Il giudice competente per i provvedimenti sulla responsabilità genitoriale nelle famiglie europee
Modifica paginaTra fonti multilivello e nuove declinazioni del principio del preminente interesse del minore.
Sommario: 1. Premessa; 2. Fonti normative italiane della giurisdizione; 3. Fonti europee della giurisdizione; 4. Regolamento CE 2201/2003; 5. Considerazioni finali.
1. Premessa
La società civile contemporanea è sempre più multietnica e votata alla multiculturalità. Tale caratteristica viene alimentata dai costanti flussi migratori, e dalle politiche[1] di libera circolazione delle persone nello spazio giuridico europeo[2]. Tra le conseguenze meno dibattute di tale processo di globalizzazione ed interazione sociale vi è il proliferare di legami familiari fra soggetti provenienti da Stati diversi ed aventi cittadinanze[3] diverse, le cosiddette “famiglie miste”[4]. Gli elementi di “internazionalità” o “estraneità” che qui rilevano, sono costituiti dalla cittadinanza straniera di una o di entrambe le parti ovvero la residenza abituale all’estero di uno o di entrambi i partners. Tali fattori mettono in collegamento una pluralità di ordinamenti, come accade per i provvedimenti di responsabilità genitoriale che interessano i minori residenti in uno Stato membro, e sono in grado di ingenerare un potenziale concorso tra norme di diversi ordinamenti giuridici collegabili alla fattispecie concreta. Per evitare il conflitto è necessario fare un raffronto tra le diverse disposizioni normative, spesso poste a livelli normativi diversi, con l’intento di individuare la normativa applicabile. La tematica che si intende analizzare, nel quadro del sistema giuridico europeo, attiene alla individuazione del giudice dotato di potere giurisdizionale, in grado cioè di adottare i provvedimenti necessari allorquando si manifesti una crisi coniugale che coinvolga i figli minori di una coppia di cittadini dell’UE. Per giurisdizione si intende la funzione attribuita al potere giudiziario e consistente, secondo una fortunata definizione che ne rinviene il tratto caratterizzante nel potere di risolvere le controversie, attuando concretamente le previsioni normative, ravvisando in tal modo l’elemento caratterizzante della funzione nella concreta attuazione del diritto oggettivo[5]. La responsabilità genitoriale, invece, è strettamente connessa alla logica del preminente interesse del minore, a norma dell’art. 30 Cost. comma 1, il quale nello stabilire il diritto dovere (officium) dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, sottolinea la centralità della persona del figlio che vanterà i corrispondenti diritti nei confronti dei genitori[6]. La stessa indica l’insieme dei diritti e dei doveri che spettano e gravano su entrambi i genitori verso i figli, prescindendo dal fatto che questi siano nati all’interno o al di fuori del matrimonio. Il passaggio dall’istituto della potestà a quello più moderno della responsabilità genitoriale, cristallizzato dal d.lgs. 154\2013 che ha riscritto gli articoli art. 315 e ss. del codice civile, valorizza gli obblighi dei genitori senza che ad essi faccia da contraltare una situazione giuridica di soggezione dei figli[7]. Il tema in esame allora investe non solo profili procedurali ma anche, e soprattutto, rilevanti aspetti di diritto sostanziale, con il difficile compito di orientarsi tra le numerose fonti multilivello, (internazionale-comunitaria-nazionale) e il principio del preminente interesse del minore, che come una vera e propria “stella polare” soccorre il “giurista moderno”, nell’arduo compito di individuare “un giudice a Berlino![8]”
2. Fonti normative italiane della giurisdizione
Lo Stato italiano si è dotato di un apparato normativo in grado di regolare rapporti privatistici che presentano elementi di estraneità rispetto al diritto interno e che appaiono correlati ad una pluralità di ordinamenti. Per prevenire e dirimere il possibile conflitto tra norme ciascun ordinamento stabilisce norme di diritto interno, connotate da internazionalità ovvero da punti di contatto con ordinamenti giuridici stranieri[9]. La riforma del sistema di diritto internazionale privato italiano avvenuta con la legge 31 maggio 1995 n. 218 (modificata dal d.lgs. 28.12.2013 n. 154, di riforma della filiazione, e dal d.lgs. 19.1.2017 n. 7, sulle unioni civili), nell’ambito del difficile compito di coordinare la giurisdizione italiana con quella spettante alle autorità giurisdizionali estere dispone che la giurisdizione italiana, in materia matrimoniale, si fonda : (a) sulla cittadinanza italiana di uno dei coniugi; (b) sulla celebrazione in Italia del matrimonio. Entrambi i criteri impiegati si aggiungono a quanto stabilito nell’art. 3 (c) domicilio o residenza in Italia del convenuto, nonché (d) i criteri stabiliti per la competenza territoriale interna, tra i quali compare la residenza dell’attore (cfr. art. 18 c.p.c.; art. 4, l. 989/1970 e C. cost., 23.5.2008, n. 169,[10]). In base a tale disposizione, lo straniero potrà radicare un procedimento nel nostro paese anche laddove il convenuto non abbia domicilio o residenza in Italia, confermando la possibilità che in Italia vengano trattati procedimenti che con il territorio presentano un collegamento poco significativo[11]. Le più recenti norme in materia di filiazione comportano una modifica anche per le disposizioni contenute nella legge 31 maggio 1995 n. 218 sul sistema italiano di diritto internazionale privato, in particolare, il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisioni delle disposizioni vigenti in materia di filiazione a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012 n. 219”, modifica l’articolo 33 della legge n. 218 stabilendo che la legge applicabile per determinare lo stato di figlio è quella nazionale dello stesso figlio o, se più favorevole, quella dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita. Rispetto all’originario articolo 33, quindi, si prevede, proprio in ragione del favor filiationis, l’operatività di più leggi, con la conseguenza che potrebbero venire in rilievo, in taluni casi, laddove quella del figlio sia meno favorevole, le leggi di due diversi ordinamenti. In base all’art. 101, 2° comma, del Dlgs n. 154 la legge richiamata si occupa anche dei presupposti e degli effetti dell’accertamento e della contestazione dello stato di figlio. Nei casi in cui non sia possibile l’accertamento o la contestazione dello stato di figlio dovrà essere applicata la legge italiana (ipotesi non prevista nell’articolo 33). L’art. 36 bis (introdotto dal d.lgs. 28.12.2013 n. 154) prevede che si applicano in ogni caso le norme del diritto italiano che attribuiscono ad entrambi i genitori la responsabilità genitoriale e stabiliscono il dovere di entrambi i genitori di provvedere al mantenimento del figlio, e che attribuiscono al giudice il potere di adottare provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale in presenza di condotte pregiudizievoli per il figlio.
3. Fonti normative europee della giurisdizione
Il diritto dell’Unione Europea in tema di famiglia è relativamente recente (solo negli ultimi quindici anni ha subito un notevole incremento), non essendo state originariamente attribuite specifiche competenze in tale ambito agli organi della Comunità Europea prima e dell’Unione poi, a causa della ritrosia degli Stati membri a rinunciare alla potestà legislativa in tale materia. Invero i paradigmi familiari risultano profondamente influenzati da modelli culturali, etici, religiosi e valoriali dello Stato di appartenenza. L’obiettivo di creare uno spazio giuridico europeo, anche in ambito dei rapporti familiari, mal si conciliava con tale reticenza dei singoli Stati membri e tutto ciò a discapito delle prerogative dei cittadini, prime fra tutti quella della certezza del diritto. Per assicurare tale fondamentale diritto, anche in materia di famiglia, soprattutto per i casi di divorzio e annullamento del matrimonio che presentano collegamenti con più ordinamenti, si è cercato di elaborare norme in grado di evitare i conflitti tra gli Stati membri, avvicinando le legislazioni e favorendo la libera circolazione delle sentenze[12], evitando in tal modo ipotesi di giudicati contrastanti. Importanti arresti normativi nell’ottica di creazione di uno spazio giuridico di libertà, sicurezza e giustizia, si rinvengono nel Trattato sull’Unione Europea, in special modo all’art. 3, paragrafo 2[13], e nell’intero capo V del TFUE[14]. Nell’ambito del diritto Europeo di famiglia strumenti che disciplinano questi aspetti sono: il Regolamento (CE) n.2201/2003 (Bruxelles II bis) relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n.1347/2000; il Regolamento (CE) n.4/2009 relativo alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari - che richiama quanto alla legge applicabile il Protocollo dell’Aja del 23 novembre 2007, relativo alla legge applicabile alle obbligazioni alimentari (entrato in vigore dal 18 giugno 2011); il Regolamento (CE) n.1259/2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale (applicabile dal 21 giugno 2012); il Regolamento (UE) n.2016/1103 che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi (applicabile a decorrere dal 29 gennaio 2019); il Regolamento (UE) 2016/1104 che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate (applicabile a decorrere dal 29 gennaio 2019).
4. Regolamento CE 2201/2003
Il Regolamento CE 2201/2003, C.d. Bruxelles II bis, relativo a competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, si occupa dei procedimenti civili, a carattere giudiziario o non giudiziario, che attengono alla responsabilità genitoriale, instaurati anche autonomamente rispetto ai procedimenti di separazione, divorzio e annullamento del matrimonio. Si applica in tutti gli Stati membri dell’Unione europea (compresi Regno Unito ed Irlanda, che hanno esercitato il diritto di opt in), ad eccezione della Danimarca, che si è avvalsa del diritto di opt out (art. 2, n. 3; considerando n. 30 e 31) e si caratterizza per il carattere doppio, disciplinando, tanto la competenza giurisdizionale, quanto la circolazione delle decisioni , non ricomprendendo solo le controversie matrimoniali ma anche quelle relative alle responsabilità genitoriale (art. 8-15). L’art. 1, rubricato ambito di applicazione, sancisce che il Regolamento si applica: a) al divorzio, alla separazione personale e all'annullamento del matrimonio; b) all'attribuzione, all'esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale. Il successivo articolo 2 provvede a definire cosa debba intendersi per «responsabilità genitoriale»: “i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore.” Il termine comprende, in particolare, il diritto di affidamento[15] e il diritto di visita[16]. In tema di responsabilità genitoriale l’articolo 8, rubricato competenza generale, prescrive che: “Le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono adite”. Il requisito per individuare la competenza è rappresentato unicamente dalla residenza abituale del minore, a prescindere dalla cittadinanza dello stesso, ragion per cui il Regolamento si applica anche ai minori cittadini di Paesi terzi, purché abbiano la propria residenza abituale in uno Stato membro. Per i minori residenti in Paesi terzi si applica invece la Convenzione dell’Aja del 1996. I criteri di giurisdizione si informano quindi all’interesse superiore del minore, in particolare al criterio di vicinanza: la competenza appartiene anzitutto ai giudici dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente alla data di avvio del procedimento. La nozione di residenza abituale non è precisata dal Regolamento, ma la Corte di Giustizia ha chiarito che essa corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare alla luce delle ragioni, delle condizioni e della regolarità del soggiorno che caratterizzano il singolo caso di specie[17]. Anche la nostra Corte di Legittimità ha provveduto a specificare cosa debba intendersi per residenza abituale, colmando la lacuna insita nel Regolamento CE, statuendo che: “per residenza abituale debba intendersi il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale ed eventualmente lavorativa del soggetto interessato, nel quale egli abbia effettivamente voluto fissare, con carattere di stabilità, il centro permanente o abituale dei propri interessi e delle relazioni sociali ed affettive[18].” La definizione fornitaci dalla Suprema Corte evidenzia la sussistenza di due elementi: l’elemento oggettivo, consistente nella stabilità-durata della residenza intesa come permanenza temporale in un determinato territorio; e l’elemento soggettivo inteso come l’intenzione di fissare in tale luogo il centro dei propri interessi, intento manifestato da elementi fattuali e concreti. Una volta individuato ed adito il giudice competente, sulla scorta dei criteri delineati, questo conserva la giurisdizione anche se il minore acquisisce la residenza abituale in un altro Stato membro (cd. perpetuatio fori). È necessario distinguere però l’ipotesi di trasferimento lecito da quella di trasferimento illecito della residenza del minore da uno Stato membro ad un altro. Con riferimento alla prima ipotesi, l’art. 9 stabilisce che la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro della precedente residenza permane per un periodo di tre mesi dal trasferimento, allorché si tratti di modificare una decisione sul diritto di visita resa in detto Stato prima del trasferimento e il titolare del diritto di visita continui a risiedere abitualmente in tale Stato. Della competenza a pronunciare decisioni inerenti l’illecito trasferimento si occupano, invece, gli artt. 10 e 11 del regolamento. Per «trasferimento illecito» si intende «il trasferimento o il mancato rientro di un minore: a) quando avviene in violazione dei diritti di affidamento derivanti da una decisione, dalla legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro e b) se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti tali eventi» . Il Regolamento delinea cosa debba intendersi per affidamento condiviso: è da ritenersi congiunto l’affidamento, allorché uno dei titolari della responsabilità genitoriale non può decidere il luogo di residenza del minore senza il consenso dell’altro. Di conseguenza, costituisce trasferimento illecito del minore, non solo il trasferimento di un minore da uno Stato membro all’altro da parte del soggetto che non ne abbia l’affidamento, ma anche il suo trasferimento da parte della persona contitolare di tale diritto senza previo consenso dell’altro responsabile. L’art. 10 prevede che in caso di trasferimento illecito o mancato rientro del minore, l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza legittima conserva la competenza giurisdizionale a statuire in materia di responsabilità genitoriale. Lo Stato in cui il minore si trova dopo l’illecito trasferimento acquista la competenza se il titolare del diritto di affidamento ha accettato il trasferimento o mancato rientro, ovvero se il minore ha soggiornato in quell’altro Stato membro almeno per un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava e il minore si è integrato nel nuovo ambiente senza che il titolare del diritto di affidamento abbia presentato alcuna domanda di ritorno del minore o, se presentata, l’abbia ritirata. L’art. 11 precisa le regole che si applicano quando il titolare del diritto di affidamento adisce le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino un provvedimento di rimpatrio del minore in base alla convenzione dell’Aia del 25.10.1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. Ritornando alla competenza nelle cause di responsabilità genitoriale, il criterio generale statuito dal Regolamento in questione è, dunque, quello della residenza del minore, ma l’art. 20 dispone in parziale deroga rispetto a quanto detto che, in casi d'urgenza, le disposizioni del Regolamento non ostano a che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro adottino i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna relativamente alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati, anche se è competente a conoscere nel merito l'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro. I provvedimenti adottati cessano di essere applicabili quando l'autorità giurisdizionale dello Stato membro competente in virtù del presente regolamento a conoscere del merito abbia adottato i provvedimenti ritenuti appropriati. Esistono poi taluni casi in cui detto criterio generale è derogato, ma non in ragione di particolari esigenze di necessità e urgenza, ciò accade in primis laddove si tratti di domande relative alla responsabilità dei genitori presentate unitamente a domande relative allo scioglimento del vincolo matrimoniale. In tal caso la competenza spetta ai giudici indicati nell’art. 5, a condizione che detta competenza sia stata accettata dai coniugi, almeno uno dei quali eserciti la responsabilità genitoriale sul figlio, e che ciò corrisponda all’interesse superiore del minore (art. 12); la competenza del foro matrimoniale cessa di esercitare la prevista vis attractiva non appena la decisione che accoglie o respinge la domanda di scioglimento del matrimonio sia passata in giudicato; il criterio della residenza può, infine, essere superato in ragione di una disposizione avente carattere generale ogni volta in cui il minore abbia un legame sostanziale con lo Stato scelto e la proroga di competenza corrisponda al suo interesse superiore. Il criterio della residenza abituale è superato anche laddove sia impossibile localizzare la residenza stessa, seguendo la disciplina prevista dall’art. 13. Da ultimo, occorre precisare che tutti i criteri possono essere derogati, in ragione di una valutazione del giudice competente che ritenga un differente foro maggiormente adatto a trattare l’intero caso o una sua parte specifica (art. 15), purché ciò corrisponda all’interesse superiore del minore. È il caso poi di effettuare un breve rimando alla Convenzione dell’Aja del 19.10.1996, anch’essa inerente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, recentemente ratificata con legge 18.6.2015 n. 101, entrata in vigore dal 1° gennaio 2016. Tale normativa recepisce al pari del Regolamento CE i principi in tema di responsabilità genitoriale e principio di vicinanza, sancendo che: “L'attribuzione o l'estinzione di pieno diritto di una responsabilità genitoriale, senza l'intervento di un'autorità giudiziaria o amministrativa, è regolata dalla legge dello Stato di residenza abituale del minore. 2. L'attribuzione o l'estinzione di una responsabilità genitoriale tramite accordo o atto unilaterale, senza l'intervento di un'autorità giudiziaria o amministrativa, è regolata dalla legge dello Stato di residenza abituale del minore nel momento in cui l'accordo o l'atto unilaterale entra in vigore (Art.16)”. Ribadendo ancora che l'esercizio della responsabilità genitoriale è regolato dalla legge dello Stato di residenza abituale del minore. In caso di trasferimento della residenza abituale del minore, è regolato dalla legge dello Stato di nuova residenza abituale (Art. 17). Con l’adesione alla Convenzione si delinea uno spazio giuridico ed un fronte comune di diritti e garanzie che travalica i confini europei.
5. Considerazioni finali
Il principio della tutela dell’interesse del minore si ricava dai disposti della Costituzione nei quali la personalità del minore si assume come un valore costituzionalmente garantito. Non può non sfuggire l’evanescenza della nozione in questione, che lungi dal costituire un limite al principio in esame, ne rappresenta il vero punto di forza. L’elasticità e flessibilità insita nel concetto medesimo di “interesse del minore”, rappresentando l’espressione del più generale principio personalista a cui l’intera costituzione si informa, rendono lo stesso uno straordinario strumento in grado di attagliarsi di volta in volta alle effettive necessità da soddisfare. Pur derivandone dunque l’impossibilità di pervenire ad una definizione astratta e generalizzata di interesse del minore, che prescinda da tempi, luoghi e situazioni reali[19]. La categoria dell’interesse del minore ha assolto ad una funzione di "cuscinetto", una sorta di passepartout [20] da adattare in relazione alle circostanze ambientali e sociali nonché alle peculiarità di ciascuna vicenda esistenziale, permettendo di tutelare l’interesse del minore in ogni situazione senza mai disancorare la tutela dall’interesse perseguito in concreto. Dalla flessibilità descritta deriva l’assoluta capacità di adattamento e metamorfosi del principio in esame in grado persino di condizionare i profili procedurali del diritto, esercitando una vera e propria vis attractiva della giurisdizione allorquando ciò corrisponda alle esigenze e all’interesse del minore. Il concetto medesimo di «residenza abituale», pur rappresentando una nozione autonoma e propria del diritto dell’Unione che dev’essere interpretata alla luce del contesto delle disposizioni che la menzionano e degli scopi del regolamento n. 2201/200, richiama in maniera implicita il principio del preminente interesse del minore, sotto le mentite spoglie del criterio di vicinanza[21], il quale rimandando al luogo che denota una certa integrazione del minore, e che deve essere individuato dai giudici nazionali in considerazione del complesso delle circostanze di fatto peculiari a ciascun caso di specie[22] con una valutazione di natura sostanziale, che prescinda dalla residenza meramente anagrafica, impone al giudice di determinare la propria decisione in ordine alla competenza giurisdizionale, valutando in via principale l’interesse del minore ad ottenere una decisione dal giudice dello stato in cui lo stesso “risiede abitualmente”. Il “principio di vicinanza” e le valutazioni che lo stesso implica, ad una analisi più attenta non possono non apparire come una diversa declinazione (in ambito procedurale), del “preminente interesse del minore” che come vero e proprio valore di riferimento nell’ambito del diritto di famiglia si pone come elemento in grado di attrarre e condizionare la competenza giurisdizionale.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Sul tema vedi Accordi di Schengen del 1985; il Trattato di Maastricht, ha poi introdotto l’istituto della cittadinanza europea: “è cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro;
[2] Articolo 21 TFUE (ex articolo 18 del TCE);
[3] Il termine cittadinanza indica il rapporto tra un individuo e lo Stato, e costituisce uno status (status civitatis) al quale l’ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici. In Italia la cittadinanza è disciplinata dalla legge 5 febbraio 1992 n. 91;
[4] secondo una consolidata definizione, quelle coppie in cui almeno uno dei due partner è di nazionalità diversa (Bensimond e Lautman-1977);
[5] , G. Chiovenda, Principii di Diritto Processuale Civile, 1965;
[6] P. Stanzione e B. Troisi, Principi generali del diritto civile;
[7] M. Finocchiaro, La responsabilità genitoriale: dal 1 Marzo 2005 va in soffitta l’istituto della patria potestà, 2005;
[8] Bertold Brecht, “opera teatrale”;
[9] Relazione sul diritto internazionale provato A.n.u.s.c.a.;
[10] in Giust. civ., 2008, 1597;
[11] (v. Cass. S.U., 3.2.2004, n. 1994);
[12] Articolo 81 TFUE (ex articolo 65 del TCE);
[13] Art. 3, paragrafo 2, del TUE;
[14] Articolo 67 TFUE (ex articolo 61 del TCE ed ex articolo 29 del TUE);
[15] «diritto di affidamento»: i diritti e doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza;
[16] «diritto di visita»: il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo;
[17] (C. giust., 2.4.2009, C-523/07);
[18] (cfr. Cass. sez. un., ord. 17 febbraio 2010, n. 3680; Cass. sez. un., ord. 15 giugno 2010, n. 15328);
[19] G. AUTORINO-P.STANZIONE, Diritto di famiglia, Torino, 2003;
[20] G. DOSI, Dall’interesse ai diritti del minore: alcune riflessioni, cit., 1607;
[21] (v. sentenze del 2 aprile 2009, A, C 523/07, EU:C:2009:225, punti 34 e 35, nonché del 22 dicembre 2010, Mercredi, C 497/10 PPU, EU:C:2010:829, punti da 44 a 46);
[22] (sentenze del 2 aprile 2009, A, C 523/07, EU:C:2009:225, punti 42 e 44, nonché del 22 dicembre 2010, Mercredi, C 497/10 PPU, EU:C:2010:829, punto 47).