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Pubbl. Mar, 24 Lug 2018

Le nuove specializzazioni forensi

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Andrea Racca
Dottore di ricercaUniversità degli Studi di Torino


Commento a seguito dello schema di decreto del Ministero della giustizia concernente modifiche al regolamento recante disposizioni per il conseguimento del titolo di avvocato specialista adottato con decreto del Ministero della Giustizia del 12 agosto 2015 n.144.


A seguito dei giudizi, prima del TAR e poi del Consiglio di Stato con Sent. N.5575/2017 del 28 novembre 2017, che avevano sollevato questioni critiche intorno al limitato elenco delle materie oggetto di specializzazione, a seguito del ricorso di alcune associazioni di categoria e di alcuni professionisti, si analizzerà brevemente in questa sede lo schema della nuove modifiche introdotte dal Ministero al D.M. 144/2015 “Regolamento recante disposizioni per il conseguimenti e il mantenimento del titolo di avvocato specialista a norma dell’art 9 della L.247/2012 (Legge Professionale)”.  

Il TAR del Lazio nel giudizio di primo grado aveva, infatti, ritenuto che la previsione dell’art. 3 del regolamento (D.M. 144/2015), circa la suddivisione dei settori di specializzazione, era intrinsecamente irragionevole e arbitraria, illogicamente omissiva di discipline giuridiche oggetto di codificazione (diritto dei consumatori) o oggetto di giurisdizioni dedicate (Corte dei Conti). Inoltre non era possibile coglierne il principio logico di base, posto che la suddivisione adottata non corrispondeva a un criterio codicistico, né a quello delle competenze dei vari organi giurisdizionali, né all’elenco degli insegnamenti universitari. Tanto aveva già, infatti, osservato il Consiglio di Stato in sede consultiva allo schema di regolamento, cui il Ministero parzialmente si era adeguato. Allo stesso modo il Consiglio di Stato alla fine dello scorso anno, con la succitata sentenza, aveva respinto il ricorso presentato dal Ministero della Giustizia in appello alle sentenze del TAR, confermando l’illegittimità del D.M. 144/2015, in ordine al fatto che la scelta delle materie di specializzazione risultasse non agevolare tutti gli ambiti di professionalità e che la previsione di un colloquio valutativo presso il Consiglio Nazionale forense fosse da ritenersi non adeguato per la valutazione della comprovata esperienza professionale, se non con la definizione delle precise modalità di esame.

In questi giorni, il Ministero della Giustizia ha dunque diffuso lo schema di decreto ministeriale, inviato in data 24 maggio al Consiglio di Stato e al Consiglio Nazionale Forense per il parere di rito, volto a modificare il d.m. 12 agosto 2015, n. 144 recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, a seguito delle risultanze emerse in sede giurisdizionale. Il Ministero, sempre al fine di rendere il mercato delle prestazioni legali più leggibile per i consumatori, ha rivisto l’elenco delle materie oggetto di specializzazione, precisando nella relazione illustrativa che il nuovo elenco è stato elaborato sulla base di una ricognizione "dal punto di vista della domanda di servizi legali specializzati, individuando, all'interno dei settori tradizionali del diritto civile, penale e amministrativo, indirizzi di specializzazione diretti a evitare una contraddittoria ed impropria connotazione generalista del titolo".

Lo schema di decreto, proposto dal Ministero, sul quale il Cnf e il Consiglio di Stato dovranno esprimere il parere di competenza, in riforma alla precedente cassata tripartizione, prevede dieci settori di specializzazione:

  1. diritto civile;
  2. diritto penale;
  3. diritto amministrativo;
  4. diritto del lavoro e della previdenza sociale;
  5. diritto tributario, fiscale e doganale;
  6. diritto internazionale;
  7. diritto dell'Unione Europea;
  8. diritto dei trasporti e della navigazione;
  9. diritto della concorrenza;
  10. diritto dell'informazione, dell'informatica e della protezione dei dati personali.

In ordine poi ai primi tre indirizzi generalisti (civile, penale e amministrativo), il titolo di specialista, secondo l’impostazione del Ministero, si potrà acquisire unitamente alla specializzazione in almeno uno dei seguenti "sotto-indirizzi":

  • Diritto civile: i) diritto delle relazioni familiari, delle persone e dei minori; ii) diritto successorio; iii) diritti reali, condominio e locazioni; iv) diritto delle assicurazioni e della responsabilità professionale; v) diritto agrario; vi) diritto commerciale; vii)diritto industriale e della proprietà intellettuale; viii)diritto della crisi di impresa e dell'insolvenza diritto dell'esecuzione forzata; ix) diritto bancario e e dei mercati finanziari.
  • Diritto penale: i) diritto penale della persona, dei minori e della famiglia; ii) diritto penale della pubblica amministrazione; iii)diritto penale dell'ambiente, dell'urbanistica e dell'edilizia; iv) diritto penale dell'economia e dell'impresa; v) diritto penale della criminalità organizzata e delle misure di prevenzione; vi) diritto dell'esecuzione penale.
  • Diritto amministrativo: i) diritto del pubblico impiego e della responsabilità amministrativa; ii) diritto urbanistico e dell'edilizia; iii) diritto dell'ambiente; iv) diritto sanitario; v) diritto dei contratti pubblici e dei servizi di interesse economico generale; vi) diritto delle autonomie territoriali e contenzioso elettorale.

In ordine, poi, all’altro motivo di gravame presso il TAR, il Ministero integra le definizioni del colloquio presso il CNF per il conseguimento del titolo in base alla comprovata esperienza, che era stato considerato illegittimo come previsto dall’art. 6, 4° co., del D.M. 144/2015, poiché si prevedeva che l’avvocato istante venisse genericamente convocato a colloquio dinanzi al CNF. Secondo i giudici amministrativi, infatti, la norma appariva irragionevole, non dettando criteri di sorta in ordine al contenuto del colloquio,  alle modalità del suo svolgimento, alle competenze dei componenti della commissione, etc. Anche in questo caso il Consiglio di Stato aveva confeto la prospettiva di primo grado, rilevando a propria volta, che «il colloquio, come delineato dalla disposizione regolamentare impugnata, ha contorni vaghi e imprecisi, sicché non ne risulta sufficientemente tutelato né l’interesse del professionista aspirante al titolo, né, per altro verso, l’interesse del consumatore-cliente, che nella speciale qualificazione attestata dal titolo deve poter riporre un ragionevole affidamento».

Orbene il Ministero, in riforma, nello schema del 24.05.2018, prevede che all’art. 6, comma 4 dell'originario D.: 144/2015, siano aggiunti in fine i seguenti periodi: “il colloquio ha luogo davanti ad una commissione di valutazione composta da tre avvocati iscritti all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori e da due professori universitari di ruolo in materie giuridiche in possesso di documentata qualificazione nel settore di specializzazione oggetto delle domande sottoposte a valutazione della singola seduta. Il Consiglio nazionale forense nomina un componente avvocato, i restanti sono nominati con decreto del Ministero della Giustizia. In previsione della seduta di commissione, Il Consiglio Nazionale forense e il Ministro della giustizia individuano i componenti in possesso della necessaria qualificazione nell’ambito di un elenco tenuto presso il Ministero della Giustizia comprendente tutti i settori di specializzazione. L’inserimento nell’elenco è disposto per gli avvocati su designazione del Consiglio nazionale forense e, per i professori di ruolo, su designazione del dipartimento di afferenza. Gli avvocati e i professori universitari rimangono iscritti nell’elenco per un periodo di quattro anni. La commissione di valutazione è presieduta da uno dei membri nominati dal Ministro della Giustizia e delibera a maggioranza dei componenti una proposta motivata del titolo o di rigetto nel corso della domanda”.  

Occorre, infine, segnalare che una disposizione transitoria prevede che potranno chiedere l'attribuzione del titolo di specialista in base all'art. 14 c. 1 del D.M. 144/2015 anche gli avvocati che nei cinque anni precedenti l'entrata in vigore del nuovo decreto abbiano conseguito un attestato di frequenza di un corso avente i requisiti ivi previsti, anche quando il corso sia stato iniziato e non ancora concluso all'entrata in vigore del decreto stesso.

Ritenendo, in conclusione, che sia quanto mai necessaria l'entrata in vigore di una norma volta a regolamentare in modo preciso e chiaro la materia delle specializzazioni in abito forense, al fine di agevolare i fruitori di servizi legali sempre più specifici e di qualità, si rimandano ai futuri pareri del Consiglio Nazionale forense e del Consiglio di Stato ulteriori valutazioni a questo schema di riforma del D.M. 144/2015.