L´inesauribilità del potere amministrativo con riferimento alla rinnovazione della procedura concorsuale annullata
Modifica paginaIn sede di riesercizio del potere, il nuovo provvedimento dell’Amministrazione, affetto da vizi di legittimità, che scaturisca da nuove scelte discrezionali attinenti ad aspetti non riconducibili a puntuali statuizioni della pregressa sentenza, può essere censurato con l´ordinario giudizio di cognizione.
Sommario: 1) Il giudicato amministrativo; 2) Il potere amministrativo dopo la sentenza di annullamento del Giudice amministrativo; 3) Riesercizio del potere a seguito di annullamento degli atti della graduatoria concorsuale: il caso concreto
1. Il giudicato amministrativo
Il Codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104) non prevede una definizione specifica del giudicato amministrativo ma stabilisce che i privati e la Pubblica amministrazione hanno il dovere di eseguire i provvedimenti del Giudice amministrativo (art. 112, 1° comma).
La distinzione tra giudicato formale e giudicato sostanziale[1] deriva dagli istituti del diritto processuale civile che va poi adeguata alla differente dinamica del potere amministrativo ed alle sue estrinsecazioni. Il primo si concretizza nella non impugnabilità e nell’irrevocabilità di una decisione, in ragione del fatto che i gravami ordinari previsti dall’ordinamento per il riesame della stessa sono stati già proposti ovvero non sono più proponibili per il decorso dei relativi termini (art. 324 c.p.c.). Con l’espressione cosa giudicata sostanziale, invece, s’intende il fenomeno per cui l’accertamento contenuto nella sentenza diviene regolamento del rapporto sostanziale, facendo stato tra le parti, i loro eredi e aventi causa (art. 2909 c.c.)[2].
Fatte queste precisazioni di carattere generale, occorre ora verificare come si sviluppa il giudicato nel processo amministrativo.
Orbene, va preliminarmente precisato che non si può parlare di sovrapponibilità di significati tra giudicato civile e giudicato amministrativo atteso che il Giudice amministrativo, quale giudice naturale della funzione pubblica, interviene tendenzialmente su situazioni di interesse legittimo, da intendersi quale posizione giuridica soggettiva attiva in ordine ad un bene della vita oggetto di potere amministrativo. Infatti, successivamente al giudicato l’Amministrazione può adottare un ulteriore provvedimento, che s’inserirà nel medesimo procedimento, ovvero in un procedimento diverso e collegato con il primo.
Quanto ai limiti soggettivi del giudicato, giova osservare che la regola contenuta nell’art. 2909 c.c. viene derogata sia per la peculiarità di alcuni provvedimenti amministrativi, si pensi agli atti normativi, agli atti amministrativi generali e in ogni caso agli atti inscindibili[3], sia per ragioni di imparzialità e di parità di trattamento nei confronti di soggetti che, pur non avendo partecipato al giudizio, si trovano in una situazione identica a quella del ricorrente vittorioso.
Circa i limiti oggettivi del giudicato, si rileva che l’oggetto del processo amministrativo è delimitato sulla base della domanda di tutela in concreto esercitata – petitum e causa petendi – per cui gli effetti scaturenti dalla pronuncia giurisdizionale incidono sulla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, nei limiti dei motivi di ricorso.
Si precisa al riguardo che il giudicato copre il dedotto e il deducibile, ossia non solo l’azione in concreto esercitata sulla base dei fatti costitutivi allegati (giudicato esplicito), ma altresì tutti gli ulteriori fatti implicitamente inclusi nella medesima causa petendi (giudicato implicito)[4].
La perimetrazione del giudicato deve essere effettuata con riguardo al dispositivo e al contenuto della motivazione[5]. Occorre, dunque, porre l’attenzione su quanto accertato in fatto e in diritto nel complesso della statuizione giudiziale, rapportandolo alla causa petendi del ricorso.
Dalla sentenza di annullamento discendono tre effetti: l’eliminazione del provvedimento, la ripristinazione della situazione violata, mediante rimozione degli effetti prodotti dal provvedimento annullato, il vincolo di conformazione posto all’ulteriore attività amministrativa[6].
2. Il potere amministrativo dopo la sentenza di annullamento del Giudice amministrativo
L’annullamento del provvedimento ha un’incidenza diversa sul potere amministrativo a seconda se si tratti di attività vincolata o attività discrezionale.
In caso di potere vincolato, l’Amministrazione non potrà che attribuire il bene della vita così come stabilito dal Giudice; nell’ipotesi di potere discrezionale ovvero tecnico discrezionale, l’Amministrazione sarà libera di agire, ma senza uscire dai binari tracciati dal giudicato[7].
Di conseguenza, dal giudicato sostanziale possono conseguire i seguenti effetti[8]:
a) un effetto vincolante pieno diretto: si pensi al caso del provvedimento emesso in carenza dei presupposti sostanziali previsti dalla legge;
b) un effetto vincolante pieno indiretto, che si ha quando l’Amministrazione non può più emanare l’atto dichiarato illegittimo in sede giurisdizionale per decadenza dall’esercizio del potere;
c) un effetto vincolante semipieno, che si ha quando l’annullamento è fondato su un esercizio del potere discrezionale non conforme ai canoni di logicità, ragionevolezza e proporzionalità. Ne consegue che il potere potrà essere nuovamente esercitato, ma nel rispetto dei vincoli stabiliti nella pronuncia del giudice;
d) un effetto vincolante strumentale, tipico delle ipotesi di annullamento giurisdizionale per vizi di forma o procedimentali, per cui il potere potrà essere riesercitato con l’emanazione di un provvedimento emendato dagli stessi.
Come sostenuto dalla dottrina, l’assetto finale del rapporto non potrà che risentire delle regole fissate in sede giudiziale, di talché l’Amministrazione che se ne discosti, porrà in essere un comportamento censurabile in sede di ottemperanza[9].
La fenomenologia dell’inottemperanza non è limitata all’inerzia della Pubblica amministrazione (inottemperanza in senso stretto), estendendosi anche ai comportamenti attivi della stessa, volti a dare esecuzione in maniera parziale o inesatta al giudicato (inottemperanza attiva), concretizzando così una violazione o un’elusione del giudicato[10].
Un particolare rilievo assume il cosiddetto effetto conformativo del giudicato, per cui il Giudice, quando accerta l’invalidità dell’atto, stabilisce il corretto modo di esercizio del potere, fissando le regole cui l’Amministrazione dovrà attenersi nella successiva fase di amministrazione attiva.
La dottrina più autorevole ha colto l’essenza dell’effetto conformativo nel fatto che la rieffusione del potere amministrativo successiva al giudicato viene direzionata e modellata da quest’ultimo, con differenti gradi d’intensità in relazione al tipo di accertamento, che resta, in ogni caso, ancorato ai motivi di ricorso[11].
La tutela in tal modo fornita dal Giudice amministrativo non risulta satisfattiva allorché si tratti di interesse legittimo pretensivo[12], in quanto l’Amministrazione potrebbe rideterminarsi negativamente un numero indefinito di volte, e ciò in forza del principio d’inesauribilità del potere.
Tale principio origina da una rigida concezione della separazione dei poteri, secondo cui il processo costituirebbe una parentesi tra due momenti successivi di esercizio del potere amministrativo. Portato alle estreme conseguenze, il principio in esame vanificherebbe qualsiasi speranza di tutela effettiva, dato che l’Amministrazione potrebbe riesaminare la vicenda un numero tendenzialmente infinito di volte, emanando provvedimenti identici nel contenuto, ma fondati su presupposti e valutazioni diversi da quelli censurati con i motivi di ricorso e accolti dal Giudice[13]
L’evoluzione del processo amministrativo, peraltro, da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto sostanziale, in uno con la riconfigurazione dell’interesse legittimo quale posizione giuridica sostanziale, hanno determinato la parziale recessività del principio d’inesauribilità del potere nei confronti di quello di effettività della tutela, con il conseguente innalzamento degli standard di tutela nei confronti dei pubblici poteri[14].
Infatti, l’art. 34, 2° comma, D.Lgs. n. 104/2010, stabilisce il divieto per il Giudice amministrativo di pronunciarsi con riferimento a poteri non ancora esercitati, e ciò in omaggio al principio di separazione dei poteri: si vuole evitare che il potere giudiziario si sostituisca a quello amministrativo nell’esame di vicende non ancora vagliate da quest’ultimo[15].
Per porre rimedio al deficit di tutela in ordine agli interessi legittimi di pretesa, la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato quella che è stata definita “una soluzione compromissoria di “carattere empirico”, volta a impedire che l’Amministrazione proceda più e più volte, reiterando nuovi atti, pur conformi a quanto statuito dal giudicato, ma gravemente sfavorevoli per il ricorrente”[16].
Una parte della dottrina ha ipotizzato una sorta di preclusione di carattere procedimentale, per cui la Pubblica amministrazione deve esternare tutte le ragioni del diniego nell’emanazione del provvedimento, con conseguente consumazione del relativo potere[17].
Autorevole Dottrina ha ritenuto, invece, che l’Amministrazione dovrebbe esternare tutte le ragioni che hanno condotto al diniego, e non parcellizzare il substrato argomentativo posto a fondamento del provvedimento in una pluralità di atti successivi, tutti volti a negare l’anelato bene della vita[18]. In tal modo, si crea un collegamento più stretto tra procedimento e processo, di modo da portare all’attenzione del Giudice l’intera vicenda sostanziale e procedimentale[19].
Onde consentire al Giudice amministrativo di pronunciarsi sulla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, altri Autori hanno proposto di valorizzare il disposto di cui all’art. 10 bis, della L. n. 241, che prescrive, nei procedimenti ad istanza di parte, l’obbligo dell’Amministrazione che intende respingere la domanda di comunicare preventivamente agli interessati i motivi ostativi all’accoglimento della stessa[20].
Gli effetti della norma da ultimo citata si propagano oltre il procedimento, riflettendosi positivamente sul piano della tutela giurisdizionale; infatti, nei casi di istanze ampliative della sfera giuridica del cittadino, l’Amministrazione pubblica deve esercitare il proprio potere in maniera completa ed esaustiva, cosi che l’interessato sia posto in condizioni di poter contestare in giudizio tutti i profili ritenuti ostativi all’accoglimento della sua istanza, senza che residuino margini per la reiterazione di un ulteriore provvedimento negativo.
Ci si è chiesti se l’interesse pubblico imponga una rivalutazione della situazione – quindi un nuovo esercizio del potere – alla luce di un motivo non considerato in giudizio.
Una parte della dottrina ha sostenuto la necessità a carico dell’Amministrazione di adottare l’atto in pendenza di giudizio, così che il ricorrente possa contestarlo e il Giudice vagliarlo[21].
La giurisprudenza ha affermato a più riprese il dovere dell’Amministrazione pubblica, all’indomani di un giudicato d’annullamento, di riesaminare l’intera vicenda, sollevando tutte le questioni ritenute dalla stessa rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili ancora non esaminati[22]. In tal caso, la pubblica amministrazione dovrebbe esternare tutte le ragioni che, in ipotesi, condurrebbero ad un provvedimento negativo, pena la consumazione del potere in relazione allo stesso interesse.
Ed, ancora, si consideri che in caso di avvenuto annullamento giurisdizionale per difetto di motivazione, residua spazio per il riesercizio dell'attività valutativa dell'amministrazione. Se si elimina il vizio motivazionale e, ciò nonostante, si adotta un atto parimenti non satisfattivo della pretesa nei sensi definiti in sentenza, potrà esservi violazione o elusione del giudicato se l'attività, asseritamente esecutiva dell'Amministrazione, risulti contrassegnata da sviamento perché diretta ad eludere prescrizioni stabilite dal giudicato. In caso contrario, viene in rilievo un'ipotetica nuova illegittimità: l'atto adottato in riesercizio del potere potrebbe essere viziato da illegittimità propria e autonoma[23].
3. Riesercizio del potere a seguito di annullamento degli atti della graduatoria concorsuale: il caso concreto.
In tema di procedure concorsuali può accadere che la statuizione demolitoria del Giudice amministrativo travolga tutta l’attività della Commissione di concorso relativa alla valutazione dei titoli proposti dai candidati; in tal caso l’Amministrazione dovrà provvedere alla ricostituzione della Commissione la quale dovrà procedere alla rinnovazione delle operazioni concorsuali in esecuzione delle indicazioni fornite dal giudicato. In tale situazione il Giudice amministrativo impone una nuova motivazione adeguata in relazione alla valutazione dei giudizi dei candidati della procedura oppure può anche stabilire modalità di graduazione dell’attività rinnovatoria della Commissione medesima.
A titolo esemplificativo si fa riferimento ad un caso in cui un candidato, con qualifica di primo tecnologo, aveva impugnato dinanzi al Giudice amministrativo di prime cure gli atti del concorso per profilo professionale di dirigente di ricerca di I livello[24], suddiviso in varie aree, in quanto non aveva ottenuto il punteggio minimo per accedere al colloquio. Invero, il primo Giudice aveva accolto solo un motivo di ricorso relativo alla mancata esplicitazione dei punteggi per ogni singola sotto-categoria di titoli elaborati dalla Commissione all’interno della griglia di valutazione di ciascun candidato. In ragione di ciò, il Giudice annullava la graduatoria disponendo la rivalutazione del punteggio solo del profilo del ricorrente. Peraltro, anche gli atti di scorrimento della graduatoria e il conseguente avanzamento di carriera ottenuto dagli idonei, oggetto del motivo di impugnazione accolto in primo grado, erano stati invalidati in virtù dell’effetto cassatorio della pronuncia di annullamento ottenuta dal medesimo ricorrente in primo grado.
Da qui l’impugnazione della sentenza in sede di appello con richiesta dell’appellante di procedere alla rinnovazione della procedura concorsuale nei confronti di tutti i candidati.
Il Giudice di appello, pronunciandosi definitivamente sulla questione, ha imposto all’Amministrazione resistente un ordine di graduazione dell’attività conformativa di quest’ultima: una prima rivalutazione dei titoli del solo appellante e solo ove mai per gli stessi il candidato risultasse meritevole di un punteggio superiore al minimo la Commissione dovrà rivalutare i titoli degli altri concorrenti[25].
In ragione di ciò ci si è chiesti quali conseguenze possano derivare dalla successiva attività valutativa della Commissione.
Orbene, va preliminarmente osservato che l’attività della Commissione di concorso rientra nella sfera della discrezionalità tecnica sindacabile dal Giudice amministrativo unicamente, sul piano della legittimità, per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, emergenti dalla stessa documentazione, tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che con ciò il Giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione.
La Commissione, dunque, in fase di esecuzione alla sentenza, dopo che la stessa sia stata regolarmente ricostituita, procede all’esame della documentazione dei candidati provvedendo ad una nuova rivalutazione dei punteggi.
In tale situazione la Commissione può ritenere di confermare il medesimo punteggio attribuito al ricorrente nella fase ante impugnativa mettendo in condizione il medesimo istante di conoscere la motivazione della Commissione in merito all’attribuzione dei vari sottopunteggi che hanno condotto al computo del voto complessivo dei titoli. In tal caso il potere dell’Amministrazione si arresta nel momento dell’adozione del relativo provvedimento di avvenuta esecuzione del giudicato.
Se la Commissione ritenga di attribuire al ricorrente un punteggio superiore al minimo, -cosa che consentirebbe al ricorrente di accedere al colloquio-, essa dovrà contestualmente provvedere alla revisione del punteggio degli altri candidati della graduatoria. In tal modo, una volta rivalutati tutti i punteggi, la prova orale deve essere ripetuta con l’ammissione al colloquio tutti i candidati ivi compreso il ricorrente escluso.
E’ ovvio che dopo la prova orale, la Commissione stilerà una nuova graduatoria con diversi punteggi attribuiti a ciascun candidato.
A questo punto, dopo l’approvazione e pubblicazione della graduatoria, il provvedimento conclusivo della procedura concorsuale, adottato a seguito di riesercizio del potere, potrebbe essere potenzialmente attaccato da qualsiasi candidato ove risultino riscontrati nuovi motivi di legittimità delle operazioni di rinnovo della medesima procedura.
Infatti, a tal proposito, giova richiamare il recente indirizzo della giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui se il nuovo provvedimento adottato è frutto di nuove scelte discrezionali attinenti ad aspetti non riconducibili a puntuali statuizioni della pregressa sentenza e, quindi, non soggetti ad uno specifico vincolo conformativo, è necessario censurare il nuovo provvedimento, rispetto ai quali i vizi ipotizzabili sono deducibili come vizi di legittimità, attraverso l'ordinario giudizio di cognizione [26]
Appare condivisibile la tesi formulata dalla giurisprudenza amministrativa proprio nell’ottica del contemperamento tra il principio di effettività della tutela giurisdizionale e quello dell’inesauribilità del potere amministrativo. Infatti da un lato, non può essere impedita al soggetto che subisca nuovamente, in sede di riesercizio del potere amministrativo una nuova ingiustizia dall’atto illegittimo, la possibilità di azionare gli strumenti a tutela della lesione della sua posizione soggettiva di interesse legittimo; dall’altro, l’Amministrazione non dovrebbe incorrere in preclusioni in relazione a nuovi fatti sopravvenuti poiché in tal modo essa potrà anche pervenire ad un giudizio negativo sulla spettanza del bene della vita in capo al richiedente senza incorrere in violazioni o elusioni del giudicato.
Note e riferimenti bibliografici
[1] C. Mandrioli, Diritto processuale civile, I, Torino, 2007, 24.
[2] F. Benvenuti, voce “ Giudicato (diritto amministrativo)”, in Enc. Dir., XVIII, Milano, 1969, 893-894.
[3] R. Caranta, Atto collettivo, atto plurimo e limiti del giudicato amministrativo di annullamento, in Giust. Civ., 1989, I, 916 e segg. Si veda, altresì, Cons. di Stato, 7 dicembre 2000, n. 6512, in Cons. Stato, 2000, I, 2613.
[4] ex multis, Cass. Civ., 23 marzo 2017, n. 7415, in www.italgiure.giustizia.it; Id. 28 ottobre 2011, n. 22520, in CED Cass., 2011, rv. 620387; Id., 26 giugno 2009, n. 15093, in Giust. Civ. Mass., 2009, 6, 993.
[5] M. Nigro, Giustizia amministrativa, VI ed., a cura di E. Cardi-A. Nigro, Bologna, 2002, 239.
[6] M. Nigro, op. cit., 317; A. Travi, L’ esecuzione della sentenza, in Tratt. Dir. Amm., a cura di S. Cassese, II ed., Milano, 2003, 4617.
[7] Cons. di Stato, Sez. VI, 19 novembre 2003, n. 7470, in Urb. e Appalti, 2004, 182, con nota di L. Valla, Annullamento degli atti della procedura di evidenza pubblica e contratto: due decisioni a confronto).
[8] A. Manca, Il giudicato amministrativo, in F. Caringella-M. Giustiniani, Manuale del Processo Amministrativo, Roma, 2016, 811.
[9] B. Marchetti, Il giudicato amministrativo e il giudizio di ottemperanza, in R. Caranta (diretto da), Il nuovo processo amministrativo, Bologna, 2011, 832.
[10] Cons di Stato, 12 dicembre 2011, n. 6501, in www.gazzettaamministrativa.it.
[11] M. Nigro, op. cit., 389; C.E. Gallo, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2014, 261.
[12] F. Patroni Griffi, La sentenza amministrativa, in Tratt. Dir. Amm., a cura di S. Cassese, 2a ed., V, Milano, 2003, 4487.
[13] G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, VI ed., Torino, 2013, 300.
[14] G. Abbamonte, Il ritiro dell’atto impugnato nel corso del processo e la definizione dell’oggetto del giudizio innanzi al Consiglio di Stato, in AA.VV., Studi in onore di Antonino Papaldo. Scritti di diritto amministrativo, Milano, 1975, 297 e segg.
[15] R. Villata-M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, II ed., in Sistema del diritto amministrativo italiano, diretto da F.G. Scoca-F.A. Roversi Monaco-G. Morbidelli, Torino, 2017, 566 e segg.
[16] R. Chieppa-R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, III ed., Milano, 2016, 1154; A. Manca, op. cit., 816.
[17] M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989, 124.
[18] F. Caringella, Corso di diritto processuale amministrativo, Milano, 2003, 1187-1188.
[19] F. Patroni Griffi, Riflessioni sul sistema delle tutele nel processo amministrativo riformato, in www.giustizia-amministrativa.it.
[20] R. Gisondi, La disciplina delle azioni di condanna nel nuovo codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it, 2010.
[21] C. Calabrò, voce “ Giudicato III) Diritto processuale amministrativo”, in Enc. Giur. Treccani, XV Agg., Roma, 2003, 9.
[22] ex multis, Cons. Stato Sez. IV, 24-10-2016, n. 4421; Cons. di Stato, 31 marzo 2015, n. 1686, in www.giustizia-amministrativa.it, Id. 4 marzo 2014, n. 1018, ivi; Id., 6 ottobre 2014, n. 4987, ivi; Id., 6 febbraio 1999, n. 134, in Foro It., 1999, 166.
[23] Cons. Stato Sez. V, 02-07-2018, n. 4042.
[24] Tale tipo di procedura concorsuale si svolge per titoli e colloquio.
[25] Cons. Stato, Sez. V, 02.08.2018, n. 4776.
[26] Cons. Stato, Sez. IV, 18 marzo 2018, n. 1584.