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Pubbl. Lun, 11 Feb 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Il rito super accelerato ipercompresso contro gli atti positivi o negativi di ammissione alle procedure di gara

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Teresa Vuolo


L’art. 120 comma 2 bis c.p.a. introdotto dal d. lgs. n. 50/2016, prevede l’impugnazione breve entro il termine di trenta giorni dei provvedimenti di ammissione ed esclusione delle gare di appalto. I nodi della disciplina del rito super accelerato al vaglio del giudice Amministrativo, della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell´UE


Sommario: 1. Introduzione; 2. Il nuovo rito c.d. “super accelerato” per l’impugnazione delle ammissioni e delle esclusioni delle gare di appalto; 3. La presunzione di interesse a ricorrere; 4. La razionalizzazione del processo in materia di gare pubbliche e la nuova regola “ora o mai più”. La questione del ricorso incidentale; 5. L’aumento del costo del processo in materia di appalti pubblici; 6. L’art. 120 comma 2-bis c.p.a. al vaglio del giudice Amministrativo, Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea; 7. Analisi di impatto del contenzioso amministrativo in materia di appalti.

 1. Introduzione

Il giudice amministrativo, giudice della funzione pubblica e della legittimità nell’Amministrazione, ha assunto negli ultimi anni un ruolo sempre più rilevante e delicato nell’economia nazionale: secondo taluni, egli è diventato “giudice dell’economia”, introducendo per alcune materie un rito speciale, affinché il processo terminasse nel tempo più breve possibile, a tutela non solo del ricorrente, ma anche e soprattutto dell’interesse pubblico.

Accanto ad un rito ordinario, il c.p.a. prevede e disciplina i cd. riti speciali: questi procedimenti riguardano controversie che, in considerazione della loro peculiarità o per la loro particolare rilevanza economica o politica, sono connotati da regole speciali.

Invero, l’esigenza di una siffatta diversificazione si collega direttamente alla specificità dei settori ordinamentali oggetto di disciplina, in cui predominano due necessità primarie: la semplificazione e la accelerazione procedimentale.

Sostanzialmente è l’urgenza il fattore dirimente sotteso alla previsione di appositi riti speciali, nei quali l’ottica acceleratoria si traduce, nella maggior parte dei casi, in una dimidiazione dei termini processuali.

Ebbene, numerose sono le procedure che si discostano dalla regolamentazione ordinaria, contemplate dal Libro IV del codice del processo amministrativo[1]. La medesima ottica acceleratoria è ravvisabile negli interventi legislativi più recenti che, a diverso titolo, investono la disciplina giurisdizionale.

Si ci vuole, in particolare, riferire alle novità processuali introdotte, dapprima, ad opera del d.l. n. 90 del 24 giugno 2014, conv. in l. n. 114 dell’ 11 agosto 2014; e successivamente, al nuovo codice dei contratti pubblici di appalto e concessione, di cui al d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50, di attuazione delle cc.dd. Direttive europee appalti del 2014 e della delega al riordino dell’intera materia, rilasciata dalla l. n. 11 del 28 gennaio 2016.

2. Il nuovo rito c.d. “super accelerato” per l’impugnazione delle ammissioni e delle esclusioni delle gare di appalto

Più volte il legislatore, negli ultimi lustri, ha posto mano alle procedure di aggiudicazione dei contratti di affidamento in appalto di opere, forniture e servizi pubblici: in ciò sollecitato da un sentimento diffuso, o immaginario collettivo che l’esecuzione di opere pubbliche di forniture, servizi ed infrastrutture, di cui la nostra Nazione necessita, avvenga con grave ritardo addebitabile ai tempi del processo amministrativo. A prescindere dal fatto che i tempi processuali sono obiettivamente ed estremamente ridotti rispetto a quelli civili - il che comporta che non sempre le sentenze possono essere adottate con i necessari tempi di maturazione e riflessione - è sufficiente obiettare a tale erroneo convincimento che, anche se la giurisdizione fosse attribuita al giudice ordinario, un processo va comunque celebrato.

In ragione di tale erroneo convincimento, il legislatore ritenendo che la giustizia amministrativa costituisca un ostacolo ingombrante alla realizzazione celere degli interventi pubblici, ha introdotto per gli appalti un rito ancora più speciale. Su tale logica possiamo registrare, nell’ultimo decennio, una serie di interventi normativi, da ultimo il nuovo Codice dei Contratti pubblici, approvato con d.lgs. 50/2016, che, ha dato luogo ad un rito che si può definire “specialissimo”, “super accelerato” [2]o secondo taluni “ipercontratto” .[3]

Rispetto al sistema precedentemente delineato, la previsione normativa segna un elemento dirompente onerando i ricorrenti dell’impugnazione contro gli atti di ammissione e di esclusione nelle procedure di gara di appalto, in un momento in cui non essendosi svolta ancora la gara, l’interesse a ricorrere non è né attuale, né concreto.

Inoltre, la mancata impugnazione entro il termine di trenta giorni, stabilito dal legislatore, preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti della procedura, anche con ricorso incidentale.

La ratio sottesa, è quella di garantire con la massima celerità la definizione della platea dei concorrenti, al contempo, di garantire stabilità al provvedimento di aggiudicazione, proteggendolo da impugnazioni che ritarderebbero inevitabilmente la stipula del contratto.

Il sub-rito in questione trova la propria disciplina ai commi 2-bis e 6-bis dell’art. 120 c.p.a.[4]

3. La presunzione di interesse a ricorrere

In un sistema di giurisdizione soggettiva, come quello del processo amministrativo, è essenziale, perché il giudice possa essere investito di una domanda giudiziale, che sussista la prima condizione dell’azione: “Per agire in giudizio è necessario avervi interesse”, secondo il principio generale dell’art. 100 c.p.c., valevole anche per il processo amministrativo, in virtù della regola generale dell’art. 39, comma 1, c.p.a. (che rinvia ai principi generali espressi dal c.p.c.); e come è presupposto dall’art. 35, comma 1, lett. b, che prevede che il ricorso è inammissibile quando è carente l’interesse.

“L’interesse, cioè il bisogno di tutela giurisdizionale indispensabile per rimuovere un atto lesivo, dev’essere concreto e attuale, non teorico o generico” [5]. Secondo questa regola generale, che si riflette anche nell’art. 34, comma 2, c.p.a. (“In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”), non è data azione in giustizia amministrativa per ricordare soltanto l’astratta volontà di massima della legge e la sua mera soggettiva prospettazione” [6][7]. “Pas d’intérêt, pas d’action[8]: l’interesse - si usa dire - è la misura dell’azione e dev’essere serio, reale, non banale. È usualmente l’effettiva consistenza dell’interesse a formare oggetto di un accertamento preliminare e immanente, che rimane come possibile e anzi doveroso per tutto il processo.

È dunque inammissibile un’azione di mera iattanza, ovvero provocatoria (ad es. perché tesa a portare alla luce quanti tra i competitori hanno un serio interesse alla gara), perché l’utilità finale resterebbe sotto condizione di un’aggiudicazione futura e incerta [9].

A guardare le cose dal punto di vista dell’aggiudicazione,la riforma legislativa provvede mediante una tacita fictio iuris. Abilitando al ricorso immediato, dà per costituito l’interesse a ricorrere, quasi fosse avvenuto a quel riguardo un effetto di lesione al “bene della vita”: cioè come ad applicarvi – secondo lo schema proprio delle finzioni giuridiche – una fattispecie legale di costituzione della lesione medesima.

Il nuovo art. 120, comma 2-bis, c.p.a., senza dirlo, agisce così sul rapporto tra lesione, interesse a ricorrere e azione in giudizio. La formula mostra che gli atti relativi alla costituzione dei protagonisti della gara sono considerati automaticamente generatori di un distinto interesse a ricorrere: e così è data azione in quanto ne è presunto l’interesse. Il rapporto tra interesse a ricorrere e azione in giudizio è del resto consolidato in giurisprudenza ed era stato analiticamente ricostruito dal Cons. Stato, Ad. plen., 27 gennaio 2003, n. 1, sull’impugnazione immediata dei bandi di gara.

Sempre dal punto di vista dell’aggiudicazione, la finzione giuridica opera – come spesso avviene - mediante una tacita presunzione assoluta: che è di lesività e che serve a dare attualità all’interesse a ricorrere. Si tiene luogo di una lesione effettiva ancora non prodotta del bene ultimo della vita, cioè della pretesa all’aggiudicazione: fattispecie che si avrebbe davvero soltanto o con l’esclusione o con la soccombenza finale nella gara. Insomma, per abilitare all’immediata impugnazione si attribuisce virtualmente concretezza e attualità a ciò che rappresenta una lesione ancora, nelle more del provvedimento conclusivo, solo indiziaria e potenziale, non già concreta ed effettiva.

Si crea la base giustificativa per un’azione immediata che, da quell’angolazione, appare in prevenzione: per il mero timore di un damnum nondum factum, quod futurum veremur, come tradizionalmente è nell’azione di danno temuto (damnum infectum).

Fermo quanto detto, va anzitutto considerato che l’operazione non è del tutto nuova nella pratica, perché a risultati analoghi si è pervenuti in giurisprudenza. Ad esempio, da tempo, si tende a ravvisare un’analoga equiparazione quando si tratta di impugnazione delle clausole del bando di gara immediatamente lesive degli interessi dell’aspirante,[10] collegandovi pregiudizievoli effetti decadenziali.[11]Paradigma giustificante è da lungo tempo quello della sufficienza dell’interesse strumentale, dove l’azione in giudizio si giustifica anche se non ne consegue direttamente il “bene della vita”, ma solo l’opportunità, concreta, di conseguirlo.

Questa formula di scorporamento ripete, in qualche modo, lo schema processuale di tutela anticipata dell’art. 129 c.p.a. sul giudizio contro le esclusioni dal procedimento preparatorio per le elezioni locali e regionali: dove la struttura bifasica del contenzioso vuole, speditamente, risolte in origine, le questioni giudiziarie sulla titolazione alla contesa elettorale, mettendone al riparo i successivi risultati. L’art. 129, però fa testuale riferimento ai “provvedimenti immediatamente lesivi del diritto a partecipare al procedimento elettorale preparatorio. L’immediata lesività, lì, è correlata all’enunciazione legale di un diritto a partecipare, bene in sé, e  che di suo, precede la pretesa al “bene della vita” del risultato elettorale [12].

La ricordata elaborazione giurisprudenziale, che in tema di procedure per i contratti pubblici, aveva dato vita a contenziosi a duplice sequenza, vedeva la lesività immediata nella lex specialis di gara o nell’esclusione non automatica: ma pur sempre compiendo una valutazione ordinaria circa l’attualità dell’interesse a ricorrere, che faceva giungere ad apprezzarne la correttezza in proporzione alla ragionevole effettività delle chances di ottenere l’aggiudicazione [13]. Qui invece, ad avere riguardo al bene finale della vita, si opera sull’interesse futuro convertendolo senz’altro in interesse attuale, indipendentemente dall’effettività delle chances.

L’innovazione agisce, dunque, sulla condizione dell’azione intrinseca della domanda di giustizia e della giustificabilità della risposta giudiziaria: ma riflette, per mano legislativa, una tendenza all’ammissione pretoria di nuovi spazi di anticipazione dell’azione, che ormai si registra per esigenze di sicurezza giuridica connesse all’accelerata dinamica degli interessi economici, in rapporto alle diverse tempistiche della giurisdizione.

All’allineamento tra le due risorse si vuol pervenire, allargando le porte d’ingresso, alla seconda. Il risultato è modellato in una costruita astrazione dall’effettività della lesione ultima, in modo da escludere, al momento dell’azione in giustizia, la valutazione in concreto della lesione medesima.

È così, grazie a questa attualizzazione ed allo scorporamento di tutela giudiziale che ne segue, che si crea un modello complessivo di contenzioso a duplice sequenza: dove questo nuovo sottosistema accelerato viene disgiunto da quello successivo - che resta ampio e residuale - delle impugnazioni sulle modalità restanti o sull’esito oggettivo della gara.

A questo punto, ci si può chiedere se esaminare questo tema, dal punto di vista del bene finale dell’aggiudicazione, non sia restrittivo; e se questa innovazione, in realtà, non si rifletta, in termini sostanziali, sulla configurabilità di una pretesa sostanziale ed autonoma circa il perimetro dell’insieme dei concorrenti. A ben vedere, infatti, questa costruzione appare lo specchio di un interesse alla legittima formazione dei concorrenti al successivo sviluppo procedimentale. Se, come spesso si afferma, l’interesse a ricorrere riflette in concretezza e attualità l’esistenza sostanziale di un interesse legittimo, è lecito chiedersi se all’innovazione non corrisponda un autentico interesse legittimo, che è alla giusta formazione della platea dei concorrenti alla gara, bene che ora diviene tutelabile autonomamente. L’utilità del fine contiene l’utilità del mezzo: se il mezzo è già sufficientemente utile, evidentemente corrisponde ad un interesse sostanziale già presente alla legittimità di quella prima fase del procedimento. Il tema investe perciò la ratio, la natura e la stessa effettività della tutela giurisdizionale amministrativa[14].

4. La razionalizzazione del processo in materia di gare pubbliche e la nuova regola “ora o mai più”. La questione del ricorso incidentale

Un tema di grande attualità, coinvolgendo l’istituto del ricorso incidentale, concerne l’applicabilità dello stesso all’interno del c.d. rito “super accelerato” in materia appalti e la corretta individuazione del dies a quo dal quale decorre il termine per la proposizione di siffatto ricorso.

L’introduzione del comma 2-bis, all’interno del testo dell’art. 120 c.p.a., ha costituito terreno fertile per un importante dibattito interpretativo.

A fronte del predetto dato normativo, una prima posizione sostiene l’inconfigurabilità, non solo di un ricorso incidentale escludente a valle l'impugnazione principale dell’aggiudicazione (come testualmente previsto dal citato comma 2-bis), ma anche di un ricorso incidentale, quale strumento di risposta ad un ricorso immediato avverso l’altrui ammissione proposto in forza del predetto comma, attesa la presunzione assoluta di insorgenza immediata dell’interesse a ricorrere.

In buona sostanza, l’interesse a proporre un ricorso incidentale sorge solo per effetto dell’avvenuta proposizione del ricorso principale, secondo quanto statuito dall’art. 42, comma 1, c.p.a. (“Le parti resistenti e i controinteressati possono proporre domande, il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale a mezzo di ricorso incidentale”).

La presunzione, assoluta e generalizzata, di interesse a ricorrere per tutti i concorrenti, come da previsione di cui al comma 2-bis, anticipa l’insorgenza dell’interesse a ricorrere “escludente”.

L’Adunanza Plenaria 26 aprile 2018 n. 4, ha stabilito che l’omessa attivazione del rimedio processuale, nel termine di trenta giorni, preclude al concorrente non solo la possibilità di dedurre le relative censure in sede di impugnazione della successiva aggiudicazione, ma anche di paralizzare, mediante lo strumento del ricorso incidentale, il gravame principale proposto da altro partecipante avverso la sua ammissione alla procedura.

In posizione antitetica, rispetto a quanto appena evidenziato, una differente tesi giurisprudenziale asserisce che il richiamo del comma 6-bis, da parte del comma 2-bis, rappresenta un indice dell’ammissibilità del ricorso incidentale anche nell’ambito del c.d. rito “super accelerato”.

Inoltre, la prevedibilità di un ricorso incidentale, quale formale impugnazione del medesimo provvedimento, oggetto di impugnazione principale, risponde all’esigenza di concentrare in un unico giudizio tutte le questioni attinenti alla fase di ammissione ed esclusione del concorrente.

Tale secondo orientamento è suffragato dal Consiglio di Stato, Sez. V, 10 novembre 2017 n. 5182, il quale ha altresì rilevato come la corretta lettura del dato testuale, del più volte citato art. 120 comma 2-bis, porta a ritenere che la portata del rimedio processuale del ricorso incidentale debba considerarsi preclusa esclusivamente nei casi di deduzione in sede di impugnazione della successiva aggiudicazione delle censure relative alla fase di ammissione. 

Ex adverso, la totale inammissibilità dello strumento in esame comporterebbe una chiara e grave compromissione delle facoltà di difesa della parte resistente, la quale, stante la contestazione della sua ammissione alla gara, non potrebbe in alcun modo paralizzare, in via riconvenzionale, l’iniziativa avversaria [15].

Il nuovo dispositivo, si incentra perciò, sulla regola dell’ “ora o mai più”, aut nunc aut numquam. La mancata impugnazione di tali provvedimenti, negli stretti termini stabiliti, preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti della procedura di gara, anche con ricorso incidentale. La configurazione dell’azione per presunzione legale, non solo anticipa, ma anche assorbe, senza rimedi, l’utilità pratica dell’insorgere successivo della lesione effettiva: negandole efficacia, preclude l’utilità del manifestarsi effettivo dell’interesse a ricorrere e così la possibilità di una rimessa in discussione della legittimazione a partecipare alla gara.

I provvedimenti in questione debbono essere impugnati, nel termine di trenta giorni, dalla relativa pubblicazione sul profilo della stazione appaltante, nella sezione "Amministrazione Trasparente", ai sensi dell'art. 29, comma 1, c.p.a.
Ne deriva, così, che il successivo provvedimento di aggiudicazione, sopraggiunto in corso di causa, debba essere necessariamente gravato con ricorso autonomo oppure, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, anche con motivi aggiunti; in ogni caso il gravame comporta un significativo esborso economico, collegato alla duplicazione del contributo unificato da versare: in sostanza, viene in questo modo ad essere introdotto un "nuovo modello complessivo di contenzioso a duplice sequenza”. [16]Le peculiarità del rito in esame hanno già spinto la giurisprudenza a delinearne un'interpretazione restrittiva, coerentemente con il carattere speciale e derogatorio dello stesso, ritenendo estranei all'ambito di applicazione dei summenzionati commi 2-bis e 6-bis, i provvedimenti di esclusione che non dipendano dalla mancanza dei requisiti soggettivi (come letteralmente indica la norma), ma da altri motivi.

A titolo esemplificativo, si pensi alle ipotesi afferenti alla garanzia provvisoria, al mancato esercizio del potere di soccorso istruttorio (ovviamente non riguardante profili inerenti i requisiti di partecipazione dei concorrenti), alla documentazione di cui si compone l'offerta ecc. [17]
La ratio della previsione è indubbiamente quella di porre rimedio alla prassi della sovrapposizione di censure incrociate sulla fase iniziale della procedura di gara quando essa sia già giunta a conclusione. Al fine di tutelare la stabilità della gara, dunque, il ricorso incidentale escludente, sarà precluso qualora con esso si voglia contestare la mancanza di requisiti in capo al ricorrente principale[18].
Diverso orientamento, invece, sostiene che la questione possa dirsi solo parzialmente superata dalla novella legislativa posto che la necessità di contemperare la finalità deflattiva del contenzioso con il diritto di difesa, impone di attribuire all'art. 120, comma 2-bis, un'interpretazione strettamente letterale, in forza della quale il nuovo rito speciale ha un raggio di operatività che non comprende, genericamente, tutti gli atti di esclusione e di ammissione, ma riguarda esclusivamente il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all'esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali. Parrebbero, dunque, esclusi da questa dizione le ammissioni o le esclusioni riguardanti altri aspetti delle offerte, come ad esempio l'anomalia o il contenuto delle offerte tecniche od economiche.
Pertanto, così come dimostrato dalle recenti pronunce, rese in materia di ricorsi incidentali escludenti, l'attuale formulazione della norma non può essere considerata del tutto idonea a evitare il rischio di ricorsi incrociati escludenti, destinati a provocare la ripetizione della gara.
Interpretazioni restrittive della disciplina in esame, sono già state confermate dalla giurisprudenza, con riferimento alla decorrenza del termine per impugnare, con ricorso incidentale, l'ammissione di un altro concorrente in gara. 
In particolare è stato affermato che "il dies a quo per proporre il ricorso incidentale avverso l'ammissione di altro concorrente dalla gara decorre - in applicazione del principio dettato dall'art. 42, comma 1, c.p.a. - dalla notifica del ricorso principale e non dalla conoscenza del provvedimento di ammissione pubblicato sul profilo del committente, ferma restando la preclusione all'attivazione di tale rimedio processuale, quale strumento per dedurre, in sede di impugnazione della successiva aggiudicazione, le censure riferite alla fase di ammissione”.[19]
L'intervento del Consiglio di Stato – che ha riformato in parte la sentenza T.A.R. Napoli, Sez. I, 13 giugno 2017, n. 3226 − è stato necessario al fine di impedire che anche il termine di decadenza per la proposizione del ricorso incidentale fosse ancorato alla pubblicazione dei provvedimenti di ammissione ed esclusione, mediante l'affermazione del principio per cui in termini di rapidità di celebrazione del contenzioso, la posposizione del ricorso incidentale alla notifica del ricorso principale importa un incremento dei tempi processuali non significativo (trenta giorni), e comunque, del tutto equivalente all'analogo differimento tollerato in caso di proposizione dei motivi aggiunti (art. 120, comma 6-bis, c.p.a.).
Dal punto di vista testuale, inoltre, il fatto stesso che l'art. 120, comma 6-bis c.p.a., faccia espressa menzione del ricorso incidentale, induce a ritenere che la portata di tale rimedio processuale sia da intendersi estesa (quantomeno anche) agli atti che costituiscono l'oggetto proprio di questa tipologia di rito.
Sempre sul piano testuale e nel medesimo senso, è apprezzabile il fatto che l'art. 120, comma 2-bis, precluda, in caso di mancata impugnativa, nel ristretto termine ivi previsto, la sola facoltà di far valere con ricorso incidentale l'illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, con ciò riferendosi espressamente ad attività ulteriori e posteriori rispetto ai provvedimenti di ammissione ed esclusione dei candidati, quali l'esito della valutazione delle offerte o l'aggiudicazione; e che, a contrario, alcuna espressa preclusione sia prevista con riferimento ad ulteriori modalità di esplicazione del rimedio incidentale. Il che porta a ritenere che il comma 2-bis non abbia voluto in alcun modo limitare l'attivazione del rimedio nelle modalità ordinarie tracciate dall'art. 42, comma 1, c.p.a.
Esaminati questi aspetti, il Consiglio di Stato ha affermato che ove il dies a quo decorresse dalla conoscenza dei provvedimenti di ammissione, il rimedio processuale azionato dal concorrente convenuto in giudizio, finirebbe per risultare del tutto svincolato e indipendente dal ricorso principale: ciò sia sotto il già esaminato profilo del termine decadenziale della sua introduzione in giudizio e sia sotto il profilo della essenzialità della sua cognizione, poiché il giudice sarebbe chiamato, in ogni caso, a scrutinare il mezzo incidentale, anche in ipotesi di acclamata infondatezza del rimedio principale. Più in generale, il giudice dovrebbe esaminare entrambe le impugnative, indipendentemente dai loro esiti rispettivi, trattandole alla stregua di azioni del tutto autonome e prive di reciproche implicazioni. Dunque, non di ricorso incidentale, in senso proprio, potrebbe discorrersi, una volta sterilizzatene tutte le più specifiche proprietà che lo configurano come strumento di difesa riconvenzionale, proponibile in via consequenziale all'impugnativa principale; in più, del ricorso incidentale non resterebbe nemmeno il nomen, poiché al giudizio di primo grado è del tutto estranea - in quanto nota solo al grado d'appello - la variante del ricorso incidentale nella forma, ma principale nella sostanza. 
Sennonché, l'espunzione della modalità procedurale, prevista dall'art. 42 c.p.a. comporta - in danno della parte resistente - una considerevole compromissione delle sue facoltà di difesa, non bilanciata da vantaggi o ragioni sistematiche di analogo rilievo. Ed invero, la parte intimata in giudizio, vista contestata la sua ammissione in gara, non potrebbe paralizzare, in via riconvenzionale, l'iniziativa avversaria; più in generale, il concorrente ammesso alla procedura, che volesse tutelarsi da eventuali iniziative avversarie miranti a provocarne l'esclusione dalla gara, non avrebbe altra via che quella di agire in via preventiva, impugnando le altrui ammissioni prima ancora di avere notizia di analoghe iniziative proposte nei suoi confronti e senza poter saggiare l'utilità difensiva della sua iniziativa processuale. Il che rileva, quanto a negare - in contrasto con l'art. 24 Cost. - l'idea di un esercizio proporzionato e consapevole del diritto di difesa, commisurato cioè ad una valutazione di necessità e di preventiva stima dei costi e dei benefici che, correlandosi ad ogni intrapresa processuale, ne suggeriscono o sconsigliano l'onerosa attivazione. 
Per converso, l'interpretazione offerta dai giudici di Palazzo Spada preserva l'esigenza di concentrare, in un unico giudizio, caratterizzato dalla snellezza e celerità, di cui al comma 6-bis dell'art. 120, tutte le questioni attinenti alla fase di ammissione ed esclusione dei concorrenti, nella piena esplicazione dei principi della parità delle armi e della effettività del contraddittorio e al contempo, salvaguarda la natura dell'impugnazione incidentale quale mezzo di tutela dell'interesse, che sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale.
Ulteriori problematiche applicative, inerenti la nuova disciplina processuale, concernono l'idoneità o meno della presenza del rappresentante dell'impresa nel corso di gara a far decorrere il termine di impugnazione delle ammissioni o delle esclusioni.
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il termine per ricorrere decorerebbe in ogni caso dall'avvenuta conoscenza dell'atto di ammissione o esclusione, anche a prescindere dalla pubblicazione del provvedimento di ammissione o esclusione sul profilo del committente ai sensi dell'articolo 29, comma 1, d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50; ciò purché siano percepibili i profili che ne rendono evidente l'immediata e concreta lesività per la sfera giuridica dell'interessato.
Diametralmente opposta, invece, l'impostazione per cui il termine per l'impugnativa decorrerebbe esclusivamente dalla pubblicazione del provvedimento di ammissione o esclusione sul profilo del committente in quanto la disposizione di cui all'art. 120, comma 2-bis, c.p.a., prevede, espressamente ed inequivocabilmente, che il dies a quo per proporre tale particolare impugnativa, coincide con la data di pubblicazione del provvedimento che determina l'esclusione o l'ammissione sul profilo della stazione appaltante, stante la specialità di una simile previsione, che prevarrebbe su ogni altra previsione o applicazione di tipo giurisprudenziale.
L'arresto giurisprudenziale più recente, pur condividendo, in linea di principio, la natura speciale della normativa che impone l'onere di immediata impugnativa, ritiene che non sia sufficiente a far decorrere il termine per impugnare il provvedimento di ammissione dalla gara la sola presenza di un rappresentante della ditta alla seduta in cui viene decretata l'ammissione, e ciò in quanto tale presenza determina, al più, la conoscenza del provvedimento di ammissione e di quanto ivi emerso, oltre alla mera conoscibilità di eventuali ulteriori profili di illegittimità all'esito di successive indagini, ma non certamente la percezione immediata ed effettiva di tutte le irregolarità che, ove esistenti, inficino le relative determinazioni; atteso l'indicato carattere derogatorio, il criterio dell'effettiva completa conoscenza dell'atto impugnabile, comprensivo di tutti gli aspetti di lesività e illegittimità dello stesso, deve essere applicato in modo restrittivo, ai soli casi in cui, per gli elementi emersi nella seduta di gara, si evince che la parte dovesse essere sin da allora pienamente consapevole dei profili di illegittimità sollevabili.
Non vi sarebbe, infatti, ragione per procrastinare il termine di impugnativa prolungando la situazione di incertezza sulla sorte finale della gara d'appalto, che la norma sull'onere di impugnativa immediata ha inteso ridurre.
A prescindere dalla pubblicazione, in ogni caso, il criterio fondamentale a cui si fa riferimento è la piena conoscenza dell'atto, che può provenire da qualsiasi fonte, purché siano percepibili i profili che ne rendano evidente la lesività per la sfera giuridica dell'interessato in rapporto al tipo di rimedio apprestato dall'ordinamento processuale. Ciò in quanto, "in difetto di un'espressa e univoca correlativa espressa previsione legislativa a valenza derogatoria e in assenza di un rapporto di incompatibilità, deve escludersi che il comma 2-bis dell'art. 120 c.p.a., abbia apportato una deroga all'art. 41, comma 2,  c.p.a., e al principio generale della decorrenza del termine di impugnazione dalla conoscenza completa dell'atto. La piena conoscenza, dell'atto di ammissione, acquisita prima o in assenza della sua pubblicazione sul profilo telematico della stazione appaltante, può dunque provenire da qualsiasi fonte e determina la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso” [20].

“L’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., non implica l’assoluta inapplicabilità del generale principio sancito dagli artt. 41, comma 2 e 120, comma 5, ultima parte, c.p.a., per cui, in difetto della formale comunicazione dell’atto o in mancanza di pubblicazione di un autonomo atto di esclusione sulla piattaforma telematica della stazione appaltante il termine decorre, comunque, dal momento dell’intervenuta piena conoscenza del provvedimento da impugnare, conoscenza che per i provvedimenti di esclusione è insita nella percezione della sua adozione da parte dell’impresa esclusa, tanto più se acquisita congiuntamente a quella delle relative ragioni determinanti”.[21]
Il T.A.R. Lazio, con pronuncia n. 9379 del 22 agosto 2017, nel tentativo di offrire un'interpretazione dell'istituto processuale in esame non violativa del diritto di difesa, aveva rigettato un'istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, affermando che l'art. 120, comma 7, c.p.a., dovesse essere interpretato nel senso di riconoscere alla parte ricorrente la facoltà (e non l'obbligo) di proporre autonoma impugnativa avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara, eventualmente sopraggiunto nel corso del non ancora esaurito giudizio sull'ammissione/esclusione di un concorrente, sussistendo comunque la possibilità o di un'impugnativa congiunta o della proposizione successiva di motivi aggiunti.
La I Sezione del T.A.R. Piemonte, Sez. I, con ordinanza n. 88 - decisa nella Camera di Consiglio del 27 settembre 2017 e pubblicata in data 17 gennaio 2018 – ha, invece, individuato una violazione dei principi europei in materia di diritto di difesa e di presupposti dell'azione rimettendo la questione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

Si auspica che la Corte di Giustizia contribuisca a definire i confini dell'interesse a ricorrere garantendo effettività ai diritti di difesa in giudizio e di tutela del privato contro gli atti della P.A., che il recente rito “super accelerato” ha sicuramente vanificato e compresso [22].

5. L’aumento del costo del processo in materia di appalti pubblici

Il tema della eccessiva onerosità del contributo unificato [23], da versare per la proposizione di ricorsi in materia di appalti pubblici, è stato più volte portato all’attenzione della Corte costituzionale, avanzando dubbi circa la conformità, o meglio legittimità costituzionale della  normativa nazionale, che imponendo un certo tipo di tassazione, rischia di limitare l’accesso del cittadino alla tutela giurisdizionale [24].

Il diritto italiano, prevede che i tributi giudiziari applicabili ai procedimenti giurisdizionali relativi agli appalti pubblici, siano considerevolmente più elevati di quelli generalmente applicabili nell'ambito dei procedimenti amministrativi. 
Inoltre, tale tassazione è dovuta in modo cumulativo per ogni nuova fase procedurale che costituisca una nuova domanda fondata su motivi aggiunti. 
Per i ricorsi amministrativi, il contributo unificato ordinario è pari a 650 euro. 
Per materie particolari sono fissati importi diversi: in particolare, per gli appalti pubblici, il contributo unificato va dai 2 mila ai 6 mila euro, a seconda del valore dell'appalto. Ma il contributo unificato è dovuto non solo per il deposito del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per quello del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti che introducono domande nuove.

Nella sentenza “Orizzonte Salute” della Corte di Giustizia dell’Unione Europea [25], riguardante gli importi dei contributi unificati, si è affermato  il principio in base al quale “un contributo di oltre il 2% del valore dell’appalto rende la tutela giurisdizionale eccessivamente difficile”. Ebbene tale importo può facilmente essere raggiunto se gli operatori economici sono costretti a presentare ricorsi senza averne interesse [26].

La pronuncia, da collocarsi nell’alveo di quelle afferenti al rapporto fra diritto dell’Unione europea e norme procedurali nazionali, nasce in seguito ad un provvedimento di rinvio pregiudiziale, emesso dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, che prospettava un possibile contrasto fra l’art. 1 della Direttiva 89/665/CEE del Consiglio (che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori i principi d’effettività ed equivalenza) e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con l’art. 13, comma 6-bis, del d.p.r. n. 115/2002 in materia di spese di giustizia.

La pronuncia della Corte s’innesta soltanto parzialmente sulle argomentazioni avanzate dall’avvocato generale. I giudici di Lussemburgo muovono dalla consueta premessa, secondo la quale spetta a ciascuno Stato membro, in forza del principio di autonomia processuale, stabilire le modalità della procedura amministrativa e quelle relative alla procedura giurisdizionale intese a garantire la tutela dei diritti spettanti agli amministrati in forza del diritto dell’Unione. Tali modalità, non devono, tuttavia, violare i più volte richiamati principi d’equivalenza e d’effettività. Quanto alla prima questione, relativa alla compatibilità del singolo contributo unificato italiano dovuto per la proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici, la Corte ribadisce quanto già argomentato nelle conclusioni dell’avvocato generale.

Il principio d’equivalenza implica una parità trattamento dei ricorsi fondati su una violazione del diritto nazionale, e di quelli simili fondati, all'opposto, su una violazione del diritto dell’Unione e non l’equivalenza delle norme processuali nazionali applicabili a contenziosi di diversa natura, quali il contenzioso civile, da un lato, e quello amministrativo, dall’altro. Da ciò deriva l’irrilevanza del fatto che la normativa italiana imponga, anche nella medesima materia degli appalti, una diversa tassazione per le azioni proposte davanti al giudice civile o amministrativo.

Per quanto riguarda, invece, il principio di effettività, il cui rispetto coincide, nel caso di specie, con la garanzia del diritto fondamentale tutelato dall’art. 47 della Carta, la Corte di giustizia riprende fedelmente tutti gli assunti enucleati nella propria precedente giurisprudenza e sviluppa un iter argomentativo coerente con quello seguito dai giudici di Strasburgo.

In linea con quanto statuito nelle pronunce Weissman et al. c. Romania, Kemaloğlu c. Turchia e DEB, la proporzionalità del tributo, in correlazione con le circostanze del caso concreto e la capacità finanziaria del ricorrente, assurge dunque a criterio primario al fine di valutare se la tassazione giudiziaria costituisca un ostacolo – sormontabile o insormontabile – all’effetto utile dell’art. 1 della Direttiva 89/665 CEE ed al diritto d’accesso alla giustizia.

Ad avviso della Corte, i tributi giudiziari d’importo non superiore al 2% della base d’asta dell’appalto contestato non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione in materia di appalti pubblici. Nessuno degli elementi indicati nell’ordinanza di remissione, sottolineano i giudici di Lussemburgo, pare idoneo a rimettere in discussione una tale valutazione.

Priva di pregio è l’obiezione secondo la quale un siffatto sistema impositivo avrebbe creato una discriminazione avverso gli operatori con debole capacità finanziaria che esercitano nel medesimo settore di attività afferente all’appalto aggiudicato. Invero, evidenzia la Corte, il tributo è imposto, indistintamente, quanto alla sua forma e al suo importo, nei confronti di tutti gli operatori che intendano contestare una decisione della pubblica amministrazione in relazione all’affidamento del summenzionato appalto.

Il fatto che un amministrato -che possiede una maggiore capacità finanziaria- risenta in maniera minore di una tale imposizione fiscale rispetto ad un altro è, d’altro canto, inevitabile ed irrilevante, fintantoché la quasi totalità degli operatori possegga una situazione patrimoniale capace di sopportare, senza un pregiudizio apprezzabile per la proposizione dell’azione, la tassazione giudiziaria. A tal riguardo, sottolineano i giudici, già le disposizioni delle Direttive dell’Unione in materia di appalti pubblici, quali l’art. 47 della Direttiva 2004/18/CE, dispongono che la partecipazione di un’impresa ad una particolare gara d’appalto debba essere coadiuvata da una capacità economica e finanziaria adeguata all’affidamento per cui si concorre. Da ciò, conseguentemente, deriva che un’azienda, la quale competa per l’aggiudicazione di un appalto con base d’asta pari ad euro 200.000, possa presupporsi capace di sopportare un’imposizione pari ad euro 2.000 al fine d’accedere alle procedure giudiziarie di cui si discorre.

Egualmente irrilevante, prosegue la Corte, è il fatto che l’importo del contributo unificato venga calcolato in funzione del valore dell’appalto oggetto del procedimento principale e non in funzione del beneficio che l’impresa partecipante al bando di gara può legittimamente attendersi dall’esecuzione di quest’ultimo. Effettivamente, ove la questione venga trattata esclusivamente in relazione al metodo di determinazione dell’importo del contributo, l’osservazione è di scarso interesse. Come già evidenziato dall’avvocato generale nelle proprie conclusioni è matematicamente irrilevante che un contributo unificato sia calcolato utilizzando il 10% del margine di utile del valore dell’appalto come punto di partenza e non il valore dell’appalto in quanto tale se il risultato che si andrebbe ad ottenere – e non v’è ragione per credere che il legislatore si comporterebbe diversamente nelle determinazione dell’importo dei tributi – è lo stesso. In tal caso, l’unico effetto che si conseguirebbe sarebbe quello di sostituire un sistema di calcolo ragionevolmente certo con uno scomodo e imprevedibile, soggetto a continui ricorsi in relazione ai criteri utilizzati per determinare l’utile atteso.

D’altro canto, la considerazione del Tribunale amministrativo avrebbe potuto essere esaminata con più attenzione sotto un diverso aspetto, cioè quello del rapporto fra l’ammontare dell’onere tributario ed il beneficio astrattamente ottenibile dall’azione, al fine di determinare la proporzionalità dell’imposta richiesta, così come fatto dai giudici di Strasburgo nella sentenza del 12 luglio 2007 – “Stankov c. Bulgaria”- n. 68490/01.

Tuttavia, va comunque rilevato che in “Stankov c. Bulgaria” è stata ritenuta incompatibile con l’art. 6, par. 1, CEDU una tassazione giudiziaria capace di ‘assorbire’, per oltre il 90%, il beneficio astrattamente ottenibile dal ricorrente all’esito favorevole del giudizio e, pertanto, ben più incisiva di quella di cui è causa (che, in proporzione con l’utile presunto dell’appalto, consumerebbe all’incirca il 10% del beneficio dell’azione). Inoltre, il fatto che la parte soccombente sia tenuta, in linea di principio, a rimborsare i tributi giudiziari anticipati dalla parte che risulta vincitrice, vanifica alla base una tale obiezione. Invero, ove ci si muova in un contesto nel quale l’effetto dissuasivo nella proposizione dell’azione non derivi dall’impossibilità d’anticipare le spese (cosa che accade in mancanza di capacità finanziaria), ma piuttosto dal fatto che l’impugnazione, pur all’esito favorevole, risulti di fatto priva di beneficio a causa dell’imposizione del tributo, il rimborso di quest’ultimo alla parte vittoriosa assurge a fattore assolutamente dirimente.

Quanto, invece, alla questione del cumulo dei contributi unificati la soluzione offerta dalla Corte si distingue da quella prospettata dell’avvocato generale. Sebbene, infatti, sia l’avvocato generale che la Corte arrivino alla conclusione che l’obbligo di pagamento di tributi giudiziari multipli possa astrattamente porsi in contrasto con l’accessibilità delle procedure d’impugnazione prevista dalla Direttiva n. 89/665 CEE e con il principio di effettività – ove tale obbligo vada a colpire ricorsi dall’oggetto non sufficientemente distinto da quello principale – essi non concordano sulla situazione dalla quale scaturirebbe un siffatto contrasto.

Più nello specifico, la Corte di Giustizia non condivide l’affermazione dell’avvocato generale secondo la quale, ogni atto giudiziario che risulti strumentale al fine d’assicurare il buon esito del ricorso principale debba considerarsi come avente il medesimo oggetto di quest’ultimo, cioè la sanatoria di ogni vizio della procedura d’aggiudicazione globalmente intesa, considerata dalla Direttiva n. 89/665 CEE, quale unità di base della tutela giurisdizionale. Condizione che avrebbe escluso la possibilità di assoggettare i ricorsi accessori al pagamento di un ulteriore contributo unificato, proprio perché caratterizzati da un petitum e una causa petendi identici a quelli dell’azione principale.

Ad avviso della Corte, infatti, la proposizione da parte di un operatore economico di diversi ricorsi o motivi aggiunti nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale, nonché la sola circostanza che la finalità sia quella di ottenere un determinato appalto, non comporta necessariamente che questi abbiano identità di oggetto con il ricorso principale.

“Di talché, la normativa italiana sul cumulo dei contributi non può ritenersi, in via generale, incompatibile con il diritto dell’Unione e l’art. 1 della Direttiva 89/665 CEE, nonché i principi di equivalenza e di effettività non ostano, né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, né a che tale amministrato sia obbligato a versare tributi giudiziari aggiuntivi per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso”. E ciò, sottolineano i giudici, “poiché una tale percezione contribuisce al raggiungimento di un fine legittimo: quello del buon funzionamento del sistema giurisdizionale, in quanto essa costituisce una fonte di finanziamento dell’attività giurisdizionale degli Stati membri e dissuade l’introduzione di domande che siano manifestamente infondate o siano intese unicamente a ritardare il procedimento”.

Nondimeno, la Corte si affretta, subito dopo, ad evidenziare che spetta comunque al giudice nazionale, in caso di contestazioni, esaminare gli oggetti dei ricorsi o dei motivi aggiunti dedotti nel contesto dello stesso procedimento, ed eventualmente dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi ove riscontri che non effettivamente distinto o non costituiscano un ampliamento considerevole dell’oggetto del giudizio.

La pronuncia “Orizzonte Salute” ha deluso le speranze di coloro che, specialmente a seguito delle conclusioni dell’avvocato generale, si aspettavano una declaratoria d’incompatibilità del sistema italiano di cumulo dei contributi con il diritto dell’Unione. Indipendentemente dalla diversità di pareri che vi possono essere in relazione all’opportunità di prevedere un così gravoso sistema d’imposizione fiscale, il verdetto della Corte lascia comunque adito a qualche perplessità, specialmente con riguardo al notevole – forse eccessivo – livello di self-restraint dimostrato dai giudici di Lussemburgo nell’interpretazione della Direttiva n. 89/665 CEE, in ossequio al principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri [27].

6. L’art. 120 comma 2-bis c.p.a. al vaglio del giudice Amministrativo, Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Sembrano sussistere dubbi di natura processuale, cioè di incardinamento della nuova norma nel sistema di tutela dei diritti esistente, nonché di rispetto delle norme di rango costituzionale e comunitario, così come accennato nei precedenti paragrafi.

I principi processuali europei di equivalenza e non eccessiva difficoltà della tutela giurisdizionale, alla luce dell’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., potrebbero essere vulnerati sotto vari profili.

Infatti né il “mezzo” processo sulle ammissioni, né il “mezzo” processo sull’aggiudicazione sembrano garantire pienezza ed efficacia della tutela.

Il primo processo di certo non è efficace, perché non consente di conseguire il “bene della vita” ambito, il secondo processo di certo non è pieno, perché non ha ad oggetto tutti i possibili vizi della procedura.

Identici problemi sorgono sotto il profilo dei principi processuali previsti dagli artt. 1 e 2 del c.p.a.: effettività della giurisdizione, parità delle parti, contraddittorio, giusto processo, leale collaborazione tra le parti per la realizzazione della ragionevole durata del processo. Si tratta peraltro di canoni che, in buona misura, rappresentano principi in tema di processo recati da norme costituzionali ed europee, queste ultime derivanti sia dal diritto dell’UE sia dal diritto CEDU, e delle disposizioni di cui all’art 24 ed all’art. 113 della Costituzione;

  1. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi.

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituiti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione” (art. 24 Cost.);

  1. Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.

           Tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per                        determinate categorie di atti.

            La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica                      amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa” (art. 113 Cost.).

In definitiva, la grave alterazione del principio di concentrazione della tutela giurisdizionale e di personalità ed attualità dell’interesse che il nuovo impianto processuale reca è suscettibile di determinare una violazione delle garanzie costituzionali ed eurounitarie nel processo in materia di appalti, perché, come visto, né il “mezzo” processo sulle ammissioni né il “mezzo” processo sull’aggiudicazione sembrano garantire efficacia e pienezza della tutela e la necessità di adirli entrambi può rendere eccessivamente difficile la tutela dei diritti.

Le problematiche di eccesso di contenzioso sui profili della ammissione e della esclusione dei concorrenti alle gare paiono, invero, da risolvere con altri strumenti previsti dall’ordinamento, come ad esempio la valorizzazione del soccorso istruttorio.

In ogni caso, non può che preoccupare la proliferazione dei riti del processo amministrativo, arrivati al ragguardevole numero di otto, il che stride prepotentemente con la conclamata finalità “di razionalizzazione” della riforma.

Con l’ordinanza del 20 giugno 2018, n. 903, il T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., nella parte in cui onera le imprese concorrenti della immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione delle altre imprese partecipanti, pena l’indeducibilità dei vizi afferenti la fase di ammissione alla gara mediante l’impugnazione dei successivi atti della procedura di affidamento, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, Cost. (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politiche, di condizioni personali e sociali”); 24, commi 1 e 2, Cost. (“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”); 103, comma 1, Cost. (“Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti  della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”); 111, commi 1 e 2, Cost. (“La giurisdizione si attua mediante giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”); 113, commi 1 e 2, Cost. (“Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti”) e 117, comma 1, Cost. ( “La potestà legislativa è esercitata dalla Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”) 6 e 13 della CEDU.

La questione, ritenuta rilevante  e non manifestamente infondata,  è sorta in relazione ad una gara di appalto per l’affidamento dei servizi integrati di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti ospedalieri in cui una delle imprese concorrenti, proponeva ricorso ai sensi dell’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., contestando l’ammissione della altre due imprese in gara, [28]per l’affidamento di uno dei lotti da aggiudicare.

Detto onere di immediata impugnazione giurisdizionale delle ammissioni è pertanto in contrasto con il principio fondamentale desumibile dall’art. 100 c.p.c. della necessità, quale condizione dell’azione, della esistenza di un interesse ad agire concreto ed attuale al ricorso in corrispondenza di una lesione personale ed effettiva di detto interesse, suscettibile di ritrarre un vantaggio anche solo potenziale dall’annullamento; tale interesse può essere anche di tipo strumentale, inteso cioè nel senso di interesse ad ottenere la caducazione del provvedimento amministrativo al fine di rimettere in discussione il rapporto controverso e di eccitare il nuovo esercizio del potere amministrativo in termini potenzialmente idonei ad evitare un danno ovvero ad attribuire un vantaggio. L’interesse a ricorrere, deve quindi essere caratterizzato dai predicati della personalità, dell’attualità e della concretezza, la citata disposizione del codice del processo amministrativo, nell’imporre la necessità, pena l’incorrere nella preclusione di cui allo stesso comma 2-bis, secondo inciso, della immediata contestazione in sede giurisdizionale delle ammissioni, sostanzialmente onera l’impresa partecipante alla gara ad impugnare – prescindere di ogni concreta utilità – le ammissioni di altri soggetti partecipanti, impugnazioni che potrebbero rilevarsi inutili nel momento in cui la stessa impresa ricorrente dovesse venire a conoscenza in un momento successivo dell’aggiudicazione della gara in proprio favore, ovvero all’opposto della proprio collocazione in graduatoria in posizione talmente deteriore da non ritenere più utile alcuna contestazione […] La norma pone in capo al partecipante un onere inutile, economicamente gravoso ed irragionevole  – alla stregua del principio di effettività della tutela giurisdizionale desumibile dal combinato disposto degli artt. 24, commi 1 e 2, 103, commi 1 e 113, commi 1 e 2, Cost. e del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3, comma 1, Cost. – rispetto all’interesse realmente perseguito. Deve allora trovare condivisione l’affermazione secondo cui il requisito dell’attualità dell’interesse non può considerarsi sussistere quando il pregiudizio derivante dall’atto amministrativo sia meramente eventuale, quando cioè non è certo, al momento dell’emanazione del provvedimento, se si realizzerà in un secondo tempo la lesione della sfera giuridica del soggetto. Il “bene della vita” cui aspira la concorrente in gara è l’aggiudicazione dell’appalto sicché il suo interesse a contestare l’ammissione ( pur illegittima) della altre concorrenti si concretizza solo alla fine della procedura allorquando la posizione in graduatoria determina quel grado di differenziazione idonea a radicare l’interesse al ricorso[29].

I dubbi, in precedenza esposti, sono stati di recente evidenziati dall’ordinanza del T.A.R.  Piemonte, Sez. I, n. 88 del 17 gennaio 2018, che ha sollevato la corrispondente questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di verificare la compatibilità eurounitaria della norma processuale interna (art. 120, comma 2-bis, c.p.a., nella parte in cui contempla l’onere di immediata impugnazione delle ammissioni) con la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela giurisdizionale (artt. 6 e 13 della CEDU, art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e art. 1 Direttiva n. 89/665/CEE).

In detta occasione, sia pure sotto la lente di ingrandimento del confronto della norma processuale nazionale con la disciplina europea, è stato condivisibilmente rimarcato come il disancoramento dell’interesse ad agire rispetto ad una utilità personale, concreta ed attuale dell’impresa partecipante alla gara (costretta a contestare le ammissioni in forza della censurata disposizione), dà vita ad una sorta di tutela giurisdizionale amministrativa / giudizio di diritto oggettivo dove un operatore è obbligato ad impugnare immediatamente le ammissioni di tutti gli altri concorrenti, senza sapere ancora chi potrà essere l’aggiudicatario e, parimenti, senza sapere se lui stesso si collocherà in graduatoria in posizione utile per ottenere e/o contestare l’aggiudicazione dell’appalto.

Si introduce, pertanto, una sorta di giudizio di “diritto oggettivo”, che è contrario non solo ai principi europei invocati dal T.A.R. Piemonte, nella citata ordinanza, ma anche ai principi costituzionali di cui agli artt. 24, commi 1 e 2, 103, comma 1 e 113, commi 1 e 2, Cost. (in tema di effettività della tutela giurisdizionale), i quali plasmano il diritto di azione a modo di diritto azionabile unicamente dal titolare di un interesse personale, attuale e concreto e che nelle gare d’appalto non può non consistere nel conseguimento della aggiudicazione, ovvero, al più, quale modalità strumentale al perseguimento del medesimo fine, nella chance derivante dalla rinnovazione della gara.

La necessità, alla stregua della previsione dell’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., primo e secondo periodo, di proporre plurimi ricorsi avverso le singole ammissioni si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3, comma 1 Cost., con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (ex artt. 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2 e 113, commi 1 e 2 Cost.), con il principio del giusto processo (ex art. 111, comma 1, Cost.) e con il principio della ragionevole durata del processo (ex art. 111, comma 2, Cost.), poiché il meccanismo processuale delineato dal legislatore del 2016 determina inevitabilmente il proliferare di azioni giurisdizionali avverso plurime ammissioni relativamente alla stessa procedura di gara in violazione dei principi di economia processuale e concentrazione.

Il primo profilo che dovrà prendere in esame la Corte costituzionale sarà quello della rilevanza della questione legittimità costituzionale.

Rispetto a questo profilo, che costituisce una delle condizioni di proponibilità delle questioni incidentali, la lettura dell’ordinanza del T.A.R. Puglia, potrebbe, forse, suscitare qualche perplessità. L’art. 23, l. n. 87/1953, prevede, infatti, che la questione può essere sollevata qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla questione”.

Ebbene, nel caso di specie, si tratta di un appalto cui era senz’altro applicabile ratione temporis il rito “super accelerato” di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a. Tuttavia, il ricorso all’esame del Collegio è un ricorso avverso il provvedimento recante l’elenco degli ammessi alla gara, tempestivamente notificato entro i trenta giorni dalla data della pubblicazione previsti dalla norma.

La causa potrebbe, quindi, in linea teorica, essere decisa nel merito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale da parte della Consulta, senza per questo essere dichiarata inammissibile.

Sennonché, il T.A.R. Puglia, sostiene che la questione sia rilevante dal momento che l’eventuale declaratoria di incostituzionalità del citato comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a., comporterebbe l’adozione di una sentenza di rito dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso per avere impugnato un atto endoprocedimentale non immediatamente lesivo; viceversa, in caso di accertamento da parte della Corte costituzionale della compatibilità costituzionale della disposizione deriverebbe la necessità per il Collegio di adottare una pronunzia di merito.

Si vedrà, quindi, se la Corte riterrà sufficiente l’argomentazione del T.A.R. Puglia per poter ritenere effettivamente rilevante la questione.

Per quanto attiene alla non manifesta infondatezza della questione, il T.A.R. Puglia avanza dubbi di compatibilità costituzionale del nuovo rito “super accelerato” facendo riferimento a numerose norme della Costituzione e, in particolare, all’art. 3, comma 1, all’art. 24, commi 1 e 2, all’art. 103, comma 1, all’art. 111, commi 1 e 2, all’art. 113, commi 1 e 2, e all’art. 117, comma 1.

Il Collegio ritiene, anzitutto, che l’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., si ponga in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui ai citati artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2, e 113, commi 1 e 2, della Costituzione, imponendo di impugnare entro il termine decadenziale di trenta giorni dalla pubblicazione un atto per sua natura non immediatamente lesivo.

Più in particolare, il T.A.R. Puglia dubita della compatibilità costituzionale di una norma che imponga ai concorrenti di impugnare un atto in assenza di utilità concreta e attuale, non essendo in quella fase di gara possibile prevedere la futura collocazione in graduatoria.

Viceversa, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, il Consiglio di Stato aveva sempre escluso la necessità di immediata impugnazione di un atto endoprocedimentale, ad eccezione di un provvedimento di esclusione adottato alla presenza di un rappresentante della concorrente esclusa e sul punto il T.A.R. remittente richiama diverse pronunce [30].

Il Collegio, peraltro, richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato anche in tema di interesse a ricorrere, evidenziando che, analogamente a come avviene nel processo civile, tale presupposto è stato tradizionalmente preso in considerazione quale condizione per l’ammissibilità dell’azione anche nel processo amministrativo.

Il T.A.R. Puglia dedica diverse pagine alla tematica, preoccupandosi di richiamare puntualmente le caratteristiche dell’interesse a ricorrere enucleate negli anni in dottrina e in giurisprudenza, vale a dire:

  1. La sussistenza di una lesione effettiva e concreta che il provvedimento che si vuole impugnare arreca;
  2. Il vantaggio, anche solo potenziale, derivante dall’eventuale annullamento;
  3. La personalità, ovvero la circostanza che il provvedimento riguardi specificamente e direttamente il ricorrente;
  4. L’attualità (l’interesse deve sussistere al momento del ricorso);
  5. La concretezza (l’interesse deve essere valutato in riferimento a un pregiudizio concretamente arrecato al concorrente).

In ragione di ciò, un ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile, qualora, il ricorrente non sia in grado di dimostrare di ricevere un vantaggio, anche solo potenziale, dall’ipotetico accoglimento fornendo la c.d. prova di resistenza.

Il nuovo rito, invece, all’evidenza costringe ad impugnare un atto endoprocedimentale entro un termine decadenziale di trenta giorni “al buio” e quindi, in assenza di interesse a ricorrere.

L’impugnazione, infatti, potrebbe rivelarsi del tutto inutile quando la ricorrente dovesse apprendere in un momento successivo dell’aggiudicazione in proprio favore, ovvero della propria collocazione in graduatoria in posizione non utile a coltivare il ricorso, posto che il “bene della vita” cui aspira è evidentemente l’aggiudicazione dell’appalto.

Ad avviso del T.A.R. Puglia, quindi, il rito “super accelerato” introduce – a ben vedere – una ipotesi di  “giurisdizione amministrativa oggettiva”, eccentrica rispetto ad un sistema di giustizia amministrativa tradizionalmente impostato sulla giurisdizione / giustizia di diritto “soggettivo” e sul “potere” ex art. 24, comma 1, Cost. (non già sul “dovere”, inteso nel senso di onere economicamente gravoso, pena altrimenti l’incorrere in una preclusione processuale), in capo all’attore.

Viene così ad essere affidata all’impresa partecipante alla gara la tutela, in via esclusiva, di un interesse pubblico, interesse che non potrebbe mai coincidere con l’interesse privato.

Il contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, come sottolineato dal Collegio, appare ancor più netto, poi, se si considerano gli importi, particolarmente elevati, richiesti per i contributi unificati per i ricorsi in materia di appalti pubblici. Viene, a tal proposito, evidenziato l’effetto dissuasivo che il nuovo rito potrebbe avere, imponendo iniziative processuali non solo anticipate e “al buio” ma anche sensibilmente esose.

Ne deriva, ad avviso del T.A.R. Puglia, una evidente compressione del diritto di difesa.

L’illegittimità della disposizione viene, inoltre, in rilievo sotto il profilo dell’irragionevolezza: come evidenziato dal T.A.R. Puglia, infatti, il terzo inciso dello stesso comma 2-bis, conferma sostanzialmente la tradizionale regola, secondo cui è inammissibile l’impugnazione degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività, venendo sostanzialmente contraddetto, come visto, dai primi due periodi del comma 2-bis, che consentono una irragionevole deroga con riferimento a un atto endoprocedimentale quale è l’ammissione.

In definitiva, l’onere processuale posto in capo al partecipante alla gara viene definito, inutile, economicamente gravoso ed irragionevole – alla stregua del principio di effettività della tutela giurisdizionale desumibile dal combinato disposto degli artt. 24, commi 1 e 2, 103, comma 1 e 113, commi 1 e 2, Cost. e del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3, comma 1, Cost. – rispetto all’interesse realmente perseguito.

Sul punto, il Collegio ha ritenuto utile richiamare, altresì, il proprio precedente, con cui aveva evidenziato che “la novella legislativa di cui all’art. 120, comma 2 bis, d.lgs. n. 50 del 2016 collide con il quadro giurisprudenziale, storicamente consolidatosi, atteso che veicola nell’ordinamento l’onere di immediata impugnazione dell’ammissione di tutti gli operatori economici – quale condizione di ammissibilità della futura impugnazione del provvedimento di aggiudicazione – anche in carenza di un’effettiva lesione od utilità concreta “.

Oltre al proprio precedente, viene richiamato anche quello del T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 20 dicembre 2016, n. 5858, che pure aveva criticamente considerato il nuovo rito, affermando che la peculiarità del nuovo rito risiede, oltre che nel circoscritto ambito di applicazione – volto a cristallizzare la definitività di una peculiare sub fase delle gare d’appalto creando una struttura bifasica della tutela in subiecta materia – nell’utilizzo dello strumento processuale come veicolo per creare una correlazione del tutto inusuale tra interesse ad agire in giudizio e pretesa sostanziale, sicché, come rilevato anche dai primi commenti alla disciplina in questione, il legislatore avrebbe introdotto una sorta di presunzione legale di lesione (tuttavia in concreto non sussistente), non direttamente correlata alla lesione effettiva e concreta di un bene della vita secondo la dimensione sostanzialistica dell’interesse legittimo ormai invalsa nel nostro ordinamento”.

Il meccanismo processuale, delineato dal legislatore, della cui costituzionalità si dubita, inoltre, sembra violare i principi di economia processuale e concentrazione, nonché il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., dal momento che determina una ingiustificata proliferazione di ricorsi nella fase iniziale di ammissione/esclusione, con il rischio di trasformare il contenzioso in materia di appalti in una inutile guerra di tutti contro tutti.

Da ultimo, il Collegio, prende in considerazione la violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., per il mancato rispetto degli artt. 6 e 13 CEDU, aventi valenza di norme interposte. Emerge, infatti, un contrasto tra il diritto fondamentale a un giusto ed effettivo processo, desumibile da dette norme, e il rito “super speciale” in esame.

Per quanto sopra sintetizzato, il T.A.R. Puglia ritiene, quindi, che la previsione, per risultare conforme alle citate norme costituzionali, deve essere depurata dai periodi indicati (primo e secondo) per quanto concerne l’impugnazione delle ammissioni al fine di consentire l’operatività del tradizionale orientamento in forza del quale un atto amministrativo deve essere immediatamente contestato in sede giurisdizionale solo se immediatamente lesivo.

In conclusione, l’ordinanza appare diffusamente motivata sulla non manifesta infondatezza, correndo anzi il rischio di apparire a tratti prolissa e finanche ripetitiva.

Numerose sono, infatti, le citazioni di giurisprudenza, quasi sempre del Consiglio di Stato, riportate per esteso e talvolta di analogo (o addirittura identico) contenuto. Viene, invece, sorprendentemente quasi tralasciata la giurisprudenza costituzionale.

È molto difficile, e forse anche inutile oltre che inopportuno, azzardare previsioni sugli esiti, in considerazione anche dei dubbi sopra descritti in termini di rilevanza.

Quel che è certo è il rito “super accelerato” risulta, al momento in cui si scrive, sottoposto al possibile fuoco incrociato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte costituzionale italiana e che, tra non molto, la tutela processuale avverso i provvedimenti di ammissione/esclusione alle gare di appalto potrebbe assumere una diversa conformazione.

Si attendono, quindi, ora più che mai, i pronunciamenti delle due Corti, considerato quanto il nuovo rito condizioni l’attività degli operatori economici e, in generale, l’intero settore dei contratti pubblici [31].

7. Analisi di impatto del contenzioso amministrativo in materia di appalti

A conclusione del lavoro svolto, che ha cercato di analizzare, in modo critico, i limiti applicativi ed i dubbi di legittimità costituzionale e conformità alla normativa europea, che l’onere di immediata impugnazione ex art. 120,  comma 2-bis, c.p.a., ha introdotto, è importante soffermarsi sui dati statistici raccolti dall’ANAC, in modo da vagliare l’impatto, in termini pratici, che ha avuto la riforma normativa  sul contenzioso amministrativo.

Dall’indagine condotta dall’ANAC per il biennio 2015/2016 - in modo da avere un arco temporale rappresentativo in termini contenziosi - e dai dati presenti nel sistema informatico della giustizia amministrativa, emerge che nel 2015 sono state bandite circa 136.645 procedure in materia di appalti, per un ammontare complessivo di euro 121.976.997.204.

Il numero dei ricorsi in materia di appalti depositati ai T.A.R., ricavabile dal sistema informatico della giustizia amministrativa, è risultato pari a 3.565 ricorsi nel 2015, registrando, a seguito dell’intervento legislativo nel 2016, un calo, pari a 3.329 ricorsi [32].

Il primo dato che si ricava – e che viene confermato nel trend dalla base biennale della ricerca – è dunque che gli appalti impugnati  dinanzi al giudice amministrativo sono tendenzialmente calati, dal 2015 al 2016, del 3% rispetto al totale degli appalti banditi.

Dall’analisi statistica - operando una distinzione delle gare di appalto per soglie, individuandone in particolare tre (appalti sotto la soglia di euro 200.000, appalti compresi tra euro 200.000 ed un milione di euro, ed infine appalti al di sopra di un milione di euro), corrispondenti a quelle selezionate dal legislatore per la parametrazione  del pagamento del contributo unificato - si ricava che le impugnazioni delle procedure in materia di appalti al di sopra di un  milione di euro rappresentano circa il 50% del totale delle impugnazioni, ed è ragionevole ipotizzare che, dunque, più è elevato l’importo della gara, maggiore risulta il tasso di impugnazioni in materia di appalti pubblici innanzi al T.A.R.

Viceversa, per gli appalti di minore importo le percentuali calano sensibilmente, sia in rapporto al totale delle impugnazioni – circa il 20% del totale delle impugnazioni – sia in rapporto alle procedure bandite.

Ciò è verosimilmente desumibile dall’elevato costo della causa, che deriva dal versamento del contributo unificato e delle spese legali - maggiormente poi acuito dall’introduzione dell’onere di immediata impugnazione ex art. 120, comma 2-bis, c.p.a. - che l’impresa deve affrontare per sostenere il giudizio.

Un tale aggravio economico che si pone, in particolar modo, per le piccole o medie imprese, collide con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che rinviene il proprio fondamento in ambito nazionale negli artt. 24, 103, 113 Cost., nonché nell’art. 1 c.p.a., ed in ambito sovranazionale negli artt. 6 e 13 CEDU.

In Italia, la percentuale delle impugnazioni in relazione al monte complessivo delle gare bandite è oggi oggettivamente bassa, pari a 2,7 %, cifra destinata a crescere in positivo soltanto aumentando  l’efficienza della giustizia amministrativa.

Instaurare un contenzioso innanzi al T.A.R. ha oggi un costo per il cittadino ai limiti del proibitivo. Bisogna perciò chiedersi se i dati statistici rilevati non costituiscono piuttosto il sintomo di un grave malessere della giustizia amministrativa, che alla luce del principio sancito ex art. 1 c.p.a., deve assicurare una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo.

L’onere di immediata impugnazione ex art. 120, comma 2-bis, c.p.a., se - da un lato – garantisce la riduzione del numero delle impugnative avverso procedure di gara, in particolare, dei ricorsi incidentali ( per ulteriori dettagli, supra) – dall’altro – corre il serio rischio di trasformarsi in una guerra di tutti contro tutti [33], ponendo ciascuno dei concorrenti nelle stesse condizioni ed incoraggiando ad un azione preventiva, imposta a fronte di una lesione potenziale e futura, ponendosi in netto contrasto con il principio di ragionevolezza,  desumibile dall’art. 3, comma 1, Cost., con il principio di effettività della tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost., ed infine con il principio del giusto processo, sancito dall’art. 111 Cost.

[1] F. CARINGELLA, M. GIUSTINIANI, Manuale del processo amministrativo, Roma, 2017, pag. 631.

[2]G. LEONE, Elementi di diritto processuale amministrativo, Padova, 2017, pag. 386.

[3]L’espressione utilizzata nel testo è mutuata da M. A. SANDULLI, Nuovi limiti alla tutela giurisdizionale in materia di contratti pubblici, in www.federalismi.it, 2016, pag. 12.

[4]F. CARINGELLA, M. GIUSTINIANI, Manuale del processo amministrativo, Roma, 2017, pag. 687.

[5]Cft. Cons. St., Sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5927; Cons. St., Sez. IV, 22 novembre 2011, n. 6151; Cons. St., Sez.  V, 7 febbraio 2012, n. 641.

[6]Cft. Cons. St., Sez. V, 17 gennaio 2011, n. 203, secondo cui “ai sensi degli art. 34, comma 3, e 124 c.p.a., e in conformità ai principi sull’interesse a ricorrere non è ammissibile una pronuncia di mero accertamento di illegittimità di un atto amministrativo, che non sia utile al conseguimento della tutela specifica o della tutela per equivalente”.

[7]Cft. Cons. St., Ad. Plen., 3 febbraio 2014, n. 8, che ha ricordato: “l’utilità o bene della vita cui aspira il ricorrente – in una giurisdizione che si caratterizza di diritto soggettivo e non oggettivo, e cioè di mera tutela della legalità dell’azione amministrativa – deve porsi in rapporto di prossimità, regolarità ed immediatezza causale rispetto alla domanda di annullamento proposta e non restare subordinata da eventi, solo potenziali ed incerti, dal cui verificarsi potrebbe scaturire il vantaggio cui mira il contenzioso introdotto”. Analogamente, Cons. St., Sez. V, 22 ottobre 2015, n. 4871.

[8]L’espressione è mutuata dal diritto processuale francese.

[9]R. VILLATA, Interesse ad agire; diritto processuale amministrativo, in Enc. giur. Treccani, Roma 1989, e oggi in Scritti di giustizia amministrativa, Milano 2015, pag. 585 ss.. Da ultimo S. DE PAOLIS, Le condizioni dell’azione davanti al giudice amministrativo, in Il nuovo processo amministrativo, a cura di M. A. SANDULLI, Milano, 2013, pag. 323 ss.

[10]V. Cons. St., Sez. IV, 11 febbraio 1998, n. 261; Cons. St., Sez. IV, 10 aprile 2002, n. 1925. “I bandi di gara, se contengono clausole immediatamente lesive degli interessi degli aspiranti, devono essere immediatamente ed autonomamente impugnati: pertanto risultano inammissibili sia l’impugnazione rivolta solo contro il provvedimento di esclusione dalla gara, meramente esecutivo e applicativo del bando, sia l’impugnazione contestuale del bando stesso e dell’esclusione, ove siano decorsi i termini per il ricorso contro il bando”.

Peraltro è stato sottolineato che “la necessaria sussistenza dell'interesse, implica che lo stesso sia valutato in concreto, al fine di accertare l’effettiva utilità che può derivare al ricorrente dall’annullamento degli atti impugnati, così che deve essere dichiarata inammissibile (art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a.) per carenza di interesse l'impugnazione dell'aggiudicazione di una gara pubblica, non afferente ad aspetti sostanziali o formali mirati alla rinnovazione della gara stessa, se da una verifica a priori (c.d. prova di resistenza, alla luce del successivo sviluppo procedimentale e secondo criteri di regolarità causale) non risulti, con sufficiente sicurezza, che l'impresa ricorrente possa risultare aggiudicataria in caso di accoglimento del ricorso” (cfr. Cons. St., Sez. III, 17 dicembre 2015).

[11]Cons. St., Sez. V, 22 aprile 2004, n. 2310.

[12]G. PELLEGRINO, sub art. 129, in A. QUARANTA e V. LOPILATO, Il processo amministrativo, Milano 2011, 1052 ss. e sub art. 129, in Codice del processo amministrativo annotato con dottrina, giurisprudenza e formule, a cura di R. GAROFOLI e G. FERRARI, Roma, 2010.

[13]Cons. St., Sez. VI, 20 luglio 2011, n. 4390.“In tema di interesse all’impugnazione è sempre privilegiata una nozione estensiva, che ravvisa l’interesse anche dove, pur non potendo l’impugnazione perseguire una finalità pratica, residui un interesse quanto meno morale alla rimozione degli atti impugnati”; Cons. St., Sez. V, 15 dicembre 2011, n. 6594 e Cons. St., Sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2360, sempre sul c.d. interesse morale a ricorrere; Cons. St., Sez. V, 12 novembre 2012, n. 5711, sul caso del provvedimento tendenzialmente ripetitivo; Cons. St., Sez. III, 1 agosto 2013, n. 4039, sull’interesse strumentale alla mera riapertura del procedimento amministrativo per poter ottenere il bene della vita, cui il ricorrente aspirava; similmente, sempre in termini di interesse strumentale alla riedizione del procedimento; Cons. St., Sez. V, 22 marzo 2012, n. 1641; Cons. St., 22 maggio 2012, n. 2947; Cons. St., Sez. I, parere 26 febbraio 2013, n. 12466, sul caso di un regolamento comunale a immediati effetti lesivi. Analogamente, Cons. St., Sez.  VI, 4 dicembre 2012, n. 6208.

[14]G. SEVERINI, Il nuovo contenzioso sui contratti pubblici, in www.giustizia.it, 2016, pp. 5-9.

[15]A. COSTA, I contorni applicativi del ricorso incidentale del nuovo rito super accelerato, in www.italiappalti.it, 2018.

[16]Cft. Cons. St., Sez. V, 15 marzo 2017, n. 1059.

[17]T.A.R. Campania, Napoli, I, 20 febbraio 2017, n. 1020.

[18]V. Cons. St. Ad. Plen., 10 novembre 2008, n. 11; Cons. St., Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4; CGUE, Sez. X, 4 luglio 2013, Fasweb, in C-100/12; Cons. St., Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9; CGUE, Grande Sezione, 5 aprile 2016, Puglienica c. Airgest s.p.a, in C-689/13.

[19]Cft. Cons. St., Sez. III, 10 novembre 2017, n. 5182. 

[20]Cft. Cons. St., Sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5870.

[21]Cft. T.A.R. Bari, Sez. III, 15 ottobre 2018, n. 1297.

[22]S. CRESTA, Rito super accelerato negli appalti pubblici: effetti sul ricorso incidentale escludente e compatibilità dell'istituto con il diritto di difesa e con i principi eurounitari. La parola passa alla Corte di Giustizia, in www.diritto24.ilsole24ore.com, 2018.

[23]La normativa sul Contributo Unificato è stata introdotta per la prima volta con l. 488/99 - legge finanziaria 2000 - e poi trasferita nel T.U. Spese di Giustizia, parte II,titolo I. Normativa rivista e modificata innumerevoli volte non solo negli importi ma anche nella struttura. L’art. 9 del d.p.r. 115 del 30 maggio 2002 recita "è dovuto il Contributo Unificato di iscrizione a ruolo per ciascun grado del giudizio nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione e nel processo amministrativo secondo gli importi previsti dall'art. 13 e salvo quanto previsto dall'art. 10".

[24]V. Corte Cost., ordinanza 6 maggio 2010, n. 164, pur dichiarando manifestamente inammissibile, per contraddittorietà del petitum, la questione sollevata dalla Comm. trib. prov. di Milano di legittimità costituzionale dell’art. 13, co. 6 bis, d.p.r. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1, co. 1307, l. 27.12.2006, n. 296, che prevede nella misura fissa di € 2.000 l’ammontare del contributo unificato per i ricorsi innanzi al giudice amministrativo concernenti le controversie in materia di affidamento di lavori, forniture e servizi pubblici, in riferimento agli artt. 3, 81, co. 3, e 97 Cost., ha comunque sottolineato che, nella materia della determinazione delle spese processuali poste a carico degli utenti della giustizia e nella materia tributaria, vige il principio della discrezionalità e dell’insindacabilità delle opzioni legislative che non siano caratterizzate da una manifesta irragionevolezza, ritenuta nella specie non sussistente.

[25]CGUE, Sez. V, sentenza 6 ottobre 2015, in C-61/2014.

[26]G. CAPUTI, La frammentazione della tutela giurisdizionale nel nuovo codice dei contratti pubblici. “The hateful eighth”?, in www.ilnuovodirittoamministrativo.it, 2016.

[27]M. PISI, “La sentenza della Corte di Giustizia nel caso Orizzonte Salute e il sistema italiano dei contributi unificati cumulativi nei ricorsi in materia di appalti pubblici: ogni persona che possa permetterselo, ha diritto di accesso alla giustizia ?”,  in www.europeanpapers.eu, 2016.

[28]ATI Atinia s.r.l. ed ATI Progetto Ecologia s.r.l.

[29]Cft. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, ordinanza 20 giugno 2018, n. 903.

[30]Ex multis Cons. St., Sez. V, 23 febbraio 2015, n. 856.

[31]A. I. DELLA VALLE, Il rito super accelerato rimesso anche alla Corte Costituzionale, in www.appaltiecontratti.it, 2018.

[32]Ufficio studio, massimario e formazione del Consiglio di Stato, Analisi di impatto del contenzioso amministrativo in materia di appalti, Roma, in www.giustiziaamministrativa.it, 2017.

[33]L’espressione è mutuata dall’ordinanza di rimessione alla Corte Cost. del  T.A.R. Puglia, 20 giugno 2018, n. 903.