• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Ven, 8 Feb 2019

L´incerto futuro dell´IRBA (imposta regionale sulla benzina per autotrazione)

Modifica pagina

Gianluigi Pallotta


I problemi relativi alle emissioni di anidride carbonica spesso si traducono in tributi volti a ridurre le esalazioni e incentivare il risparmio energetico. L´IRBA è l´ennesima imposta (nel caso di specie regionale) che colpisce la benzina, già gravata da una serie di accise per situazioni emergenziali, tuttavia, mai espunte dal carico fiscale.


Sommario: 1. Brevi cenni in materia di politica fiscale. 2. Inquadramento sistematico dell’IRBA 3. L’IRBA nel panorama del federalismo fiscale. 4. Profili di diritto regionale. 5. Prospettive future de jure condendo.

1. Brevi cenni in materia di politica fiscale

Il tema della Green Economy è di fondamentale importanza in relazione allo sviluppo sostenibile e al concetto di economia circolare.

Le istituzioni coinvolte intervengono nella materia de quo adottando una politica tributaria improntata all’equità fiscale e alla copertura integrale dei costi dei servizi, riservando un’attenzione massima allo sviluppo sostenibile, alla tutela del territorio e dell'ambiente, generando effetti economici predeterminati, aumentando e diminuendo la pressione fiscale per favorire le azioni mirate alla sostenibilità ambientale.

In alcuni casi viene imposto un prezzo minimo di un prodotto o servizio (price floor): un limite inferiore invalicabile (non è sicuramente questo il caso). Viceversa, il prezzo attuale del combustibile per autotrazione denota la mancata introduzione del price ceiling[1]: un livello massimo non superabile.

La tassazione (a livello centrale e locale) interviene pesantemente nell’economia, generando un gettito fiscale, imponendo tributi propri attraverso la potestà legislativa delle autonomie territoriali regionali ed incidendo in maniera significativa sia sulle scelte economiche imprenditoriali che su quelle dei privati cittadini.

Qualora un sistema tributario si caratterizzi per un’elevata evasione fiscale[2] (come quello italiano), le imposte indirette, andando a colpire le manifestazioni mediate della capacità contributiva, crescono a dismisura per compensare i mancati introiti derivanti dal gettito presunto e non effettivamente riscosso. 

D’altra parte, solo riducendo sensibilmente l’evasione e l’elusione fiscale si potrebbe realizzare un graduale trasferimento del prelievo dall’imposizione diretta a quella indiretta.

La politica economica tradizionale agisce privilegiando l’aspetto dell’incentivazione delle imprese che sviluppano sistemi di produzione a minor impatto ambientale, trascurando il ruolo del tributo ecologico, condizionato dalla strenua resistenza delle associazioni imprenditoriali.[3] L’opinione pubblica e le associazioni a tutela del verde dimostrano un gradimento maggiore dell’ecotassa.[4]

In Italia l’incidenza del peso fiscale sul prezzo del carburante per autotrazione è già elevatissimo, essendo pari al 64,6%.[5] L’incremento del numero delle accise inizia nel 1935 per finanziare la guerra in Abissinia, passando per il Terremoto dell’Irpinia del 1980, solo per citarne alcune, fino al più recente finanziamento del FUS (fondo per lo spettacolo) nel 2011.[6] Tutte queste accise – se ne contano ben diciassette – incidono ancora profondamente sul prezzo dei prodotti alla pompa e rivelano un grave squilibrio in riferimento ai prezzi del carburante nel Paesi dell’UE.[7]

2. Inquadramento sistematico dell’IRBA

Cominciando ab ovo, appare opportuno sottolineare come lo Stato-comunità eserciti il potere autoritativo relativamente alla percezione delle imposte ai sensi dell’art. 53 Cost.: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

Il principio costituzionale di partecipazione coattiva tributaria (ancorata alla manifestazione della capacità contributiva) e il principio di progressività fiscale informano il sistema tributario.

Il potere di attribuzione delle entrate per le autonomie territoriali, risulta bilanciato dal principio di coordinamento della finanza pubblica; inoltre, il sistema tributario regionale è basato sui principi di continenza, territorialità e divieto di doppia imposizione.

L'imposta regionale sulla benzina per autotrazione (IRBA) è stata istituita dall'art. 17, comma primo, del d.lgs. 398/90, secondo cui: “Le regioni a statuto ordinario hanno facoltà di istituire con proprie leggi un'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva, in misura non eccedente lire 30 al litro. (...)”.

A decorrere dal primo gennaio 1996, facendo seguito della disciplina di cui al comma 13 della suddetta legge, come modificata dall'art. 3, comma 14, 1. 549/95: “L'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, è versata direttamente alla Regione dal concessionario dell'impianto di distribuzione di carburante o, per sua delega, dalla società petrolifera che sia unica fornitrice del suddetto impianto, sulla base dei quantitativi erogati in ciascuna Regione dagli impianti di distribuzione di carburante che risultano dal registro di carico e scarico di cui all'articolo 3 del decreto-legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474, e successive modificazioni (...)”.

Premesso che l’imposta incide a livello economico sul consumatore finale, il soggetto passivo del rapporto tributario si rinviene nel “concessionario” dell'impianto stesso (ovvero per sua delega la società petrolifera unica fornitrice).

Il rapporto di natura tributaria, così costituito, non implica la partecipazione del soggetto erogatore del carburante (nel caso in cui il gestore non sia concessionario dell'impianto di distribuzione).

La Corte di Cassazione, sent. 19 aprile 2017, n. 9854,[8] è intervenuta sul tema, ribadendo che anche nel caso di comodato a titolo gratuito della gestione dell’impianto di erogazione del carburante al cliente finale, la stipulazione, tra il concessionario ed un terzo di un accordo, non è di per se idonea a spostare l’obbligazione tributaria dal soggetto specificatamente individuato dalla norma ad un soggetto diverso ed originariamente estraneo.

La ricostruzione in tal senso è supportata dal duplice ruolo del concessionario in chiave pubblicistica: quello di soggetto imposto in relazione alla fattispecie di diritto tributario e di concessionario in relazione al rapporto amministrativo di carattere autorizzatorio.

L’IRBA è tecnicamente un’accisa, infatti, ha come base imponibile l’unità di prodotto, ciononostante, viene definita imposta dalla legge stessa  ̶  in senso non tecnico  ̶ , per tale motivo è gestita nella fase della riscossione[9] dall’Agenzia delle Dogane che applica il Testo Unico delle Accise – d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative).

La Commissione Europea, in data 19 luglio 2018, ha adottato un provvedimento formale di costituzione in mora: la Decisione 2017/2114 ai sensi dell’art. 258 TFU. Con tale atto ha esplicitamente richiesto di abolire le imposte regionali sui carburanti, applicate in Italia. L’IRBA è in vigore dal 1° gennaio 2012 e corrisponde a circa 2 centesimi per ogni litro erogato.

Si tratterebbe, secondo la ricostruzione fatta dalla Commissione Europea, di un’imposta contraria al diritto comunitario perché non avrebbe finalità specifiche ma unicamente di bilancio e, dunque, contravverrebbe alla Direttiva UE sul regime delle accise 2008/118/CE del Consiglio (art.1, par.2).[10]

Con una lettera di costituzione in mora la Commissione Europea ha chiesto all’Italia di abolire l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione (IRBA). Il presupposto essenziale della richiesta è fondato sulla necessità di armonizzazione del tributo.[11]

L’art. 110 del TFUE prevede il divieto di istituzione di tributi discriminatori e protezionistici. In buona sostanza, vieta l’istituzione di una tipologia di tributo che, di fatto, sia una tassa con effetto equivalente ad un dazio doganale. Questo passaggio rappresenta uno snodo centrale nel sistema tributario europeo, oramai consolidato dalla disamina della giurisprudenza della CGCE.[12]

La motivazione della richiesta della Commissione non è ancorata al principio suesposto, poiché risulta incentrata completamente sul principio di armonizzazione di cui all’art. 113 TFUE, purtuttavia, potrebbe portare a conseguenti atti amministrativi e giudiziari.

Il concetto di armonizzazione,[13] nella materia fiscale, si contrappone a quello di frammentazione normativa. Facendo seguito all’avvenuta armonizzazione del tributo, la capacità impositiva risulta vincolata da una disciplina europea “armonizzata” e ripartita tra Stato e Regioni.[14]

Si tratterebbe di effettuare un lavoro di “limatura” delle varie legislazioni interne agli Stati che potrebbero essere in conflitto e costituire un ostacolo all’attuazione pratica delle libertà fondamentali.

Dal punto di vista tecnico-giuridico sarebbe un’ipotesi di ravvicinamento (avvicinamento normativo): una procedura volta a porre rimedio alla diversificazione mediante la conformazione ad un modello unico, di comune accordo fra gli Stati e l’autorità preposta.

Nel caso di ravvicinamento delle legislazioni, un fattore di difficoltà potrebbe riguardare le aliquote, l’armonizzazione di queste ultime risulta difficile anche per la semplice fissazione di quelle minime.

In questo quadro istituzionale e normativo così eterogeneo, la politica tributaria (in senso autonomistico) delle Regioni resta ispirata ad un self restraint[15] nella ricerca di nuove fonti di entrata.

La potestà legislativa in materia tributaria,[16] naturalmente, rimane in capo ai singoli Stati membri, seppure subisca evidenti limitazioni dal diritto comunitario originario, principalmente costituito dai Trattati e dal diritto comunitario derivato: i regolamenti, le direttive, le decisioni (atti dotati di forza vincolante), le raccomandazioni e i pareri (atti privi di forza vincolante), nonché dall’affermarsi della giurisprudenza della CGUE.[17]

3. L’IRBA nel panorama del federalismo fiscale

L’imposizione tributaria può garantire il soddisfacimento di esigenze di carattere extra-fiscale. Sotto tale punto di vista potrebbe essere soggetta al vaglio di costituzionalità per la verifica della corrispondenza dei fini politici ai valori costituzionali.[18]

Occorre preliminarmente stabilire se l’IRBA sia riconducibile a finalità specifiche oppure se sia unicamente destinata al bilancio come entrata di natura tributaria.[19]

Il gettito derivante dall’imposta non dovrebbe e non potrebbe essere utilizzato per il finanziamento delle spese di esercizio ma per una finalità specifiche. Insomma, non si tratta di rinforzare il bilancio di un’autonomia territoriale tramite un prelievo aggiuntivo ma di conferire uno scopo predeterminato all’entrata tributaria.

L’aumento del gettito inteso al rafforzamento dell’ente beneficiario considerato in chiave federalista, non costituisce ex se una finalità specifica; oltretutto, occorre valutare l’imposta in relazione al principio di correlazione.[20]

Nel caso in cui i beneficiari di un'imposta di scopo siano diversi dalla collettività dei contribuenti (soggetti passivi di quella imposta), il proposito, auspicato o paventato, rileva unicamente sul piano “politico-economico”.

La Direttiva della Comunità Europea del 25/02/1992 n. 12Direttiva CEE del Consiglio relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa”, all’art. 3, paragrafo 2, in relazione agli oli minerali indicati nel paragrafo 1, stabilisce che “I prodotti di cui al paragrafo 1 possono formare oggetto di altre imposizioni indirette aventi finalità specifiche, nella misura in cui esse rispettino le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell'IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l'esigibilità e il controllo dell'imposta”.

I concetti espressi nella Direttiva suindicata riprendono l’idea che la contribuzione obbligatoria non sia destinata al soddisfacimento delle esigenze del singolo ma soddisfi bisogni di carattere generale, che potrebbero essere definiti come sociali. In via teorica, il dovere tributario non richiede una necessaria controprestazione da parte dello Stato, come se fosse incardinato in un rapporto di carattere civilistico avente natura sinallagmatica.

In riferimento alla nozione di finalità specifica è intervenuta la sentenza della CGUE (Terza Sezione) 27 febbraio 2014, causa C-82/12, riguardante l’imposta spagnola IVMDH, avente ad oggetto la vendita al dettaglio di oli minerali di competenza delle Comunità autonome.

La suddetta Corte ha dichiarato il contrasto del tributo suddetto con l’art. 3, paragrafo 2, della Direttiva della Comunità Europea n.12 del 25 febbraio 1992, poiché non rispetta la finalità specifica richiesta.

In effetti, il gettito derivante dall’IVMDH rafforza l’autonomia territoriale di una collettività mediante il prelievo fiscale, raggiunge la finalità dell’aumento del gettito di bilancio per finalità generiche di salute ed ambientali.

Tutto questo è in contrasto con i meccanismi di assegnazione predeterminati per specifici fini ambientali[21] volti a controbilanciare l’utilizzo degli oli minerali.

Il principio interpretativo richiamato nella ridetta sentenza deve essere valutato, almeno per quanto riguarda l’Italia, in riferimento al principio di correlazione dell’imposta[22] nel rinnovato quadro normativo fornito dal federalismo fiscale.[23]

Ad esempio, in materia sanitaria, le Regioni hanno la possibilità di finanziare la spesa per le prestazioni con i ticket che sono perfettamente rispondenti ai principi di continenza e correlazione.

Il tributo di scopo (earmarked tax)[24] risulta essere coerente con il principio di correlazione e si caratterizza per la destinazione del gettito, già prestabilita, nel momento in cui sorge l’obbligazione tributaria.

4. Profili di diritto tributario regionale

Il quadro appare fortemente variegato e oltremodo influenzato dalla giurisprudenza (comunitaria in primis) nonché dalla concreta minaccia dell’apertura della procedura di infrazione da parte della Commissione Europea.

Abyssus abyssum invocat.

Nel contesto normativo descritto il rischio di avere sistemi tributari eterogenei, frammentati e dissimili è altissimo, così si viaggia verso l’incertezza del diritto.

Il mondo è bello perché è vario, tuttavia, quando il diritto diviene variegato, inevitabilmente, l’ordinamento giuridico potrebbe essere meno rispettoso dei principi generali che impattano sulla materia de quo nonché meno corrispondente ad equità e giustizia.

La Regione Puglia, a mero titolo esemplificativo dell’incertezza che domina la materia, ha introdotto l’IRBA con l.r. 31 dicembre 2007, n. 40,[25] poi abrogata nel 2009, successivamente reintrodotta nell’anno 2011.

La Commissione Tributaria Provinciale di Lecce con la recente sent. n. 29 settembre 2016, n. 2327, ha messo in evidenza la violazione dell’art. 5 dello Statuto dei Contribuenti per la carenza di attività amministrativa-finanziaria volta ad assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni attuative vigenti in relazione al tributo de quo.

Successivamente, la Regione predetta è intervenuta per sanare una situazione divenuta confusionaria, con la l.r. del 29 dicembre 2017, n. 67, all’art. 61,[26] ha previsto la definizione del contenzioso relativo all’IRBA approvando un vero e proprio condono fiscale.

Un caso diverso e allo stesso tempo significativo è costituito dall’attività legislativa della Regione Marche. Difatti, in attesa della definizione della procedura di infrazione europea, il legislatore territoriale ha approvato la legge regionale sull’assestamento del bilancio di previsione 2018/2020 che, all’art. 7, prevede l’abolizione ex abrupto dell’IRBA (pari a 0,02 €/litro) con decorrenza 1° novembre 2018.

5. Prospettive future de jure condendo

Prescindendo dal nomen juris, che spesso serve molto alla classificazione ma poco alla sostanza delle cose, l'idea innovativa potrebbe essere quella di una re-introduzione dell'imposta regionale sulla benzina armonizzata a livello comunitario, nel rispetto dei principi di coordinamento e continenza ed avente una ben individuata finalità di scopo, corrispondente al principio di semplificazione del sistema tributario.

La normativa regionale attuale, rischia di venire inesorabilmente travolta dall’armonizzazione delle accise[27], quest’ultima è funzionale al processo di perfezionamento dell’intero mercato.

L’auspicata adozione, da parte degli Stati membri dell’UE, di aliquote quantomeno convergenti, pone come conseguenza necessaria il tema della (ri)-centralizzazione del sistema tributario, in forza del principio di coordinamento della finanza pubblica con la finalità di evitare una frammentazione confusionaria.

La ridetta procedura sanzionatoria, posta in essere dalle istituzioni europee, incombe come una spada di Damocle sulle legislazioni regionali vigenti.

Allo stato attuale, intervenire con legge regionale sulla materia risulterebbe intempestivo, in relazione ai possibili accadimenti futuri, anche di carattere sanzionatorio, in ambito UE.

In un certo senso, un possibile intervento sarebbe anche inopportuno se fosse attuato in maniera totalmente autonoma dalle singole Regioni, senza discuterne preventivamente nella sede istituzionale apposita della Conferenza Stato Regioni.

La normativa europea prevede un tributo di scopo per incentivare e sostenere lo sviluppo del trasporto pubblico locale, magari legandolo ad uno svecchiamento del parco autoveicoli circolante, con finalità di carattere ambientale.

Si avrebbe, in tal guisa, un doppio effetto: quello di raggiungere l’obiettivo di correggere il danno ambientale derivante dall’inquinamento atmosferico cagionato dalla benzina, allo stesso tempo, quello di incentivare il trasporto pubblico e snellire il traffico che affligge maggiormente le aree metropolitane.

La politica della Commissione Europea indicata nel “Libro Bianco - Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti - Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile”,[28] prevede un programma di rinnovo delle flotte pubbliche, con mezzi che siano in grado di garantire un trasporto ad alta efficienza, veicoli dotati dei moderni strumenti forniti dal progresso tecnologico, in grado di provocare un impatto ambientale minimo in termini di inquinamento atmosferico.

In attesa di sviluppi futuri sulla procedura d’infrazione e delle conseguenze che potrebbero scaturirne, (anche nefaste in termini di bilancio regionale armonizzato, ai sensi del d.lgs. 10 agosto 2014, n. 126, secondo direttrici simili a quella del bilancio dello Stato), si potrebbe, almeno momentaneamente, concludere con un sibillino dubito ergo sum, attendendo con ansia il fatidico responso.

 

[1] Link

[2] Il d.lgs. 24 settembre 2015, n. 160, recante disposizioni in materia di stima e monitoraggio dell'evasione fiscale e monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale, in attuazione degli articoli 3 e 4 della legge 11 marzo 2014, n. 23, ha inserito l’articolo 10-bis.1 nella legge 31 dicembre 2009, n. 196, prevedendo che, contestualmente alla Nota di aggiornamento del DEF, sia presentato un Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all'evasione fiscale e contributiva predisposto da una Commissione istituita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

[3] R. PERRONE CAPANO, L’imposizione e l’ambiente, in Trattato di diritto tributario, diretta da A. AMATUCCI, Padova 2001, pag. 162.

[4] Il riferimento è all’abbreviazione di tassa ecologica meglio nota come green tax o tassa verde: un tributo che abbia lo scopo di favorire la difesa dell'ambiente.

[5] Link

[6] Link

[7] Link

[8] La Regione Campania ha istituito l’IRBA con l.r. n. 28/2003, art. 3, comma 3: “L'imposta è dovuta alla Regione dal concessionario dell'impianto di distribuzione di carburante sulla base dei quantitativi erogati in ogni mese”.  Ha modificato una prima volta l’anzidetto articolo con l.r.  n. 8/2004, una seconda volta con l.r. n. 15/2005 andando a individuare il soggetto imposto in relazione alla titolarità dell’autorizzazione: “L'imposta è dovuta alla Regione dal concessionario e dal titolare dell'autorizzazione dell'impianto di distribuzione del carburante o, per loro delega, dalla società petrolifera che sia unica fornitrice dell'impianto, su base mensile e sui quantitativi di cui al Decreto del Ministero delle finanze 30 luglio 1996, art. 1, comma 1, lett. d).”.

[9] Sia la riscossione spontanea che quella coatta possono dar luogo a problematiche rilevanti che molto spesso sfociano nel contenzioso tributario. In questo campo il problema principale è quello relativo all’esatta qualificazione giuridica della delega tra soggetto imposto (il “concessionario dell'impianto di distribuzione di carburante”) e il sostituto d’imposta (“società petrolifera che sia unica fornitrice del suddetto impianto”). Sul punto non è dato rinvenire una giurisprudenza significativa, tuttavia, si può affermare chiaramente che questo punto rappresenta il vero nodo da dipanare per risolvere i rapporti intercorrenti tra le parti coinvolte.

[10] In caso di mancata attivazione da parte delle istituzioni del nostro Paese entro due mesi, potrebbe scattare la procedura di messa in mora, con relativo procedimento davanti alla CGUE. L’immediata cancellazione dell’addizionale eviterebbe l’infrazione comunitaria.

[11] Art. 110 TFUE: “Nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari. Inoltre, nessuno Stato membro applica ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne intese a proteggere indirettamente altre produzioni”.

[12] Il precedente comunitario riveste un ruolo di fondamentale importanza nella fase di giurisdizione interna, allo stesso modo delle norme comunitarie direttamente applicabili, secondo il brocardo iura novit curia, già molto diffuso in Europa nel significato complesso dell’adagio a far data dal secolo XVII. La giurisprudenza costituzionale impone al Giudice comune di affrontare preliminarmente la questione comunitaria prima di quella costituzionale, inoltre, di ricercare le precedenti e puntuali decisioni della CGUE. In dottrina si veda: E. GHERA, Pregiudiziale comunitaria, pregiudiziale costituzionale e valore di precedente delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia, in Riv. Dir. Cost., 2000, I, pp. 1193-1201.

[13] Nella materia dei tributi armonizzati è intervenuta la Suprema Corte; in relazione all’obbligo del contraddittorio preventivo in materia tributaria ha stabilito che: “(…) Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusiva-mente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito”. Viceversa, nel caso di tributi armonizzati a livello comunitario emerge, inequivocabilmente, che il mancato rispetto del contraddittorio procedimentale tributario, inteso quale violazione del diritto alla difesa tutelato a livello comunitario, comporta la caducazione del provvedimento medesimo.

[14] Italo Calvino: “Quando le cose non sono semplici (...) pretendere la semplificazione a tutti i costi è faciloneria, e proprio questa pretesa obbliga i discorsi a diventare generici, cioè menzogneri. Invece, lo sforzo di cercare di pensare e d’esprimersi con la massima precisione possibile proprio di fronte alle cose più complesse è l’unico atteggiamento onesto e utile”.

[15] Si limita esclusivamente al controllo delle proprie azioni senza interagire strategicamente con le altre istituzioni coinvolte nella disciplina e nella gestione del tributo anzidetto.

[16] L. ANTONINI, Federalismo fiscale: la manovrabilità dei tributi propri, Commentario ANCI sulla legge delega sul federalismo fiscale. Link

[17] Corte Cost., 8 giugno 1984, n. 170, in Giur. cost., 1984, I, p. 1098. Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte Costituzionale le sentenze della Corte di Giustizia hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull'ordinamento nazionale.

[18] Il principio di sostenibilità e il concetto correlato di sviluppo sostenibile impongono regole finalizzate alla soddisfazione dei bisogni attuali, senza compromettere le necessità delle generazioni future.

La gestione delle risorse energetiche dovrebbe essere tale da garantire i bisogni economici e sociali, senza trascurare la protezione dell’ambiente e gli equilibri fondamentali della natura, conservando la biodiversità, tendendo al miglioramento della qualità di vita.

Il principio di sostenibilità si espande, invadendo la materia dei bilanci pubblici di cui agli artt. 81 e 97 della Costituzione, così, il tema del rapporto intergenerazionale rimane di grande attualità, soprattutto in relazione alla modalità tecnico-giuridica con cui dare attuazione alla problematica della relazione tra individui presenti e futuri.

Qualora il suddetto principio rientrasse nel novero dei criteri costituzionali, sarebbe un principio catalizzatore di un’interpretazione costituzionalmente orientata verso un approccio olistico in relazione ai concetti di sviluppo economico, sociale ed ambientale, tale da garantire l’equità sociale.

[19] CGCE (Quinta Sezione), 9 marzo 2000, procedimento C-437/97.

[20] E. CARUSO, A. FONTANA, F. PETRINA, L. RICCI, Sintesi dei principali documenti prodotti dall’Alta Commissione di studio per la definizione dei meccanismi strutturali del Federalismo Fiscale, in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, 1/2006, pag. 16, secondo cui i principi della continenza e della “responsabilità nell’imposizione di tributi propri: sono principi strettamente intrecciati a quello di correlazione […] e al nesso necessario tra responsabilità amministrative e finanziarie”.

[21] CGUE (Terza Sezione) 27 febbraio 2014, causa C-82/12, punto 32: “Inoltre, dagli elementi a disposizione della Corte si evince che la normativa nazionale in discussione non prevede meccanismi di assegnazione predeterminata a fini ambientali del gettito dell’IVMDH. Orbene, mancando siffatta assegnazione predeterminata, si può considerare, come in sostanza rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 25 e 26 delle sue conclusioni, che un’imposta quale l’IVMDH sia diretta di per sé a garantire la tutela dell’ambiente e, di conseguenza, persegua una finalità specifica ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 soltanto qualora siffatta imposta sia concepita, quanto alla sua struttura, segnatamente riguardo alla materia imponibile o all’aliquota d’imposta, in modo tale da scoraggiare i contribuenti dall’utilizzare oli minerali o da incoraggiare l’utilizzo di altri prodotti i cui effetti sono meno nocivi per l’ambiente.”

Nel campo della tassa ambientale, il principio del “chi inquina paga”, teorizzato da Arthur Pigou e dallo stesso propagandato indica la direzione precisa per cui chi produce esternalità negative deve ricevere un malus che vada a compensare il danno prodotto, invece, chi producendo rispetta l’ambiente deve essere premiato (bonus). Accanto ai tributi che hanno una finalità disincentivante, vi sono tributi che hanno la funzione principale di reperimento delle risorse.

La tutela dell’ambiente è inquadrata nella Costituzione, come materia di competenza esclusiva del legislatore statale, dall’art. 117 Cost., comma, lett. s), così come modificato dalla Legge costituzionale n. 3 del 2001. Precedentemente, l’ambiente era già stato definito un valore costituzionale per opera della Corte Cost. in relazione ai principi di tutela del paesaggio (art. 9 Cost.) e di tutela della salute (art. 32 Cost.), in tal modo da considerare un fine ed un insieme di interessi e di beni in cui la nostra comunità si riconosce e di cui assume la responsabilità.

[22] Il principio di correlazione è esplicato nell’art. 2, comma 2, lettera p), della legge delega n. 42/2009, infatti, precisa che i successivi decreti legislativi si dovranno basare sulla “tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilità nell’imposizione di tributi propri”. Gli enti territoriali, data la vicinanza ai cittadini, avrebbero una maggiore possibilità di svolgere il suddetto principio rispetto allo Stato centrale, difatti, mentre quest’ultimo si occupa di esigenze riguardanti l’intera comunità, gli enti territoriali forniscono servizi finanziati tramite tributi di scopo o para-commutativi.

[23] Per una recente ricerca sul tema, anche in un’ottica comparativistica, si veda: G. MASSA GALLERANO, Federalismo fiscale in Italia e Spagna. Elementi costitutivi, inattuazione e questione aperte. Link

[24] Ad esempio la tassa regionale per il diritto allo studio, l’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili (IRESA), nonché il tributo regionale sul conferimento in discarica dei rifiuti (quest’ultimo rientra nella categoria delle green taxes), sono stati introdotti dalle Regioni per il raggiungimento di particolari obiettivi. La cd. ecotassa è disciplinata a livello nazionale dall’art. 3, commi da 24 a 41, della legge n. 549/1995. Il tributo ha ad oggetto il conferimento dei rifiuti in discarica e colpisce:

  • i gestori di impianti di stoccaggio definitivo di rifiuti, con obbligo di rivalsa nei confronti di colui che effettua il conferimento;
  • i gestori di impianti di incenerimento senza recupero di energia (pertanto non vi rientrano i cd. termovalorizzatori);
  • chiunque esercita illecitamente attività di discarica abusiva;
  • chiunque abbandona, scarica ed effettua deposito incontrollato di rifiuti.

Inoltre, l’articolo 8 del d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68, ha trasformato, a decorrere dall’anno 2013, alcuni tributi precedentemente istituiti e disciplinati dallo Stato in tributi propri regionali, tra cui, appunto, l’IRESA.

[25] Art. 3, punto 8, l.r. 31 dicembre 2007, n. 40: “Al fine di assicurare la copertura dei disavanzi di gestione in materia di spesa sanitaria, l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, prevista al capo III del d.lgs. 398/1990 è istituita con legge regionale 17 febbraio 1994, n. 9 (Imposta regionale sulla benzina per autotrazione) ai sensi dell’articolo 1, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), è fissata in euro 0,0258 per litro di benzina.”.

[26] Link

[27] Per una disamina di carattere fiscale si veda: R. BALDWIN, P. KRUGMAN, Agglomeration, Integration and Tax Harmonization, Discussion Paper n. 2630, Centre for Economic Policy Research, 2000.

[28] Link