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Pubbl. Sab, 28 Feb 2015

Danni da randagismo: il riparto di responsabilità tra Comuni e Asl

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Lucio Orlando


Gli orientamenti giurisprudenziali in materia. La sentenza n. 2741/15 della III^ Sezione Civile della Corte di Cassazione


1) PREMESSA

Il fenomeno del randagismo, anche nella società attuale, rappresenta un problema oggettivo a cui la comunità deve far fronte sia dal punto di vista fattivo sia apportando nel sistema delle tutele. Dal punto di vista naturalistico per randagismo si intende, generalmente, la condizione in cui si ritrovano gli animali domestici  che vengono abbandonati o sono stati smarriti e che si trovano quindi a vagare per proprio conto. Randagio è, invece, qualsiasi esemplare di una specie animale comunemente ritenuta da compagnia che vaghi per proprio conto, tipicamente ai margini della società umana. Il fenomeno del randagismo porta con se tutta una serie di problematiche inerenti questioni di sicurezza e di igiene pubblica e pertanto il legislatore è spinto a dare al fenomeno non solo una regolamentazione specifica, ma anche ad individuare istituzioni preposte al controllo ed alla vigilanza sul fenomeno.

2) LA LEGGE 281/91 “Legge-quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”.

In Italia la disciplina di riferimento è portata dalla Legge 281/91 recante “Legge-quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”.
L´art. 2, nell’individuare gli strumenti rivolti ad arginare il fenomeno del randagismo, distribuisce le competenze tra i Comuni ed i Servizi veterinari delle ASL.
In particolare, ai Comuni è affidata la costruzione, sistemazione e gestione dei canili e rifugi per cani, alle ASL invece incombono le attività di profilassi e controllo igienico-sanitario e di polizia veterinaria.
L´art. 3 infine, attribuisce alle singole Regioni il compito di disciplinare, con legge propria, le misure di attuazione delle funzioni attribuite ai Comuni ed alle ASL e, in attuazione di tale delega, queste hanno adottato proprie leggi in materia, nelle quali tendenzialmente affidano le più ampie competenze di controllo e recupero dei cani randagi ai servizi veterinari delle ASL, lasciando ai singoli Comuni compiti di vigilanza e controllo.

3) LA RESPONSABILITÀ ESCLUSIVA DELLE ASL

Muovendo dal quadro normativo appena descritto, la giurisprudenza di legittimità sembrava definitivamente orientata, con pronunce anche molto recenti, nel senso di affermare la legittimazione passiva esclusiva della ASL nei giudizi risarcitori aventi ad oggetto i danni causati da animali randagi.
In tal senso si era pronunciata la stessa Terza Sezione della Cassazione nella nota sentenza n. 27001/05, il cui indirizzo ha avuto ulteriore avallo nella sentenza n. 8137/09.
Questo orientamento della Suprema Corte ha escluso la responsabilità dei Comuni, ponendola invece esclusivamente in capo alle ASL.

La Corte afferma, da un lato, il difetto di legittimazione passiva degli enti locali rispetto a giudizi civili di risarcimento danni intrapresi per danni subiti da animali che vagano liberi, avendo perso - per i motivi più svariati - un originario detentore e, dall´altro lato, l’esclusione della configurabilità della responsabilità dell’ente locale, ex art. 2043 c.c., per omessa vigilanza e controllo del fenomeno del randagismo, ovverosia per non aver eliminato, con opportuni provvedimenti e/o cautele, il potenziale pericolo rappresentato dai randagi.

Tutto questo sul presupposto che le ASL sono dotate di una propria autonomia amministrativa ed hanno legittimazione sostanziale e processuale e, pertanto, devono essere considerate soggetti giuridici autonomi rispetto agli enti locali, con la conseguenza che, per un verso, non è legittimamente possibile far ricadere sull’ente locale il giudizio di imputazione dei danni subiti dal soggetto aggredito da un randagio e, per altro verso, nei giudizi di risarcimento danni intrapresi nei confronti degli enti locali, va dichiarato il difetto di legittimazione passiva degli stessi.

4) LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE DEGLI ENTI PUBBLICI E DELLE ASL

La tesi della legittimazione esclusiva delle ASL, sulla quale pareva attestarsi la Corte di Cassazione, sollevava notevoli dubbi e perplessità espresse non solo dai commentatori, ma anche da molta giurisprudenza di merito, che continuava a dimostrarsi più propensa a riconoscere una responsabilità solidale di Comune ed ASL.

Infatti, negli ultimi tempi, anche l’indirizzo della Cassazione ha cominciato a propendere per la tesi della solidarietà. Centrale su questo argomento è stata la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione che con la sentenza 28 aprile 2010, n. 10190 è intervenuta nuovamente, sia pure con un succinto passaggio motivazionale, sulla vexata questio della legittimazione passiva e, quindi, dell’individuazione del soggetto pubblico legittimato a rispondere dei danni causati da animali randagi, stabilendo che "la violazione delle norme di legge sul randagismo, che impongono ai Comuni di assumere provvedimenti per evitare che gli animali randagi arrechino disturbo alle persone, nelle vie cittadine è fonte dell’obbligo dei Comuni di risarcire i danni che tali animali abbiano causato agli utenti delle strade".

In particolare, la Corte ha affermato che secondo le norme della legge n. 281/1991 e delle conseguenti leggi regionali in materia, il Comune ha l’obbligo di vigilare costantemente sulla presenza di cani randagi sul proprio territorio, assumendo tutti gli opportuni provvedimenti per evitare che gli animali arrechino danno alle persone; tale obbligo diventa ancora più stringente se all’ente locale sono pervenute nel tempo specifiche segnalazioni da parte dei cittadini sulla presenza dei cani.

5) LA SENTENZA N. 2741/15 DEL 12.02.2015 - TERZA SEZIONE CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Da ultimo, con la sentenza n. 2741/15 pubblicata il 12.02.2015, la III^ Sezione Civile della Corte di Cassazione ha riconosciuto, confermando ancora una volta l’ultimo indirizzo giurisprudenziale, la responsabilità solidale tra ASL e Comune per un incidente in cui è stato coinvolto un motociclista ed un cane randagio che improvvisamente attraversava la carreggiata.

Secondo la Suprema Corte, “in base al principio del neminem laedere la P.A. è responsabile dei danni riconducibili all´omissione dei comportamenti dovuti, i quali costituiscono il limite esterno alla sua attività discrezionale e integrano la norma primaria del neminem laedere di cui all´art. 2043 c.c. (cfr., con riferimento a diversa ipotesi, Cass., 27/4/2011, n. 9404). In presenza di obblighi normativi la discrezionalità amministrativa invero si arresta, e non può essere invocata per giustificare le scelte operate nel peculiare settore in considerazione”. Sempre la Corte nella sua analisi afferma che “il modello di condotta cui la P.A. è tenuta postula l´osservanza di un comportamento informato a diligenza particolarmente qualificata, specificamente in relazione all´impiego delle misure e degli accorgimenti idonei ai fini del relativo assolvimento, essendo essa tenuta ad evitare o ridurre i rischi connessi all´attività di attuazione della funzione attribuitale. Comportamento cui la P.A. è d´altro canto tenuta già in base all´obbligo di buona fede o correttezza, quale generale principio di solidarietà sociale, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso nonché volto alla salvaguardia dell´utilità altrui, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi. Condotta che, ove tardiva, carente o comunque inidonea, viene a provocare ( o a non impedire ) la lesione proprio di quei diritti ed interessi la cui tutela è rimessa al corretto e tempestivo esercizio dei poteri alla P.A. attribuiti per l´assolvimento della funzione. A tale stregua, in caso di concretizzazione del rischio che la norma violata tende a prevenire, la considerazione del comportamento dovuto e della condotta mantenuta assume allora decisivo rilievo, e il nesso di causalità che i danni conseguenti a quest´ultima astringe rimane invero presuntivamente provato" . 

Pertanto, in conclusione, la S. C. dichiara la responsabilità del comune convenuto "atteso che l´ente territoriale è tenuto, in correlazione con gli altri soggetti indicati dalla legge, al rispetto del dovere di prevenzione e controllo del randagismo sul territorio di competenza”.