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Pubbl. Mar, 12 Feb 2019

Processo amministrativo: rilevanza dell´interesse ad agire quale condizione dell´azione anche come mero interesse morale

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Maria Erica Gangi
Avvocato


Commento alla sentenza del T.A.R. Lazio, Sezione Prima Bis, n. 11924 del 10 dicembre 2018.


Sommario: 1. Il difficile rapporto tra diritto soggettivo ed interesse legittimo; 2. Difficoltà definitorie dello status di interesse legittimo e riparto di giurisdizione; 3. Risarcibilità dell’interesse legittimo e analisi della Sentenza T.A.R. Lazio n. 11924/201; 4. Parallelismo tra la Sentenza n. 11924/2018 del T.A.R. Lazio e la Plenaria n. 8/2011: evoluzione di un canone ermeneutico.

1. Il difficile rapporto tra diritto soggettivo ed interesse legittimo 

L’analisi della questione oggetto della presente trattazione, al fine di essere resa quanto più intellegibile possibile, necessita di un inquadramento sistematico che consenta di perimetrare il peculiare ruolo svolto nel nostro Ordinamento dall’interesse legittimo quale situazione giuridica contrapposta al diritto soggettivo[1].

Sul punto – non potendo prescindere da una ricostruzione storica – va detto che il nostro sistema ordinistico, in maniera peculiare rispetto alle parallele esperienze comunitarie, conosce una bipartizione delle posizioni giuridiche soggettive ripartite in diritti soggettivi ed interessi legittimi.

Per molto tempo, erratamente, si è ritenuto dover individuare il tratto differenziale nella quantità della tutela talché si è predicata la prevalenza degli interessi soggettivi rispetto agli interessi legittimi; una Dottrina più matura ha superato il criterio di cui sopra ritenendo che la linea di demarcazione la si sarebbe dovuta rinvenire sotto il profilo della qualità.

Ne è disceso il radicamento di un’importante assunto: i diritti soggettivi inquadrano posizioni di diritto soggettivo giammai comprimibili, che possono essere declinati esclusivamente in una duplice accezione per cui o vengono riconosciuti sì da non generare alcuna lesione o si assiste alla loro negazione, tuttavia detta evenienza non è scevra da responsabilità atteso che la lesione di una posizione di diritto soggettivo, tipicamente piena, determina il dovere di risarcire il danno leso al titolare della stessa.

Considerazioni differenti vanno spese con riguardo agli interessi legittimi che, invece, sono passibili di una triplice declinazione potendo essere soddisfatti, negati e, ancor più, sacrificati in forza di un preminente interesse pubblico di carattere superiore con conseguente corresponsione – per il patimento subito – di un indennizzo quale quantum patrimoniale connesso all’esercizio di attività lecita.

Adita la Corte di Giustizia dell’Unione Europea circa la convivenza nel nostro ordinamento di un cosiddetto sistema binario, la stessa si è espressa evidenziando la peculiarità, non comune rispetto alle parallele esperienze riscontrabili negli altri Paesi Comunitari, tuttavia ha asserito per la ammissibilità di detta bipartizione delle posizioni giuridiche purché ciò non si traducesse in una deminutio di tutela in capo al titolare al quale spetta una salvaguardia piena del proprio status a prescindere che sia di interesse legittimo o di diritto soggettivo.

2. Difficoltà definitorie dello status di interesse legittimo e riparto di giurisdizione.

Soddisfatto, seppur non con pretesa di esaustività, l’inquadramento dogmatico della questione è possibile dare atto delle difficoltà definitorie che l’interesse legittimo ha conosciuto[2]: sul punto pare interessante riportare quanto asserito dal Giannini per cui sarebbe interesse legittimo per il singolo quell’aspirazione ad un bene della vita il cui conseguimento è rimesso ad una valutazione discrezionale che l’Amministrazione deve compiere in sede procedimentale all’esito di un adeguato giudizio di bilanciamento tra l’interesse del privato e quello pubblico, al primo contrapposto, da ritenere prevalente talché la necessità di una sua protezione può ben giustificare una retrocessione dell’interesse legittimo medesimo. 

Evidente come il procedimento amministrativo rappresenti e costituisca la sedes materiae dello scrutinio che il soggetto pubblico è chiamato a svolgere tra interesse legittimo del privato e attenzione al soddisfacimento di un preminente interesse pubblico alla luce della c.d. discrezionalità amministrativa.

Alla certamente peculiare quanto necessaria convivenza tra le posizioni giuridiche in commento va allineata il sistema di duplice giurisdizione che il nostro Ordinamento conosce potendo, all’uopo, distinguere tra giurisdizione ordinaria e di legittimità, tipicamente amministrativa.

Orpello normativo è da individuare nell’art. 103 Cost.[3] dalla cui interpretazione è agevole comprendere la configurazione di un Giudice naturale per gli interessi legittimi visto nel Giudice Amministrativo che, all’occorrenza e in casi specifici, può occuparsi anche di posizioni di diritto soggettivo le cui ipotesi configurano la c.d. giurisdizione esclusiva giustificata dall’intima connessione che vi sarebbe tra l’interesse legittimo vantato e il diritto soggettivo leso.

Sul punto la stessa Relazione introduttiva all’art. 103 Cost. ha consentito di evidenziare la necessità di non separare la cognizione giudiziaria per quelle materie che, sebbene lambite da un diritto soggettivo, presentassero un’ineliminabile relazione con l’interesse legittimo talché la separazione della giurisdizione si sarebbe certamente tradotta in una nuova ipotesi di danno per il ricorrente.

Stante, dunque, la necessità di disciplinare detta giurisdizione esclusiva caratterizzata da un’estensione cognitiva da parte del G.A. anche a diritti soggettivi l’art. 133 c.p.a. ha avuto il merito di individuare un elenco esemplificativo di tutte quelle situazioni giuridiche che radichino – quale criterio eccezionale – la competenza giurisdizionale amministrativa.

Va dato atto che la norma, sebbene nota come “norma elenco” può conoscere eventuali ampliamenti invocabili qualora criteri ermeneutici  individuino stretti legami tra posizioni giuridiche di diritto soggettivo ed interesse legittimo la cui attribuzione al G.A. appare indispensabile per fornire adeguata tutela al ricorrente in giudizio.

La situazione normativa testé descritta altro non è che il punto di approdo di un intricato percorso dottrinario – giurisprudenziale sorto in epoca atavica circa il criterio di riparto giurisdizionale.

La querelle va affrontata individuando i due momenti storico – normativi incidenti: la Legge del 1865 anche nota come Legge Abolitrice del Contenzioso Amministrativo (L.A.C.) la cui promulgazione aveva costituito espressione di un’anima politica tutta volta alla integrazione ed unitarietà da perseguire non soltanto in sede geografica ma anche giurisdizionale, in detto corpo normativo, all’art. 2, si era fatto riferimento alla giurisdizione del G.O. quale unica giurisdizione, lasciando, rectius, determinando un importante vuoto di tutela con riguardo alla disciplina degli interessi legittimi.

Lacuna questa che venne colmata dalla Legge Crispi istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato; era nata la doppia giurisdizione in Italia, recando seco non pochi problemi in specie circa il criterio di attribuzione della materia alla G.O e alla G.A.

Il concordato del 1930 – apparentemente risolutivo – invero si era limitato a spostare il fuoco della questione: in esso, invero, i firmatari avevano statuito che il G.O. si sarebbe dovuto occupare delle situazioni di diritto soggettivo e il G.A. di quelle di interesse legittimo.

Permaneva l’ancestrale questione, ovvero quando si fosse in presenza di uno status giuridico o dell’altro.

Diverse le tesi sul tappeto, diversi i tentativi di positivizzare il dibattito, accertatone il fallimento risultò maggiormente accreditabile il formante dottrinario radicatosi sulla dicotomia tra carenza di potere e cattivo uso del potere.

In specie si affermò che ove il soggetto pubblico avesse agito in assenza di apposita norma che gli conferisse il potere di limitare una data situazione giuridica, la lesione determinata avrebbe attratto uno status di diritto soggettivo; diversamente ove detto potere – astrattamente - fosse stato previsto la eventuale lesione sarebbe stata conseguente ad un cattivo esercizio dell’attribuzione talché da generare una limitazione dell’interesse legittimo.

Maggiormente nitido il panorama così individuato recepito in maniera eccellente nell’art. 7 c.p.a che è espressione di questa ripartizione giurisdizionale che anima il nostro Ordinamento.

3. Risarcibilità dell’interesse legittimo e analisi della Sentenza T.A.R. Lazio n. 11924/2018

Ulteriore questione preliminare da analizzare è quella relativa alla risarcibilità dell’interesse legittimo leso e precluso: per molto tempo negata e ammessa per la prima volta con la famigerata Sentenza n. 500/1999 pronunciata dalle Sezioni Unite della Cassazione.

Leit motiv di detto arresto la reinterpretazione in chiave sistematica – e non più strettamente letterale – dell’art. 2043 c.c.[4].

Invero, originariamente, si era radicata una tesi negazionista circa l’ammissibilità di un profilo risarcitorio connesso alla lesione da interesse legittimo allorché la giurisprudenza si era stratificata nel ritenere che la norma civilistica si riferisse unicamente a posizioni di diritto soggettivo ove parlasse espressis verbis di “danno ingiusto”; il Supremo Consesso, approdando ad una esegesi più ampia ha ritenuto come nessun dato normativo rileverebbe per aderire ad una tesi restrittiva pertanto l’art. 2043 c.c. deve ritenersi aggancio normativo per giustificare il risarcimento del danno tanto a seguito di lesione subita ad una posizione di diritto soggettivo che di interesse legittimo.

Ricostruito il percorso storico – normativo che ha condotto alla ammissibilità nel nostro Ordinamento di un sistema di binaria giurisdizione cui corrisponde una bilateralità delle posizioni giuridiche facenti capo al privato, è possibile – a parere della scrivente – procedere ad un’analisi della Pronuncia del T.A.R Lazio di cui si discute nella quale è stato plasticamente riconosciuto l’interesse morale – quale declinazione dell’interesse legittimo – idoneo a configurare un interesse ad agire meritevole di tutela.

La vicenda giudiziaria trae spunto dal ricorso presentata da un candidato escluso per inidoneità fisica da un concorso per l’ammissione ai licei annessi alle Scuole Militari dell’Esercito, sebbene lo stesso non potesse più risultare vincitore del concorso per mancato superamento delle successive prove concorsuali; nello specifico è stato rilevato l’interesse morale all’accoglimento con una pronuncia sulla illegittimità del provvedimento emesso in maniera viziata stante la riscontrata inesistenza della patologia addotta per motivarne l’esclusione.

Presentato il ricorso principale avverso il predetto provvedimento di esclusione e il successivo ricorso con motivi aggiunti avente ad oggetto il Decreto di rettifica della graduatoria, il T.A.R. adito con Ordinanza disponeva la verificazione volta ad accertare la sussistenza della patologia ritenuta escludente con conseguente sospensione dell’atto gravato e disponeva l’eventuale ammissione con riserva subordinata al superamento delle prove indicate dalla lex specialis.

Eseguite le prove atletiche le stesse non venivano superate né il predetto esito negativo veniva impugnato, tuttavia parte ricorrente si opponeva al rigetto del ricorso per intervenuta mancanza di interesse ritenendo ed invocando la tutela ex art. 34 c. 3 c.p.a a norma del quale “(…) quando nel corso del giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il Giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori (…)”.

Parte ricorrente all’uopo ha indicato l’esistenza di un interesse di natura morale – esistenziale all’accoglimento del ricorso nella misura in cui aspira a che la patologia escludente – per errore contestata – non possa apparire precludente alla partecipazione ad ulteriori concorsi, talché anche in relazione ad eventuale e future selezioni concorsuali non resti a carico del ricorrente una lesione inesistente e per ciò solo ampiamente deterrente.

I Giudizi Amministrativi nell’accogliere il ricorso sebbene limitatamente al profilo risarcitorio ne hanno individuato la fondatezza attesa la non provata patologia escludente erratamente attribuita alla parte lesa che ben avrebbe potuto partecipare alla selezione quantunque avesse, con esito positivo, superato le successive prove.

Tuttavia, nonostante il predetto esito negativo non può tacersi il merito dell’interesse morale a che il provvedimento di esclusione venga annullato sì da non inficiare ulteriori e prossime selezioni cui possa lecitamente accedere.

È, pertanto, stato espresso il seguente principio di diritto secondo cui l’interesse ad agire, e quindi a ricorrere, ben può essere rappresentato dall’interesse morale talché da attribuire il merito al giudizio in capo ad un soggetto che – sebbene non più titolato di un interesse legittimo alla vincita del concorso – abbia comunque interesse a sentire dichiarare con certezza e veridicità la propria posizione giuridica.

4. Parallelismo tra la Sentenza n. 11924/2018 del T.A.R. Lazio e la Plenaria n. 8/2011: evoluzione di un canone ermeneutico.

Di interesse corredare l’arresto sopra sciorinato con il principio elaborato dalla Sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 8/2011 pronunciata sul difficile e sempre discusso rapporto tra ricorso principale e incidentale in specie con riguardo alla configurazione di un interesse in capo al ricorrente principale che – nonostante destinatario di un provvedimento di esclusione dalla procedura di gara ad evidenza pubblica divenuto definitivo perché non impugnato o perché accertata la fondatezza dello stesso – che possa ricorrere al fine di contrastare le ragioni di ammissione dell’altrui ricorrente in via incidentale[5].

In detta occasione, in maniera più restrittiva e granitica, la Plenaria ritenne di far coincidere l’interesse al ricorso con la vigenza dell’interesse legittimo.

Nelle procedure di gara in materia di appalti pubblici lo status di interesse legittimo nasce con la presentazione della domanda di partecipazione alla gara da parte del ricorrente e cessa di esistere con il sopraggiungere del provvedimento di esclusione: ergo, in una situazione quale quella prospettata non vi sarebbe alcun interesse alla trattazione del ricorso venuta meno la stessa aspettativa ad una aggiudicazione, ormai preclusa, allorché ben può concludersi per la natura invalidante del ricorso incidentale a carattere escludente rispetto a quello principale parimenti a carattere escludente.

La trattazione di detto arresto della Plenaria del 2011 è parsa opportuna atteso la Sentenza del T.A.R Lazio di cui si discute che si colloca in linea di discontinuità rispetto alla precedente dimostrando un’apertura verso posizioni di maggior considerazioni del privato in specie ove espressione di interesse fondamentale quale quello esistenziale che merita per ciò solo protezione e salvaguardia in quanto declinazione di un interesse morale al ricorso e al suo conseguente accoglimento.  


[1] TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, settembre 2016.

[2] R. CHIEPPA - R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo III Edizione, Giuffrè, 2017.

[3] Testo sopra citato: Il riparto di giurisdizione: considerazioni introduttive pagg. 137 e ss..

[4] M. CLARICH, Manuale di diritto Amministrativo, III Edizione Il Mulino 2017.

[5] La Sentenza n. 8/2011 - esclusivamente citata nel presente contributo - merita, seppur in nota, di essere sistematicamente perimetrata: aspetto cruciale è la legittimazione al ricorso – visto come l’elemento ulteriore che deve corredare l’azione del ricorrente unitamente all’interesse al ricorso medesimo – in detta occasione la Plenaria ha evidenziato che nella materia afferente le gare aventi ad oggetto l’aggiudicazione di un appalto l’operatore economico è titolato di un interesse legittimo inteso quale aspirazione ad un bene della vita rappresentato dal conferimento del provvedimento di aggiudicazione; esso sorge contestualmente alla presentazione della domanda di partecipazione alla procedura di gara e si eclissa nel momento in cui il concorrente venga raggiunto da provvedimento di esclusione. Ne discende che – a prescindere dal numero di partecipanti alla gara – ove sia confermata l’esclusione del ricorrente in via principale non possa procedersi alla trattazione della di lui impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse. Altresì è stata evidenziata la natura paralizzante del ricorso incidentale nella misura in cui esso introduca nel giudizio questioni pregiudiziali di rito che debbono necessariamente essere trattate in maniera preliminare rispetto a quelle di merito avanzate, invece, dal ricorso principale. È questa una sentenza, chiaramente, incentrata sul principio di economia processuale nonché sulla valorizzazione della legitimatio causae.