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Pubbl. Lun, 5 Nov 2018

I beni pubblici destinati alla navigazione e il regime delle concessioni demaniali marittime

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Simone Petrone


I beni del demanio marittimo, rientrando nell’alveo dei beni demaniali, sono destinati ad pubblico utilizzo, motivo per il quale l’art. 823 c.c. prevede che essi non possano essere oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano


Sommario: 1. I beni pubblici e il loro “usi”; 2. I beni pubblici destinati alla navigazione; 3. I beni del demanio marittimo; 4. I poteri degli enti territoriali sul demanio marittimo; 5. Federalismo demaniale; 6. L’attività amministrativa relativa ai beni pubblici destinati alla navigazione marittima ed aerea; 7. La concessione amministrativa; 8. Concessioni demaniali marittime; 9. La peculiare posizione giuridica rivestita dal concessionario di beni pubblici; 10. Il principio comunitario di concorrenza e le frizioni con la normativa italiana sulle concessioni demaniali marittime; 11. Il rinnovo delle concessioni demaniali marittime: profili di criticità alla luce della Direttiva Bolkestein (direttiva 2006/123/CE); 12. La soluzione offerta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel 2016; 13. La risposta legislativa italiana: l. n. 160/2016; 14. Conclusioni.

1. I beni pubblici e il loro “usi”

I beni pubblici sono gli strumenti di cui la PA si avvale per perseguire il pubblico interesse. Tali beni vengono disciplinati, in particolare, nel Libro III, Titolo I, Capo I, agli artt. 822 e seguenti del Codice Civile.

I beni pubblici possono essere distinti in beni del demanio pubblico (art. 822 – 825 c.c.), beni del patrimonio indisponibile e beni del patrimonio disponibile (articoli 826, commi 2 e 3 e 828). Ognuna delle categorie evidenziate vanta un peculiare regime giuridico.

I beni demaniali e i beni del patrimonio indisponibile sono sottoposti ad una disciplina di matrice pubblicistica al fine di garantire l’utilità pubblica a cui tali beni sono strumentali.

I beni che appartengono al patrimonio disponibile, viceversa, sono sottoposti ad una disciplina di stampo essenzialmente privatistico, in quanto sono solo indirettamente finalizzati a curare un  pubblico interesse.

Si evidenzia, infine, come in via pretoria si stia assottigliano il limes che separa i beni demaniali e i beni del patrimonio indisponile a fronte di un graduale avvicinamento del loro regime giuridico.

Ad oggi, dunque, la nozione di bene pubblico è legata più all’aspetto sostanziale e funzionale, che a quello soggettivo, avendo riguardo più della sua destinazione pubblicistica che della sua formale appartenenza.

Tale tendenza giurisprudenziale ha determinato, poi, la nascita dell’inedia categoria del “bene comune”; insieme di beni riconosciuti alla collettività in ragione dei canoni costituzionali solidaristici di cui agli artt. 2, 9, 42, 117 e 118 Cost.

2. I beni pubblici destinati alla navigazione

I beni pubblici destinati alla navigazione sono una macro-categoria che ricomprende al suo interno: i beni del demanio marittimo, i beni del demanio idrico ed infine, i beni del demanio aeronautico. Le prime due tipologie di beni (ovvero i beni del demanio marittimo e i beni del demanio idrico) rientrano nel demanio necessario, mentre i beni del demanio aeronautico fanno parte del demanio accidentale. I beni del demanio marittimo, rientrando nell’alveo dei beni demaniali, sono destinati ad pubblico utilizzo, motivo per il quale l’art. 823 c.c. prevede che essi non possano essere oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (si vedano gli artt. 28 ss. c. nav. per quanto concerne i beni destinati alla navigazione marittima e gli artt.694 ss. c. nav. per quanto concerne i beni destinati alla navigazione aerea).

Tali beni, dunque, in alcuni casi legislativamente previsti, possono essere utilizzati in via mediata  non dalla PA, ma da soggetti diversi (pubblici o privati), per soddisfare usi pubblici o privati che siano connaturali al bene stesso; usi tra i quali rileva, in particolare, proprio la navigazione.

Il fine pubblico cui sono asserviti i beni demaniali e i beni patrimoniali indisponibili può essere perseguito in diversi modi, ovvero tramite:

  • un uso esclusivo (o diretto) da parte della stessa PA che persegue in maniera immediata il fine pubblico cui il bene è funzionale;
  • un uso generale (o comune) da parte di qualsiasi soggetto (pubblico o privato); il bene è naturalmente idoneo ad essere utilizzato erga omnes, in quanto la collettività vanta un diritto soggettivo alla sua fruizione gratuita, prescindendo da qualsiasi adempimento.
  • un uso particolare (o speciale) da parte di soggetti pubblici o privati; l’impiego del bene è estraneo alla sua normale destinazione, in quanto esso viene parzialmente sottratto al suo “uso comune” per essere attribuito in godimento esclusivo ad un soggetto (pubblico o privato) specifico, mediante un provvedimento amministrativo; si pensi alla concessione-contratto. In tal caso la PA è chiamata ad effettuare un preventivo vaglio di compatibilità tra interesse privato e l’interesse pubblico, a cui è generalmente asservito il bene.
  • un uso straordinario (o eccezionale) l’impiego del bene è connaturale alla sua destinazione, ma non è consentito a tutti. Solo determinati soggetti, infatti, in base ad uno specifico titolo rilasciato dalla PA, possono utilizzare tali beni. A titolo esemplificativo si richiama l’autorizzazione per l’esercizio della pesca nei porti e nelle altre località di sosta o di transito delle navi disciplinata dall’art. 79 c. nav.

3. I beni del demanio marittimo

L’art. 822, comma 1, c.c. annovera tra i beni del demanio pubblico: il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia, ed infine le opere destinate alla difesa nazionale.

Sulla falsariga dell’art. 822 c.c., poi, l’art. 28 del codice della navigazione offre un elenco dei beni che vanno annoverati nell’alveo del demanio marittimo, ovvero:

  • Il lido, la spiaggia, i porti, le rade;
  • Le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare;
  • I canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo;

L’art. 29 c. nav. sancisce inoltre, che sono pertinenze del demanio marittimo “le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale”. Definizione ben più ampia di quella offerta dall’art. 817, comma 1, c.c., a norma del quale “Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa”.

4. I poteri degli enti territoriali sul demanio marittimo

Prima di effettuare una disamina riguardo ai poteri sul demanio marittimo riservati agli enti territoriali (Comuni, Province, Città Metropolitane, Regioni), è bene evidenziare come, in tale materia, alle Regioni a Statuto Ordinario sia attribuita una potestà legislativa e regolamentare. Si tratta di una potestà concorrente, ex art. 117, comma 3, Cost., per quanto concerne i porti e aeroporti civili, e di una potestà residuale, ex art. 117, comma 4, Cost., per quanto riguarda gli altri beni del demanio.

Funzionale e parallela alla gestione dei beni del demanio si presenta, poi, la previsione di una potestà concorrente relativa al governo del territorio (art. 117, comma 3, Cost.).

Lo Stato, dunque, ha la proprietà dei beni del demanio marittimo, ma, a fronte della riforma del Titolo V della Costituzione (l. cost. n. 3 del 2001), le funzioni amministrative, ad essi relative, sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano via via conferite all’ente territoriale più idoneo a curarle (Province, Città metropolitane, Regioni e Stato), sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

Quando si ravvisa la necessità di assicurare l’esercizio unitario di determinate materie, infatti, in omaggio al principio di sussidiarietà, vengono attribuite, in deroga, allo Stato, sia le relative funzioni amministrative che la corrispondente potestà legislativa.

In merito, la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 303 del 2003, ha coniato l’istituto dell’attrazione in sussidiarietà; strumento chiamato a temperare la rigida ripartizione per materie contenuta nell’art. 117 Cost.

In sintesi, i comuni sono gli enti a cui vengono precipuamente riservate le funzioni amministrative per la gestione dei beni demaniali, mentre lo Stato conserva la competenza sugli atti destinati ad incidere sulla loro sfera dominicale, salvo non operi il principio di sussidiarietà.

Orbene, passando ai beni del demanio marittimo, il d.lgs n. 112 del 1998, relativo al "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59", prevede, rispettivamente agli artt. 104 e 105, le funzioni che sono mantenute dallo Stato e le funzioni conferite alle regioni e agli enti locali.

Più precipuamente l’art. 104, comma 1, lett. s, prevede che lo Stato sia competente in materia di:

  • classificazione dei porti; 
  • pianificazione, programmazione e progettazione degli interventi aventi ad oggetto la costruzione, la gestione, la bonifica e la manutenzione dei porti e delle   vie di   navigazione, delle opere edilizie   a servizio dell'attività portuale, dei bacini di carenaggio, di fari e fanali, nei porti di rilievo nazionale e internazionale; oltreché, ex art. 104, comma 1, lett. t-aa, limitatamente:
  • alla disciplina e alla sicurezza della navigazione da diporto; alla sicurezza della navigazione interna;
  • alle caratteristiche tecniche e al regime giuridico delle navi e delle unità da diporto;
  • alla disciplina e alla sicurezza della navigazione marittima;
  • alla bonifica delle vie di navigazione;
  • alla costituzione e gestione del sistema del traffico marittimo, denominato VTS;

Le Regioni a Statuto Speciale, invece, prevedono apposite norme volte a regolare la titolarità dei beni demaniali, diversificate per ciascuna Regione, in relazione alle peculiarità storico-geografiche che le caratterizzano.

5. Federalismo demaniale

L’assetto funzionale delineato è tuttavia destinato a mutare a compimento del federalismo demaniale, disciplinato dal d.lgs n. 85 del 2010. Si tratta di un fenomeno funzionale alla piena attuazione del federalismo fiscale, codificato a livello costituzionale dall’art. 119 Cost.

In merito, la legge 5 maggio 2009, n. 42, recante "Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione” ha previsto l’emanazione di una serie di decreti delegati per darvi piena esecuzione. Il primo dei decreti legislativi adottati nell’esercizio di tale delega è proprio il d.lgs. n. 85 del 2010, che disciplina appunto, il federalismo demaniale.

Il decreto legislativo n. 85 del 2010, in sostanza, disciplina l’attribuzione di un proprio patrimonio agli enti locali per dare attuazione al dettato normativo di cui all’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42. Il federalismo demaniale, dunque, è una procedura di trasferimento di alcuni beni del demanio dallo Stato agli enti locali per consentire ad essi di svolgere al meglio le loro funzioni. Il citato dispositivo costituzionale infatti, prevede che tanto lo Stato, quanto le Regioni e gli altri enti locali abbiano un proprio patrimonio, secondo i principi generali determinati con legge statale.

Ad abundantiam, si sottolinea come nella sua precedente formulazione l’art. 119, comma 6, Cost. attribuisse, espressamente, solo alle Regioni un proprio demanio e un patrimonio, nulla disponendo in ordine agli altri enti locali. L’attuale formulazione indica, dunque, non solo una valorizzazione del principio di decentramento, ma suggerisce anche una lettura onnicomprensiva del concetto di “patrimonio”, che ricomprenderebbe al suo interno sia il “patrimonio” stricto sensu che il demanio, oggi non più esplicitamente richiamato.

L’attribuzione di un tale “patrimonio” agli enti territoriali è funzionale ad ottimizzare le potenzialità dei diversi territori che caratterizzano un paese, come l’Italia, particolarmente eterogeneo dal punto di vista storico, sociale, economico e geografico. Le amministrazioni, grazie alla progressiva attuazione del federalismo demaniale, potranno, inoltre, contare sul possibile utilizzo dei beni demaniali tanto in via diretta, quanto in via indiretta attraverso la collaborazione della cittadinanza in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, comma 4, Cost.).

L’art. 119 Cost., dotato di un’intrinseca valenza autonomistica, è, dunque, volto a garantire la piena attuazione del decentramento amministrativo (art. 5 Cost.) al fine di realizzare un migliore sfruttamento delle risorse a disposizione. Per completezza si richiama quanto affermato nella sentenza n. 427 del 2004 della Corte Costituzionale secondo la quale: “… fino all’attuazione dell’ultimo comma dell’art. 119 della Costituzione e, pertanto, fino alla previsione da parte del legislatore statale dei principi per l’attribuzione a Regioni ed enti locali di beni demaniali o patrimoniali dello Stato, detti beni restano a tutti gli effetti nella piena proprietà e disponibilità dello Stato (e per esso dell’Agenzia del demanio), il quale incontrerà, nella gestione degli stessi, il solo vincolo delle leggi di contabilità e delle altre leggi disciplinanti il patrimonio mobiliare ed immobiliare statale”; precisando, inoltre, che “la competenza della Regione nella materia non può incidere sulle facoltà che spettano allo Stato in quanto proprietario. Queste infatti precedono logicamente la ripartizione delle competenze ed ineriscono alla capacità giuridica dell’ente secondo i principi dell’ordinamento civile. In questo senso, peraltro, si è già espressa questa Corte, la quale ha precisato che la competenza regionale in materia di demanio marittimo non incide sulla destinazione dei canoni di concessione che spettano allo Stato in quanto titolare del demanio (cfr. sentenza n. 286 del 2004)”.

Solo una volta avvenuto il trasferimento dei beni previsto dal d.lgs n. 85 del 2010 gli enti territoriali diverranno dunque, dominus del patrimonio demaniale ad oggi, ancora, statale. Per completezza espositiva, infine, si riporta quanto previsto dall’art. 5 del d.lgs n. 85 del 2005 che indica i beni immobili statali e i beni mobili statali in essi eventualmente presenti che, a titolo non oneroso, verranno trasferiti a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni secondo la procedura dettata dall’art. 3 del suddetto decreto legislativo. Tali beni, in particolare, sono:

  • i beni appartenenti al demanio marittimo   e   relative pertinenze, come definiti dall'articolo 822 c.c. e dall'articolo 28 del c. nav., con esclusione di quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali;
  • i beni appartenenti al demanio idrico e relative pertinenze, nonché le opere idrauliche e di bonifica di competenza statale, come definiti dagli artt. 822, 942, 945, 946 e 947 del codice civile e dalle leggi speciali di settore, ad esclusione: dei fiumi di ambito sovraregionale; dei laghi di ambito sovraregionale per i quali   non intervenga un'intesa tra le Regioni interessate, ferma restando comunque la eventuale disciplina di livello internazionale; gli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico civile statale e le relative pertinenze, diversi da quelli di interesse nazionale così come definiti dall'art. 698 c. nav.;
  • le miniere e le relative pertinenze ubicate su terraferma ed infine, gli altri beni immobili dello Stato, ad eccezione di quelli esclusi dal trasferimento.

L’art. 5, comma 2, elenca, poi, quali sono i beni che, in ogni caso, vengono esclusi dal trasferimento, ovvero: “gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle amministrazioni dello Stato, anche a ordinamento autonomo, agli enti pubblici destinatari di beni immobili dello Stato in uso governativo e alle Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e   successive modificazioni; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la normativa di settore;  i  beni appartenenti al patrimonio culturale,  salvo  quanto  previsto  dalla normativa vigente e dal comma 7 del presente articolo; i beni oggetto di  accordi   o   intese   con   gli   enti   territoriali   per   la razionalizzazione  o  la  valorizzazione  dei  rispettivi   patrimoni immobiliari sottoscritti alla data di entrata in vigore del  presente decreto; le reti di interesse statale, ivi comprese  quelle  stradali ed energetiche; le strade ferrate in uso di proprietà dello  Stato; sono altresì esclusi dal trasferimento di cui al presente decreto i parchi nazionali e le riserve naturali statali. I beni immobili in uso per finalità istituzionali sono inseriti negli elenchi dei beni esclusi dal trasferimento in base a criteri di economicità e di concreta cura degli interessi pubblici perseguiti”.

Si precisa inoltre, che tra i beni non assoggettabili a trasferimento vanno annoverati anche i beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica, i beni in uso a qualsiasi titolo al Senato della Repubblica, alla Camera dei Deputati, alla Corte Costituzionale e agli organi di rilevanza costituzionale.

In sostanza, l’art 4 del d.lgs n. 85 del 2005 disciplina lo status dei beni trasferiti disponendo che tra questi quanti appartengono al demanio marittimo, idrico e aeroportuale restino sottoposti al codice civile, al codice della navigazione, come anche alle relative leggi regionali e alla disciplina comunitaria di settore. In merito, l’art. 829 c.c. sancisce che “il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato dev'essere dichiarato dall'autorità amministrativa. Dell'atto deve essere dato annunzio nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Per quanto riguarda i beni delle province e dei comuni, il provvedimento che dichiara il passaggio al patrimonio deve essere pubblicato nei modi stabiliti per i regolamenti comunali e provinciali (art. 826 c.c.)”.

Tali beni non potranno essere gravati da diritti di superficie.

Gli altri beni trasferiti entrano a far parte del patrimonio disponibile dei Comuni, delle Province, delle Regioni e delle Città metropolitane, eccettuati i residuali casi in cui al momento dell'attribuzione venga disposto il loro mantenimento nel demanio o l'inclusione nel patrimonio indisponibile dei suddetti enti territoriali.

Si precisa poi, che tali beni potranno essere alienati solo in base a specifiche procedure e previa attestazione dell'Agenzia del demanio o dell'Agenzia del territorio, a seconda dei casi.

6. L’attività amministrativa relativa ai beni pubblici destinati alla navigazione marittima ed aerea

L’attività amministrativa in materia di navigazione riguarda non solo la tutela e l’esercizio degli interessi pubblici strettamente inerenti alla navigazione, ma anche ulteriori interessi indirettamente riconducibili ad essa.

In base all’oggetto, infatti, l’attività amministrativa in materia di navigazione può dividersi in due macro-categorie. La prima categoria concerne l’attività amministrativa dei beni pubblici destinati alla navigazione; con particolare riguardo alle attività amministrative che vengono svolte all’interno dei porti e degli aeroporti, tra le quali vanno annoverate quelle relative:

  • all’uso dei beni del demanio;
  • al governo e alla gestione dei porti e degli aeroporti;
  • ai servizi portuali ed aeroportuali.

La seconda categoria invece, riguarda stricto senso l’attività amministrativa della navigazione, disciplinando le funzioni amministrative sulle navi e sugli aeromobili in navigazione (ad esempio, le attività indicate nella Prima Parte, Titolo Sesto, artt. 179-202 c. nav. ).

In particolare, si richiamano:

  • le attività che devono essere espletate dalle autorità amministrative all’arrivo e alla partenza delle navi e degli aeromobili, come le verifiche e le ispezioni,
  • le attività relative alla polizia di bordo e della navigazione in senso stretto; ovvero quell’insieme di poteri amministrativi che spettano alle autorità di settore durante navigazione;
  • le attività inerenti la costituzione ed il controllo dei servizi di linea e non di linea della navigazione marittima, interna ed aerea.

7. La concessione amministrativa

Le concessioni amministrative, generalmente strutturate come concessione-contratto, sono il frutto di una fattispecie complessa data dall’unione di due atti, uno di natura pubblicistica, a monte, e uno di natura privatistica, a valle. La concessione infatti, si compone di un atto unilaterale autoritativo della PA e di un atto bilaterale di natura privatistica. Ci si trova di fronte, dunque, ad un provvedimento articolato in due atti avvinti da un collegamento strutturale peculiare, in quanto connotato in primis da una manifestazione di volontà dell’amministrazione ed in secundis dalla stipula di un contratto privatistico.  Entrambi volti a regolare, seppur sotto aspetti diversi, il rapporto tra concedente (PA) e concessionario per garantire una satisfattiva utilizzazione di un bene. Si precisa inoltre, che il concessionario, grazie alla concessione, ottiene il bene pubblico in uso esclusivo, acquisendo su di esso un diritto privato di godimento reale o personale.

Per quanto riguarda le concessioni demaniali è bene evidenziare che queste trovano la loro fonte nella legge o in un atto amministrativo, secondo il richiamato art. 823, comma 1, c.c. a norma del quale i beni che fanno parte del demanio possono formare oggetto di diritti in favore di terzi solo nei modi e nei limiti stabiliti dalle norme, di stampo prettamente pubblicistico, che li riguardano.

Orbene, il concessionario qualora dovesse essere autorizzato a costruire sul suolo oggetto della concessione demaniale, acquisirebbe un diritto di superficie su quel bene (artt. 952 ss c.c.). la proprietà superficiaria, tuttavia, ha una natura temporanea strettamente legata alla durata della concessione.

In caso di revoca della concessione o alla scadenza del suo termine di durata infatti, il concessionario perde il suo diritto di superficie, mentre, parallelamente, la proprietà del dominus soli consegue un incremento per accessione ( artt. 934 ss c.c.).  

Si evidenzia inoltre, che la disciplina urbanistica grava non poco sul numero e sulla tipologia di costruzioni che possono essere eseguite sui beni demaniali. In merito alla realizzazione di opere pubbliche, compete allo Stato, d’intesa con la Regione interessata, accertare che le opere stesse siano conformi alle prescrizioni inerenti ai piani urbanistici ed edilizi (d.P.R n. 383 del 1994). Per quanto concerne le opere che devono essere realizzate da privati, invece, deve essere richiesto il permesso di costruire rilasciato dal Comune (artt. 7 e 8 d.P.R. n. 380 del 2001). Si evidenzia infine, come l’utilizzazione del demanio debba essere ossequiosa anche dei vincoli paesaggistici, secondo la peculiare normativa dettata dal Codice dei Beni Culturali ( art. 142 d.lgs. n. 42 del 2004).

8. Concessioni demaniali marittime

Le concessioni demaniali marittime sono provvedimenti con i quali l’amministrazione può concedere, per periodi di tempo limitati, l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni del demanio marittimo, sempreché tale utilizzo sia compatibile con il fine pubblico a cui tali beni sono asserviti.

La concessione può essere rilasciata tanto per l’esercizio di servizi pubblici e di attività produttive che per la gestione di attività con finalità turistico-ricreative.

In via generale, le funzioni amministrative relative al rilascio delle concessioni demaniali marittime sono, come già evidenziato, attribuite ai Comuni (art. 118 Cost.).

Tuttavia, tale regola generale vede due eccezioni. La prima, legata ad un criterio teleologico, attribuisce allo Stato la competenza relativa alle concessioni per finalità di approvvigionamento di fonti di energia, dovunque siano rilasciate. Parimenti la seconda, legata, tuttavia, ad un criterio territoriale, prevede che lo Stato sia competente in relazione alle concessioni esercitate nell’ambito dei porti adibiti alla difesa militare ed alla sicurezza dello Stato, nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, nelle aree di preminente interessa nazionale individuate col d. P.C. 21 dicembre 1995 (art. 105, comma 2, lett. l, d.lgs. n. 112 del 1998, modificato dall’art. 9 l. n. 88 del 2001) ed anche, infine, nelle aree protette marine (art. 19, comma 6, l. n. 894 del 1991), senza che rilevi la finalità per le quali vengono rilasciate. 

Si segnala poi, che all’interno dei porti dove hanno sede autorità portuali, queste ultime sono competenti a rilasciare le concessioni relative ai beni demanio marittimo (anche per finalità turistico-ricreative) secondo quanto previsto dalla l. n. 84 del 1994.

L’art. 36 c. nav. sancisce inoltre, che le concessioni di durata superiore a quindici anni sono di competenza del ministro dei trasporti e della navigazione. Le concessioni di durata superiore a quattro ma non a quindici anni, e quelle di durata non superiore al quadriennio che importino impianti di difficile sgombero, sono di competenza del direttore marittimo. Le concessioni di durata non superiore al quadriennio, quando non importino impianti di difficile sgombero, sono di competenza del capo di compartimento marittimo.

D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, come modificato dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) relativo alle “Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime” prevede infine, che concessioni rilasciate o rinnovate con finalità turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei per i quali si applicano le disposizioni relative alle utilizzazioni del demanio marittimo possono avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell'entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni.  

9. La peculiare posizione giuridica rivestita dal concessionario di beni pubblici

Il concessionario assume una peculiare posizione giuridica nei confronti dei terzi stante l’utilità pubblica cui è asservito il bene oggetto della concessione. Egli, infatti, viene considerato come sostituto del concedente. In virtù di tale posizione inoltre, è ritenuto un soggetto esercente una pubblica funzione a fronte dei poteri pubblici che gli vengono trasferiti grazie alla concessione.

Tali rilievi consentono di giungere ad affermare che il concessionario sia titolare, nei confronti dei terzi, di un diritto di esclusione dall’uso del bene pubblico dato in concessione. Diritto tutelabile tanto con i mezzi e le azioni tipiche del diritto comune quanto attraverso l’esercizio dell’autotutela esecutiva. Posizione ben diversa da quella che il concessionario vanta nei confronti della PA. In tal caso infatti, il concessionario è titolare solo di un interesse legittimo al rispetto delle norme di legge da parte dell’amministrazione.

La PA invero, qualora volesse modificare le statuizioni inerenti alla concessione attraverso l’esercizio di poteri autoritativi (ad esempio annullando o revocando la concessione) dovrebbe attenersi ossequiosamente alle norme pubblicistiche dettate in materia.

10. Il principio comunitario di concorrenza e le frizioni con la normativa italiana sulle concessioni demaniali marittime

La crescente influenza della normativa comunitaria ha recentemente investito anche la legge italiana sulle concessioni demaniali marittime, a fronte delle palesi frizioni che, in questo settore, si sono venute concretizzando tra la nostra legislazione e gli obblighi europei.

Il necessario rispetto del principio di libera concorrenza e la notevole portata economica correlata alla gestione delle concessioni di beni pubblici infatti, hanno portato il legislatore comunitario ad interessarsi dei meccanismi “nostrani” circa il rilascio e il rinnovo delle concessioni demaniali marittime.

I principi generali dell’ordinamento comunitario, che trovano i loro principali referenti normativi nel TUE (Trattato sull’Unione Europea) e il TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), pongono particolare attenzione al rispetto delle regole della libera concorrenza al fine di garantire la competitività e la trasparenza del mercato unico. L’Unione Europea a tal fine ha dettato una serie di criteri e disposizioni che impongono alle amministrazioni di selezionare i concessionari attraverso una procedura comparativa ad evidenza pubblica, in modo che la scelta del concessionario ricada sul soggetto più idoneo a curare ed utilizzare il bene pubblico. Tutto ciò a fronte di una ponderata valutazione delle offerte proposte. L’interesse europeo per il regime normativo inerente alle concessioni pubbliche è dato chiaramente dalla posizione privilegiata che il concessionario viene a ricoprire nel mercato di riferimento. Il principio di libertà della concorrenza verrebbe frustrato infatti, qualora il legislatore non adottasse criteri di selezione competitivi nella scelta del concessionario. Ulteriore problematica che viene in rilievo è quella relativa all’esigenza di bilanciare il market access con la necessità di garantire la posizione del privato concessionario che ha investito nella gestione e nell’utilizzo del bene oggetto della concessione. Orbene è chiaro che l’attenzione dell’Europa non si limita ad imporre un’attenta scelta del concessionario mediante procedure ad evidenza pubblica, ma volge necessariamente lo sguarda anche ai meccanismi di rinnovo della concessione stessa, che per ovviare ai contrasti con il principio di libera concorrenza devono essere parimenti competitivi e non cadere in automatismi.

In ragione di ciò è stata recentemente attenzionata la disciplina italiana relativa al diritto di insistenza sui beni oggetto di concessione demaniale. In particolare, si fa specifico riferimento alle modalità di rinnovo delle concessioni demaniali marittime che hanno prestato il fianco a numerosi moniti europei.

Il diritto di insistenza si sostanzia in una posizione giuridica soggettiva vantata dal concessionario che gli consente di essere preferito ad altri nel momento in cui deve essere valutata, da parte dalla PA, la possibilità di rinnovare o meno la concessione. Il diritto di insistenza del precedente concessionario si traduce dunque, nel diritto ad essere preferito agli altri concorrenti al momento della scadenza della concessione. In particolare, si fa riferimento all’art. 37, comma 2, cod. nav.; norma che nella sua previgente formulazione prevedeva che, allo scadere della concessione, il precedente concessionario godesse di un peculiare diritto di insistenza. Posizione che gli garantiva, al suo scadere, il rinnovo automatico della concessione penalizzando, di fatto, ogni altro soggetto interessato a subentrare nella titolarità dell’atto concessorio.

Il Consiglio di Stato nel 2005, al fine di ovviare ai rilievi mossi in sede comunitaria, in una nota sentenza (Cons. St., Sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168) aveva chiarito che il diritto di insistenza non assumerebbe una portata incondizionata, costituendo solo un limite alla discrezionalità amministrativa, in virtù del quale la PA nello scegliere il concessionario dovrebbe tenere conto di colui che già si trova in detta posizione e che potrebbe risentire un danno dalla cessazione dell’attività sinora portata avanti.

Correlativamente dunque, il diritto di insistenza garantito dall’art 37, comma 2, c.c., non poteva più essere considerato come un vero e proprio diritto soggettivo, ma diveniva un semplice limite alla discrezionalità dell’amministrazione che in ossequio ai principi comunitari deve garantire procedure di scelta concorrenziali.

I giudici di Palazzo Spada dunque, hanno cercato di dare rilievo tanto al principio di libera concorrenza quanto alle ragioni del precedente concessionario considerando il diritto di insistenza come una comune prelazione civilistica atta ad operare qualora quest’ultimo offra condizioni identiche a quelle degli altri concorrenti così da non falsare le regole del mercato.

Concetto ribadito anche recentemente dal Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. V, 25 luglio 2014, n. 3960) secondo il quale il precedente concessionario si trova in un posizione identica a qualsiasi altro concorrente non potendo vantare alcuna aspettativa al rinnovo della concessione (salvo non sia diversamente previsto ab origine nell’atto concessorio), cosicché il suo diritto di insistenza viene di fatto in rilievo solo ove egli offra pari condizioni e soddisfi gli stessi requisiti richiesti dal bando di gara. Tale trend giurisprudenziale viene rafforzato poi, dal rilievo secondo cui, non essendovi alcuna aspettativa al rinnovo della concessione, il suo eventuale diniego deve sì essere motivato, ma entro e non oltre i limiti ordinari posti dai principi di ragionevolezza e logicità dell’agere amministrativo. Invero, nel momento in cui la PA decide di affidare un bene o un servizio pubblico mediante una procedura ad evidenza pubblica non è necessario che l’apparato motivazionale relativo al mancato rinnovo del rapporto con il precedente concessionario sia particolarmente rafforzato.  Il criterio volto a guidare la scelta dell’amministrazione infatti, deve essere unicamente quello del suo miglior uso. La PA difatti, alla scadenza della concessione è ad esso che deve rifarsi, potendo effettuare una nuova valutazione dell’interesse pubblico e ritenere, ad allora, che sia preferibile destinare il bene ad un nuovo concessionario, come anche al libero uso della collettività, non rinnovando così la concessione (Cons. St., Sez. VI, 7 marzo 2016, n. 892).

11. Il rinnovo delle concessioni demaniali marittime: profili di criticità alla luce della Direttiva Bolkestein ( direttiva 2006/123/CE)

Si segnala inoltre, come il citato art. 37 cod. nav. sia stato oggetto di diversi interventi normativi che lo hanno inciso al fine di renderlo più aderente ai richiamati principi euro-unitari. La norma in esame, infatti, è stata riletta alla luce del principio di libera concorrenza onde ovviare ai contrasti rilevati dalla Commissione europea che ritendo l’art. 37 cod. nav. in contrasto con l’art. 49 TFUE aveva avviato la Procedura d’Infrazione n. 2008/4908 contro l’Italia. La procedura di attribuzione delle concessioni demaniali marittime delineata dall’art. 37 cod. nav. ed il diritto d’insistenza, riconosciuto al precedente concessionario in sede di rinnovo della concessione, erano considerati discriminatori e atti a configurare una restrizione alla libertà di stabilimento, precludendo, di fatto, la possibilità di intervento da parte di altri operatori presenti sul mercato.

Grazie alla l. n. 25 del 2010 è stato così abrogato l’art. 37, comma 2, cod. nav. che, ad oggi, recita “Al fine della tutela dell'ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili[1]. La portata di tale disposizione normativa meglio si comprende se si guarda alla sua precedente formulazione che prevedeva un esplicito riferimento alla proroga delle concessioni. Invero, il testo precedentemente in vigore sanciva che “Al fine della tutela dell'ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili. È altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze”.

Problemi tuttavia, permangono.

In sede di conversione il D.L. 194 del 2009, conv. con mod., in l. 26 febbraio 2010, n. 25, mediante un rinvio indiretto all’art. 1, comma 2, D.L. n. 400 del 1993 ha di fatto vanificato la portata della riforma.

Il D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, con L. 4 dicembre 1993, n. 494 recante “Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime”

consente, infatti, di procedere ad un rinnovo automatico delle concessioni di sei anni in sei anni; fattore che esclude a priori la possibilità di avviare procedure competitive di selezione dei concessionari.

La Commissione europea così, ritendo tale rinvio pregiudizievole degli interessi comunitari ed in aperto contrasto con il principio di libera concorrenza ha avviato nel 2010 una procedura di messa in mora complementare alla richiamata Procedura d’Infrazione n. 2008/4908.

L’indiretto rinvio all’art. 1, comma 2, del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400 è stato giudicato, dunque, idoneo a privare di effettività la riforma avutasi con la l. n. 25 del 2010 che aveva inciso l’art. 37, comma 2, cod. nav.

La possibilità di effettuare una proroga automatica delle concessioni demaniali marittime infatti, si pone in contrasto sia con la direttiva Bolkestein (direttiva 2006/123/CE) che con l’art. 49 TFUE.

Il legislatore italiano è così nuovamente intervenuto con la l. n. 217 del 2011 che ha abrogato l’art.1, comma 2, D.L. 5 ottobre 1993, n. 400 e ha delegato il Governo ad adottare, entro 15 mesi, un nuovo decreto legislativo per disciplinare compiutamente le concessioni demaniali marittime. La procedura d’infrazione n. 2008/4908 si è così chiusa, ma è bene rilevare che la delega è rimasta, poi, inattuata.

Si evidenzia un ulteriore profilo di criticità emerso a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 194 del 2009, conv. con mod., in l. 26 febbraio 2010, n. 25. Tale norma ha sì eliminato il diritto di insistenza del concessionario uscente, ma parallelamente ha anche previsto che le concessioni demaniali marittime allora in essere e con scadenza entro il 31 dicembre 2015 venissero comunque prorogate sino a tale data, poi rinnovata siano a dicembre 2020, grazie all’art. 34 duodecies del D.L. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012, relativamente alle concessioni nel settore turistico-ricreativo, in attesa di una riforma organica della materia.

Le ripercussioni di tale confuso intervento normativo si colgono in tutta la loro portata facendo riferimento ai criteri base dettati proprio dalla citata Direttiva Bolkestein. Tale direttiva infatti, prescrive non solo che la scelta dei concessionari avvenga mediante procedure ad evidenza pubblica (evitando rinnovi automatici e dequotando significativamente il diritto di insistenza), ma anche che la durata delle concessioni sia adeguatamente limitata nel tempo. Qualora il numero di concessioni

disponibili sia limitato (per la scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche) sono necessari alcuni accorgimenti: una procedura di selezione trasparente ed aperta alla concorrenza; una durata limitata dell’atto concessorio; l’impossibilità di procedere ad un rinnovo automatico della concessione.

La Direttiva Bolkestein è stata poi, peraltro, recepita dal d.lgs. n. 59 del 2010.

 L’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, prevede, in particolare, che “Nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili, le autorità competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l'imparzialità, cui le stesse devono attenersi”.

La problematica che viene qui, in rilievo è legata al comprendere se, malgrado il corretto recepimento della Direttiva Bolkestein grazie al d.lgs. n. 59 del 2010, la proroga delle concessioni demaniali marittime fino al 2020 (avutasi con l’art. 34 duodecies del D.L. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012) sia compatibile con la normativa europea.

La questione è stata esaminata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a seguito del rinvio pregiudiziale sollevato dai Tar Lombardia (Tar Lombardia Sez. IV, 26 settembre 2014, n. 2401) e Sardegna (Tar Sardegna, Sez. I, 28 gennaio 2015, n. 226)

12. La soluzione offerta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel 2016

I rinvii pregiudiziali effettuati dai Tar Lombardia e Sardegna non sono rimasti isolati. Il Consiglio di Stato infatti, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una similare questione interpretativa al fine di verificare la compatibilità tra i richiamati principi comunitari e la previsione di una reiterata proroga delle concessioni demaniali marittime (si rimanda alle disposizioni di cui all’art. 34 duodecies del D.L. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012).

Il Supremo Consesso Amministrativo, Cons. St., Sez. VI, ord. 14 agosto 2015, n. 3936, ha così evidenziato la criticità della normativa italiana rispetto alle esigenze comunitarie più volte palesate dall’Unione. In sostanza, attraverso tale rinvio pregiudiziale il Consiglio di Stato ha chiesto alla CGUE di pronunciarsi sulla compatibilità delle proroghe previste dal d.lgs. n. 59 del 2010 rispetto ai principi codificati nel TFUE; con il probabile fine di sollecitare anche l’intervento del legislatore italiano.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sez. V, 14 luglio 2016, in Cause riunite C-458/2014 e C-67/2015, si è, dunque, pronunciata in merito, affermando che i principi comunitari, posti a salvaguardia del mercato unico, non possono dirsi rispettati da una normativa nazionale che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime. La violazione dell’art. 49 TFUE infatti, è certa qualora si tratti di concessioni che presentino un interesse transfrontaliero, come avviene appunto per le concessioni demaniali marittime, anche a fronte della scarsità delle risorse naturali cui sono connesse.

In particolare, il termine “proroga”, utilizzato dal legislatore nazionale, ma non previsto dalla Direttiva Bolkestein, è stato ritenuto semanticamente equivalente al termine “rinnovo automatico”, esplicitamente vietato dalla normativa europea.

Inoltre, la CGUE ritiene che il principio di certezza del diritto, invocato dal governo italiano al fine di giustificare le proroghe concesse non possa, nel caso di specie, essere idoneo a scusare la disparità di trattamento che è venuta concretizzandosi.

 Se è vero che è giusto concedere ai precedenti concessionari un periodo transitorio per ammortizzare i loro investimento è parimenti corretto sostenere che gli obblighi di trasparenza, ad oggi imposti sotto molteplici forme, non possono essere scavalcati in maniera così arbitraria.

La sentenza in esame ha, così, risolto alcuni dubbi interpretativi, chiarendo i principi che devono trovare applicazione relativamente alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative. Tuttavia, è correlativamente sorto il dilemma circa la sorte delle concessioni già prorogate.

Il legislatore italiano è così intervenuto con la l. n. 160 del 2016, che ha convertito, con modificazioni, il D.L.  24 giugno 2016, n. 113, recante “misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio”.

13. La risposta legislativa italiana: l. n. 160/2016

La sentenza del 2016 della CGUE ha posto l’attenzione sulla necessità di valutare la sorte delle concessioni già oggetto di proroga, onde stabilire se a seguito di tale pronuncia possano ancora dirsi legittime oppure se debbano essere considerate automaticamente caducate.

Il legislatore italiano ha cercato di rispondere a tale interrogativo mediante il D.L. n. 113 del 2016, poi convertito, con modificazioni, nella l. n. 160 del 2016.

Norma di rilievo è l’art. 24, comma 3 septies , D.L. 113 del 2016 secondo il qualeNelle more della revisione e del riordino della  materia in conformità ai principi  di  derivazione  europea,  per  garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare  l'interesse pubblico  all'ordinata  gestione  del  demanio  senza  soluzione   di continuità,  conservano  validità  i  rapporti  gia'  instaurati  e pendenti in base all'articolo  1,  comma  18,  del  decreto-legge  30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge  26 febbraio 2010, n. 25”.

L’articolo in esame sembra dunque, sanare le concessioni già in essere.

La soluzione prescelta dal legislatore italiano tuttavia, non sembra soddisfare pienamente le istanze e i moniti comunitari.

14. Conclusioni

In conclusione, la l. n. 160 del 2016 sembra offrire una risposta rapida, ma forse poco efficace e duratura. La sanatoria generale ed automatica delle concessioni che erano state già prorogate non sembra recepire i dettami europei. La necessità di garantire il principio di certezza del diritto viene invocato a palese discapito del principio di libera concorrenza e del divieto di discriminazione (art. 49 TFUE). Si svela dunque, un possibile futuro contrasto tra la l. n. 160 del 2016 e la Direttiva Bolkestein. L’art. 12, paragrafo 3, della direttiva 2006/123, consente, invero, agli Stati membri di prevedere delle eccezioni a quelle che sono le regole della procedura di selezione, ove siano riscontrati motivi imperativi di interesse generale di volta in volta concretamente individuati.

L’articolo in esame sembrerebbe dunque, consentire una possibile proroga automatica delle autorizzazioni, ma solo qualora vi sia una verifica, in concreto, di situazioni meritevoli di tutela idonee a tradursi in motivi imperativi di interesse generale.

Tuttavia, è bene precisare che l’art. 12, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 prevede che si possa tener conto di tali “motivi imperativi di interesse generale” solo a monte, ovvero al momento di stabilire le regole della procedura di selezione dei candidati e soprattutto, soltanto qualora sia stata indetta ab origine una procedura di selezione competitiva, secondo i dettami del paragrafo 1 del suddetto articolo.

In sostanza non si può ricorrere alla “proroga eccezionale” offerta dall’art. 12, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 qualora la concessione sia stata attribuita senza osservare procedure concorrenziali o in assenza di una previa valutazione caso per caso.

La Direttiva Bolkestein inoltre, essendo una direttiva self executing potrebbe, in caso di contrasto con la normativa nazionale, comportarne la disapplicazione. Nel caso di specie, dunque, l’art. 12 della direttiva 2006/123 potrebbe cagionare la disapplicazione dell’art. 24, comma 3 septies, del D.L. n. 113 del 2016, poi convertito, con modificazioni, nella l. n. 160 del 2016.

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