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Pubbl. Dom, 29 Lug 2018

Questionario del Fisco: la mancata risposta comporta l´inutilizzabilità dei documenti in giudizio

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Andrea Bazzichi


La preclusione processuale ed amministrativa di cui all´art. 32, comma 3, del DPR 600 del 1973.


Sommario: 1) Cenni introduttivi; 2) Il caso concreto Cass. 16106/2018 e i principi generali elaborati dalla giurisprudenza- la sentenza 181/2007 della Corte Costituzionale; 3) I dubbi interpretativi suscitati dall'applicazione dei principi giurisprudenziali-l'automatismo della preclusione amministrativa e processuale; 4) Il rapporto tra la preclusione amministrativa-processuale ed il principio di non contestazione; 5) Conclusioni.

1) Cenni introduttivi

In genere, la procedura amministrativa di determinazione dei tributi dovuti sfocia in un provvedimento unilaterale, sia esso un avviso di accertamento o un avviso di liquidazione che non vede la partecipazione del contribuente. Quest'ultimo, soltanto in sede di contenzioso, oppure avvalendosi di uno dei tanti strumenti deflattivi previsti per legge potrà far valere le proprie ragioni al fine di determinare il corretto imponibile. Del resto, tutto ciò è perfettamente coerente con la natura del procedimento tributario che, a differenza del procedimento amministrativo, non si caratterizza per la ponderazione degli interessi coinvolti, siano essi privati, pubblici, e privati e pubblici assieme; nell'agere della pubblica amministrazione che si conclude con il provvedimento amministrativo. È affermazione tradizionale che l'obbligazione tributaria sia indisponibile, di conseguenza non può essere soggetta ad alcuna ponderazione di interessi. La voce del contribuente non può avere influenza nella fase amministrativa di determinazione del tributo che precede l'emanazione del provvedimento impositivo. In perfetta aderenza con la descritta impostazione il sistema, ad esempio, non prevede che le norme sulla partecipazione nel procedimento amministrativo si applichino ai procedimenti tributari che restano soggetti alle particolari norme che li riguardano. In questo senso l'art. 13 della Legge 241/1990, per la chiarezza del dettato normativo non ammette interpretazioni equivoche. Senza trascurare che sul piano di fatto, non è infrequente l'ipotesi che il contribuente, nei casi di notifica nulla, se non addirittura inesistente venga a conoscenza dell'atto impositivo soltanto nella fase esecutiva. Tant'è che la giurisprudenza nel prendere contezza della situazione, in virtù di un'interpretazione evolutiva, ammette da tempo, anche l'impugnazione dell'estratto di ruolo. Così come, la Corte di Cassazione, nei suoi arresti più recenti ha riconosciuto la giurisdizione del giudice tributario in sede di pignoramento, laddove il contribuente denunci la mancata notifica degli atti tributari prodromici. Se questa, è quella che potremmo definire l'ipotesi base, generale, non mancano i casi in cui l'amministrazione finanziaria, o perché previsto per legge, o per una scelta di opportunità; prima di emettere l'atto impositivo che chiude la fase amministrativa del procedimento tributario solleciti, inviti il destinatario dell'emanando provvedimento a contraddire sulle risultanze emerse. E' il caso del contraddittorio anticipato di cui all'art. 12 comma 7 dello Statuto del Contribuente in materia di verifiche fiscali, o più semplicemente nell'ambito di una procedura di accertamento, l'amministrazione finanziaria sollecita il contribuente al contraddittorio attraverso la richiesta di dati, notizie, documenti. Nel descritto quadro si inserisce il problematico rapporto tra l'art. 32 4° e 5° comma D.P.R. 600/1973 e l'art. 55 D.P.R. 602/1973 (in materia di Iva) che sono norme che vanno lette ed interpretate in coppia, e l'art. 39 2° comma D.P.R. 600/1973 (accertamento induttivo) con il diritto di difesa e il principio generale della capacità contributiva enucleati agli art. 24 e 54 della Costituzione. Sullo sfondo, non da ultimo per importanza, nel corso dell'esposizione si darà conto anche della nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 181/2007 sovente richiamata dalle pronunce della giurisprudenza sia di legittimità, sia di merito. Come preannunciato il rapporto è problematico, e non potrebbe che essere altrimenti, poiché nell'ambito di una norma di carattere sostanziale come l'art. 32, si inserisce una norma di carattere processuale. A sua volta, e successivamente, detta combinazione tra norma processuale e norma sostanziale viene correlata con un'altra norma di carattere sostanziale come l'art. 39 2° comma (accertamento induttivo puro) che, a sua volta rappresenta una deroga rispetto alla disciplina generale (accertamento analitico-contabile). Il risultato di tale sequenza di combinazioni e di collegamenti deve essere confrontato con il rispetto delle superiori norme costituzionali e programmatiche, in precedenza indicati. Il tutto nella cornice di un processo come quello tributario che resta, anche ammessa l'interpretazione più evoluta, un giudizio di carattere impugnatorio seppur esteso al merito e non più legato solo a profili di stretta ed esclusiva legittimità. Nell'attesa di modifiche legislative, una rilettura dei principi della preclusione processuale in oggetto, unitamente al rapporto con le altre norme collegate, consentirebbe di ridurre alcune discrasie nel sistema. Infatti, da un lato è evidente la necessità di scongiurare il pericolo di un uso distorto dell'art. 32 4° comma da parte dell'amministrazione finanziaria, dall'altro quello di sanzionare comportamenti ambigui del contribuente, senza però accomunare sul piano del trattamento casi e situazioni diverse.

2) Il caso concreto: Cass. 16106/2018 e i principi generali elaborati dalla giurisprudenza. La sentenza 181/2007 della Corte Costituzionale.

L'art. 32 al 4° comma prevede che le notizie, i dati, i documenti, i libri e d i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l'ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta. Viene indicato un termine minimo di 15 giorni, per esaudire la richiesta di acquisizione, però non prorogabile se non nella specifica ipotesi del comma 7 che, tra l'altro stabilisce il termine maggiore di 30 giorni. La stessa preclusione opera anche di fronte all'omessa restituzione dei questionari, debitamente compilato ed in precedenza inviati. Il successivo art. 39° 2° comma lettera d) Bis stabilisce l'applicazione dell'accertamento induttivo puro, fondato sulle cd presunzioni super semplici (prive dei necessari requisiti di precisione, gravità e concordanza) sempre ove si verifica la mancata restituzione di quanto sopra. Il 5° comma dell'art. 32 contiene una clausola esimente: il contribuente non incorre nella preclusione processuale, se in sede di giudizio allega i documenti, dati, notizie precedentemente non forniti, dichiarando allo stesso tempo di non aver potuto adempiere per causa a lui imputabile. La recente sentenza Cass. 16106/2018, in quanto riepilogativa dei principi formulati dall'elaborazione giurisprudenziale offre lo spunto per analizzare lo specifico tema. Nel caso concreto, il contribuente omette di restituire il questionare inviato per la compilazione dagli accertatori. Viene accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, poiché la CTR aveva omesso di indicare, e soprattutto di valutare, se nell'invito vi fosse contenuto il prescritto avvertimento previsto per legge, circa l'avverarsi della preclusione sull'utilizzo dei documenti sia in sede amministrativa sia in sede giudiziaria. I documenti ritenuti utilizzabili nel giudizio di secondo grado, non sono tali, poiché la Commissione Tributaria Regionali non si è uniformata alla costante e corretta interpretazione dell'art. 32 4° e 5° comma. Di conseguenza, la suprema Corte pronuncia sentenza con rinvio alla CTR in diversa composizione. Riassumendo brevemente, pur tra qualche pronuncia a livello di Cassazione che si connota più per una diversa prospettiva e valutazione della questione concreta che per una reale differenza di contenuti, siamo di fronte a tutta una serie di principi, ormai consolidati:
1) La preclusione processuale in commento opera d'ufficio, a prescindere dall'eccezione proposta dal soggetto accertatore e in automatico.
2) detta preclusione si sviluppa sulla base di una sequenza procedimentale
3) l'invito degli accertatori deve essere ben specifico e non può avere ad oggetto dati e notizie già in possesso della p.a.
4) la preclusione comporta la mancata applicazione dell'art. 32 e 58 Dlgs 546/1992.
5) la preclusione sanziona il comporta doloso che si concreta nel rifiuto di esibizione, sono fuori dal perimetro di applicazione della norma tutte quelle fattispecie in cui quanto richiesto, anche quand'anche per colpa non sia nella disponibilità del soggetto destinatario.
6) il fondamento della sanzione della mancata utilizzazione dei documenti non esibiti risiede, in forza degli art. 6 e 10 dello Statuto del contribuente, nel principio di collaborazione che deve uniformare reciprocamente sia i comportamenti del contribuente sia quelli dell'Amministrazione finanziaria.
7) la norma avendo carattere eccezionale, in quanto preclusiva di facoltà processuali, deve essere interpretata restrittivamente. Sulla legittimità della norma in questione ha avuto modo di pronunciarsi anche la Corte Costituzionale con la sentenza 181/2007 nella quale viene respinta la questione di legittimità costituzionale sulla scorta del ragionamento che l'art. 32 4° comma e l'art. 53 Costituzione operano su piani distinti, e quindi non sono in conflitto tra loro. La prima interviene sul piano processuale, mentre la seconda sul piano sostanziale, il che comporta che non vi sia la lesione del principio della capacità contributiva e che l'imponibile venga determinato arbitrariamente costringendo il cittadino a pagamenti non dovuti, in quanto inconferenti con quella che è la reale capacità economica del medesimo.

3) I dubbi interpretativi suscitati dall'applicazione dei principi giurisprudenziali. L'automatismo della preclusione amministrativa e processuale.

La prima e più evidente osservazione è che il fondamento della preclusione contenuta nel 4° comma dell'art. 32 non può risiedere nel principio di collaborazione individuato negli art. 6 e 10 dello Statuto del Contribuente. In senso contrario milita espressamente l'art. 13 L. 241/1990 che esclude espressamente l'applicabilità delle norme sulla partecipazione ai procedimenti tributari. Il procedimento tributario è, e resta un procedimento necessariamente unilaterale, in cui, in virtù dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria, principio mai del tutto superato, non vi è alcuna ponderazione degli interessi in gioco nell'esercizio del potere attribuito dalla legge. Ciò comporta, che primo tra tutti non è contemplato il diritto di accesso agli atti, nelle more del procedimento amministrativo di determinazione dei tributi. Potremmo citare anche esempi più recenti per escludere l'immanenza di questo principio di collaborazione, basti pensare alle prove illegittimamente acquisite secondo le norme del diritto processuale penale, ma che secondo la costante giurisprudenza, vengono ritenute perfettamente utilizzabili in sede di processo tributario. Fatte queste premesse, sembra più corrispondere al vero che il fondamento della preclusione risieda nel c.d. principio di autoresponsabilità. Ogni soggetto è responsabile delle proprie azioni, siano esse di carattere commissivo od omissivo, in particolare laddove la legge stabilisce preventivamente le conseguenze della violazione dei propri precetti. La preclusione, quindi, è una mera sanzione non solo di carattere processuale, peraltro unilaterale e che ha effetti anche sul piano sostanziale, poiché fa scattare in automatico la facoltà di applicare l'accertamento induttivo puro. Inoltre, l'automaticità della stessa, è un argomento ulteriore che va contro la ricostruzione del principio di collaborazione. Infatti, se la sequenza procedimentale deve vedere l'invito, l'avvertimento circa la mancata risposta, e il rifiuto o la mancata esibizione da parte del destinatario, lo spazio di valutazione dell'amministrazione finanziaria è del tutto inesistente. Poniamo la mente al caso in cui, il contribuente, ove richiesto, ponga una giustificazione circa la mancata esibizione di quanto richiesto. Anche ove questa fosse, prima facie, assolutamente giustificata, gli accertatori, poiché la preclusione opera in automatico, non potranno, nemmeno volendo fare nessuna valutazione. L'unico onere, secondo quello che è il pensiero costante a livello giurisprudenziale è che il soggetto accertatore deve dimostrare l'esistenza della predetta sequenza, segnatamente dell'invio di specifico invito, e soprattutto dell'avvertimento sulle conseguenze della mancata risposta. I motivi addotti, pertanto troveranno analisi solo in sede di giudizio ex art. 5° comma dell'art. 32. Appare del tutto evidente, che il principio di collaborazione, sia del tutto inconferente. Una parte della giurisprudenza, nel tentativo di limitare la rigidità della norma, ha evidenziato come questa non possa applicarsi, allorquando i documenti, le notizie, i dati richiesti siano già in possesso della p.a. Il fondamento lo si rinviene oltre che espressamente nel dettato dell'art. 6 dello Statuto del contribuente, anche nell'ovvia considerazione che se da un lato può essere rifiutato solo ciò di cui si è possesso, al tempo stesso può essere richiesto solo ciò che non si ha a disposizione, questa è l'ipotesi contemplata dall'art. 32. Invece, un aspetto che sarebbe assolutamente meritevole di analisi, ma che nelle pronunce giurisprudenziali viene, del tutto obliterato, è quello che concerne il rapporto tra la preclusione in oggetto e gli art. 32 e 58 del Dlgs 546/1992. Secondo la prima delle due disposizioni, nel giudizio di primo grado si possono produrre documenti sino a venti giorni liberi prima dell'udienza di trattazione, addirittura l'art. 58 per il giudizio di appello prevede la possibilità di produrre documenti nuovi nel secondo grado, anche se questi fossero preesistenti e a disposizione allorquando si è celebrato il primo grado. L'art. 32 4° comma D.P.R. 600/1973 stabilisce la preclusione in sede amministrativa e in sede giudiziaria. Negli arresti giurisprudenziali le due situazioni vengono accomunate in una endiadi quando, invece le due fattispecie, forse andrebbero distinte. Nulla quaestio sulla preclusione in sede amministrativa, come si è visto questa si determina in automatico al termine della descritta sequela procedimentale, tant'è che la stessa amministrazione finanziaria non ha alcun potere valutativo, se non all'inizio della catena degli eventi quando valuta se procedere all'inoltro dell'invito o del questionario. E' chiara ed evidente l'antinomia tra le due norme, il D.P.R. 600/1973 e il Dlgs 546/1992 che non può che non essere risolta che sul piano del principio di specialità. Se la preclusione di cui al 4° comma dell'art. 32 è una norma di carattere procedimentale, non di carattere sostanziale, per il mancato utilizzo in giudizio dei documenti non prodotti e/o non esibiti non può porsi in contrasti con il Dlgs 546/1992 che regolamenta il processo tributario, e che pertanto deve ritenersi norma speciale. Ne scaturisce che la preclusione, poiché siamo in fase precontenziosa, potrà limitarsi solo a quella in sede amministrativa. Ma non può negarsi l'utilizzo dei documenti non prodotti o non esibiti nella successiva fase giudiziale. Pertanto, le due ipotesi non possono essere automaticamente accomunate, poiché la fase amministrativa di determinazione del tributo trova la sua naturale sede nel Testo Unico sull'Accertamento, così come ogni questione di carattere processuale trova la sua sede nel Dlgs 546 che regolamenta il processo tributario. Ciò non toglie che, anche sulla base di questa ricostruzione alternativa, nel frattempo in applicazione dell'art. 39 2° comma del D.P.R. 600/1973 possa essere applicato l'accertamento induttivo puro, ma questo perché si rientra sempre nella fase amministrativa del procedimento tributario. Come riferito, in mancanza dello specifico avvertimento circa le conseguenze della mancata produzione ed esibizione di quanto richiesto al momento dell'invito non può trovare applicazione la preclusione. Ad un aspetto meramente formale si lega il destino del contribuente, anche perché spesso i documenti di cui non viene consentita la produzione, risultano decisivi nel successivo giudizio. La realtà dei casi concreti può causare delle disparità di trattamento. La norma impone soltanto un limite minimo di 15 giorni, peraltro non prorogabile, stabilito unilateralmente al momento dell'invito. Si faccia la seguente casistica: al soggetto A al momento dell'invito viene indicato un termine di 30 giorni, nei fatti più che congruo, ma senza il dovuto avvertimento. Al soggetto B, invece, viene concesso un termine di 15 giorni, obbiettivamente impossibile da adempiere, ma con il prescritto avvertimento. Nella prima eventualità, la preclusione non scatta, anche allorquando lo stesso soggetto abbia preventivamente ricevuto altri inviti recanti il dovuto avvertimento. Nel secondo, invece la preclusione trova applicazione, salvo che venga accolta la doglianza nel successivo giudizio, anche se il termine si presenta obbiettivamente impossibile da rispettare e se già in sede amministrativa, al momento dell'invito sia già stata fornita giustificazione circa la mancata esibizione. Dall'occasionale presenza dell'avvertimento, a causa della rigidità e laconicità della norma in questione possono scaturire evidenti discrasie nel sistema. Non può essere accolta la posizione di parte della giurisprudenza che ritiene che la preclusione abbia anche una valenza probatoria. L'assunto si basa sulla presunzione, in verità non contemplata espressamente nella disposizione che se si rifiuta l'esibizione, di regola è perché si ha qualcosa da nascondere e, di regola, si ha qualcosa da nascondere quando si è violata la norma impositiva. Ad ulteriore corollario si sviluppa la considerazione che la norma esprime un giudizio di disvalore circa la genuinità di prove o documenti prodotti successivamente e non quando richiesti. L'impostazione sembra il frutto di una petizione di principio, dal momento che una prova è genuina o non genuina in sé, non in virtù del momento in cui viene prodotta, fatti salvi ovviamente i casi particolari in cui si debba dare una data certa ad un documento, e la relativa produzione, almeno da quel momento fa fede. In precedenza, si è evidenziato come nell'ambito processuale tributario, un documento possa essere prodotto per la prima volta, addirittura nel giudizio di appello, anche se già disponibile nel processo di primo grado, e questo di per sé non vale ad inficiarne la genuinità. Neppure è accoglibile l'indirizzo che ritiene che preclusione sia una sanzione per aver impedito in sede di accertamento di procedere ad un accertamento analitico. La tesi non coglie assolutamente nel segno, sono sufficienti alcuni brevi considerazioni. La legge, all'art. 38 e 39 D.P.R. 600/1973 prevede una variegata tipologia di accertamenti, aventi la medesima dignità, che trovano impiego in presenza dei determinati presupposti. Quello che è importante è che tali strumenti non ledano i principi costituzionali del diritto di difesa e della capacità contributiva. Come ulteriore considerazione sul punto, basti pensare all'omissione della dichiarazione fiscale che legittima l'uso dell'accertamento induttivo a prescindere dal rifiuto o meno di esibire i documenti richiesti. Per quanto concerne l'ordinanza 181/2007 della Corte Costituzionale se non è in dubbio il carattere processuale della preclusione contenuta nell'art. 32, non si vede come questa non possa non avere effetti anche sul piano sostanziale, sia pure indirettamente, tanto più in forza dell'art. 39 2° comma D.P.R. 600/1973 che prevede che la mancata esibizione dei documenti richiesti può comportare il ricorso all'accertamento induttivo.

4) Il rapporto tra la preclusione amministrativa-processuale ed il principio di non contestazione.

In forza del principio di non contestazione, ex art. 115 c.p.c., devono ritenersi provati i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita. In virtù dell'art. 1 del Dlgs 546/1992 si applicano le norme che regolamentano il processo civile salvo che non sia diversamente disposto e non siano incompatibili con il processo tributario. Il documento è un mezzo di prova, teso alla dimostrazione di un fatto ammissibile e rilevante ai fini della decisione giudiziaria. La preclusione dell'art. 32 D.P.R. 600/1973 anche se norma di carattere processuale, inibisce l'utilizzo dei documenti non prodotti tempestivamente, ma non contiene e né preclude nessun accertamento sul fatto. Non si può non concordare con quell'attenta ed autorevole dottrina che ritiene che il principio di non contestazione trovi vita, anche allorquando sia precedentemente sorta la preclusione amministrativa e giudiziaria all'utilizzo dei documenti. Infatti, l'art. 115 c.p.c. attiene ai fatti, mentre la preclusione attiene ai documenti che sono un mezzo di ricerca della prova. E sulla scorta di tale principio la contestazione, in merito al fatto contestato, per giurisprudenza unanime non può risolversi in una mera formula negativa, come può essere la semplice negazione o l'affermazione che la controparte non ha dimostrato il fatto di cui afferma l'esistenza. Tra l'altro, una coerente ed equilibrata applicazione del principio di non contestazione, consentirebbe, almeno in parte di ovviare ad un uso distorto della preclusione amministrativa e processuale. Infatti, l'amministrazione finanziaria, anche in presenza di una documentazione fiscale e contabile, assolutamente corretta ed attendibile, può sulla base di un semplice invito o questionario a cui non viene data risposta, sulla base del collegamento tra l'art. 32 e l'art. 39, ricorrere allo strumento dell'accertamento induttivo. Inoltre, il principio di non contestazione può avere un ruolo, ovviamente non sulla rilevanza della causa non imputabile, frutto di una valutazione e qualificazione giuridica, ma sul fatto in sé dell'impedimento. Infine, non dovrebbe ritenersi soddisfacente ai sensi dell'art. 115 c.p.c., la posizione del soggetto accertatore che si limitasse a ribadire l'insussistenza del fatto contestato sulla base della mera preclusione processuale che impedisce l'utilizzo dei documenti. Questo ovviamente con riferimento al fatto che viene allegato dal contribuente o che questi, comunque per legge dovrebbe dimostrare. Contrariamente, se trattasi di fatto di cui incombe la dimostrazione in capo al soggetto accertatore, la presenza del maggior reddito, come equilibrata giurisprudenza ha dato conto, è sempre necessaria, al fine di evitare un calcolo arbitrario nella determinazione del reddito, l'indicazione delle presunzioni anche semplici da cui detto calcolo è derivato. Naturalmente, non è esclusa la possibilità che il medesimo fatto possa essere dimostrato sulla base di dati, notizie, documenti diversi o redatti successivamente a quelli rispetto ai quali è inibita la produzione in sede amministrativa e processuale.

5) Conclusioni finali

La preclusione processuale ed amministrativa di cui all'art. 32 D.P.R. 600/1973 realizza, senza un'ombra di dubbio una compressione dei diritti di difesa del contribuente che trova sempre meno giustificazione. Si nota una certa incoerenza, alla luce degli interventi legislativi che si sono succeduti negli ultimi anni in cui si è assistito al proliferare di nuovi strumenti deflattivi del contenzioso sulla base della constatazione che una definizione concordata del reddito è di gran lunga la soluzione preferibile, in quanto più vicina alla determinazione della ricchezza reale del contribuente. Non va trascurato il fatto che al tenore così rigoroso della norma nel comminare la sanzione dell'inutilizzabilità non trova riscontro un'altrettanta precisa formulazione del contenuto che appare del tutto squilibrato a favore dell'amministrazione. Si prenda qualche esempio: l'invito, per quanto concerne i questionari, deve essere specifico ed afferente a dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento secondo quanto disposto dall'art. 31 1° comma n° 4. Però, tale giudizio di rilevanza è rimesso all'assoluta discrezionalità del soggetto accertatore, e non può essere rimesso in discussione ex post in sede di giudizio. Infatti, al momento del processo tributario, il giudice potrà soltanto valutare se siano presenti i requisiti perché si possa applicare l'esimente di cui al 5°comma dell'art. 32 oppure se sia stata correttamente sviluppata la necessaria sequenza procedimentale indicata al comma 4° dell'art. 32. Il tema si fa di maggior importanza allorquando nel questionario o nell'invito siano richiesti una pluralità di dati, documenti, notizie. Anche un riscontro incompleto, per giunta magari relativo a dati non rilevanti ai fini dell'accertamento non impedisce il ricorso alla preclusione e all'applicazione dell'accertamento induttivo ove questi non trovi già fondamento nelle altre ipotesi contemplate dall'art. 39° 2° comma. In conclusione, una modifica in senso riequilibratore dovrebbe far sì che il soggetto accertatore, perché scatti la preclusione processuale, dovrebbe essere onerato di fornire la cd prova di resistenza: ovvero dimostrare che i dati, le notizie, i documenti di cui si sia rifiutata l'esibizione siano rilevanti ai fini dell'accertamento. Tanto più ove il contribuente in precedenza abbia risposto puntualmente a pregressi inviti e/o questionari. Infatti, se la preclusione, in aderenza allo stretto tenore letterale della norma non può che riferirsi a singoli inviti e/o questionari, ciò non impedisce che possa essere disposto l'accertamento induttivo e che questo coinvolga anche i dati, notizie in precedenza esibiti. Da ultimo, non si può non aderire all'impostazione di quell'indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'invio di questionari e la richiesta di dati, documenti, non è altro che un sub procedimento all'interno del procedimento di accertamento. Ne deriva che i presupposti perché un accertamento appartenga ad una tipologia o all'altra di quelle previste per legge, preesistono e sono indipendenti dalla mancata compilazione di un questionario o dal rifiuto di esibizione di quanto richiesto. Inoltre, le pronunce giurisprudenziali, anche quelle più recenti non danno conto di come raccordare, salvo obliterare del tutto la questione, quanto prescritto agli art. 32 e 58 del D.Lgs. 546/1992. 

 

Riferimenti normativi:

Artt. 32 e 39, D.P.R. 600/1973
Art. 115 c.p.c.
Art. 1, 32 e 58, D.Lgs. 546/1992

Riferimenti giurisprudenziali

Cass. 16106/2018
Cass. 7011/2018
Cass. 401/2018
Cass. 20303/2017
Cass 7226/2015
Cass 24503/2015
Cass 8539/2014
Cass. 455/2013
Cass. 453/2013
Corte Costituzionale, ordinanza n. 181/2017