutilizzo dell’informazione. Obbedisce alla stessa ratio l’affiancamento alla pubblicazione di dati e documenti nei siti istituzionali, l’accessibilità a banche dati che diventano pubbliche. Queste ultime potrebbero essere metaforicamente definite centrilized reading rooms» depositarie di molteplici informazioni afferenti a soggetti diversi, nell’ottica di una facilitazione nella consultazione e nell’incrocio di dati.
Viene da chiedersi se il vero grimaldello di una trasparenza concreta non sia il modello degli obblighi di pubblicità; se la ritenuta inadeguatezza del suddetto sistema derivi, non tanto da una non sufficienza dello strumento in sé considerato, ma piuttosto, da un non adeguato sfruttamento delle potenzialità dello stesso; se, come spesso accade in Italia, creiamo inquinamento normativo sovrapponendo leggi inutili, piuttosto che utilizzare gli strumenti di verifica di impatto della regolazione, al fine di eliminare le storture di un modello potenzialmente proficuo.
Pur introducendo il FOIA, il legislatore nazionale, probabilmente in parte consocio delle potenzialità della trasparenza proattiva, ne ha prima previsto un meccanismo di enforcement grazie all’accesso civico, e successivamente ha attuato politiche di implementazione della stessa.[98]
L’Italia, arrivata tardi a riconoscere un diritto all’informazione generalizzato, forse, prima degli altri si era affidata ad un sistema diverso ma più al passo coi tempi in termini di conoscibilità delle informazioni, e quindi di trasparenza.[99]
Il FOIA poteva essere considerato all’avanguardia in tempi antecedenti all’avvento di internet,[100] prima che questa piattaforma in rete rendesse le informazioni fruibili da una platea indefinitamente ampia, con una facilità ed un dispendio in termini di tempo, costi ed energie, minimo, soprattutto se consideriamo il numero di potenziali fruitori.
Come già accennato, il limite di questo sistema potrebbe essere tutto Italiano, e consisterebbe nell’arretratezza tecnologica che caratterizza il Paese e in particolare la pubblica amministrazione.
Di fatto la vera punta di diamante della proactive disclosure è la commistione tra obblighi di pubblicità ed era del digitale, un connubio che garantisce tempestività e facile accessibilità; facilities non altrimenti surrogabili. Si tratta di un sistema a costo zero, in un’era in cui grandi quantità di dati sono informatici e in cui lo stock degli stessi online non comporta problematiche di sorta, né in termini quantitativi, né in termini economici, ma piuttosto facilita la riutilizzabilità. I vantaggi sono già molteplici, ed in ogni caso soggetti a futuri sviluppi, e gli svantaggi in cerca di una via per essere superati.
Se per lungo tempo si è pensato che la trasparenza su istanza di parte fosse il miglior modo per tutelare adeguatamente l’interesse alla riservatezza,[101] oggi si paventa un nuovo modello di open data, in cui è la tecnologia l’espediente per comporre il contrasto tra trasparenza e riservatezza, grazie alla creazione di software che automaticamente oscurino i dati sensibili, o quei dati non suscettibili di pubblicazione. A ciò conseguirebbe, da un lato, la velocizzazione della macchina amministrativa che non dovrà più onerare i propri dipendenti dello svolgimento di tali operazioni, potendo beneficiare di strumenti informatici ad hoc, e dall’altro, l’impiego da parte dello Stato di capitale economico per lo sviluppo delle tecnologie e di capitale umano in termini di assunzione di ingegneri informatici in grado di creare i software necessari.[102]
Come possiamo intuitivamente notare da questo banale esempio, la trasparenza proattiva è fonte di molteplici benefici sociali pur non immediatamente collegati al campo dell’azione amministrativa.
Anche nelle esperienze internazionali la riutilizzabilità dei dati disponibili online, universalmente accessibili, ha avuto importanti e inaspettate ricadute nei campi più vari, soprattutto quando l’oggetto della disclosure non è stato limitato alle informazioni sull’attività della macchina amministrativa strettamente intesa, ma è stato esteso ai dati in possesso di diverse autorità in ragione del loro ruolo di regolatori o ricercatori, così ampliando le classi di informazioni disponibili.
Queste sono state le premesse per poter assistere alla nascita di innovativi strumenti funzionali ad interessi pubblici propri dell’era del digitale. Per esempio, in California è stata ideata un’applicazione grazie alla quale è stato possibile salvare vite umane in condizioni di pericolo per la propria salute, per mezzo di un collegamento diretto con i dati esperenziali del 911; o ancora, in Ohio, l’accessibilità dei dati dell’amministrazione locale ha rivelato politiche di gestione dell’acqua inefficienti, in particolare per talune zone, ponendo le basi per una riforma normativa risolutiva del disservizio.[103]â
15. Conclusioni.
Dalle considerazioni fin qui esposte sorge spontaneo chiedersi se l’introduzione del modello FOIA abbia apportato un quid pluris al modello già esistente; poiché, forse, nonostante la sua iniziale arretratezza, il modello italiano aveva in realtà trovato, con gli obblighi di pubblicità, la via per garantire il controllo sull’azione amministrativa e la partecipazione collaborativa del cittadino. Difatti, la proactive transparency è preferibile alla user-driven transparency sia per i cittadini che possono accedere in maniera immediata alle informazioni disponibili online, sia per le amministrazioni, che una volta pubblicato il documento, non devono processare le singole richieste riguardanti le medesime informazioni.[104]
Se queste affermazioni non trovano smentita, non si può non mettere in luce il limite della trasparenza proattiva che ha rappresentato il presupposto dell’adozione del modello FOIA: la limitazione dell’ambito di conoscibilità a ciò che il legislatore secondo una determinazione ex ante ha scelto di disvelare, creando un sistema di luci e ombre.
Ciò posto, la persistente centralità delle dinamiche open data non pare comunque poter essere letta come recessiva a fronte dell’introduzione di legislazioni di freedom of information; basti pensare che nel più recente dibattito statunitense si discute se l’open data rappresenti la morte del FOIA.
A ben vedere, sembra che il nostro legislatore abbia comunque tenuto conto di questo, e nell’introdurre l’accesso generalizzato lo affianca all’accesso civico, senza sostituirlo. Solo l’integrazione dei suddetti strumenti renderà possibile elidere le zone franche di opacità che si trovano negli interstizi tra un obbligo di pubblicazione e l’altro.[105]
Allora, forse, per rispondere ai nostri interrogativi non dobbiamo ricercare il migliore tra i due sistemi, ma piuttosto, individuare quale sia la giusta misura di complementarietà tra obblighi di pubblicazione e accesso generalizzato.
Utilizzando la corretta chiave di lettura il problema non sembra poi di così difficile soluzione. I due regimi non si pongono tra loro in posizioni di antagonismo, piuttosto, possiamo definirli come partners con uno scopo comune: garantire la massima disclosure. Si realizza così un modello in cui ai limiti del primo, supplisce, senza sostituirsi il secondo.
Riteniamo che l’introduzione di una legislazione di freedom of information vada accolta con interesse, ma non sopravvalutata,[106] se nelle esperienze estere ha rappresentato il baluardo di una effettiva disclosure, non si può dire lo stesso ora che i tempi sono cambiati, ora che l’era della tecnologia e di internet permette di vedere gli obblighi di pubblicità sotto una nuova luce.
È il modello open data che attualmente è al centro del sistema del diritto all’informazione, e presenta le maggiori risorse, ed è il FOIA ad essere il suo supplente e non viceversa. Il sistema funziona nei termini in cui vi è una stretta complementarietà tra pubblicazione e accesso, in ragione della quale, dove vi sono dei vuoti nel regime di trasparenza degli open data, il FOIA fornisce il mezzo giuridico per richiedere le informazioni che lo Stato si rifiuta di rivelare anche se dovrebbe.
Non possiamo che concludere rilevando che di fatto il modello degli obblighi di pubblicità presenta numerose potenzialità ancora inespresse, sulle quali il legislatore dovrebbe concentrare la sua attenzione,[107] ampliando il novero degli atti soggetti a pubblicazione e sfruttando al meglio gli strumenti tecnologici dell’era del digitale. Al contempo, riteniamo che la previsione di una legislazione di freedom of information fosse in ogni caso necessaria al fine di estendere l’area del conoscibile oltre gli obblighi di pubblicità, ma come last resort.[108]
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[1] E. Carloni, Il nuovo diritto di accesso generalizzato e la persistente centralità degli obblighi di pubblicazione, in Riv. Dir. amm., 2016, p. 579.
[2] Cfr. E. Carloni, La «casa di vetro» e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza amministrativa, in Riv. Dir. pubbl., 2009, pp. 779 ss.
[3] Cfr. A. Simonati, La ricerca in materia di trasparenza amministrativa: stato dell'arte e prospettive future, in Riv. Dir. amm., 2018, p. 312; anche in ambito europeo la dottrina tende a ritenere l’accesso lo strumento applicativo della trasparenza produttivo degli effetti più immediati sui rapporti fra istituzioni e amministrati, v. M. Cucciniello, G.A. Porumbescu, S. Grimmelikhuijsen, 25 Years of Transparency Research: Evidence and Future Directions, in Public Administration Review, 2016, 77, 1, 32 ss.
[4] V. F. Manganaro, L'evoluzione del principio di trasparenza amministrativa, in http://www.astrid-online.it, pp. 13 ss.; C. Cudia, Appunti su trasparenza amministrativa e diritto alla conoscibilità, in GiustAmm.it, 2016, 12, pp. 10 ss.
[5] V. B.G. Mattarella, La prevenzione della corruzione, in Giorn. Dir. amm., 2013, pp. 128 ss.; nonché, M. Bombardelli, Fra sospetto e partecipazione: la duplice declinazione del principio di trasparenza, in Istituz. Fed., 2013, pp. 657 ss.; anche, E. Carloni, La «casa di vetro» e le riforme.cit., pp. 3 ss.; ed Id., La trasparenza «totale» delle amministrazioni pubbliche: caratteri, finalità, potenzialità, in Rass. Astrid, 2011, pp. 15 ss.; nonché, M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giorn. Dir. amm., 2013, pp. 797 ss. e F. Tentoni, L'«oscura» trasparenza, in Azienditalia, 2013, 3, pp. 231 ss.; G. Lentini, Il segreto e la trasparenza: dall'amministrazione chiusa all'amministrazione aperta. Le tappe dell'evoluzione dei rapporti tra i pubblici poteri ed i cittadini, in Amministrativamente, 2017, 1-2, pp. 36 ss.
[6] Art. 4 comma 7 l.15/2009. – Princìpi e criteri in materia di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche e di azione collettiva. Disposizioni sul principio di trasparenza nelle amministrazioni pubbliche –: «Ai fini del comma 6 la trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti internet delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta in proposito dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei princìpi di buon andamento e imparzialità».
[7] S. Foà, La nuova trasparenza amministrativa, in Dir. amm., 2017, pp. 72 ss
[8] G. Gardini, il codice della trasparenza: un primo passo verso il diritto all’informazione amministrativa?, in Giorn. Dir. amm. 8-9/2014, pp. 882 ss.
[9] Con la l. 11 febbraio 2005, n.15, viene novellato l’art. 1 della l. 241/1990, e la trasparenza, per espressa previsione normativa, diviene un fine proprio dell’attività amministrativa.
[10] Art. 97 Cost.: «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione».
[11] Introduzione tentata inizialmente ad opera degli Onorevoli La Rocca e Togliatti in seno all’assemblea Costituente, attraverso la proposizione di un comma aggiuntivo nel corpo dell’art. 91, poi divenuto art. 97 Cost. nella seduta del 24 ottobre 1947, Presidente Terracini: «La legge determina i modi e le forme in cui si esercita il controllo popolare sulle pubbliche amministrazioni», e successivamente con il d.d.l. di riforma costituzionale approvato dalla Camera dei Deputati il 12 aprile 2016 (in G.U. n. 88 del 15 aprile 2016), non confermato dal referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che prevedeva l'aggiunta del principio di trasparenza nell'art. 97 Cost. e nel corpo dell'art. 118 Cost. con riferimento all'esercizio delle funzioni amministrative.
[12] P. Calamandrei, Incoscienza costituzionale, in Il Ponte, 1952; Id., Costituzione e leggi di Antigone, Firenze, 1996, pp. 123 ss.; nello stesso senso, più recente v. D. Donati, La trasparenza nella Costituzione, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008, pp. 83 ss.; cfr. I.A. Nicotra, La trasparenza e la tensione verso i nuovi diritti di democrazia partecipativa, in Id. (a cura di), L'Autorità nazionale anticorruzione. Tra prevenzione e attività regolatoria, Torino, 2017, pp. 143 ss.
[13] Cfr. Parere reso dal Consiglio di Stato sullo schema di d. Lgs. n. 97/2016: «la trasparenza si pone, allora, non solo come forma di prevenzione dei fenomeni corruttivi, ma come strumento ordinario e primario di riavvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione, destinata sempre più ad assumere i contorni di una «casa di vetro», nell’ambito di una visione più ampia dei diritti fondamentali sanciti dall’art. 2 Cost. (diritti inviolabili), che non può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri».
[14] Secondo i principi dell'amministrazione di risultato, su cui L. Iannotta, Principio di legalità e amministrazione di risultato, in Scritti in onore di Elio Casetta, Napoli, 2001, 740 ss.
[15] Art. 117, secondo comma, lett. m) Cost.: «Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: […] determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
[16] Emerge, così, la differenza di fondo tra i sistemi FOIA e l’Italia (soprattutto prima della novella del 2016): lì il right to know è un diritto fondamentale, riconosciuto come tale non solo dal legislatore, ma, prima ancora, dalle carte costituzionali o dalle corti; qui, invece, quel diritto è octroié, garantito solo se e nella misura in cui il legislatore lo riconosca. Cfr. Mario Savino, La trasparenza amministrativa e la prevenzione della corruzione, a cura di, Angela del Vecchio e Paola Severino, Il contrasto alla corruzione nel diritto interno e internazionale, Milano, 2014, pp. 354 ss.
[17] A. Simonati, La ricerca in materia di trasparenza, cit., pp. 315 se.
[18] In questo senso si ritiene tuttora che uno dei mezzi più efficaci di contrasto alla corruzione sia la previsione di obblighi di pubblicità che mettano il cittadino nelle condizioni di realizzare un controllo sull’operato della pubblica amministrazione, e che in ragione di ciò dissuadano il funzionario dal malaffare.
[19] Tale assunto trova riscontro nell’esperienza italiana, in cui la previsione di soli obblighi di pubblicità non assistiti dal riconoscimento di un’attigua libertà di informazione non ha permesso di raggiungere gli obiettivi propri della trasparenza.
[20] G. Gardini, il codice della trasparenza, cit. p. 878.
[21] Art. 21 Cost.: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria [cfr. art.111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni».
[22] L. Paladin, Problemi e vicende della libertà di informazione nell’ordinamento giuridico italiano, in Id. (a cura di), La libertà di informazione, Torino, 1979.
[23] N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1984.
[24] V. Sent. Gemelle, Corte Cost. n. 348 e 349 del 2007.
[25] L. 124 del 2015. – Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche –.
[26] Sul successo della soluzione Foia: «an apparently simple solution to complex problems, such as how to fight corruption, promote trust in government, support corporate social responsibility, and foster state accountability», v. C. Birchall, Radical Transparency?, in Cultural Studies - Critical Methodologies, vol. 14, iss. 1, 2014, pp. 77 ss.
[27] Open Society Justice Initiative, List of Countries with Access to Information (ATI) Provisions, febbraio 2014, in www.justiceinitiative.org, conta, con accezione ampia tanto da ricomprendervi anche il nostro accesso ai documenti, 99 legislazioni nazionali, tra le quali però anche (ad esempio) la disciplina italiana dell'accesso della legge sul procedimento; si v. anche il Global Right to Information Rating, in https://www.rti-rating.org), dove l'Italia occupa una delle ultime posizioni. Sul punto cfr. M. Savino, Il FOIA italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, in Giorn. Dir. amm. 5/2016, pp. 593 ss., che riporta ulteriori riferimenti in merito.
[28] Trattandosi di materie in cui pur trattandosi di diritti soggettivi è competente a conoscerne il giudice amministrativo. Parte della dottrina ha comunque ritenuto che non fosse una deduzione logicamente corretta, posto che, nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo coesistono in uno stretto intreccio diritti soggettivi ed interessi legittimi, v. in tal senso E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, 2005, pp.521 ss.
[29] Parla di «coma farmacologico», S. Giacchetti, Diritto d’accesso, processo amministrativo, effetto Fukushima, in www.giusitizia-amministrativa.it: sostiene che si tratterebbe di un tertium genus, tra diritto soggettivo ed interesse legittimo. Il legislatore ha definito l’accesso come potere finalizzato a perseguire il pubblico interesse, che è per definizione superindividuale, ma un potere finalizzato ad un interesse superindividuale non è né un diritto soggettivo né un interesse legittimo: è una potestà. «Si tratta di una situazione soggettiva che ha caratteri diversi da quelli del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo, perché ha in sé stessa l’interesse al suo esercizio, che è doveroso e non disponibile. La legge però non riconosce questi caratteri al diritto d’accesso. Quest’ultimo quindi si presenta come una situazione soggettiva nuova, intermedia tra quelle sinora conosciute; una situazione giuridica con un corpo di situazione soggettiva privata ed un’anima di situazione soggettiva pubblica: una situazione ermafrodita, che non coincide con nessuna delle situazioni soggettive note; un trans, con tutte le difficoltà che si incontrano quando si tratta di incasellare un trans nei moduli sistematici tradizionali. Sorge quindi un interrogativo: sino a che punto l’anima pubblica modifica o quanto meno condiziona il corpo privato? La risposta è incerta; anche perché, come già detto, la giurisprudenza esita a prendere una precisa posizione.»
[30] V. S. Foà, La nuova trasparenza amministrativa, cit.; Cons. St., Sez. IV, 12 agosto 2016, n. 3631, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio (Roma), Sez., 22 marzo 2017, n. 3769, in Leggi d'Italia; T.A.R. Puglia (Bari), Sez. III, 4 aprile 2017, n. 321, in De jure III-bis.
[31] V. art 24 comma 3 l. 241/90. – Esclusione dal diritto di accesso –: «Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni».
[32] Art. 11 comma 1 d.lgs. 150/2009. – Trasparenza – : «La trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell'attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità. Essa costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
[33] V. E. Carloni, Il nuovo diritto di accesso generalizzato, cit., pp. 581 ss.
[34] Sull’evoluzione della disciplina italiana in tema di trasparenza v. M. Savino, Il FOIA italiano. La fine
della trasparenza di Bertoldo, cit., p. 595; F. Di Mascio e A. Natalini, Unpacking Open Government into Varieties of Transparency: Passive and Active Forms of Disclosure in Italy, working paper, 2016, pp. 9 ss.; A. Police, New instruments of Control over public Corruption: the Italian Reform to restore Transparency and Accountability, in Dir. econ., 2015, pp. 189 ss. Sui percorsi evolutivi della trasparenza in prospettiva comparata, C. Hood, Transparency in Historical Perspective, in C. Hood - D. Heald (eds.), Transparency, The Key To Better Governance, Oxford: Oxford Univeristy press., pp. 3 ss.
[35] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1370, ove si riconosce che il diritto di accesso «è collegato a una riforma di fondo dell’Amministrazione, ispirata ai principi di democrazia partecipativa, della pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa desumibili dall’art. 97 Cost., che s’inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e alla attività (...) amministrativa quale strumento di prevenzione e contrasto sociale ad abusi e illegalità»; Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1370, ove si riconosce che il diritto di accesso «è collegato a una riforma di fondo dell’Amministrazione, ispirata ai principi di democrazia partecipativa, della pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa desumibili dall’art. 97 Cost., che s’inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e alla attività (...) amministrativa quale strumento di prevenzione e contrasto sociale ad abusi e illegalità».
[36] Cfr. in tal senso M. Savino, La nuova disciplina, cit., p. 797: «Il dogma della trasparenza a costo zero è, perciò, divenuto il fil rouge che collega le diverse tappe evolutive della disciplina italiana in materia».
[37] Versione originaria art. 5 d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33. – Accesso civico –: «L'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione».
[38] Un monitoraggio del 2012 forniva informazione sconfortanti circa il tasso di compliance delle amministrazioni, per le quali le norme sulla pubblicazione erano rimaste lettera morta. 14) Il tasso medio di compliance rilevato era pari al 59% nei ministeri (Civit, Rapporto sulla trasparenza nei ministeri, Roma, agosto 2012, 4) e al 53% negli enti pubblici nazionali (Civit, Rapporto sulla trasparenza negli enti pubblici nazionali, Roma, dicembre 2012, 6).
[39] Se pur non mancano convinti sostenitori di questo modello di trasparenza, che lo definiscono come lo strumento di trasparenza più robusto al fine di un controllo diffuso sull’azione pubblica; in cui il superamento dei limiti esistenti sarebbe dovuto avvenire attraverso ulteriori forme di dissemination nella prospettiva delle c.d. trageted transparency policies. V. in questo senso E. Carloni, Il nuovo diritto di accesso generalizzato, cit., p. 602.
[40] L'avviso che attraverso la pubblicazione di troppi dati ed elementi si possono produrre fenomeni nuova opacità è ricorrente nel dibattito sui limiti della trasparenza; ricorre in questo senso l'idea di una «opacità per confusione», in tal senso v. E. Carloni, La «casa di vetro» e le riforme, cit., p. 806; l'espressione, peraltro utilizzata negli ultimi anni in vari documenti del Garante della privacy, è stata ripresa anche nel parere del Consiglio di Stato n. 515/2016). Sul punto, cfr. D.U. Galetta, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del D. Lgs. n. 33/2013, in federalismi.it, 2016, p. 16.
[41] Art. 7 d.lgs. 33/2013 – Dati aperti e riutilizzo – «I documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente, resi disponibili anche a seguito dell'accesso civico di cui all'articolo 5, sono pubblicati in formato di tipo aperto ai sensi dell'articolo 68 del Codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e sono riutilizzabili ai sensi del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, senza ulteriori restrizioni diverse dall'obbligo di citare la fonte e di rispettarne l'integrità».
[42] Sul successo della soluzione Foia: «an apparently simple solution to complex problems, such as how to fight corruption, promote trust in government, support corporate social responsibility, and foster state accountability», v. C. Birchall, Radical Transparency?, cit.
[43] L'A.N.A.C., oltre a ribadire quanto affermato dal legislatore con riguardo alla non necessarietà della motivazione nella istanza di accesso generalizzato, ha precisato che tutti i soggetti cui si applica il diritto di accesso generalizzato sono tenuti a prendere in considerazione le richieste di accesso generalizzato, a prescindere dal fatto che queste rechino o meno una motivazione o una giustificazione a sostegno della richiesta; v. A.N.A.C., Allegato. Guida operativa all'accesso generalizzato (Allegato alle Linee Guida Foia), p. 29; la circolare del Ministro della P.A. n. 2/2017, Allegato 1, precisa che l'amministrazione nei confronti della quale l'istanza è rivolta potrebbe prevedere nell'apposito modulo di presentazione dell'istanza anche l'indicazione facoltativa da parte dell'istante della finalità/motivo della domanda di accesso a fini statistici oppure per precisare l'oggetto della richiesta. La stessa circolare ritiene opportuno precisare che la richiesta dell'indicazione del/i motivo/i dell'accesso debba/no essere facoltativo/i. In altri termini nel modulo potrà essere prevista questa richiesta, ma dovrà precisarsi nello stesso che questa non è una conditio sine qua non ai fini dell'accesso.
[44] Art. 5 comma 2 d.lgs. 33/2013. – Accesso civico a dati e documenti –: «Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis».
[45] Art 5 comma 3 d.lgs. 33/2013. – Accesso civico a dati e documenti –: «L'esercizio del diritto di cui ai commi 1 e 2 non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L'istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione. L'istanza può essere trasmessa per via telematica secondo le modalità previste dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ed è presentata alternativamente ad uno dei seguenti uffici:
a) all'ufficio che detiene i dati, le informazioni o i documenti;
b) all'Ufficio relazioni con il pubblico;
c) ad altro ufficio indicato dall'amministrazione nella sezione "Amministrazione trasparente" del sito istituzionale;
d) al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ove l'istanza abbia a oggetto dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi del presente decreto».
[46] Come noto, le c.d. richieste «massive o seriali» riguardano il caso in cui il richiedente indica un numero ed una mole considerevole di documenti o presenta più domande entro un periodo di tempo limitato; ad esempio, nel caso deciso con sentenza n. 669/2018, il T.A.R. Milano ha ritenuto inammissibile, in quanto «abusiva», un’istanza di accesso civico generalizzato volta ad acquisire copia di n. 50 determinazioni e relativi allegati, facente seguito a numerose istanze (n. 148) presentate dallo stesso soggetto negli ultimi due anni, specificando che «l’accesso civico di cui al D.Lgs. 33/2013, come modificato dal D.Lgs. 97/2016, pur costituendo uno strumento di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della loro partecipazione all’attività amministrativa, non può essere impiegato in maniera distorta e divenire causa di intralcio all’azione della pubblica amministrazione».
[47] Cfr. CGUE, Tribunale Prima Sezione ampliata 13 aprile 2005 causa T 2/03.
[48] Cfr. parere Consiglio di Stato 18.2.2016, par. 11.3.
[49] art. 5 comma 2 d.lgs. 33/2013. - Accesso civico a dati e documenti -: «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis»
[50] V. Delibera ANAC 1309 del 28 dicembre 2016 § 4.2.
[51] art. 5 comma 3 d.lgs. 33/2013. – Accesso civico a dati e documenti –: «l'esercizio del diritto di cui ai commi 1 e 2 non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L'istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione. L'istanza può essere trasmessa per via telematica secondo le modalità previste dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ed è presentata alternativamente ad uno dei seguenti uffici:
a) all'ufficio che detiene i dati, le informazioni o i documenti;
b) all'Ufficio relazioni con il pubblico;
c) ad altro ufficio indicato dall'amministrazione nella sezione "Amministrazione trasparente" del sito istituzionale;
d) al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ove l'istanza abbia a oggetto dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi del presente decreto.»; resta comunque ferma la possibilità che l’istanza sia presentata anche a mezzo posta, fax o direttamente presso gli uffici.
[52] Art. 5 comma 2 d.lgs. 33/2013. - Accesso civico a dati e documenti -: «Il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall'amministrazione per la riproduzione su supporti materiali».
[53] Art. 5 commi 5,6,7,8,9 d.lgs. 33/2013. – Accesso civico a dati e documenti –: «Fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l'amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell'articolo 5-bis, comma 2, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. A decorrere dalla comunicazione ai controinteressati, il termine di cui al comma 6 è sospeso fino all'eventuale opposizione dei controinteressati. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione.
6. Il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza con la comunicazione al richiedente e agli eventuali controinteressati. In caso di accoglimento, l'amministrazione provvede a trasmettere tempestivamente al richiedente i dati o i documenti richiesti, ovvero, nel caso in cui l'istanza riguardi dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi del presente decreto, a pubblicare sul sito i dati, le informazioni o i documenti richiesti e a comunicare al richiedente l'avvenuta pubblicazione dello stesso, indicandogli il relativo collegamento ipertestuale. In caso di accoglimento della richiesta di accesso civico nonostante l'opposizione del controinteressato, salvi i casi di comprovata indifferibilità, l'amministrazione ne dà comunicazione al controinteressato e provvede a trasmettere al richiedente i dati o i documenti richiesti non prima di quindici giorni dalla ricezione della stessa comunicazione da parte del controinteressato. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso devono essere motivati con riferimento ai casi e ai limiti stabiliti dall'articolo 5-bis. Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza può chiedere agli uffici della relativa amministrazione informazioni sull'esito delle istanze.
7. Nei casi di diniego totale o parziale dell'accesso o di mancata risposta entro il termine indicato al comma 6, il richiedente può presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, di cui all'articolo 43, che decide con provvedimento motivato, entro il termine di venti giorni. Se l'accesso è stato negato o differito a tutela degli interessi di cui all'articolo 5-bis, comma 2, lettera a), il suddetto responsabile provvede sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta. A decorrere dalla comunicazione al Garante, il termine per l'adozione del provvedimento da parte del responsabile è sospeso, fino alla ricezione del parere del Garante e comunque per un periodo non superiore ai predetti dieci giorni. Avverso la decisione dell'amministrazione competente o, in caso di richiesta di riesame, avverso quella del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il richiedente può proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale ai sensi dell'articolo 116 del Codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
8. Qualora si tratti di atti delle amministrazioni delle regioni o degli enti locali, il richiedente può altresì presentare ricorso al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l'ambito territoriale immediatamente superiore. Il ricorso va altresì notificato all'amministrazione interessata. Il difensore civico si pronuncia entro trenta giorni dalla presentazione del ricorso. Se il difensore civico ritiene illegittimo il diniego o il differimento, ne informa il richiedente e lo comunica all'amministrazione competente. Se questa non conferma il diniego o il differimento entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, l'accesso è consentito. Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico, il termine di cui all'articolo 116 del Codice del processo amministrativo decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico. Se l'accesso è stato negato o differito a tutela degli interessi di cui all'articolo 5-bis, comma 2, lettera a), il difensore civico provvede sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta. A decorrere dalla comunicazione al Garante, il termine per la pronuncia del difensore è sospeso, fino alla ricezione del parere del Garante e comunque per un periodo non superiore ai predetti dieci giorni.»
9. Nei casi di accoglimento della richiesta di accesso, il controinteressato può presentare richiesta di riesame ai sensi del comma 7 e presentare ricorso al difensore civico ai sensi del comma 8.
[54] Come rilevato dal Consiglio di Stato nel parere consultivo del 18 febbraio 2016 riguardante il primo schema del decreto in esame, al par. 11.11, l’opzione del «silenzio-rigetto», non contemplata dai principali FOIA, avrebbe contraddetto le stesse finalità di trasparenza della normativa e segnato un arretramento rispetto alla disciplina dell’accesso procedimentale (art. 25, L. n. 241 del 1990), costringendo il richiedente a ricorrere «al buio».
[55] Significativa in tal senso la decisione del TAR Campania, sez. VI, sent. n. 1380 del 9 marzo 2017: « […] va comunque escluso che l'amministrazione possa legittimamente assumere quale unico fondamento del diniego di accesso agli atti la mancanza del consenso da parte dei soggetti controinteressati, atteso che la normativa in materia di accesso agli atti, lungi dal rendere i controinteressati arbitri assoluti delle richieste che li riguardino, rimette sempre all'amministrazione destinataria della richiesta di accesso il potere di valutare la fondatezza della richiesta stessa, anche in contrasto con l'opposizione eventualmente manifestata dai controinteressati»
[56] Art. 116 c.p.a.: «Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all'inadempimento degli obblighi di trasparenza il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all'amministrazione e ad almeno un controinteressato. Si applica l'articolo 49. Il termine per la proposizione di ricorsi incidentali o motivi aggiunti è di trenta giorni.
In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. L'istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio.»
[57] La coesistenza con l'accesso generalizzato «circoscrive» maggiormente il campo di azione dell'accesso civico «semplice», specie rispetto ad alcune letture che, nel quadro previgente, tendevano a segnalarne le potenzialità espansive, in tal senso, cfr. B. Ponti, Il regime dei dati oggetto di pubblicazione obbligatoria: i tempi, le modalità e i limiti della diffusione; l'accesso civico; il diritto al riutilizzo, in B. Ponti (a cura di), La Trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, Rimini, 2013: «Con l'introduzione dell'accesso civico generalizzato, l'accesso civico «semplice» si presenta più chiaramente come uno dei (diversi) rimedi mediante i quali gli interessati possono costringere le pubbliche amministrazioni a pubblicare online le informazioni e documenti sottoposti a regime di pubblicazione obbligatoria.
[58] La centralità del ruolo di questa autorità indipendente in materia è tale da aver indotto taluni a qualificarla come autorità degli obblighi di pubblicazione. Per una rassegna dei poteri dell'autorità in materia di trasparenza, centrati appunto sugli obblighi di pubblicazione, dopo il d.lgs. n. 97 del 2016, cfr. F. Di Lascio, I compiti dell'autorità nazionale anticorruzione, in B. Ponti (a cura di), Nuova trasparenza amministrativa e libertà di accesso alle informazioni, Santarcangelo di Romagna, 2016, spec. pp. 494-496. Sull'evoluzione del ruolo e dei poteri dell'Anac, in termini più generali, cfr. G.M. Racca, Dall'Autorità sui contratti pubblici all'Autorità Nazionale Anticorruzione: il cambiamento del sistema, in Riv. Dir. amm., 2015, fasc. 2-3, pp. 345-387; E. D'Alterio, I nuovi poteri dell'Autorità nazionale anticorruzione: «post fata resurgam», in Giorn. dir. amm., 2015, fasc. 6, pp. 757-767; F. Merloni, R. Cantone (a cura di), La nuova autorità anticorruzione, Torino, Giappichelli, 2015.
[59] Significativa è l’eliminazione degli obblighi di pubblicazione riguardanti i soggetti che ricevono incarichi di collaborazione o consulenza a titolo gratuito (art. 15, comma 1, D.lgs. n. 33 del 2013, come modificato dall’art. 14 del D.lgs. n. 97 del 2016). Sono stati abrogati, inoltre, gli obblighi di pubblicazione di cui agli artt. 20, comma 3, 23, comma 1, lett. a) e c), 24, 25, 34, 38, comma 1 (in parte), 39, comma 1, lett. b), 42, comma 1, lett. d), del D.lgs. n. 33 del 2013.
[60] Art. 3 comma 1 bis, d.lgs. 33/2013
[61] Il rischio è che nel caso concreto l’Amministrazione valuti, piuttosto che i limiti legislativamente imposti, l’idoneità a penetrare non solo superficialmente nella «casa di vetro». V. E. Carloni, Il nuovo diritto di accesso generalizzato, cit., pp. 595 ss.
[62] Si tratta delle seguenti banche dati, indicate nell’allegato B al d. lgs. n. 97 del 2016: Per la PA (Dipartimento della funzione pubblica), Sistema conoscitivo del personale dipendente dalle p.a. (Ragioneria generale dello Stato), Archivio contratti del settore pubblico (Aran - Cnel), Sistema informativo questionario enti locali (Corte dei conti), Patrimonio della PA (Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’economia e delle finanze), Rendiconto dei gruppi consiliari regionali (Corte dei conti), Banca dati amministrazioni pubbliche (Ragioneria generale dello Stato), Sistema di gestione degli immobili di proprietà statale (Agenzia del demanio), Banca dati nazionale dei contratti pubblici (Aran), Servizio contratti pubblici (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti).
[63] La logica dell’inaccessibilità degli «arcana imperii», di tacitiana memoria, è stata tradizionalmente funzionale alla conservazione del potere sovrano sul popolo, attraverso la segregazione di qualunque documentazione collegata all’esercizio del potere medesimo, Cfr. Antonio Barone e Raffaella D’Agostino, La trasparenza e il diritto d’accesso, in Istituzioni di diritto amministrativo, G. Giappichelli, Torino, 2017.
[64] Si aggiunga la considerazione che il venir veno dei controlli esterni, dopo la modifica costituzionale del 2001, non ha comportato una riforma del regime dei controlli tale da garantire la legittimità ed il buon andamento dell’azione amministrativa. Si veda R. Marrama, La pubblica amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell’organizzazione e nel procedimento amministrativo, in Dir. proc.amm., 1989, pp. 416 ss.; F. Manganaro, L’evoluzione del principio di trasparenza amministrativa, in www.astridonline.it; A. Natalini, L’età delle riforme amministrative, Bologna, 2006 e A. Natalini, (a cura di), Istituzioni locali, performance, trasparenza. Il controllo di gestione in Italia e nel Regno Unito, Collana del Cis Anci Quaderno 2011.
[65]Come inequivocabilmente acclarato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni, istituita dalla Camera dei deputati con Delibera 14 giugno 2016, Relazione sull'attività svolta, 2017, in corso di pubblicazione.
[66] Vi è stato chi ha ritenuto che l’estensione delle limitazioni sia tale da creare solo un’illusione di uno stato trasparente; v. in tal senso Ferruccio De Bortoli, l’illusione dello Stato trasparente, in Link.
[67] Cfr. M. Savino, Il Foia italiano, cit., nota 49: Tra l’elenco italiano (art. 5 bis, commi 1-2) e quello dell’Unione (art. 4, commi 1-2, Reg. CE n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2001), le uniche differenze sono le seguenti: i) il FOIA italiano menziona in via autonoma l’interesse alla «sicurezza nazionale», mentre nel FOIA europeo si parla soltanto (per evidenti ragioni) di «sicurezza pubblica»; ii) nel FOIA italiano, le c.d. eccezioni class-based, riferite alle classi di informazioni relative allo svolgimento di procedimenti giudiziari e attività ispettive, hanno una minore ampiezza; iii) il FOIA italiano tutela gli interessi privati non solo “commerciali”, come previsto anche nel FOIA europeo, ma anche «economici»: l’indubbia genericità del riferimento va ridimensionata attraverso una interpretazione restrittiva, circoscritta a valori tutelati dall’art. 41Cost.
[68] Art. 5-bis comma 3 l. Esclusioni e limiti all'accesso civico: «Il diritto di cui all'articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990».
[69] V. Delibera ANAC 1309 del 28 dicembre 2016 § 6.3.
[70] Art. 5-bis commi 1 e 2 d.lgs. 33/2013. Esclusioni e limiti all'accesso civico: «L'accesso civico di cui all'articolo 5, comma 2, è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a:
a) la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico;
b) la sicurezza nazionale;
c) la difesa e le questioni militari;
d) le relazioni internazionali;
e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;
f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;
g) il regolare svolgimento di attività ispettive.
2. L'accesso di cui all'articolo 5, comma 2, è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:
a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
b) la libertà e la segretezza della corrispondenza;
c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali».
[71] Cfr. M. Savino, Il Foia italiano, cit., pp. 599 ss.
[72] Questa appare la soluzione proposta da B. Ponti, Rafforzare la libertà di ricercare le informazioni e rendere più chiare (e nette) le indicazioni per le amministrazioni: indicazioni per la valorizzazione del criterio del «pregiudizio concreto», in Astrid Rassegna, n. 21/2016., p.2, in cui afferma che: «... è solo in relazione alle modalità di applicazione del test del pregiudizio concreto che si definiscono i confini di quanto è oggetto di disclosure rispetto a quanto è oggetto di rifiuto. In questo senso, appare sconsigliabile l’uso del termine «bilanciamento» con riferimento all’operazione di valutazione che l’amministrazione deve compiere nell’applicazione del test pregiudizio concreto. Infatti, l’operazione non consiste nel confrontare (e quindi bilanciare) l’interesse all’accesso (alla disclosure) con l’interesse alla riservatezza (pubblica o privata) che venga in questione. L’operazione consiste invece nella (sola) valutazione circa l’esistenza del pregiudizio concreto, in assenza del quale si determina comunque l’accessibilità di quanto richiesto (regola/eccezione). Peraltro, la concreta praticabilità di un confronto (da cui deriverebbe l’esigenza di bilanciamento) tra l’interesse alla disclosure e l’interesse alla riservatezza è resa logicamente impossibile dalla irrilevanza della situazione soggettiva e dei motivi del richiedente.
[73] Una diversa tecnica, di «public interest test», richiede di tenere in considerazione il danno all'interesse pubblico alla diffusione della notizia, messo in relazione con il danno riferito e riferibile all'interesse (pubblico o privato) contrapposto al riserbo: come rileva M. Savino, Il FOIA Italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, cit.: «benché quest'ultimo test, previsto da circa metà dei FOIA esistenti, assicuri una più robusta salvaguardia del principio di
trasparenza, il decreto in commento opta per l'altra soluzione (harm test, ovvero per il test del solo pregiudizio); nello stesso senso, M. McDonagh, The public interest test in FOIA legislation, in www.right2info.org, 2013, p. 7, riscontra la presenza ampia di modelli che prevedono un public interest test.
[74] Cfr. C.Tommasi, Le prospettive del nuovo diritto di accesso civico generalizzato, in Riv. Dir. pubbl. comparato italiano, 5/2018, www.federalismi.it, p.15: Un elemento interessante emerge dal parallelismo tra accesso europeo e accesso civico generalizzato italiano. Se si muove dal presupposto che il legislatore europeo ha utilizzato il criterio del public interest test per distinguere tra eccezioni assolute e relative, allora non possono trascurarsi le conseguenze della tesi secondo cui tale criterio sia implicitamente previsto nell’accesso civico italiano. Tale interpretazione comporterebbe l’applicazione del criterio del public interest test indiscriminatamente a tutte le categorie di «interessi-limite», anche a quelle che restano escluse in ambito europeo (ad esempio, sicurezza pubblica).
[75] Un richiamo a tale tecnica, in relazione all'oscuramento di dati personali, in T.A.R. Piemonte, Sez. II, 24 luglio 2017, n. 886, in De jure.
[76] Il giudice amministrativo sembra già orientato in tal senso. Si veda Cons. Stato, Sez. IV, 14 luglio 2016, n. 3631, dove -negata a un giornalista la legittimazione ad accedere a documenti contrattuali in possesso del Ministero dell’economia e delle finanze, in base alla restrittiva disciplina dell’accesso procedimentale (art. 24, L. n. 241 del 1990) -si afferma, a proposito del nuovo diritto di accesso e dei limiti previsti dall’art. 5 bis del D. Lgs. n. 33 del 2013, che le amministrazioni saranno chiamate a «valutare, se i limiti ivi enunciati siano da ritenere in concreto sussistenti, nel rispetto dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza, a garanzia degli interessi ivi previsti e non potrà non tener conto, nella suddetta valutazione, anche delle peculiarità della posizione legittimante del richiedente».
[77] In questi casi i soggetti controinteressati coinvolti devono sempre essere interpellati dall’ente destinatario delle richieste, e le motivazioni rese rappresentano un indice della sussistenza di un pregiudizio concreto, che va in ogni caso valutato dall’ente alla luce di ulteriori criteri, anche nel silenzio del controinteressato.
[78] V. Delibera ANAC 1309 del 28 dicembre 2016 p.21 ss.
[79] Cfr. Tar Lazio, sez. I, 14 febbraio 2018 n.1734, in www.portale.fnomceo.it
[80] In questo panorama la missione specifica delle autorità indipendenti sarebbe quella di garantire il contraddittorio economico paragonato al litisconsorzio necessario contro i fallimenti del governo e del mercato stesso, ed in settori in precedenza caratterizzati da un monopolio si occupa anche di compiere iniziative funzionali all’istituzione di un mercato concorrenziale
[81] V. A. La Spina, G. Majone, Lo Stato regolatore, Bologna, 2000, pp. 167 ss.; M. Clarich, Un approccio «madisoniano», in A. Grassini (a cura di), L’indipendenza delle autorità. Il Mulino, Bologna, 2001, pp. 91 ss.
[82] Problematiche che vengono in rilievo nel caso dell’Autorità nazionale anticorruzione che detta linee guide vincolanti, che integrano il codice degli appalti pubblici, e pertanto incidono direttamente sui diritti e sugli obblighi dei consociati. Il rischio che ne consegue è quello di affidare ad autorità prive di qualsivoglia responsabilità politica, la determinazione erga omnes del contenuto dei diritti e degli obblighi dei consociati, con irrimediabile vulnus dei principi di rappresentanza democratica, che fondano la cessione di sovranità dal popolo alle assemblee legislative e, per esse, all’Esecutivo. Occorre, in altri termini, scongiurare il pericolo che la tecnocrazia si sostituisca alla democrazia e la competenza alla politica nella regolazione generale e astratta dei rapporti giuridici.
Si è pertanto avanzata in dottrina una tesi, secondo la quale, tali strumenti di regolazione assurgano a fonti secondarie. Rispetto a tale possibile configurazione si sviluppano due tesi contrapposte: la prima, largamente condivisa da dottrina e giurisprudenza, ritiene che lo schema del regolamento come fonte secondaria, così come delineato dall’art. 17 della l. 400/1988, non può essere considerato come unico ed indefettibile, atteso che il rispetto del principio di legalità impone solo che la legge autorizzi un atto secondario a dettare una disciplina regolamentare, ancorché con forme e modalità diverse da quelle del regolamento; la seconda evidenzia come l’art. 117 Cost. sesto comma, nel disciplinare la competenza all’esercizio della potestà regolamentare, configuri il regolamento come unica fonte di normazione secondaria ammessa.
Per escludere la violazione dell’art. 117, comma 6, Cost., nelle ipotesi di linee guida nazionali che incidano su materie di competenza regionale, appare invero necessario ricondurre l’adozione delle Linee Guida al meccanismo della cd. chiamata in sussidiarietà, secondo lo schema delineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 303 del 2003, che consente allo Stato di esercitare funzioni amministrative in materia di competenza regionale per rispondere a superiori esigenze di unitarietà, a patto che sia garantito il rispetto del principio di leale collaborazione mediante adeguate forme.
Facendo delle considerazioni generali, non si può non notare che da anni stia prendendo piede il c.d. fenomeno della «fuga da regolamento»; basti pensare ai frequenti rinvii fatti dalla legge ai decreti ministeriali, per dettare normative di attuazione, o ancora all’applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, in ragione del quale il nomen iuris rimane privo di qualsivoglia rilevanza, dovendo riscontrare ai fini della qualificazione della natura dell’atto la presenza degli indici che connotano la qualificazione degli atti come regolamento (generalità, astrattezza, innovatività, attitudine a integrare la fattispecie astratta e non eccezionalità e temporaneità degli effetti). La Corte Cost., in ossequio a tale impostazione, con la sentenza n. 275 del 2011 ha riconosciuto i requisiti della generalità ed astrattezza e correlativamente la natura di atto regolamentare, alle linee guida che disciplinano il procedimento di autorizzazione alla installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Addirittura, la Corte Cost., nella pronuncia n. 11 del 2014, si è espressa nel senso di ritenere che le stesse possano assurgere a parametro di legittimità costituzionale in qualità di fonte interposta, sancendo che se per un verso gli atti di normazione secondaria, qualora autonomamente considerati, non possono assurgere al rango di normativa interposta, per altro verso, diversa è la conclusione cui deve giungersi ove essi vengano strettamente ad integrare, in settori squisitamente tecnici, la normativa primaria che ad essi rinvia.
La difficoltà del corretto inquadramento giuridico delle linee guida vincolanti ANAC è stata avvertita dallo stesso Consiglio di Stato, che ha chiaramente suggerito al Governo di riesaminare il riparto della disciplina attuativa tra i modelli dei decreti ministeriali e delle linee guida.
Ad ogni modo, la ragione della previsione di tale strumento di regolazione può essere individuata nell’esigenza di strumenti più veloci, flessibili e meno formali, più confacenti alle sollecitazione di un’economia globalizzata, così da dar seguito all’auspicio formulato da Smith e Coase circa la preminenza del mercato sulla politica, che porta ad una destrutturazione dell’assetto delle fonti, attraverso un processo di progressiva erosione della sfera della regolazione autoritativa formale e costituzionale in favore di strumenti di normazione flessibile, atipica e concertata.
[83] Per l’espressone «strumenti di controllo» si veda E. D’Alterio, Pubbliche amministrazioni in crisi ai tempi della trasparenza, in Giorn. Dir. amm. 4/2018, pp. 511 ss.
[84] La funzione di controllo («puro») non può incidere sulla discrezionalità e gestione amministrativa, il che non esclude, in ogni caso, che il soggetto controllore disponga di un potere di indirizzo; tuttavia, tale potere di indirizzo non potrà che riguardare le modalità di svolgimento del controllo stesso (o dei sistemi di controllo interno) e mai i contenuti dell’attività gestionale del soggetto controllato. Quanto indicato trova riscontro nei caratteri delle attività dei principali soggetti controllori che operano nell’ordinamento: si pensi ai revisori (co. 5, art. 20, d.lgs. n. 123/2011), ai servizi ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato (artt. 23 e 24, D.Lgs. n. 123/2011), alle sezioni di controllo della Corte dei conti (art. 3, commi 4 ss., L. n. 20/1994), agli organismi indipendenti di valutazione (art. 14, D.Lgs. n. 150/ 2009), ecc. Al contempo, questi soggetti controllori sono caratterizzati da alcuni rilevanti limiti e contraddizioni, per una ampia disamina di tali aspetti, sia consentito il rinvio a E. D’Alterio, I controlli sull’uso delle risorse pubbliche, Milano, 2015, spec. pp. 340 ss.
[85] La nozione giuridica di «comando» riguarda, in modo particolare, i rapporti di sovraordinazione e gerarchia, caratterizzati da un potere di ordine, che può esprimersi, appunto, con ordini ma anche con atti di indirizzo vincolanti. Il comando si distingue, dunque, dalla «direzione»: più precisamente, il potere di ordine e il potere di direttiva hanno in comune una parte dell’effetto, che è un vincolo del comportamento dell’autorità subordinata, la quale adotta un «giudizio di adattamento» al caso concreto, quando è chiamata a provvedere. Ciò che varia è il contenuto del giudizio di adattamento, che mentre nell’ordine ha carattere puramente applicativo (meccanico, dicono taluni), nella direttiva ha carattere valutativo, talora anche in modo molto pronunciato”, M.S. Giannini, Diritto amministrativo 3, Milano, Giuffrè, 1993, pp. 314-315. I poteri di ordine dell’Anac, espressi attraverso l’adozione di ordini (si v. in materia di trasparenza, ex art. 45, commi 1 e 4, D.Lgs. n. 33/2013) e atti vincolanti (come le linee guida in materia di contratti pubblici) presentano caratteri molto affini alla nozione di comando sopra delineata, pur non potendosi riconoscere tra la stessa Anac e le pubbliche amministrazioni un rapporto di soprordinazione o gerarchia stricto sensu.
[86] Si pensi a continui interventi di tagli alle risorse in ragione di inefficienti politiche di spending review, l’inidoneità delle politiche retributive e di reclutamento, la presenza sempre più frequente di forme di commissariamento, esplicite ed implicite, della macchina amministrativa ad opera dei vertici politici.
[87] V. in tal senso M. Savino, Il FOIA Italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, cit. p. 602.
[88] Concordemente cfr. B. Sullivan, FOIA and the First Amendment: Representative Democracy and the People’s Elusive «Right to Know’, in https://poseidon01.ssrn.com.: «The evolution of American thought and jurisprudence about the «right to know» in the second half of the twentieth century can best be understood in connection with developing understandings about the relationship between the citizen and the state in a representative democracy. While the conversation about the nature of that relationship began long ago, it became intense in the post-war period. One understanding of the relationship between citizenship and the “right to know,” which reflects a strong notion of active citizenship, may be found in the national and supranational rights instruments that were adopted during the second half of the twentieth century: in the aftermath of the World War II, after the fall of Communism in Central and Eastern Europe, and at the end of the apartheid regime in South Africa. Jacques Maritain, the French philosopher whose thought is reflected in some of those instruments»
[89] B. S. Noveck, Is Open Data the Death of FOIA?, 126 YALE L.J. F., 2016, pp. 276 ss. in Link; V. sul punto Mario Savino, La trasparenza amministrativa e la prevenzione della corruzione, cit.: «L’adozione dei FOIA è associata ad una più bassa corruzione e a un rafforzamento della capacità di controllo della corruzione, in quanto tenere a produrre, nell’immediato, un aumento dei casi di disvelamento di condotte corruttive e, nel medio periodo, una riduzione dei livelli complessivi di corruzione».
[90] Il FOIA può dare un contributo effettivo alla lotta della corruzione: che la trasparenza reattiva abbia, sotto questo profilo, potenzialità maggiori rispetto alla trasparenza proattiva, sulla quale il nostro legislatore ha a lungo insisto in passato, è un dato intuitivo. Cfr. M. Savino, Il FOIA Italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, cit., p. 603.
[91] Negli Stati Uniti più di 700.0000 richieste di accesso, ai sensi del FOIA, vengono rigettate ogni anno. FOIA, U.S. DEP’T JUST, http://www.foia.gov
[92] Un accesso a richiesta individuale consente un controllo migliore, un contemperamento più mirato, ritagliato sul singolo caso, tra due valori che hanno sì segno opposto, ma che devono trovare la giusta armonia all’interno di una democrazia matura. Cfr. G. Gardini, Il codice della trasparenza, cit. p. 891.
[93]Ibidem, I principi fissati dal Codice sulla privacy esigono infatti proporzionalità, pertinenza, non eccedenza, indispensabilità, nel trattamento di dati personali: pare evidente che nessuno di questi principi può essere salvaguardato dalla diffusione dei dati attraverso la rete globale, aperti all’indicizzazione dei motori web e al riutilizzo, secondo il modello open data.
[94] For fifty years, the Freedom of Information Act has been the platinium standard for open government in the United States. […] FOIA’s many limitations have also become evident: a cumbersome process, delays in responses, and redactions that frustrate journalists and other information seekers. […] With over 700.000 FOIA requests filed every year, the federal government faces the costs of a mounting backlog. Cfr. B. S. Noveck, Is Open Data the Death of FOIA?, cit.
[95] In 2015, over 59% of FOIA requests were released in part. Only 33% of requests were published in full. v. FOIA, U.S. DEP’T JUST, http://www.foia.gov.
[96] Per ovviare a tale inconveniente alcuni FOIA impongono di pubblicare i documenti ai quali sia stato consentito l’accesso in un certo numero di casi, c.d. user-driven proactive transparency. Esemplare è la previsione contenuta nell’Access to Public Information Act (APIA) sloveno del 22 marzo 2003, che prevede la pubblicazione di «All public information requested by the applicants at least three times» (art. 10, par. 1, n. 6, APIA. Analoga, ma meno stringente è la disposizione del FOIA statunitense, secondo cui «Each agency, in accordance with published rules, shall make available for public inspection and copying [...] (D) copies of all records, regardless of form or format, which have been released to any person [...] and which, because of the nature of their subject matter, the agency determines have become or are likely to become the subject of subsequent requests for substantially the same records» (5 U.S.C. sect. 552, come modificato dall’e-FOIA del 1996). Più circoscritta è, invece, la portata della previsione contenuta nel FOIA messicano: la norma di chiusura relativa agli obblighi di pubblicazione fa riferimento a «Any other information that may be useful or considered relevant, in addition to informationbased on statistical surveys that is responsive to the public’s most frequently asked questions» (art. 7, par. XVII, della legge 11 aprile 2002, Ley federal de transparencia y acceso a la información pública gubernamental), cfr. M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., pp. 803 ss.
[97] Espressione utilizzata da B. S. Noveck, Is Open Data the Death of FOIA?, cit.
[98] V. § 9. – Il riordino degli obblighi di pubblicità.
[99] Con tali considerazioni non si vuole sminuire l’importanza del sistema FOIA come paradigma della trasparenza. Quest’ultimo dà la misura reale della cittadinanza, della libertà d’informazione, del diritto di cronaca. Basti pensare che senza tale diritto in America non avremmo avuto l’inchiesta del Boston Globe sui preti pedofili, in cui si chiese l’accesso agli atti giudiziari. Ciò che si vuole enfatizzare è che nell’era informatica in cui viviamo sono venuti alla luce strumenti che più efficacemente danno effettività a tali diritti.
[100] Si pensi ai giornalisti americani del Boston Globe che grazie all’accesso agli atti giudiziari hanno potuto portare avanti l’inchiesta sui preti pedofili.
[101] V. § 11. – I limiti all’accesso e le specificazioni dell’ANAC.
[102] V. B. S. Noveck, Is Open Data the Death of FOIA?, cit., p. 281.
[103] Inoltre, in Arizona dal confronto sui dati raccolti in merito alle diverse pratiche seguite dai medici sulle terapie che prevedono la prescrizione di oppiacei, si è realizzato un mutamento di pratiche mediche che ha portato alla riduzione del 4 %delle morti per overdose di oppiacei. E su questa scia altri Stati sono stati incentivati a rendere accessibili e raccogliere dati sulle pratiche mediche. Cfr. B. S. Noveck, Is Open Data the Death of FOIA?, cit., pp. 276 ss.
[104]M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., p.803.
[105] Solo una progressiva espansione degli obblighi di legge può erodere quell’area di opacità. Cfr. Mario Savino, La trasparenza amministrativa e la prevenzione della corruzione, cit., p.369.
[106] V. in tal senso M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., p. 803;
E. Carloni, Il nuovo diritto di accesso generalizzato, cit., pp. 581 ss.
[107] Come in parte ha fatto grazie all’introduzione dell’accesso civico come strumento di enforcement, e per mezzo del decreto trasparenza, prevedendo un riordino della materia, e puntando ad una disclosure di informazioni comprensibili da parte del cittadino, contrastando la c.d. opacità per confusione, e sfruttando gli strumenti digitali; se pur la strada per una piena efficienza degli strumenti di conoscibilità è ancora lunga.
[108] V. B. S. Noveck, Is Open Data the Death of FOIA?, cit.