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Pubbl. Mar, 19 Giu 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Il nichilismo degli esclusi: per una cittadinanza inclusiva tramite i percorsi di deradicalizzazione

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Francesco Angelone


Il concetto del fondamentalismo religioso e il difficile equilibrio tra esigenze di sicurezza pubblica e rispetto della libertà personale. Coautori: Francesco Angelone, dottorando di ricerca in Diritto Costituzionale presso la Scuola dei dottorandi CEINDO e Maria Costantino, avvocato del Foro di Reggio Calabria.


Sommario: 1. Premessa – 2. Origini e implicazioni del concetto di fondamentalismo religioso – 3. Il difficile equilibrio tra esigenze di sicurezza pubblica e rispetto della libertà personale- 4. Il nichilismo degli esclusi.

1. Premessa

Una delle problematiche maggiori degli attuali governi europei è rappresentata dall'ampliarsi del fenomeno migratorio, di fronte al quale può ritenersi insufficiente la risposta normativa sotto il profilo dell'accoglienza e dell'integrazione sociale, prima che giuridica. 

L’incapacità degli Stati di ricorrere a misure assistenziali in grado di limitare gli effetti negativi dei flussi migratori, la totale assenza di meccanismi di tutela volti a guidare il processo di inserimento degli stranieri, spesso privi di una dimensione identitaria sociale, ha sviluppato fenomeni di intolleranza razziale[1], che alimentano l'insorgere di meccanismi delinquenziali talvolta riconducibili ai comportamenti violenti degli stranieri per l'insofferenza e la carenza delle strutture ospitanti, talaltra derivanti da atti di discriminazione razziale commessi in pregiudizio di tali soggetti.

L'impegno profuso dai governi, pertanto, si sta dimostrando insufficiente a favorire lo sviluppo di una integrazione sociale[2] nella nuova società multietnica, ove convivono una pluralità di culture, religiose e non, che spesso si scontrano sia con i valori fondanti la comunità ospitante che coi principi ordinamentali che la governano.

Tale difficoltà si appalesa non solo sotto il profilo meramente sociale ma anche sotto il peculiare aspetto giuridico. Basti pensare al complesso rapporto tra cultura straniera e rispetto della persona umana in cui si evidenzia una serie di contrasti interni al sistema ordinamentale italiano.

Tale problema, ad esempio, ha interessato la giurisprudenza italiana[3] ai massimi concessi con riguardo alla possibile configurabilità della cosiddetta scriminante culturale.

In particolare, i giudici nazionali sono stati chiamati ripetutamente a sindacare sull’ammissibilità rectius “giustificabilità” di un comportamento (come lo sfruttamento minorile nella attività di accattonaggio[4] della cultura nomade[5], la pratica dell'infibulazione, il porto del kirbah[6], coltello indiano, fuori dalla propria abitazione) considerato illecito nel nostro ordinamento.

Attualmente la questione risulta sopita dal consolidato orientamento pretorio[7], che ha ripudiato la scusabilità di siffatte condotte illecite, imponendo allo straniero l'obbligo di conformare i propri valori alle regole della società cui ha scelto di appartenere, al fine di mantenerne la matrice culturale unitaria.

In tale contesto ordinamentale si innesca il fenomeno del terrorismo internazionale sub specie di terrorismo islamico, ove la cultura religiosa del pensiero fondamentalista islamico del popolo arabo funge da presupposto ideologico per il compimento di atti di inaudita violenza e minaccia in nome di Allah.

Indubbiamente il Legislatore italiano, sulla scorta delle direttive impartite[8] sul piano sovranazionale, ha approntato misure di prevenzione e repressione del fenomeno terroristico, unitamente all'introduzione di fattispecie di reato in cui il sistema di  elevata anticipazione della tutela (cosiddetti Delitti di attentato) costituisce l'antefatto di una adeguata ed efficace risposta punitiva.

In tale ottica preventiva si inseriscono le nuove fattispecie incriminatrici dell'addestramento e del proselitismo condotti con ogni forma verbale e/o scritta, ricorrendo all'uso distorto di social network, canali web e predisposizione di corsi formativi de visu.

Tale meccanismi, invero, sono finalizzati al reclutamento di cadetti che, convertendosi all'Islam e subendo una vera e propria manipolazione della struttura mentale, si affiliano all'Isis e si fanno promotori della cultura dell'odio e della violenza[9].

Per neutralizzare gli allarmanti effetti di tale sistema pericoloso e ormai in via di espansione non sono più sufficienti gli ordinari strumenti di punizione che connotano l'ordinamento italiano ed è necessario ricorrere ad altri metodi più deterrenti.

Tale valutazione prospettica ha condotto al ricorso alla cosiddetta de-radicalizzazione[10], per essa intendendosi un percorso rieducativo guidato verso l'esperienza religiosa islamica, condotto con l'ausilio di un Imam, per comprendere le reali radici di tale credo religioso e consentire al soggetto riabilitando di rifuggire consapevolmente da ogni logica ed uso distorti della religione islamica e dei suoi precetti comportamentali.

La soluzione ora rappresentata, tuttavia, fornisce interessanti spunti di riflessione in ordine alla compatibilità di tale sistema di catechismo religioso con il principio di laicità degli Stati occidentali, tenuto conto del fatto che l'esperienza insegna che i soggetti che scelgono di essere inseriti nella compagine terroristica dell'organizzazione internazionale non sempre sono spinti dal credo religioso, piuttosto scegliendo di entrare in tale tessuto delinquenziale per la naturale e patologica predisposizione alla violenza, all'odio e alle armi oltre che per la prospettiva di facili guadagni, secondo il disegno tipico del “soldato mercenario[11]”.

2. Origini e implicazioni del concetto di fondamentalismo religioso

Ebbene, parlare di fondamentalismo presuppone che ci si interroghi, seppur brevemente, sul concetto di Religione.

Sul punto, risultano interessanti le considerazioni di Yinger[12], il quale, per l’appunto, fornendo una spiegazione in linea con questa trattazione, offre una definizione sociologica di Religione, cosi enunciando:

“la religione… può essere definita come un sistema di convinzioni e di pratiche mediante il quale un gruppo di uomini affronta i problemi ultimi della vita umana. Essa esprime il loro rifiuto di arrendersi alla morte, di cedere dinanzi alla delusione, di ammettere l’inimicizia, di distruggere la possibilità di una comunità umana. Il contenuto dell’esistenza religiosa… include due cose: la credenza che il male, il dolore, la confusione e l’ingiustizia siano dati di fatto fondamentali della vita e un sistema di pratiche cui si collegano delle convinzioni sacralizzate. Queste convinzioni esprimono appunto il convincimento dell’uomo di poter essere alla fine liberato da tali dati di fatto.

Attraverso tale enunciazione, sia che si pensi alla religione come liberazione dal male sia che la religione risponda agli interrogativi circa il senso della vita, appare pacifico considerare tutte le religioni come sistemi attuali di risposte di senso[13].

La maggior parte delle religioni si riporta a un qualche annuncio o rivelazione di Dio stesso o degli Dei. Per i religiosi, quindi, le credenze, le pratiche e i rituali sono atti legittimati da Dio o dagli dei venerati da una data comunità: tale visione prospettica apre le porte al concetto di ortodossia.

Si badi, tuttavia, che una definizione siffatta non indica la corrente di un gruppo religioso all’interno di una religione ma, considerando l’autentico significato di “retta opinione”, la convinzione che quei dati comportamenti siano giusti e, soprattutto, garantiti.

Infatti, il fondamentalismo religioso è essenzialmente una lotta in nome di queste basi o opinioni fondamentali.

Intese, quindi, come  risposte alla bramosia di trovare un senso alla vita da parte delle singole comunità, le religioni appaiono esaustive e definitive, e da tale convincimento discende il rischio che i seguaci di quel credo predispongano strumenti necessari ad assolutizzare i propri apparati ed anche le proprie “risposte”.

Non può negarsi che, nell’era della cosiddetta comunità multietnica e multiculturale[14], il credente rischia di attendere che la risposta di cui è convinto e che ritiene ultima non valga esclusivamente per lui ma che debba essere condivisa anche da chi manifesta di aderire a precetti e comportamenti diversi e, per certi versi, inconciliabili.

È proprio in questo momento che, entrando in scena queste istanze assolutistiche[15], al religioso vengono prospettate determinate vie: da un lato la possibilità di esercitarsi alla tolleranza e lasciare che altri dogmi possano essere considerati validi, dall’altro lato rifugiarsi all’interno della propria religione insieme ad altri fratelli e sorelle che partecipano alle stesse convinzioni. Tale ultima alternativa, non di rado, sfocia nella scelta di imporre, magari con la forza, le proprie ragioni in un certa area geografica mirata o in una certa comunità sociale. Entrambi i casi, a detta dello scrivente, appaiono limitativi di una sfera individuale e personale di libertà.

Per una maggiore completezza espositiva sul tema si consideri che il fondamentalismo religioso del giorni nostri ha assunto le fattezze di un profondo grido di protesta contro tutte le conquiste del mondo moderno[16], secolarizzato, pluralistico, democratico, governato da scienza e tecnica, da social network che, trasformandosi in piazze virtuali con carattere del tutto naturale producono effetti, il più delle volte devastanti, nel mondo cosiddetto “reale”.

Tale scontro, non di certo di sola matrice dialettica e\o ideologica, si manifesta nel momento in cui il fondamentalismo religioso, sia che abbia alla base una rivelazione nella scrittura[17] o che si fondi prettamente su una data tradizione, cerca di varcare confini di matrice politica e morale oltre che territoriale.

Fatta questa breve riflessione sul concetto di religione e sulle singole religioni è necessario esprimere un pensiero chiaro: non è mai fondamentalista l’importanza e l’attenzione riservate dalle religioni che si occupano dei propri fondamenti[18].

Diversamente, i credenti compiono davvero l’essenza della loro religione solo quando prendono del tutto sul serio le sue basi. In poche parole, come ben riportato da Kienzler[19],

”non bisogna chiamare fondamentalista un credente che con tutte le forze si concentra sulla Bibbia o sulle Scritture, né uno che si lascia guidare dalla tradizione e nemmeno uno che considera il magistero ecclesiastico un’istituzione importante e l’ufficio papale, ossia l’ufficio di Pietro, un indispensabile servizio per la cristianità. Deve essere definito fondamentalista solo chi si poggia esclusivamente sulla “sola” Scrittura, o chi è un tradizionalista inamovibile. Una religione potrebbe essere quindi paragonata a un’orchestra, in cui vari strumentisti di uguale importanza collaborano all’esecuzione di una sinfonia. I fondamentalisti, per continuare la metafora, cercano di suonare il primo violino senza curarsi degli altri strumenti”.

In uno scritto dal titolo “Il futuro appartiene a questa religione”[20] (al.Mustaqbal li-hadla ad-din), Sayyid Qutb, tra i capi della Fratellanza Musulmana, analizzando come i prodotti dell’occidente abbiamo accecato la gente con il loro finto bagliore, determinava la fine non solo del ruolo dell’uomo bianco ma anche di quella parte di un’umanità rovinata e ribelle a Dio con la seguente pronuncia:

"L’islam combatte contando solo su stesso, poiché l’elemento della forza è sempre presente nell’islam…. Esso si ritrova nella certezza che l’islam è la religione giusta per l’umanità e viene incontro ai suoi veri bisogni, come anche nel dato di fatto che l’islam si eleva al di sopra delle servitù dell’uomo nei confronti dell’uomo, subordinando l’umanità solo a Dio, al Signore. Questo elemento della forza è racchiuso altresì nel fatto che l’islam non accetta lezioni da nessuno se non da Dio, e anche nel modo in cui l’islam protegge i suoi fedeli dalle funeste conseguenze, come la sottomissione a usurpatori autonominatosi sovrani… Infatti una tale sovranità, per quanto forte possa essere la sua pressione, rimane sempre impotente nell’ambito della coscienza. Perciò, nonostante la temporanea posizione di predominio di cultura e politica occidentale, non è possibile alcuna sconfitta spirituale fintanto che l’islam governa il cuore e la coscienza, anche se nel frattempo dovessimo subire una sconfitta esterna!.”

Appare necessario in questo momento della trattazione affermare che il predetto lavoro non ha come obiettivo esclusivo quello di dover fare un riepilogo su che cosa sia la jihad, il fondamentalismo islamico o, addirittura, le ragioni fondanti costituzione dello al-Dawla al-Islāmiyya. Infatti, ci si sarebbe potuti egualmente soffermare su movimenti religiosi[21] simili, quali, per esempio “i sicari”, le sette religiose che parteciparono attivamente alla lotta degli Zeloti contro i Romani in Palestina ( 66-73 d.c) o gli “assassini”, una ramificazione degli Ismaeliti, che apparve in scena nel secolo XI, se non fosse che nessun esempio di percorso di de-radicalizzazione in quelle ipotesi si è manifestatamente palesato.

Il presente elaborato, pertanto, si prefigge di scandagliare gli aspetti salienti del fenomeno terroristico, approfondendo le riflessioni dottrinali filosofiche che animano gli ambienti intellettuali nell'affannata ricerca della soluzione migliore a coniugare l'istanza di tutela della libertà religiosa e la richiesta di protezione della sicurezza pubblica e dell'incolumità dei cittadini.

3. Il difficile equilibrio tra esigenze di sicurezza pubblica e rispetto della libertà personale

Al fine di approfondire la tematica legata all'istituzione delle comunità di recupero e de-radicalizzazione, con lo scopo di procedere con la disamina dell’attuale panorama giuridico italiano, senza alcuna presunzione di esaustività, è necessario dar conto dell’evoluzione storica legata all’introduzione dei percorsi di de-radicalizzazione, che trovano origine nel programma ideato[22] all’interno del Muhammad Bin Nayef Counselling and Care Center, fortemente voluto dal Principe dell’Arabia Saudita Bin Nayef.

Si tratta di percorsi educativi e di riabilitazione sociale, attraverso cui un team di esperti di diritto islamico ed Imam hanno la funzione di educare i detenuti condannati di crimini di terrorismo, con la previsione del loro trasferimento, per soggiorni temporalmente limitati, presso centri istituiti ad hoc.

Nell’ambito di tale strategia di “soft counterterrorism”, il compito di questi esperti è quello di imprimere l’esatta interpretazione teologica dell’islam e, alla fine della permanenza del detenuto, in ragione delle capacità di risocializzazione e degli esiti delle perizie eseguite da tecnici competenti, esprimere un giudizio in favore del rilascio di tali soggetti o dell’eventuale ritorno in carcere.

A ben vedere, sono programmi di riabilitazione successivi ed integrativi della pena della reclusione comminata in sede processuale e divenuta definitiva, una sorta di misura accessoria che ben si condensa con le esigenze di reinserimento del reo nel tessuto sociale.

Tale ultima precisazione non è priva di pregio, dal momento che l’applicazione di misure risocializzanti di tal genere in una fase in cui i soggetti sono già stati condannati, sulla base di una sentenza fondata su valide argomentazioni giuridiche idonee a giustificare la compromissione della libertà personale del destinatario, non risulta illegittima proprio perché intrisa di legalità.

Diversamente, deve ritenersi che tutte le volte in cui tali misure siano applicate in assenza di un giudizio di condanna legittimo, ovvero in virtù di un provvedimento sfornito di una base normativa che, anche senza il verdetto di condanna, comunque sia in grado di giustificarne il ricorso in funzione preventiva, tale determinazione è carente del predetto crisma di legalità e le garanzie di libertà dello Stato di diritto si svuotano di contenuto e rimangono confinate entro mere enunciazioni di principio.

Tale precisazione non è irrilevante e consente di comprendere la ratio dei percorsi di de-radicalizzazione avviati negli ultimi anni dai maggiori Paesi occidentali europei[23] tra cui Gran Bretagna, Danimarca e Francia, che, a fronte dell’emergenza terroristica, hanno adottato sistemi rafforzati di sicurezza sia dal punto di vista giuridico che sotto il profilo del presidio militare.

Il principale strumento utilizzato dagli Stati per contrastare in via preventiva il fenomeno terroristico risiede nell’istituzione di centri e/o comunità presso cui si svolgono vere e proprie lezioni di catechismo religioso, che inducono i destinatari della misura restrittiva a rivisitare la visione distorta dell’indottrinamento islamista, esautorato da posizioni radicali e fondamentaliste delle Scritture sacre.

Non può revocarsi in dubbio che la ratio del ricorso a tali drastiche misure antiterroristiche, limitative della libertà personale, in grado di controllare e, per certi versi, prevenire la minaccia jihadista, alberga nell’istanza di protezione avviata dall’ordinamento sopranazionale, che, attraverso l’emanazione di una serie di documenti, risoluzioni e comunicazioni, ha invitato gli Stati membri ad uniformare ed adeguare la disciplina legislativa nazionale secondo una prospettiva unitaria di coordinamento e promozione delle attività di contrasto antiterroristico.

A titolo esemplificativo basti pensare all’adozione della Risoluzione del Parlamento europeo del 25 novembre 2015, volta a introdurre misure di prevenzione della radicalizzazione e del reclutamento di cittadini europei da parte delle organizzazioni terroristiche.

Le coordinate imperative impartite a livello comunitario hanno inciso profondamente anche sull’impianto ordinamentale italiano, arricchito, per l’appunto, dall’emanazione del Decreto Legge nr. 7 del 2015, convertito in Legge nr. 43 del 2015, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo anche internazionale e per la promozione di iniziative tese al sostegno ed allo sviluppo di processi di ricostruzione e partecipazione per finalità di pace e stabilizzazione.

Tale normativa mostra il pregio di ordinare il frastagliato sistema di norme presenti attualmente nell’ordinamento nazionale e comunitario.

Limitando l’analisi sistematica della normativa testé citata agli aspetti salienti di tale trattazione, finalizzata a evidenziare il punto di frizione, laddove esistente, di tali misure di de-radicalizzazione rispetto all’impianto assiologico costituzionale, tale spunto di riflessione  nasce dalla preliminare disamina dell’art. 4 della legge nr.43 del 2015[24], la cui forza precettiva ha investito e parzialmente modificato il Codice Antimafia.

In  effetti, l’articolo sopra menzionato ha introdotto misure di prevenzione dalla portata maggiormente dirompente rispetto al previgente quadro normativo, non solo estendendo la cornice dei poteri di intervento riconosciuti al Giudice sia nella fase preliminare che nella successiva ed eventuale sede processuale, ma allargando le maglie applicative delle previsioni esistenti anche ai soggetti accusati di crimini commessi per agevolare lo sviluppo e la crescita delle organizzazioni terroristiche anche su scala internazionale.

Tuttavia, sebbene il Legislatore, con il Decreto Legislativo nr. 159 del 2011 così rivisitato, abbia rafforzato le forme di contrasto verso ogni forma delinquenziale associativa, nella disposizione non si rinviene alcun riferimento al ricorso a comunità di riabilitazione volte a rieducare e reinserire all’interno del tessuto sociale i soggetti appartenenti alle organizzazioni terroristiche jihadiste scoperti a condurre attività di proselitismo tramite l’utilizzo di canali di comunicazione web o altri sistemi di diffusione delle idee fondamentaliste da cui l’attività stessa promana.

Eppure, dopo l’emanazione della Legge nr. 43 del 2015, il Legislatore italiano aveva l’obbligo di conformare il panorama giuridico alle indicazioni obbligatorie e vincolanti discendenti dalla Unione Europea.

In particolare, con la Direttiva UE nr. 2017/541 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15.03.2017, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea sulla lotta contro il terrorismo e che sostituisce la Decisione Quadro 2002/475/GAI del Consiglio e che modifica la Decisione 2005/671/GAI del Consiglio, l’Unione Europea, con il Considerando nr. 31 ha così stabilito:

Come indicato nella strategia riveduta dell’UE volta a combattere la radicalizzazione e il reclutamento nelle file del terrorismo del 2014 e nelle conclusioni del Consiglio dell’Unione europea e degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio sul rafforzamento della risposta di giustizia penale alla radicalizzazione che porta al terrorismo e all’estremismo violento del 2015, la prevenzione della radicalizzazione e del reclutamento nelle file del terrorismo, inclusa la radicalizzazione online, richiede un approccio a lungo termine, proattivo e globale. Tale approccio dovrebbe combinare misure nell’ambito della giustizia penale con politiche nei settori dell’istruzione, dell’inclusione sociale e dell’integrazione, nonché con l’offerta di programmi efficaci di deradicalizzazione o disimpegno e di uscita o riabilitazione, anche nel contesto della detenzione e della libertà vigilata. Gli Stati membri dovrebbero condividere le buone prassi sulle misure e sui progetti efficaci in questo settore, in particolare per quanto riguarda i combattenti terroristi stranieri e quelli che fanno ritorno nel paese d’origine, se del caso in cooperazione con la Commissione e le competenti agenzie e organismi dell’Unione.”

Ci si interroga, pertanto, sulla compatibilità di un provvedimento giudiziale, emesso all’esito del giudizio di prevenzione per acclarata pericolosità sociale del soggetto e relativo all’ordine del Giudice di soggiornare o di frequentare per un lungo periodo di tempo una comunità di de-radicalizzazione, con i principi di laicità e libertà personale, corollari della dignità umana.

Tale ordine giudiziale, invero, troverebbe una giustificazione nell’esigenza di sicurezza pubblica ma risulterebbe carente di una base legale ossia di una norma specifica che ne legittimi il ricorso, dal momento che ad oggi il Legislatore italiano non ha predisposto alcun programma di riabilitazione o meglio di deradicalizzazione in funzione rieducativa del soggetto socialmente pericoloso. Con la conseguenza che, nell’attuale sistema di prevenzione penale, le decisioni del Giudice aventi ad oggetto l’inserimento in una comunità per seguire un percorso di deradicalizzazione evidenziano profili di criticità con il principio di legalità.

L’occasione di tale trattazione nasce a seguito del provvedimento emesso dal Tribunale di Bari nr. 71 del 2017 e, in un caso analogo, dalla Procura dei minorenni di Trieste[25] nell’ambito del procedimento cd.Ansar che, rinvenendo una matrice radicale nella condivisione di un soggetto della pratica del martirio e della guerra quale metodologia di lotta in nome di Allah, non si è limitato ad applicare le misure di prevenzione previste normativamente, ordinando anche “l’avvio di un percorso finalizzato alla de-radicalizzazione del soggetto” e prescrivendo un preciso programma formativo.

Dal punto di vista pratico, in effetti, non di rado accade che la condotta di proselitismo si estrinsechi in una fase embrionale ovvero risulti assunta secondo schemi d’azione inidonei a sorreggere l’impianto accusatorio della pubblica accusa, poiché incapace di soddisfare le condizioni di sussistenza della fattispecie di reato che si intende contestare[26].

Sicché, il soggetto destinatario della misura di prevenzione, quand’anche ponga in essere comportamenti socialmente riprovevoli, non potrebbe essere condannato ai sensi della legislazione penale, bensì potrebbe essere raggiunto da una di tali misure semplicemente “ponendo in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a prendere parte ad un conflitto in territorio estero” che, tuttavia, considerate isolatamente, risultano “penalmente irrilevanti e tra queste quelle di carattere religioso: quali il portare un testo del Corano o compiere atti di proselitismo o fare apologia di prescrizione come il porto del velo o le mutilazioni genitali femminili[27].

Alla luce di tali interrogativi, il punto focale della riflessione orbita proprio intorno al bilanciamento dei confliggenti interessi costituzionali in gioco: da un lato la esigenza di proteggere la sicurezza pubblica e dall’altro il bisogno di garantire il rispetto della libertà religiosa, quale precipitato valoriale della più ampia libertà personale e come piena realizzazione della personalità dell’individuo.

Partendo dal presupposto della generale ammissibilità delle misure di prevenzione nel nostro ordinamento, occorre dar conto della tesi restrittiva propinata in dottrina a mente della quale “prevenire il reato è compito imprescindibile dello Stato, che si pone come un prius rispetto alla potestà punitiva”, che necessita di una “doverosità costituzionale[28], la cui fonte è rinvenibile negli articoli 13 e 16 della Carta Fondamentale.

Tuttavia, è necessario che la previsione costituzionale di principio sia assistita da un ventaglio di disposizioni normative frutto della dialettica parlamentare ed espressione della voluntas populi, al fine di indirizzare e delimitare la discrezionalità dei poteri pubblici e scongiurare gli abusi del potere giudiziario.

Del resto, la stessa ratio costituzionale di salvaguardia della libertà dell’individuo a fronte di episodi di abuso del potere giudiziario anima le disposizioni processual-penalistiche in materia di applicazione di misure cautelari, rispetto alle quali svolge un ruolo determinante il principio di legalità.

Sul punto, giova riportare il contenuto di una illuminante pronuncia della Corte Costituzionale, sentenza nr. 265 del 21.07.2010, che così ha statuito:

.. l’applicazione di misure cautelari non può essere legittimata in alcun caso esclusivamente da un giudizio anticipato di colpevolezza, né corrispondere – direttamente o indirettamente- a finalità proprie della sanzione penale, né, ancora e correlativamente, restare indifferente ad un preciso scopo. Il legislatore ordinario è infatti tenuto, nella tipizzazione dei casi e dei modi di privazione della libertà, ad individuare esigenze diverse da quelle di anticipazione della pena e che debbano essere soddisfatte- entro tempi predeterminati – durante il corso del procedimento stesso, tali da giustificare, nel bilanciamento degli interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale di chi non è stato ancora giudicato colpevole in via definitiva”.

Sulla base di quanto finora affermato e senza mettere in discussione la rilevanza della sicurezza pubblica all’interno di una societas, non v’è dubbio che un provvedimento giudiziale posto in essere  in assenza di una norma che, in via prevenzionale ed in assenza di una pronuncia di condanna, assegni al Giudice il potere di imporre ad un soggetto che svolge attività di proselitismo la frequentazione di corsi di religione o, addirittura, la permanenza all’interno della comunità di de-radicalizzazione, costituisce un’aberrazione giuridica e presenta i caratteri della illegittimità.

Il provvedimento del Giudice, restrittivo delle facoltà e dei diritti riconosciuti a ciascun individuo, contrasta con il principio di libertà personale di cui al richiamato articolo 13 della Costituzione, il quale, nel consentire compressioni del diritto medesimo, rinvia a provvedimenti legittimi dell’autorità giudiziaria ossia assistiti dalla rigorosa osservanza del principio di legalità.

Sullo stesso piano esegetico si colloca il rapporto tra libertà religiosa, ossia libertà di professare qualsivoglia culto, espressione del principio di laicità che governa il nostro sistema ordinamentale, con l’esigenza di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale, a fronte di episodi di proselitismo che minacciano la pace e il sereno sviluppo di una data comunità civile.

Quid iuris?

La semplice attività di propaganda è pienamente riconosciuta a livello costituzionale, ove l’articolo 19 così recita:

"Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale ed associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.

Ebbene, l’unica limitazione costituzionalmente prevista alla libertà di culto è la contrarietà al buon costume, sicché, almeno che le condotte di proselitismo non sfocino in fatti penalmente rilevanti, ci si chiede quale sia il fondamento giuridico che dà la stura rectius la legittimazione ad un provvedimento limitativo della libertà di culto di un individuo e diretto a impartire i dogmi della religione secondo la lettura fornita da esperti di religione islamica.

Si potrebbe azzardare che, sull’onda della emergenza e delle incessanti richieste di tutela anelate dai cittadini, influenzati dall’elefantiaco fenomeno migratorio, gli operatori giuridici, attraverso meccanismi di applicazione analogica di istituti e previsioni normativi già presenti all’interno del tessuto legale, si spingano fino ad ammettere forme restrittive di prevenzione dalla dubbia valenza legale.

In tale contesto dai contorni sfumati, si colloca la proposta di legge avanzata dai deputati D’Ambruoso e Manciulli, a.c. nr. 3558, approvata dalla Camera dei Deputati in data 18 luglio 2017, in materia di Misure per la prevenzione della radicalizzazione dell’estremismo violento di matrice jihadista.

L’articolo 11 del citato testo di legge, ancora in fase di approvazione, dispone che:

Il Ministro della Giustizia, con proprio decreto, da emanare con cadenza annuale entro il 1 dicembre di ogni anno, e per il primo anno entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentiti il CRAD e il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, previo parere espresso da parte delle competenti Commissioni Parlamentari, adotta un piano nazionale per garantire ai soggetti italiani o stranieri detenuti un trattamento penitenziario che, ai sensi degli articoli 1 e 13 ella legge 26 luglio 1975 nr. 354, promuova la loro deradicalizzazione e il loro recupero”… “ ai fini del reinserimento sociale dei soggetti di cui al medesimo comma 1 e della predisposizioni di strumenti più efficaci di prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista, sono individuati i criteri per l’ammissione negli istituti penitenziari dei soggetti di cui all’articolo 17, secondo comma, della legge 26 luglio 1975 nr. 354, in possesso di specifiche conoscenze delle culture e delle pratiche religiose nonché dei fenomeni di proselitismo, radicalizzazione e potenziale deriva terroristica”.

Auspicando l’approvazione, entro tempi ragionevoli, del disegno di legge de quo, la proposta normativa or ora illustrata evidenzia le lacune normative che occorre colmare nell’attuale sistema giuridico, in cui difettano i presupposti legittimanti il ricorso a misure interdittive, che predispongano strumenti atti a discernere il mero fenomeno del proselitismo da forme radicali di propaganda terroristica, rifuggendo da un diritto penale d’autore e riportando sui binari della legalità le esigenze di sicurezza pubblica, la cui risonanza sociale non deve costituire il fulcro di decisioni arbitrarie assunte senza alcuna giustificazione costituzionale e normativa.

Come già affermato da Zygmunt Barman, nell’articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 27 luglio 2016, la paura e l’incertezza continuano ad essere radicate nel mondo contemporaneo.

Ove le comunità sono sgretolate, i legami interpersonali sono sostituiti dalla competizione più sfrenata ed anche i problemi più complessi sono affrontati con semplici soluzioni; si crea, cosi, il rischio di creare muri fra gli individui ed i popoli e cedere spazi di libertà personale e collettiva all’“uomo più forte” di turno.

4. Il nichilismo degli esclusi[29]

Utilizzando le parole del Savagnone in Dibattito sulla Laicità: “se è vero che il termine “rispetto” deriva dal latino “respicere”, che significa “guardare”, ”vedere”, potremmo dire senza alcun dubbio, che lo Stato, invece di chiudere gli occhi sulla molteplice e complessa realtà delle culture e delle religioni presenti sul suo territorio, deve invece guardarle in faccia. Insomma, “lo stato, per essere laico in senso politico, non deve rinunciare ad avere rapporti con le religioni e le comunità religiose”….”Ciò significa che le religioni possono ancora avere un ruolo importante nell’interpretare, nell’alimentare e difendere quei valori comuni nella coscienza diffusa della popolazione, contribuendo con la laro autorità spirituale al consolidamento delle basi della convivenza civile“, ed ancora: “guardare i volti significa anche rispettare le differenze… l’universalità dei valori e l’unità del mondo non dovrebbero essere, come oggi c’è il rischio che accada, il risultato di una devastante omologazione, ma scaturirebbero da un confronto che consenta, ad ognuno, di arricchirsi delle peculiarità dell’altro. Si configurerebbe ,così, quella convivialità delle differenze che si adombra, peraltro, nel concetto di glocalizzazione, dove dimensione globale e dimensione locale si coniugano armoniosamente”.[30]

Ebbene, soprattutto in questo ultimo periodo, le democrazie traballanti vengono accusate di rispondere a problemi gravissimi con campagne populiste e con l’adozione di misure di sicurezza che si scontrano con i valori centrali delle società libere; si pensi per esempio alle proposte di legge Santanchè-Palmizio sul registro delle moschee e l’albo degli imam[31].

L’inclusione, la moderazione e la temperanza vengono sostituite dall’eccesso, la tracotanza e i deliri di onnipotenza, mentre la libertà si intreccia alle missioni militari che, anziché impegnarsi nel compito arduo di creare stati, semplicemente li distrugge.[32]

La radicalizzazione della democrazia prende forma di disordine auto-immunitario, che minaccia l’esistenza delle società contemporanee e i sistemi giuridici che la sottendono. La guerra contro il terrorismo, allora è simile a un lento suicidio, in quanto le società che tentano di difendersi in realtà distruggono i meccanismi difensivi che dovrebbero garantirne la sopravvivenza, ingenerando un processo inverso tale da portare la repressione a produrre e rigenerare quelle stesse cose che intende disarmare.[33]

Senza tanti scrupoli, Alain Badiou intravede nel terrorismo contemporaneo delle “ bande di fascisti armati colorati di religione”, argomentando che quest’ultima ha sempre offerto copertura retorica agli squadristi: le gang franchiste venivano benedette dai preti, e persino le mafia confessa un suo puntiglioso cattolicesimo[34]. La religione, il sacrificio e la morte si trasformano spesso nel culto del martirio, e i missionari suicidi non sono che l’ultimo esempio di questa trasformazione che origina nella fede politica o religiosa[35].

D’altro canto entrare in una rete terroristica, attraverso un credo religioso o meno, conduce allo stadio ultimo della costruzione di una soggettività nichilista, animata dal desiderio di vendetta e distruzione accorpata a un sottile istinto imitativo. Le soggettività nichiliste incorporano il desiderio di Occidente, il desiderio di possedere e condividere quello che viene esibito e rappresentato come il lusso occidentale[36].

Mi sono soffermato sulla proposta di Dambruoso e Manciulli innanzitutto perché per la prima volta si è tentato di mettere in campo strumenti non solo penali, ma anche preventivi ed educativi. Certamente la proposta  sconta alcuni punti confusi, laddove gli aspetti educativi e quelli della sicurezza si mischiano: ad esempio il Sistema informativo verrebbe alimentato sia da informative delle forze dell’ordine sia da quelle degli uffici scolastici, senza chiarire se poi i dati raccolti servono per la sicurezza o per eventuali programmi educativi di integrazione sociale individuali.

Un altro motivo per cui ho riportato la proposta Dambruoso-Manciulli è perché essa propone dei programmi scolastici di educazione interculturale e interreligiosa, cosa che ci porta su di una interessante riflessione: perché è su questo terreno che si deve agire se si vuole affrontare ab origine il problema della radicalizzazione, vale a dire quello della estraneità di molti nuovi cittadini ai nostri valori costituzionali e, in particolare, a quelli sanciti nei primi articoli e che riguardano il concetto di persona. L’integrazione passa non soltanto attraverso la conoscenza delle reciproche tradizioni religiose, così da favorire il dialogo, bensì attraverso l’apprendimento dei valori costituzionali che sono comuni sia ai ragazzi italiani che frequentano la scuola, sia ai ragazzi che provengono da una storia di immigrazione. La costruzione di una nuova laicità inclusiva passa per quella della cittadinanza. E’ impensabile lasciare “apolidi” tanti ragazzi nati in Italia da genitori stranieri che non hanno più nulla a che fare con il Paese d’origine del padre e della madre.

Elemento fondamentale  per costruire una nuova laicità può essere spiegato partendo, in negativo, da alcune esperienze scolastiche. Alcuni dirigenti hanno nel recente passato vietato nelle proprie scuole primarie il presepe e, in occasione del Natale, hanno imposto alle insegnati, per la consueta rappresentazione con le famiglie, di evitare di parlare del Natale stesso, optando piuttosto per temi come la pace. Questa scelta avviene in nome della laicità.

Per integrare nuovi cittadini di religione musulmana, molti dei quali non hanno chiaro il concetto culturale di secolarizzazione (intesa come processo storico che ha condotta alla nascita dello Stato moderno, attraverso la separazione della religione dalle istituzioni), occorre affidarsi ad una laicità che guarda con accondiscendenza alle religioni che condividono i valori costituzionali.

E’ necessario, a mio avviso, concentrare ogni forza politica e culturale sullo studio di una laicità[37] inclusiva e che si inizi davvero a pensare non solo ad un nuovo ed immediato concetto di cittadinanza[38] anch’essa inclusiva[39] ma ad anche a nuove intese tra le religioni e lo Stato.

Si tratta di dover analizzare la questione del con-vivere, del con-essere heideggeriano[40], ed in questa prospettiva la cittadinanza intesa come simbolo  esprime la sua capacità di suscitare aperture di significato. Il concetto di cittadinanza così si rivela nel raccordo tra con-vivenza e città, tra dimensione etica (intersoggettività del con-vivere) e dimensione storica (con-vivere in questo luogo), «suggerendo» la questione del vivere bene con-altri in un luogo storico e territorialmente definito. Tale esperienza assume una valenza propulsiva ed inclusiva, che produce fiducia nelle Istituzioni considerate come strumento per il governo delle dinamiche connesse al concetto di cittadinanza, attraverso l'assunzione di responsabilità nella produzione di decisioni in vista dell'interesse generale, del bene comune e della legalità. Come punto di approdo, infine, il soggetto si ri-conosce[41] come cittadino accanto ad altri cittadini, uniti dalla comune esperienza di essere titolari di diritti e di doveri. Il mutuo-riconoscimento[42] si rivela quindi come lo spazio, intra-psichico e dialogico, in cui le molteplici identità si intrecciano, disegnando nuove trame biografiche nel tessuto della comunità, in particolare quella europea, trame che rendono sempre possibile il comune riconoscersi come parte di una comunità.[43]

Pertanto, prima di parlare di globalizzazione, secolarizzazione, società multietinica e multireligiosa, sarebbe auspicabile rafforzare strumenti utili all’integralismo sociale verso tutti coloro i quali siano vittime di una incertezza non solo sociale e/o individuale ma anche di natura giuridica[44].

In conclusione, risultano fondamentali le riflessioni del vescovo cattolico Stecher di Innsbruck che, con il suo motto “per uno spirito vivo e contro il fondamentalismo”[45], evidenziava come sia i tradizionalisti che i progressisti siano egualmente un pericolo perché tendenti al fondamentalismo: questo perché, come gran parte degli addetti ai lavori del tempo, perdono il presente.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] S. HAMPSHIRE, Morality and Conflict, Harvard University Press, Cambridge, 1983, pp. 146-148.
[2] S. MAFFATTONE, Etica pubblica, Il Saggiatore, Milano, 2001, pp.14-15.
[3] Cfr. ex multis Corte di Cassazione , I Sez.Penale, sentenza nr.24084 del 31.03.2017.
[4] Sul punto, cfr. Sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, nr. 37638 del 2012: “Né appare fondato il rilievo difensivo, secondo il quale, in considerazione delle millenarie tradizioni culturali dei popoli di etnia rom, cui appartengono i protagonisti di questa triste vicenda, per le quali l’accattonaggio assume il valore di vero e proprio sistema di vita, la condotta del ricorrente andrebbe ricondotta al paradigma normativo di cui all’art. 572 c.p. In relazione a questo delicato tema, va, innanzitutto, chiarito che la giurisprudenza di legittimità da tempo ha escluso ogni rilevanza scriminante alle tradizioni culturali favorevoli all’accattonaggio […] non è invocabile da parte degli autori delle condotte la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto, per richiamo alle consuetudini delle popolazioni zingare di usare i bambini nell’accattonaggio, atteso che la consuetudine può avere una legge, secondo il principio di gerarchia delle fonti di cui all’art. 8 disp. Prel.”
[5] Sul punto, la Legge 7 del 2006 ha introdotto nel codice penale l’art.583 bis, che così recita: “Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l'escissione e l'infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo. Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità…”
[6] A tal proposito, si veda  sentenza Corte di Cassazione, Sezione I Penale, nr. 24084 del 15. 05.2017: “ la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 3 che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. È quindi essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei proprio comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina. […] Viene in tal modo posto alla libertà di religione, al libero esercizio del culto e all’osservanza dei riti che non si rivelino contraria al buon costume. Proprio la libertà religiosa, garantita dall’articolo 19 invocato, incontra dei limiti, stabiliti dalla legislazione in vista della tutela di altre esigenze, tra cui quelle della pacifica convivenza e dell’ordine pubblico, compendiate nella formula dell’ordine pubblico”.
[7] Si vedano a tal fine, le sentenze pronunciare dalla Suprema Corte di Cassazione n.14960 del 13 Aprile 2015, n.12089 del 30 Marzo 2012, n.40633 del 29 Settembre 2016 e n.6587 del 2010.
[8] Comunicazione Commissione Europea del 20 Aprile 2016, COM (2016)230.
[9] G. E. RUSCONI, Come se Dio non ci fosse.I Laici, i cattolici e la democrazia,Einaudi, Torino, 2000, p.154.
[10] Sul termine deradicalizazzione Cfr. Dossier nr. 413/1  - Elementi per l’esame dell’Assemblea del 31 marzo 2017 relativo alla Proposta di Legge C.3558 – A concernente le Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista.
[11] Cfr. La conferenza mondiale ONU contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le relative intolleranze: uguaglianza, giustizia, dignità: World conference against racism WCAR : Durban, Sud Africa, 31 agosto-8 settembre 2001.
[12] YINGER J.M, The Scientific Study of Religion,The Macmillan Company, Londra,1970, Capitolo I, On the Definition of Religion, p.7.
[13] R. FISICHELLA, La fede come risposta di senso, Abbandonarsi al mistero, Edizioni Paoline, Milano,2005, pp.17-18.
[14] F. D’AGOSTINO, La libertà religiosa come valore teologico, in F.D’AGOSTINO- p.a.Amodio ( a cura di), Le libertà di religione e di culto. Contenuto e limiti, Giappichelli,Torino,2003, p.27 s.
[15] F. D’AGOSTINO, Diritto, religione e secolarizzazione, in Diritto e religione, Aracne, Roma, 2013, p.27.
[16] C. VERCELLI, La questione del radicalismo islamista, in Eunomia. Rivista semestrale di Storia e Politica Internazionali, Eunomia III n.s. (2014), Università del Salento, ISSN 2280-8949, p.326.
[17] C.CORRADETTI e A.SPREAFICO, Oltre lo scontro di civiltà: compatibilità culturale e caso islamico su Quaderni della Fondazione Adriano Olivetti, 2005, p. 9.1.
[18] A.BONDOLFI, Morale, religione e diritto: una relazione complessa, meditata a partire da alcune esperienze autobiografiche, Annali di studi religiosi, 18, 2017, pp.192, ISSN 2284-3892.
[19]K. KIENZLER, Fondamentalismi Religiosi, Cristianesimo, ebraismo, islam, Carocci Editore,2003, pp.15-28.
[20] R.CALASSO, L’Innominabile Attuale, Adelphi Edizioni, Milano, 2017, p.1-189 e si veda anche K. KIENZLER, Fondamentalismi Religiosi, Cristianesimo, ebraismo, islam, Carocci Editore,2003, p.110.
[21] Cfr, Relazione Introduttiva del III Congresso Nazionale di Diritto e Procedura Penale a cura di Michele Barillaro, su Terrorismo e Crimini Contro lo Stato. Legislazione attuale e azioni di contrasto, Giuffrè, Milano, 2005, p.20.
[22] Cfr S.BRZUSZKIEWICZ, Arabia Saudita: il programma di deradicalizzazione visto dall’interno apparso su www.ispionline.it Rivista Istituto per gli Studi di Politica Internazionale in data 28 Aprile 2017 (Link).
[23] Cfr A.BECCARO, Radicalizzazione e Terrorismo in Europa apparso su www.centroeinaudi.it Rivista Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi in data 31 Marzo 2017 (Link).
[24] Testo del decreto legge 18 febbraio 2015 coordinato con la legge di conversione 17 aprile 2015 nr. 43 recante: Misure urgenti per il contrasto del terrorismo , anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione: art. 4, “1. Al decreto legislativo6 settembre 2011, n. 159, sono apportatele seguenti modificazioni: a) all'articolo 4, comma 1, lettera d), dopo le parole: «nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale» sono aggiunte le seguenti: «ovvero a rendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un'organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all'articolo 270-sexies del codice penale»; b) all'articolo 9, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente: -bis. Nei casi di necessità e urgenza, il Questore, all'atto della presentazione della proposta di applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale nei confronti delle persone di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), può disporre il temporaneo ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell'espatrio di ogni altro documento equipollente. Il temporaneo ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell'espatrio di ogni altro documento equipollente sono comunicati immediatamente al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona, il quale, se non ritiene di disporne la cessazione, ne richiede la convalida, entro quarantotto ore, al presidente del tribunale del capoluogo della provincia in cui la persona dimora che provvede nelle successive quarantotto ore con le modalità di cui al comma 1. Il ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell'espatrio di ogni altro documento equipollente cessano di avere effetto se la convalida non interviene nelle novantasei ore successive alla loro adozione.».
[25] Nel caso sottoposto al vaglio della Procura di Trieste, il percorso di de-radicalizzazione si è realizzato nella fase delle indagini preliminari. Ebbene, una delle modalità attraverso cui il Giudice può ordinare l’avvio o la prosecuzione del percorso di catechesi islamica nel corso del giudizio penale instaurato a carico di un soggetto che svolge attività di proselitismo, suscettibile di integrale gli estremi della pericolosità sociale, è rappresentata dal ricorso all’istituto della messa in prova. Tale istituto, previsto dagli articoli 168 bis e 168 quater c.p., articoli 464 bis e 464 nonies e 657 bis c.p.p., nonché dagli artt. 141 bis e 141 ter delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, richiede la sussistenza di requisiti soggettivi ed oggettivi ben precisi:. Sul crinale soggettivo è necessario che la richiesta di accesso all’istituto alternativo della pena venga formulata dall’indagato nel corso delle indagini preliminari o dall’imputato nel corso del giudizio, che consapevolmente si autodetermina nella scelta di sottoporsi alla relativa misura affittiva, rinunciando ad un accertamento nel merito della responsabilità penale: l’effetto dell’accoglimento dell’istanza consiste nella sospensione del procedimento in corso. Sul piano oggettivo, poi, è necessario che il reato ascritto al soggetto sia punito con la pena pecuniaria, con la pena detentiva fino a quattro anni ovvero si tratti di un reato che rientra fra quelli previsti dall’art 550 comma 2 c.p.p di competenza del tribunale monocratico con citazione diretta a giudizio. A ben vedere, l’avvio di un percorso di de-radicalizzazione ope iudicis che non rispecchi i parametri di legittimità richiesti dalla normativa testé richiamata non dispone di alcun avallo giuridico legittimante. Si ribadisce, all’uopo, che la messa alla prova è subordinata ad una scelta consapevole del soggetto, con la conseguenza che la sua eventuale predisposizione non si traduce in una privazione della libertà personale del destinatario della misura né in una limitazione della libertà religiosa.
[26] In tal senso, si veda Corte di Cassazione, Sentenza nr. 48001 del 2016 a mente della quale “Indottrinare al martirio non è reato senza addestramento”, poiché l’attività era “finalizzata ad indurre ad una generica disponibilità ad unirsi ai combattenti e ad immolarsi”, nonché per “l’incapacità del gruppo di raggiungere un livello organizzativo tale da affrontare le contingenti e non certo imprevedibili  difficoltà di una attività terroristica di carattere internazionale”.
[27] cfr  N.COLAIANNI, La libertà di credo in Europa alla prova dell’immigrazione e de l terrorismo apparso su https://freedomofbelief.net – European Federation for Freedom of Bellef Atti del  Convegno Internazionale Diritto e libertà di credo in Europa, un cammino difficile, tenuto a Firenze il 18-19 gennaio 2018 (Link).
[28] R.GAROFOLI, Manuale di Diritto Penale, parte generale, X Edizione, Nel Diritto Editore, 2014, Roma, p.1534.
[29] Cfr V. RUGGIERO, La Radicalizzazione della democrazia: conflitto, movimenti sociali e terrorismo su Studi sulla questione criminale, XII, n.3,2017,pp.7-26.
[30] G. SAVAGNONE, Dibattito sulla laicità, alla ricerca di una identità, Editrice Elledici, 2006,pp.38-39.
[31] Cfr. A. DE OTO, Le proposte di legge Santanchè-Palmizio sul registro delle moschee e l’albo degli imam: un tentativo di refurbishment della legge n.1159/1929? In Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n.4 del 2018.
[32] A. BADIOU, Our wound in not so recent, Polity Press,Cambridge,2016, pp.1-80.
[33] J. DERRIDA, Autoimmunity: Real and Symbolic Suiciders, in BORRADORI Giovanna, a cura di, Philosophy in a Time of Terror: Dilogues with Habermas and Derrida, University of Chicago Press, p.99.
[34] A.BADIOU, Our wound in not so recent, Polity Press,Cambridge,2016, p. 42.
[35] H.BARLOW,Dead for Good: Martyrdom and the Rise of the Suicide Bomber, Routledge, London, 2016.
[36] A.BADIOU, Our wound in not so recent, Polity Press,Cambridge,2016,pp.48-49.
[37] C. TAYLOR, Radici dell'io. La costruzione dell'identità moderna, Feltrinelli, 1993, Milano e La topografia morale del sé, Edizioni ETS, 2004, Pisa, pp.50 e ss.
[38] BAGLIONI, Lorenzo Grifone. La cittadinanza europea: diritti, pratiche, appartenenze. Società mutamento politica: Rivista italiana di Sociologia. Vol. 1, 1-2010, p. 81.
[39] Cfr. A. VON BOGDANDY, M. KOTTMANN, C. ANTPÖHLER, J. DICKSCHEN, S. HENTREI and M. SMRKOLJ, Solange ribaltata, cit., p. 952. Sulla tema della problematica categoria del «nucleo essenziale dei diritti di cittadinanza» si veda S. IGLESIAS SÁNCHEZ, El asunto Ruiz Zambrano: una nueva approximación del Tribunal de Justicia de la Unión europea a la ciudadania de la Unión, in RGDE, n. 24/2011, p. 10.
[40] M. HEIDEGGER, Essere e Tempo, Longanesi, Milano, 1976, p. 65 e pp. 325 e ss.
[41] A. HONNETH, Lotta per il riconoscimento. Proposte per un'etica del conflitto, il Saggiatore, Milano, 2002, p. 157.
[42] P. RICOEUR, Percorsi del riconoscimento, Raffaello Cortina editore, 2005, Milano, p. 247.
[43] Cfr. P RACITI. «La dimensione della cittadinanza come spazio del riconoscimento. Sfida alla globalizzazione oltre le appartenenze identitarie». Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 11 (2009) [inserito il 5 luglio 2009], disponibile su World Wide Web, ISSN 1128-5478.
[44] Si pensi, per esempio, ai rari casi di conversione di soggetti dediti alla criminalità organizzata, anch’essi parte di una forma di fondamentalismo seppur non prettamente religioso.
[45] R.STECHER, Il messaggio delle montagne, trad. L. Groff, R. De Martin, Panorama Editore, Milano, 1996,pp.1-100.