Pubbl. Gio, 22 Nov 2018
Il Conseil d´État viola gli obblighi UE: la CGUE condanna la Repubblica Francese
Modifica paginaQuid iuris ove un giudice di ultima istanza di uno Stato Membro adotti una decisione potenzialmente contraria al diritto dell’Unione Europea? È questo il delicato punto di diritto che la Quinta Sezione della Corte di Giustizia dell´Unione Europea ha inteso risolvere con la Sentenza del 4 ottobre 2018, relativa alla causa C‑416/17.
Premessa
Giova premettere che fin dal celebre giudizio nella causa C-129/00 (Commissione/Italia), la Corte di Giustizia si è sempre espressa sul punto affermando la possibilità di prendere in considerazione - nell’ambito di una procedura d’infrazione - solamente decisioni giurisdizionali basate su una “interpretazione giurisprudenziale significativa non smentita dal [..] supremo giudice, o addirittura da esso confermata”, con netta esclusione delle pronunce giurisdizionali isolate o fortemente minoritarie e a fortiori delle interpretazioni expressis verbis smentite dal supremo giudice nazionale. In altre parole, una sentenza sino ad ora poteva avere rilievo nelle procedure ex art. 258 TFUE solo come espressione di un consolidato orientamento giurisprudenziale e mai come unicum sul piano giurisprudenziale.
A distanza di circa 15 anni dalla precedente statuizione, con la Sentenza del 4 ottobre 2018, relativa alla causa C‑416/17 la CGUE si è trovata a dover decidere una nuova questione che, pur muovendo da simili premesse, giunge a nuove e –come vedremo- dirompenti conclusioni.
1. Il fatto
La vicenda in esame segue una precedente sentenza della CGUE (“Accor”, 15 settembre 2011, causa C-310/09) in cui la Corte di giustizia aveva affermato la contrarietà al diritto dell’Unione della normativa francese con cui era stata introdotta una differenza di trattamento tra i dividendi distribuiti da una controllata residente e quelli distribuiti da una controllata non residente, nonché l’incompatibilità tra le disposizioni del Trattato e il meccanismo francese di prevenzione della doppia imposizione.
A breve distanza dalla sentenza Accor, il Conseil d’État è stato investito in plurimi giudizi di questioni giuridicamente simili, sebbene circoscritte alle sole controllate di secondo livello. Ciò nonostante, i magistrati francesi hanno ritenuto, per un verso, di non doversi conformare al dictum della Sentenza Accor e, sotto altro profilo, di discostarsi dalla sentenza CGUE del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11), per il motivo che il regime britannico in questione era ritenuto diverso dal regime francese del credito d’imposta e dell’anticipo d’imposta.
A giudizio dei giudici amministrativi francesi, infatti, in entrambi i casi si verteva su questioni differenti e non sovrapponibili, pertanto non rilevanti ai fini del giudizio.
A seguito delle sentenze del Conseil d’État, la Commissione Europea -destinataria di diverse denunce medio tempore intervenute e relative alle condizioni di rimborso dell’anticipo d’imposta- ha ravvisato che tali pronunce contenessero plurimi profili violativi del diritto UE.
Ha preso avvio, così, il procedimento precontenzioso che, tuttavia, ha condotto la Commissione a proporre un ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia, stante il rifiuto della Francia di conformarsi al parere che la sollecitava ad adottare provvedimenti finalizzati al superamento delle lamentate violazioni.
2. La sentenza
Il ricorso proposto dalla Commissione europea contro la Repubblica francese ha avuto ad oggetto l’inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, derivato dalla violazione degli obblighi a essa incombenti in forza dei principi di equivalenza e di effettività e in forza degli articoli 49, 63 e 267, terzo comma, del TFUE. Violazioni, a giudizio della Commissione, discendenti dalla condotta del Conseil d’État, giudice amministrativo di ultima istanza, il quale ha imposto restrizioni contrarie al diritto dell’Unione senza interrogare la Corte di giustizia al fine di accertare la compatibilità di tali restrizioni con il diritto dell’Unione.
Affrontando la questione nel merito, la Corte di giustizia ha ricordato che “il diritto dell’Unione impone ad uno Stato membro, che applichi un sistema per prevenire la doppia imposizione economica nel caso di dividendi versati a residenti da società̀ residenti, l’obbligo di concedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a residenti da società̀ non residenti” (v. punto 36 sent. citata) e conseguentemente ha stabilito che la Repubblica Francese era “tenuta, per porre fine al trattamento discriminatorio così contestato nell’applicazione di detto meccanismo fiscale diretto alla prevenzione della doppia imposizione economica dei dividendi distribuiti, a prendere in considerazione l’imposizione precedentemente subita dagli utili distribuiti risultanti dall’esercizio della potestà tributaria dello Stato membro di origine dei dividendi, nei limiti della propria potestà tributaria, a prescindere dal livello della catena di partecipazione in cui tale imposizione è stata subita, ossia da una controllata o da una controllata di secondo livello (v. punto 43 sent. citata).
Infine, dopo aver rigettato gli ulteriori motivi di ricorsi, la Corte ha affrontato la quarta ed ultima censura mossa dalla Commissione, secondo la quale il Conseil d’État avrebbe dovuto effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte prima di stabilire le modalità di rimborso dell’anticipo d’imposta la cui percezione era stata dichiarata incompatibile con gli articoli 49 e 63 TFUE dalla sentenza del 15 settembre 2011, Accor(C‑310/09).
2.1. Sul Conseil d’État
Il Conseil d’État, infatti, nella sua qualità di giudice di ultima istanza (i.e.organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non è possibile proporre un ricorso giurisdizionale di diritto interno), è tenuto (recte, obbligato) ad effettuare un rinvio pregiudiziale ogni qual volta sia investito di una controversia che sollevi una questione d’interpretazione del diritto dell’Unione.
Difatti, ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE,qualora non esista alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, “in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte [..] quando è chiamato a pronunciarsi su una questione d’interpretazione del Trattato FUE”(sent. 15 marzo 2017, Aquino, C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 42). Le uniche eccezioni a tale obbligo sono da ravvisarsi nei soli casi in cui:
1. risulti irrilevante la questione sollevata;
2. la disposizione del diritto UE di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte;
3. la corretta applicazione del diritto UE si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (ipotesi, tra l’altro, da adottare solo ove ricorrano le garanzie espresse nelle note sentenze Cilfit, C-283/81 e Ferreira da Silva e Brito, C‑160/14).
Muovendo da tali canoni ermeneutici, la Corte ha accolto la censura, sebbene con motivazioni parzialmente differenti dalle prospettazioni avanzate in parte qua dalla Commissione.
Ad avviso di quest’ultima, è bastevole a radicare l’inadempimento il rilievo del mancato rinvio pregiudiziale da parte del Conseil d’Étatin ipotesi implicanti l’esistenza di un dubbio ragionevole in merito alla corretta interpretazione da adottare. A tal proposito, la Corte è stata netta nel constatare che “spettava al Conseil d’État, in quanto organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, adire la Corte sul fondamento dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, al fine di eliminare il rischio di un’errata interpretazione del diritto dell’Unione(v., in tal senso, sentenza del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a., C‑160/14, EU:C:2015:565, punto 44)”.
Riscontrata l'omissione, la Corte ha accolto il ricorso e accertato giudizialmente l’inadempimento della Repubblica Francese.
3. Perché è importante
Come immaginabile, la sentenza in esame è stata accolta con notevole difficoltà in Francia. Basti rilevare le prime reazioni, laddove la vicenda in esame è stata etichettata come un affronto (“un camouflet”, si veda l’articolo “Quand la CJUE condamne le Conseil d’Etat, mauvais élève européen”, pubblicato in data 8 ottobre 2018).
Ma le ripercussioni di questa sentenza si estenderanno ben presto oltre i confini francesi.
A ben vedere, l’eventualità che una corte suprema possa essere oggetto di giudizio per questioni pregiudiziali, introduce una evidente alterazione degli equilibri nel sistema (multilivello) delle tutele a livello nazionale ed europeo.
Infatti, se, per un verso, così facendo viene affermata con vigore la supremazia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tutte le vicende aventi ad oggetto profili eurounitari, anche prescindendo dal riscontro effettivo del carattere della transnazionalità della questione, sotto altro profilo ciò potrebbe porre le basi per un grave vulnus(almeno apparentemente) all’indipendenza dei sistemi giurisdizionali nazionali.
Come è stato già evidenziato nei primi commenti alla sentenza in esame, infatti, il ricorso per inadempimento assumerebbe i connotati di una sorta di “pseudo-appello” innanzi alla CGUE contro le sentenze delle corti nazionali, avallando de facto un sistema di rimedi diretti contro le decisioni giudiziarie interne, fortemente osteggiato in sede europea in sede di approvazione dei Trattati (v. Prof. Daniel Sermiento, “Judicial Infringements at the Court of Justice – A brief comment on the phenomenal Commission/France (C-416/17)”, 9 ottobre 2018).
Indubbiamente il raccordo tra ordinamenti nazionali e ordinamento europeo è messo a dura prova dal recente arresto in commento.
Tuttavia, è necessario attendere i futuri sviluppi per poter analizzare le conseguenze effettive sui sistemi giurisdizionali interni.
Appare ragionevole ipotizzare, nell’immediato, una maggiore attenzione sulle questioni pregiudiziali da parte dei giudici nazionali di ultimo grado.
Ma non bisogna dimenticare che il vero dominus è ormai un Giudice che non parla più latino, risiede nel Lussemburgo e, da oggi, ha elaborato nuove vie per affermare la propria funzione nomofilattica.