ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Lun, 26 Feb 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

La validità dell´avviso di accertamento motivato per relationem

Pietro Cucumile


Nota a Corte di Cassazione, sentenza n. 5082 del 2 marzo 2011.


Sommario: Introduzione. 1. Il caso; 2. La motivazione degli atti amministrativi; 3. L’obbligo di motivazione nel diritto tributario; 4. La motivazione dell’avviso di accertamento per relationem; 5. Gli orientamenti giurisprudenziali in tema di motivazione per relationem; 6. L’obbligo di motivazione per relationem nella sentenza della Corte di Cassazione n. 5082 del 2 marzo 2011; 7. Conclusioni.

Sommario: Introduzione. 1. Il caso; 2. La motivazione degli atti amministrativi; 3. L’obbligo di motivazione nel diritto tributario; 4. La motivazione dell’avviso di accertamento per relationem; 5. Gli orientamenti giurisprudenziali in tema di motivazione per relationem; 6. L’obbligo di motivazione per relationem nella sentenza della Corte di Cassazione n. 5082 del 2 marzo 2011; 7. Conclusioni.

Introduzione.

Con la sentenza n. 5082 del 2 marzo 2011, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione relativa alla validità della motivazione di un avviso di accertamento che rinvii, per relationem, ad un atto presupposto, ex articolo 42, secondo comma, ultima parte, del d.p.r. n° 600/1973 (come modificato dal d.lgs. n° 32/2001) in base al quale, se la motivazione di un avviso di accertamento “… fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”, nonché ex art. 7, comma 1, della legge n° 212/2000 (Statuto del contribuente), secondo cui se gli atti dell’Amministrazione finanziaria richiamano nella motivazione un altro atto “… questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

Nel panorama delle pronunce giurisprudenziali succedutesi in tema di motivazione dell’atto tributario, la sentenza in commento ha, senza dubbio, il merito di affrontare la questione fornendo le coordinate necessarie a chiarire, puntualmente, quando l’obbligo di motivazione possa dirsi assolto ove l’avviso di accertamento rinvii ad atti presupposti non formalmente allegati allo stesso.

1. Il caso.

La vicenda oggetto della pronuncia del Giudice di legittimità trae origine dalla notifica da parte dell’Agenzia delle Entrate al contribuente, socio di una società, di un avviso di accertamento per un maggior reddito di partecipazione. Avverso tale avviso di accertamento, insorgeva il contribuente mediante la proposizione di ricorso giurisdizionale dinanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale, denunciando, in particolare, la nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione in quanto non preceduto dalla notifica degli atti ivi richiamati per relationem.

Il Giudice di prime cure, aderendo alla tesi difensiva del ricorrente, annullava l’atto impositivo per carenza di motivazione. Contro tale sentenza veniva proposto ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale che riformava la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale, ritenendo che l’Agenzia avesse assolto il proprio obbligo di motivazione perché l’avviso di accertamento nei confronti della società partecipata era stato notificato al contribuente come socio il quale, quindi, era a conoscenza della pretesa tributaria. Il contribuente avversava la sentenza di secondo grado proponendo ricorso per cassazione sul presupposto che l’atto di accertamento, non riportante in allegato il verbale di constatazione, non consentiva al destinatario l’esatta conoscenza della pretesa tributaria.

La tesi difensiva poggiava, in particolare, sul rilievo che l’avviso di accertamento, motivato mediante il rinvio ad un processo verbale di constatazione, potesse ritenersi legittimo solo ove il contribuente avesse avuto idonea conoscenza delle pretese dell’amministrazione. Denunciava, quindi, il ricorrente, con un unico motivo di diritto, la falsa applicazione degli articoli 40 e 42 del d.p.r. n. 600/1973 e dell’articolo 7 della legge n. 212/2000 sostenendo che, in base a quanto disposto dalle norme citate, l’atto di accertamento dovesse essere motivato in modo tale da consentire al contribuente di conoscere “l’esatta pretesa dell’ufficio finanziario, individuata nel suo petitum e nella causa petendi”, con la conseguenza che l’avviso di accertamento motivato per relationem ad un processo verbale di constatazione potesse dirsi legittimo soltanto qualora il contribuente ne avesse avuto conoscenza.

La tesi del ricorrente era principalmente fondata sull’asserzione che il  processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza fosse il presupposto dell'accertamento, per cui la mancata allegazione dello stesso renderebbe nullo l'avviso. A livello conclusivo, il contribuente ha elaborato un quesito di diritto e, dunque, ha chiesto alla Corte se fosse invalida una motivazione per relationem all'accertamento effettuato a carico della società qualora il socio non sia stato messo a conoscenza degli atti presupposti dell'accertamento effettuato a carico della società stessa. Il supremo Giudice, pur ribadendo la centralità della motivazione dell’avviso di accertamento e l’importanza della conoscenza dell’atto da parte del contribuente, strumentale alla individuazione dei presupposti e le ragioni giuridiche alla base della pretesa tributaria, ha rigettato il ricorso chiarendo entro quali limiti il relativo obbligo possa dirsi adempiuto.

Infatti, il Giudice di legittimità, analizzando la ratio e la funzione delle norme che disciplinano l’obbligo motivazionale nel diritto tributario ed, in particolare, lo Statuto del Contribuente, non ha riconosciuto nella fattispecie concreta la carenza di motivazione invocata dal ricorrente ritenendo che la pretesa tributaria fosse già conosciuta dal contribuente in quanto notificatagli nella sua qualità di socio della società.

In sostanza, la funzione dell’allegazione degli atti richiamati nell’avviso di accertamento è quella di integrare le ragioni che sorreggono l’atto di accertamento: ogni qual volta, quindi, tali ragioni siano già note al contribuente l’obbligo potrà dirsi soddisfatto, a nulla rilevando la mancata materiale allegazione degli atti richiamati all’avviso di accertamento.

2. La motivazione degli atti amministrativi.

L’avviso di accertamento, atto tributario, rientra senza dubbio nel più ampio genus degli atti amministrativi. Ciò impone alcune considerazioni generali sulla motivazione degli atti amministrativi, anche al fine di meglio comprendere come essa si atteggi in ambito tributario.

Oltre ai principi generali che regolano la materia, quindi, sarà necessario approfondire il tema alla luce di quanto previsto dalla legge n. 241/90, al fine di una più completa ricostruzione della disciplina relativa agli atti ed a quella inerente i rapporti tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, a loro volta regolamentati dalla legge n. 212/2000 (cd. Statuto del Contribuente) recante i principi generali dell’ordinamento tributario e, tra questi, l’obbligo della motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria[1].

Nel nostro ordinamento, prima dell’entrata in vigore della legge n. 241/90, non era stabilito un dovere generale di motivazione degli atti amministrativi. Tuttavia, la necessità di rendere intellegibile il percorso logico motivazionale che aveva indotto la pubblica amministrazione ad assumere le proprie determinazioni era fortemente avvertito da dottrina e giurisprudenza che avevano cercato, quindi, di elevare il principio di motivazione a regola generale dell’ordinamento[2] individuando, poi, l’intensità e il contenuto della motivazione stessa. Il difetto di motivazione venne così considerato dalla giurisprudenza vizio inficiante il provvedimento amministrativo sub specie di eccesso di potere[3], con particolare riguardo agli atti caratterizzati da un alto tasso di discrezionalità. Sulla spinta dottrinale e giurisprudenziale, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi è stato introdotto nel nostro ordinamento con la legge n. 241/90, che, all’art. 3, stabilisce: “ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato”; fanno eccezione gli atti normativi e quelli a contenuto generale. Secondo la giurisprudenza, invece, essa è richiesta per gli atti di alta amministrazione.

In tal modo il legislatore ha garantito la trasparenza dell’azione amministrativa, esaltando le risultanze procedimentali, nonché una maggiore effettività del sindacato di legittimità come imposto, peraltro, dagli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione[4]: la motivazione, quindi, rinsalda i rapporti tra procedimento e provvedimento, consentendo la ricostruzione dell’iter logico – giuridico in base al quale l’amministrazione ha adottato la determinazione finale (cfr. Cons. St., sez. IV, sent. 4982/2005).

Secondo quanto espressamente previsto dall’art. 3 l.n. 241/90, la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione amministrativa, in relazione alle risultanze dell’istruttoria. La legge raggruppa in un’unica definizione sia ciò che la dottrina precedentemente qualificava come motivazione in senso stretto (indicazione dei motivi) sia la cd. giustificazione (indicazione dei presupposti dell’agire), sicché anche i provvedimenti vincolati debbono essere motivati[5].

L’art. 3, dopo aver stabilito in via generale l'obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti amministrativi, statuisce che laddove “le ragioni della decisione risultano da un altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima, deve essere comunicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama”. Con tale norma vengono fissate le condizioni relative al legittimo utilizzo della motivazione per relationem[6]: in primo luogo l'atto richiamato deve essere imputabile all'amministrazione ed, in secondo luogo, viene previsto un onere in capo a quest'ultima, che deve comunicare, o comunque rendere disponibile al cittadino, l'atto cui la motivazione rinvia.

La giurisprudenza successiva ha avuto il pregio di meglio definire i contorni di tale disciplina, sia esplicitando aspetti contenuti nella legge che avallando delle prassi amministrative ormai consolidate. Non si hanno più dubbi - come già era affermato precedentemente in sede giurisprudenziale - in merito alla circostanza che quella per relationem costituisca una tecnica per assolvere l'obbligo generalizzato di motivazione degli atti amministrativi, giustificata da ragioni di sintesi ed economia dei mezzi giuridici; l'effetto dell'utilizzo di tale tecnica è quello di "fare propri" i contenuti dell'atto rinviato che diviene, in tal modo, parte integrante del provvedimento motivato per relationem. Il rinvio può essere effettuato solo con riferimento ad altri atti imputabili all'amministrazione e deve consentire una corretta individuazione delle ragioni che hanno indotto la stessa ad adottare quelle determinazioni. La giurisprudenza amministrativa ha poi pacificamente ammesso che la motivazione aliunde  si possa riferire ad atti istruttori endo-procedimentali  o anche preparatori.

Venendo ora ad esaminare il contenuto della motivazione, l'espressione “presupposti di fatto”  indica, essenzialmente, i fatti, gli atti, gli elementi, le circostanze che, in quanto preesistenti all'esternazione della volontà amministrativa, sono stati oggetto di valutazione o comparazione; non è comunque necessaria l'esposizione di tutti i supporti fattuali, potendo essere sufficiente anche l'indicazione di uno solo di essi, purché di carattere essenziale. Il termine “ragioni giuridiche” indica, invece, le argomentazioni in punto di diritto poste a fondamento dell'atto.  Può trattarsi di indicazioni legislative, regolamentari, giurisprudenziali o anche dottrinali. In motivazione devono essere riportati tanto i presupposti di fatto quanto le ragioni giuridiche e la mancanza di uno solo di questi due riferimenti determina un vizio di legittimità; fra di essi, inoltre, deve esistere una precisa relazione, un collegamento logico. In altri termini, la decisione della pubblica amministrazione deve rappresentare il risultato degli elementi fattuali e delle argomentazioni di diritto che sono state oggetto di acquisizione, valutazione e comparazione nel corso dell'istruttoria.

3. L’obbligo di motivazione nel diritto tributario.

Nella materia tributaria, l'istituto della motivazione è stato studiato e approfondito principalmente con riferimento all'avviso di accertamento, inteso quale tipico atto provvedimentale, espressione delle potestà di imperio dell'amministrazione, destinato ad incidere in via immediata e unilaterale sulla sfera giuridica di un soggetto privato, attraverso la produzione, a seconda dei casi, di uno o di tutti i seguenti effetti: quantificazione della base imponibile, liquidazione dell'imposta, fissazione del regime dell'obbligazione tributaria.

Un ruolo centrale nell'analisi della motivazione dell'avviso di accertamento, riveste l'art. 42 del d.p.r. n° 600/1973, il quale, ai commi secondo e terzo, stabilisce che esso “deve recare l'indicazione dell'imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute d'acconto e dei crediti d'imposta, e deve essere motivato in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. L'accertamento è nullo se l'avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni e la motivazione di cui al presente articolo". Le conseguenze del difetto di motivazione sono espressamente previste dall’art. 61, secondo comma, dello stesso d.p.r. n° 600/1973 che stabilisce “La nullità dell'accertamento ai sensi del terzo comma dell'art. 42 e del terzo comma dell'art. 43 e in genere per difetto di motivazione, deve essere eccepita a pena di decadenza in primo grado”. La funzione assegnata all'istituto della motivazione dell'atto impositivo, quale discende dalle norme menzionate, consiste - analogamente a quanto si è già visto, in generale, per i provvedimenti amministrativi - nel rendere edotto il contribuente dei presupposti di fatto e di diritto sui quali l'accertamento è fondato, nonché dell'iter logico - giuridico in base al quale l'Amministrazione è giunta all'affermazione in via autoritativa di una determinata pretesa impositiva[7]. Un sensibile rafforzamento della tutela della posizione del contribuente, connessa alla funzione dell'istituto in esame, è sicuramente disceso dalla previsione dell'art. 3 della l. n° 241/1990 che, nel generalizzare l'obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti amministrativi, ha precisato che la stessa deve estendersi ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'Amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria; proprio da quest'ultima normativa, ha trovato maggior vigore argomentativo l'orientamento dottrinale e giurisprudenziale per il quale l'obbligo di motivazione degli atti impositivi può ritenersi giuridicamente assolto “per relationem”, a condizione che il contribuente sia stato comunque posto in grado di conoscere tutti gli elementi essenziali della pretesa addotta nei suoi confronti e di comprendere il ragionamento logico - giuridico seguito dall'Amministrazione, attraverso la conoscenza o la conoscibilità degli atti richiamati.

Il quadro legislativo riportato si completa con la previsione di cui all’art. 7 1, l. 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del contribuente) che ha introdotto nell’ordinamento tributario una norma di carattere generale che generalizza l’obbligo di motivazione a tutti gli atti dell’Amministrazione finanziaria.

L'art. 7 richiamato, rubricato “chiarezza e motivazione degli atti”, introduce nella materia dell'accertamento tributario una particolare disciplina del dovere di motivazione, che, per certi versi, conferma, e per altri rende ancora più rigorosa, la norma di cui all'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, alla quale fa espressamente rinvio.

La norma stabilisce che “gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione”. L'art. 7, quindi, nell’enunciare il generale obbligo di motivazione degli atti (e non dei soli provvedimenti) dell’Amministrazione finanziaria ha il merito di recepire e codificare la soluzione interpretativa già da tempo consolidata, di estensione agli atti tributari dell'obbligo di motivazione contenuto nella legge 7 agosto 1990, n. 241. A fugare ogni dubbio, anche sotto il profilo testuale, soccorre lo stesso art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, che, se pure rende esplicita soltanto la necessaria indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche, stabilisce che gli atti sono motivati “secondo quanto prescritto dall'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241”. In conclusione, il richiamo all'integrale formulazione di tale norma induce a concludere, anche sotto questo aspetto, che il contenuto dell'art. 3 della legge sul procedimento amministrativo sia interamente applicabile agli atti impositivi[8]. In argomento, la giurisprudenza ha evidenziato che la previsione dello statuto del contribuente «ha recepito un principio enunciato in via generale, con riferimento ad ogni provvedimento amministrativo, dall'art. 3, comma 1, l. 7 agosto 1990 n. 241, e che era comunque già desumibile, nella materia de qua, dal testo originario dell'art. 42, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600» (cfr. Cass., 15 marzo 2002, n. 3861).

Sul versante della prassi amministrativa, va segnalato che, in seguito dell'entrata in vigore dello Statuto del contribuente, l’Amministrazione finanziaria ha impartito istruzioni agli uffici periferici invitandoli «ad allegare agli atti di accertamento e di irrogazione delle sanzioni copia degli atti richiamati nelle motivazioni, ancorché gli stessi siano stati già notificati o comunicati al contribuente». Contestualmente, il Ministero, dopo aver rilevato che la disposizione in esame avrebbe potuto richiedere all'amministrazione finanziaria adempimenti che «in base alle disposizioni vigenti e all'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale» non sono necessari per la legittimità della motivazione degli atti, ha auspicato che il successivo intervento del Governo, previsto dall'art. 16 della legge 27 luglio 2000, n. 212, mitigasse la rigorosità del precetto.

L'approvazione dello Statuto dei diritti del contribuente e, in particolare, la previsione secondo la quale gli atti dell'amministrazione finanziaria debbono essere motivati ai sensi dell'art. 7, legge n. 212/2000, ha richiesto un intervento correttivo sulle discipline riservate ai singoli tributi. In attuazione della delega contenuta nell'art. 16 della legge n. 212/2000[9], il d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32 ha apportato modifiche, tra l'altro, alle disposizioni dettate in materia di accertamento delle imposte sui redditi, dell'i.v.a. e di altri tributi indiretti.

Parte della dottrina ha criticato la formulazione del d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, ritenendo il testo di legge pedissequa e acritica acquisizione delle istanze formulate dall'amministrazione finanziaria. Posto che l'art. 16 della legge 27 luglio 2000, n. 212[10], espressamente circoscriveva la delega legislativa alla sola introduzione delle prescrizioni “strettamente necessarie” a garantire la coerenza dell'ordinamento con i principi statutari, molti autori hanno avanzato dubbi circa la legittimità dell'intervento correttivo delle disposizioni tributarie vigenti[11].

La stessa Corte di Cassazione ha successivamente mutato avviso, sostenendo - da ultimo, con sentenza n. 11 del 3 gennaio 1997 - che le prove della pretesa erariale non devono essere compendiate nell'atto di accertamento e messe immediatamente a conoscenza del destinatario, incombendo il relativo onere all'Ufficio finanziario nel corso del giudizio promosso dal contribuente[12].

4. La motivazione dell’avviso di accertamento per relationem.

Se alla luce della normativa richiamata è pacifico l’obbligo motivazionale degli atti tributari, maggiori difficoltà sono state registrate relativamente all’ipotesi in cui esso si esplichi per relationem[13]. Il riferimento è a tutti quei casi in cui il soggetto attivo del tributo fissi il contenuto del provvedimento d'imposizione attraverso il rinvio ad altro atto, il quale, a sua volta, contiene tutti gli elementi di fatto e di diritto che concorrono a sorreggere la pretesa fiscale.

In argomento, l’art. 3 della l. n° 241/1990, applicabile a tutti i provvedimenti amministrativi, prevede tale possibilità in linea generale. Nello specifico settore, inoltre, soccorre lo Statuto del contribuente.

 L'orientamento pre-statutario propendeva già per la legittimità dell'avviso di accertamento motivato con riferimento ai contenuti del processo verbale di constatazione, purché oggetto di autonoma e critica valutazione da parte dell'Ufficio; tuttavia, a ben guardare, i termini del problema non sono mutati sostanzialmente, sicché - anche alla luce degli altri princìpi contenuti nello Statuto, tutti tendenzialmente preordinati ad un generale rafforzamento della posizione del contribuente rispetto all'Erario - i requisiti di logicità, coerenza, chiarezza, non contraddittorietà delle risultanze esposte nel verbale- hanno assunto finalmente veste definitivamente formale.

Il D.lgs. n° 32/2001 che contiene le disposizioni di attuazione dello “Statuto del Contribuente” ha modificato l'articolo 42 del d.p.r. n° 600/1973 prevedendo che “l'avviso di accertamento… deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni: Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente , questo deve essere allegato all'atto che lo richiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.

Inoltre, stabilisce che l'accertamento è nullo, qualora l'atto non dovesse arrecare l'indicazione e la motivazione di cui al presente articolo ed allo stesso non è allegata la documentazione richiamata nell'avviso. Il citato art. 42, quindi,  impone  l’allegazione dell’atto rinviato in tutti i casi in cui il contribuente: non ne abbia già conosciuto il contenuto, non lo abbia ricevuto ovvero quando l’avviso di accertamento non ne riproduca il contenuto essenziale. A tal proposito si consideri come, con riferimento specifico alla prima condizione, la giurisprudenza di legittimità abbia più volte ammesso, in modo sostanzialmente univoco, che, per evitare l’onere dell’allegazione, fosse sufficiente il rinvio ad atti compiuti alla presenza del contribuente[14].

È importante, allora, rilevare che il legislatore non ha assolutamente distinto le tre condizioni sopra elencate (conoscenza, ricezione o esposizione del contenuto essenziale), ma le ha poste tutte sullo stesso piano, considerandole, con evidenza, perfettamente alternative.

Posto, quindi, che l'indicazione delle ragioni di fatto e di diritto poste a base dell'atto di accertamento costituisce elemento necessario sia per verificare il rispetto delle regole sulla formazione del convincimento dell'Ufficio, sia per valutare la fondatezza del provvedimento, la dottrina e la giurisprudenza si sono preoccupate di stabilire entro quali limiti possa considerarsi legittima la motivazione per relationem. 

La Corte di Cassazione pur ritenendo legittima la motivazione per relationem, ne ha subordinato l'adozione alla sussistenza di taluni presupposti. Sono numerose, infatti, le pronunce dei Giudici di piazza Cavour in cui si richiede, ai fini della legittimità degli atti di accertamento motivati per relationem, la sussistenza di due distinte condizioni. Da un lato, occorre che l'atto cui si fa rinvio contenga in sé tutti gli elementi necessari al perfezionamento dell'atto rinviante. Dall'altro, si richiede che l'atto richiamato sia già a conoscenza del contribuente, o al più venga portato a sua conoscenza prima della notifica dell'avviso di accertamento. Laddove l'atto impositivo motivato per relationem venga notificato prima che venga portato a conoscenza del destinatario l'atto richiamato, esso sarebbe carente nella motivazione e, pertanto, illegittimo. Soltanto la conoscenza effettiva dell'atto integrante la motivazione dell'avviso di accertamento, infatti, si ritiene possa consentire al contribuente di comprendere quali siano le omissioni, le falsità o le inesattezze addebitategli, e di esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa attraverso la proposizione del ricorso.

5. Gli orientamenti giurisprudenziali in tema di motivazione per relationem

Le codificazioni contenute dapprima nella l. n. 241 del 1990, e, quindi, nel c.d. “Statuto del contribuente”, di cui alla l. n. 212 del 2000, art. 7, sono finalizzate a conferire all'obbligo generalizzato di motivazione degli atti amministrativi il valore di presidio della trasparenza e della legalità dell'agire amministrativo, indispensabile per il controllo democratico. Un obbligo che costituisce una garanzia ed un momento di verifica del rispetto della legge e dell'imparzialità amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 1996 n. 1009). La successiva disciplina del 2001, attuativa delle disposizioni dello Statuto del contribuente ha derogato proprio all'art. 7 dello Statuto, il quale non prevede affatto l'alternativa della riproduzione del contenuto essenziale, ma solo l'obbligo, tassativo, della allegazione dell'atto, nella sua fisicità. Parte della dottrina ha sostenuto che sia intervenuta una “sostanziale controriforma”[15] scorgendo anche un segno che il legislatore non ha abbandonato “le riserve che avevano frenato la stessa approvazione[16] del suddetto  art. 7 e dello Statuto più in generale.

In particolare, la Corte (cfr. Cass., sez. V-trib., 3 dicembre 2001, n. 15234) ebbe a precisare che le modificazioni ed integrazioni previste dall'art. 1 d.lg. n. 32 del 2001 per garantire la coerenza allo Statuto del contribuente “non hanno una effettiva portata innovativa”, bensì natura confermativa di regole già in precedenza desumibili dall'interprete in ragione della duplice valenza dell'obbligo motivo. Quest’ultimo è preposto a delimitare la materia del contendere nel successivo, eventuale, giudizio unitamente alle contestazioni mosse dal contribuente ed assolve alla funzione informativa su di un piano distinto da quello probatorio della fondatezza della pretesa impositiva differibile al giudizio. Ne consegue che è adempiuto ed assolve a detta funzione motiva, anche mediante richiamo ad elementi di fatto offerti da documenti diversi, ma solo se, questi ultimi, sono allegati o comunicati al contribuente, ovvero per altro verso da lui conosciuti, non certo qualora siano solo conoscibili e non attengano ad atti compiuti alla sua presenza o a lui comunicati nei modi di legge, poiché, per l'effetto, l'atto sarebbe inidoneo a dar conto dei presupposti di fatto e diritto posti a suo fondamento, ex art. 42 d.p.r. n. 600 del 1973. Quindi, la riproduzione dei contenuti essenziali dell'atto richiamato non sembra poter costituire sempre e incondizionatamente un'alternativa all'incombente dell'allegazione all'atto impositivo notificato al contribuente.

Inoltre,  la giurisprudenza tenta di salvaguardare la validità dell'atto impositivo nei casi in cui il richiamo ad altri atti non ha una funzione motiva desumibile dallo stesso atto o ha un portato non essenziale a comprendere i contenuti dispositivi e motivi di quest'ultimo. Tra le ragioni di questa complessa e spesso casistica elaborazione giurisprudenziale vi è, inoltre, la cura dell'interesse pubblico all'economia dei mezzi amministrativi ed alla semplificazione degli atti. Infatti, un rigoroso e testuale intendimento del disposto statutario implicherebbe l'allegazione all'atto tributario di ogni atto  nominato nella motivazione, quale che sia la sua natura o concreta funzione nell'architettura degli atti contenenti la pretesa fiscale e le ragioni di essa.

Parte della giurisprudenza ritiene, poi, che la motivazione troverebbe essenziale se non esclusiva funzione e ragion d'essere nella comunicazione di elementi indispensabili all'esercizio del diritto di difesa. Una prospettiva interpretativa della disciplina della motivazione degli atti tributari dalla quale dissentono coloro i quali, invece, concepiscono la motivazione come elemento essenziale dell'atto.

Per quanto concerne l'ormai copiosa giurisprudenza di legittimità e di merito in argomento, ci si limita a menzionare gli orientamenti più recenti o apparsi più significativi, cominciando proprio dalle pronunce della Cassazione più prossime nel tempo, che tendono ad escludere che il contribuente debba attivarsi per la ricerca dell'atto richiamato nell'atto impositivo e non allegato né riprodotto nel contenuto essenziale.

Nella sent. 6 settembre 2010, n. 19113, la Suprema Corte di Cassazione, sez. trib., ha ribadito «il consolidato principio secondo cui, in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l'obbligo dell'Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell'avviso (l. n. 212 del 2000, art. 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità integrativa delle ragioni che, per l'Amministrazione emittente, sorreggono l'atto impositivo, secondo quanto dispone la l. n. 241 del 1990, art. 3 comma 3”, sì che “il contribuente ha diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione».

Questo risultato conoscitivo, peraltro, dovrebbe essere inteso come essenziale ben oltre il fine di consentire al contribuente la proposizione dell'eventuale ricorso giurisdizionale, ponendolo in grado, da subito, di verificare l'effettivo rispetto del principio di legalità amministrativa. Un'ulteriore recente elaborazione del Giudice di legittimità, invece, conduce ad escludere che rilevi la conoscibilità dell'atto richiamato. In questo senso, si veda la sent. 10 agosto 2010, n. 18532, con la quale, la Suprema Corte di Cassazione, sez. V-trib., ha precisato che, ai fini e per gli effetti dell'art. 7 dello Statuto del contribuente, non si può accogliere una «nozione di conoscibilità dell'atto di riferimento dilatata a tal punto da farvi rientrare non solo ciò che, in un dato momento, può presumersi sia conosciuto dal contribuente, ma anche ciò che, pur non essendo tale, possa tuttavia diventarlo mediante un'attività successiva di ricerca». Va, invece, accolta una «nozione di conoscibilità dell'atto in senso restrittivo, limitata ai casi in cui l'atto richiamato sia sottoposto a forme di pubblicità tali da farlo ritenere conosciuto»[17]. «L'obbligo di allegazione dell'atto richiamato posto dalla l. n. 212 del 2000, art. 7», sempre a dire della Suprema Corte «non è stabilito solo per soddisfare esigenze di trasparenza e di correttezza dell'azione dell'Amministrazione fiscale, ma, proprio perché inserito nello statuto dei diritti del contribuente, è volto soprattutto a garantire il diritto dei contribuenti ad avere piena ed immediata cognizione delle ragioni della pretesa fiscale, in modo da valutarne la fondatezza e di predisporre eventuali motivi di contestazione e, quindi, di impugnarla in sede giudiziale». Ne consegue che non può che essere esclusa una «nozione di conoscibilità in relazione all'atto richiamato così estesa da farvi rientrare anche gli atti che possono essere conosciuti dal contribuente a seguito di un'attività di ricerca», in quanto «comprimerebbe necessariamente il termine concesso dalla legge al contribuente per predisporre l'atto di impugnativa». Prosegue la Suprema Corte affermando che «la previsione normativa che pone a carico dell'ufficio l'onere di allegare l'atto richiamato deve essere anche letta come disposizione che esclude a carico del contribuente obblighi o doveri di ricercare l'atto medesimo presso pubblici uffici o terzi» (cfr. sent. 10 agosto 2010, n. 18532). Analogamente, secondo la sent. 12 luglio 2006, n. 15482, della stessa sez. trib., «anteriormente alle modifiche operate prima dall'art. 7 l. 27 luglio 2000, n. 212 e poi, per le imposte sui redditi, dall'art. 1 d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32 il requisito motivazionale dell'avviso di accertamento poteva essere assolto per relationem, cioè mediante il riferimento ad elementi di fatto offerti da altri documenti, a condizione che gli stessi fossero conosciuti dal destinatario». Se «tale presupposto è in re ipsa quando il riferimento attiene a verbali d'ispezione o verifica compiuti alla presenza del contribuente, o a lui notificati o comunicati nei modi di legge, quando i verbali oggetto di relatio riguardano un soggetto diverso, l'amministrazione deve dimostrare sia pure, eventualmente, tramite presunzioni l'effettiva e tempestiva conoscenza dei documenti da parte del contribuente, non essendo sufficiente il riferimento ad un atto del quale il contribuente stesso possa semplicemente procurarsi la conoscenza, poiché ciò comporterebbe una più o meno accentuata e non giustificata riduzione del lasso di tempo a lui concesso per valutare la fondatezza dell'atto impositivo, con indebita menomazione del diritto di difesa». Inoltre, il contribuente deve essere messo «in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l'opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l'an e il quantum debeatur», sì che gli «elementi conoscitivi devono essere forniti all'interessato non solo tempestivamente ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa» (cfr. Cass., sez. V-trib., sent. 12 luglio 2006, n. 15482).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, quindi, non vi è coincidenza tra il novero degli atti richiamati nella motivazione dell'atto tributario ed il novero degli atti che devono essere allegati a quest'ultimo o ivi riprodotti nel contenuto essenziale.  Ne consegue che si fa strada l'adozione sia di criteri selettivi di carattere funzionale da definire, concretamente, mediante una soggettiva verifica ex post dell'autosufficienza e completezza motiva dell'atto sia di criteri selettivi oggettivamente determinati.  In particolare, secondo la sentenza della Corte di Cassazione, sez. V-trib, 18 dicembre 2009, n. 26683 e 5 febbraio 2009, n. 2749, se è vero che in linea di principio «il contribuente ha diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare la motivazione», certo egli non ha, però, «il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell'atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento», ma solo nei limiti in cui si tratti effettivamente di atti contenenti contenuti essenziali alla motivazione. Pertanto, sia qualora «la motivazione sia già sufficiente ed il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore narrativo», sia qualora «il contenuto di tali ulteriori atti, almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell'atto impositivo, sia già riportato nell'atto noto», la mancata allegazione dell'atto richiamato non comporta carenza della motivazione dell'atto impositivo, né, comunque, violazione della disciplina statutaria cui possa conseguire la nullità dell'atto. Sul piano processuale, questo orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità implica, per il contribuente, l'onere di dimostrare, non soltanto «l'esistenza di atti a lui sconosciuti cui l'atto impositivo faccia riferimento», ma anche che «almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell'atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione». Inoltre, secondo un'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, «sono esclusi dall'obbligo dell'allegazione sia gli atti che si rivelano irrilevanti per il raggiungimento della suddetta funzione (per avere un contenuto meramente narrativo e non effettivamente integrativo della motivazione), sia gli atti, in specie quelli a contenuto normativo, anche secondario, quali le delibere o i regolamenti comunali, giuridicamente noti per effetto ed in conseguenza dell'avvenuto espletamento delle formalità di legge relative alla loro pubblicazione» (cfr. Cass., sez. V-trib., sent. 9 aprile 2010, n. 8504  e Cass. sentt. nn. 25731 del 2008, 2749 e 26683 del 2009).

 La Corte, inoltre, ha consolidato quell'orientamento espresso dalla stessa giurisprudenza di legittimità secondo il quale «in tema di motivazione per relationem degli atti d'imposizione tributaria, l'art. 7 comma 1 l. 27 luglio 2000, n. 212 (cosiddetto Statuto del contribuente), nel prevedere che debba essere allegato all'atto dell'Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non intende certo riferirsi ad atti di cui il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione; infatti, un'interpretazione puramente formalistica si porrebbe in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle norme procedurali una lettura che, nell'interesse generale, faccia bensì salva la funzione di garanzia loro propria, limitando al massimo le cause d'invalidità o d'inammissibilità chiaramente irragionevoli» (cfr. Cass., sez. V-trib., sent. 2 luglio 2008, n. 18073).

Con specifico riferimento al caso della relatio ad atti di contenuto “interpretativo”, si richiama la sentenza Cass., sez. V-trib., sent. 20 marzo 2006, n. 6205, secondo la quale l'art. 7, comma 1, l. 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto del contribuente), nella parte in cui prevede che, se nella motivazione di un atto dell'amministrazione finanziaria si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, non trova applicazione in relazione ai richiami a circolari interpretative dell'amministrazione finanziaria, in quanto atti interni all'amministrazione stessa volti a fornire una mera interpretazione della legge, certamente vincolanti per l'ufficio, ma inidonei ad incidere sulle situazioni giuridiche soggettive dei contribuenti, e pertanto privi di alcun contenuto innovativo nei loro confronti.

La suprema Corte ha, poi, avuto modo di pronunciarsi sul contenuto essenziale dell'atto richiamato, da riprodurre nell'atto contenente il richiamo o il rinvio, sottolineandosi che va inteso come «l'insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell'atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale di individuare i luoghi specifici dell'atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento» (cfr. Cass., sez. V-trib., sent. 29 gennaio 2008, n. 1906). Alla luce della elaborazione della nozione di “contenuto essenziale” è possibile sostenere che il contenuto essenziale che è necessario riprodurre non dovrebbe essere, semplicemente, un riassunto dell'atto richiamato. L'ente impositore, invece, è tenuto alla riproduzione, precisa, del contenuto degli atti richiamati che può considerarsi essenziale nell'economia della pretesa e della motivazione dell'atto impositivo. In particolare, tale riproduzione deve consentire sia l'identificazione dell'atto fonte, sia la compiuta rappresentazione e verifica dei relativi contenuti assunti come qualificanti e posti a base dell'atto impositivo. In assenza di questa fondamentale opera selettiva e di qualificazione che compete all'ente o ufficio che emette l'atto impositivo, verrebbe meno la funzione stessa dell'incombente alternativo all'allegazione dell'atto richiamato.

Va, infine, ricordato e considerato il principio affermato dalla suprema Corte di Cassazione, sez. V-trib., con la sentenza 9 aprile 2010, n. 8504, secondo il quale la riproduzione, nell'atto notificato, del contenuto essenziale dell'atto richiamato è da intendere come «riproposizione, più o meno testuale, delle parti dell'atto oggetto di richiamo idonee a consentire al contribuente di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli di valutare l'opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale, e, in caso positivo, di contestare efficacemente l'an e il quantum debeatur».

Ebbene, premesso che motivare per relationem significa conferire valore a contenuti extratestuali, l'ufficio impositore, in quanto tale esclusivo titolare del potere-dovere di rettifica motivata, fa propri alcuni contenuti testuali dell'atto richiamato, che deve esattamente identificare. Non rileva, pertanto, quale sia la tipologia dell'atto richiamato e, per rinvio espresso, munito di “significanza motivazionale”. Infatti, sono solo quei contenuti che, quand’anche ultronei o istituzionalmente estranei alla tipologia di atto richiamato, vengono ad essere presi in considerazione e ad essere manifestati come propri dell'Ufficio. Occorre, inoltre, distinguere la motivazione per “mero rinvio” alle ragioni “tutte” espresse in un p.v.c. equipollente ad una “autonoma” motivazione “critica” delle ragioni “dei verificatori” e motivazione per relationem ad atti, non allegati né, altrimenti, resi integralmente noti al contribuente, dei quali venga richiamata solo parte dei contenuti (cfr. Cass., sez. V-trib., sent. 17 giugno 2002, n. 8690  e Cons. Stato, sez. IV, dec. 19 ottobre 2006. n. 6218). Il rinvio acritico non sembra poter soddisfare le esigenze sottese all'obbligo di motivazione, soprattutto quando la conoscenza o conoscibilità dei contenuti dell'atto, anche parzialmente richiamato, sia affidata ad operazioni riassuntive, quand'anche per estratto, dell'atto oggetto di secondo rinvio. Tale estrapolazione potrebbe non rendere ragione dell'effettivo contenuto dell'atto di origine, proprio per la sua originaria contestualizzazione, in quanto si tratta di incertezza sui contenuti, sui presupposti e sulle ragioni dell'avviso di accertamento, pur a fronte di un prezioso veicolo di “economia di scrittura”.

Per quanto concerne l'idoneità motiva dell'atto richiamato per relationem, anche nel frequente caso in cui si tratti di un integrale ed acritico rinvio alla parte dispositiva di un atto istruttorio o dell'atto contenente il resoconto di attività istruttorie poste a base dell'atto impositivo, si richiama l'interessante pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, sez. V-trib., sent. 10 febbraio 2010, n. 2907, secondo la quale «l'avviso di accertamento, rappresentando l'atto conclusivo di una sequenza procedimentale a cui possono partecipare anche organi amministrativi diversi, può essere motivato per relationemm, anche con il rinvio pedissequo alle conclusioni contenute in un atto istruttorio (nella specie il p.v.c. della Guardia di finanza), senza che ciò arrechi alcun pregiudizio al diritto del contribuente».

Sul concetto di “economia di scrittura”, in ordine alla prassi diffusamente esperita di motivare per mero rinvio acritico ai contenuti di altro atto e, normalmente, del p.v.c., una delle più significative disamine sul punto  è offerta dalla sentenza della sez. V-trib. 26 febbraio 2001, n. 2780, in cui la Corte, dopo aver precisato che, «in linea di principio, nessuna norma impone all'amministrazione finanziaria di recepire, nell'accertamento, le conclusioni alle quali è pervenuta la guardia di finanza», ha concluso che «il fatto, cioè, che l'ufficio abbia motivato l'accertamento con un mero rinvio alle considerazioni sviluppate dalla guardia di finanza non sta a significare che a monte non ci sia stata un'autonoma valutazione, ma soltanto che l'ufficio ha inteso realizzare una economia di scrittura, che non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio» e, quindi, che, «se l'ufficio giunge alle medesime conclusioni della guardia di finanza, non si vede perché dovrebbe essere costretto a ripetere cose già note al contribuente, replicando inutilmente un'attività di mera scritturazione». Ciononostante, non sembra che il dovere di motivazione dell'accertamento possa essere soddisfatto con rinvio “acritico” ai contenuti di altro atto, di altro soggetto ed espressivo delle logiche e degli obiettivi della fase di controllo, rilevamento dati ed acquisizione di mezzi di prova, se non identificandone i contenuti argomentativi. Non convince, quindi, l'idea che, in relazione all'obbligo di motivazione dell'avviso di accertamento e, segnatamente, alla sua soddisfazione per rinvio ad altro atto o documento contenente tutte o alcune delle ragioni della pretesa, si possa distinguere tra richiami indispensabili a colmare la lacuna di motivazione autonoma e richiami che, invece, sarebbero ultronei.

Il recepimento testuale può, inoltre, essere realizzato per incorporazione (cfr., sez. V-trib., sent. 26 marzo 2003, n. 4430). In questa evenienza, infatti, fermo restando il conferimento della rilevanza motiva ad un testo non proprio, il soggetto tenuto a corredare l'atto di certi contenuti essenziali vi provvede conglobando, in tutto o in parte, l'atto-documento, di cui comunque “recepisce e fa propri” i contenuti concettuali, fattuali e giuridici.

Per quanto concerne, inoltre, la numerosa giurisprudenza di merito in argomento, appare significativa la sentenza della Comm. Trib. Prov. La Spezia, sez. II, 16 gennaio 2007, n. 211, secondo la quale, «in forza dell'art. 1 comma 1, lett. c), d.lgs. n. 32 del 2001, il quale, in attuazione dell'art. 16 l. n. 212 del 2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), dispone che, se nella motivazione dell'avviso di accertamento, previsto dall'art. 42 d.p.r. n. 600 del 1973, si fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale, l'avviso di accertamento contenente, come nella specie, indicazione del contenuto essenziale del p.v.c. richiamato e, segnatamente, dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato l'accertamento stesso, consistenti nella mancata presentazione per l'anno d'imposta 2003 della dichiarazione dei redditi, nonché degli elementi positivi (fatture emesse dalla parte) e negativi (costi) di reddito rilevati nel corso della verifica fiscale è legittimamente motivato; né vi è stata alcuna lesione del diritto di difesa del contribuente, poiché lo stesso è stato messo in grado di contestare la pretesa dell'Amministrazione finanziaria».

Proseguendo, merita una sottolineatura, poi, la sentenza 2 settembre 2002, n. 51 con la quale la Commissione tributaria provinciale di Torino affronta precocemente l'originale questione della motivazione per relationem ad atti conoscibili in forza di pubblicazione telematica. Secondo il Giudice tributario piemontese, «è nullo l'avviso di accertamento se nella motivazione dello stesso sono indicati degli atti in base ai quali l'accertamento viene effettuato e questi non sono allegati all'avviso», a nulla rilevando la circostanza che nell'avviso di accertamento «sia indicato dove reperire (sito Internet) tali atti (delibere comunali)».

Rileva, altresì, la sentenza  della Comm. trib. prov. Torino, sez. V, 19 giugno 2002, n. 50, che, in linea con la nota e succitata sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 15234 del 2001, ha espresso il principio, secondo il quale, «l'obbligo di allegazione degli atti richiamati nell'accertamento deriva non solo dall'art. 7 l. n. 212 del 27 luglio 2000 ove l'ultima parte del comma 1 recita se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, ma anche dall'art. 42 del d.p.r. 600 del 1973, ove si richiede che qualsiasi atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente deve essere allegato all'atto che lo richiama. Ne consegue che il ricorso a documenti non conosciuti (...) è legittimo solo se questi sono allegati all'avviso di accertamento, senza possibilità di integrare successivamente tale carenza, avendo l'atto accertativo natura sostanziale per cui deve contenere, a pena di nullità, l'indicazione documentale dei presupposti di fatto e di diritto che lo giustificano».

Singolare è, poi, la sentenza 11 aprile 2007, n. 32, della Commissione tributaria di II grado di Trento, sez. I, con la quale il Giudice,  trascurando i contenuti e le implicazioni della disciplina di cui al d.lgs. n. 32 del 2001, esclude che possa essere sufficiente la riproduzione del contenuto essenziale dell'atto richiamato, concludendo per l'indefettibilità della sua allegazione all'atto contenente la relatio. In sostanza, la Commissione conclude, infatti, che, in forza dell'art. 7 comma 1 l. 27 luglio 2000, n. 212, qualora la motivazione dell'atto impositivo faccia riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, a nulla rilevando che detto documento fosse conoscibile dal contribuente mediante l'accesso agli atti, come la sua identificabilità per estremi o, ancora, la circostanza che, nella fattispecie, l'Agenzia ne avesse riprodotto il contenuto essenziale nella motivazione dell'atto impositivo.

Infine, si richiama la sentenza della Commissione tributaria regionale Lazio, sez. X, sent. 24 gennaio 2005, n. 70 secondo la quale «l'avviso di accertamento motivato per relationem ad un processo verbale di constatazione redatto a carico di soggetti terzi è legittimo, a condizione che tale atto sia portato a conoscenza del ricorrente e dei giudici, ed è, altresì, infondato in assenza di ulteriori prove addotte dall'Amministrazione Finanziaria, risultando basato esclusivamente su un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F.».

6. L’obbligo di motivazione per relationem nella sentenza della Corte di Cassazione n. 5082 del 2 marzo 2011.

Nella sentenza in rassegna la suprema Corte ribadisce che, in linea generale, ai fini della validità dell’accertamento recante motivazione per relationem è necessario che l’atto richiamato sia conosciuto dal contribuente o sia stato da lui in precedenza ricevuto o che di tale atto sia stato riprodotto il contenuto essenziale, al fine di conoscere nel modo più compiuto i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste dall’ufficio finanziario a fondamento dell’atto impositivo. Nell’applicare l’enunciazione di principio al caso concreto il Collegio rileva che il contribuente, in sede di ricorso introduttivo, aveva dato atto di conoscere i presupposti di fatto e diritto su cui si fondava la pretesa tributaria, nonostante il processo verbale di constatazione richiamato nelle motivazioni dell’avviso di accertamento fosse stato notificato soltanto alla società partecipata. La Corte di Cassazione ha, pertanto, ritenuto soddisfatto l’obbligo di motivazione ritenendo che il fatto che l’Amministrazione sia tenuta ad allegare gli atti citati nell’avviso di accertamento, ex articolo 7, legge n. 212/2000, «va inteso in necessaria correlazione con la finalità integrativa delle ragioni che, per l’amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, con la conseguenza che detto obbligo deve intendersi delimitato ai soli atti di riferimento che siano necessari per sostenere quelle ragioni» (cfr. Cass. nr. 26683/2009 e nr. 25371/08).

La pronuncia in esame risulta di particolare pregio poiché, a differenza dei precedenti casi nei quali il Consesso si era comunque pronunciato nella medesima direzione (cfr. sentenze nn. 26683/2009 e 25617/2010), affronta il tema della motivazione per relationem alla luce dello Statuto del contribuente. Il principio, ormai consolidato nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale l’obbligo di allegazione sussiste soltanto quando gli atti cui rinvia la motivazione sono necessari ai fini della sostenibilità della pretesa, si era formato nella formulazione dell’articolo 42 del d.p.r. n. 600/1973 ante riforma. Con la sentenza n. 5082/2011, il supremo Giudice ha, invece, esteso il suddetto orientamento anche agli avvisi di accertamento notificati in epoca successiva all’introduzione dello Statuto del contribuente, operando un doveroso distinguo a seconda della rilevanza che l’atto riveste ai fini motivazionali. Non tutti gli atti citati nell’atto impositivo devono pertanto essere allegati, ma soltanto quelli fondanti le ragioni dell’amministrazione finanziaria. La pronuncia, pertanto, supera quella giurisprudenza di merito che si era formata nel frattempo e che aveva fornito un’interpretazione più restrittiva dell’articolo 7 dello Statuto del contribuente, ponendo a carico dell’Amministrazione finanziaria un onere ben più gravoso, oltrechè superfluo, rispetto a quanto ritenuto necessario dalla Corte di Cassazione.

In conclusione, anche alla luce dello Statuto del contribuente, resta salvo il principio per cui «Il contribuente ha diritto di conoscere la motivazione dell'atto impositivo, e perciò ha sempre diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti gli atti ai quali si faccia rinvio nell'atto impositivo per ciò solo che ad essi si faccia riferimento, se tale contenuto non serve ad integrare la motivazione dell'atto impositivo in quanto essa è già sufficiente (e il richiamo ad altri atti ha pertanto solo valore "narrativo"), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante al fini della motivazione dell'atto impositivo) è già riportato nell'atto noto» (cfr. Cass. n° 26683/2009).

Continua pertanto a incombere sul contribuente l’onere di dimostrare che gli atti richiamati nell’avviso di accertamento non sono da lui conosciuti, o che almeno una parte del contenuto di essi sia necessaria a integrare, direttamente o indirettamente, la motivazione dell’atto impositivo, e che quest’ultimo, ovvero quelli cui esso rinvia, non la riporta, per cui non è comunque venuta a sua conoscenza (cfr. Cass. nn° 2749/2009 e 25617/2010).

La giurisprudenza, da tempo, milita decisamente in favore della più ampia ammissibilità dell'istituto, a condizione comunque che il contribuente venga posto in grado di esercitare le proprie difese; a titolo esemplificativo può citarsi la sentenza della Commissione centrale, sez. VIII, n. 5660 del 20 maggio 2010 con cui, tra l'altro, si è stabilito che «allorquando il processo verbale di constatazione è conosciuto dal contribuente e gli elementi in esso contenuti e succintamente riportati negli accertamenti sono idonei ad assicurare una completa conoscenza degli addebiti e dei loro presupposti probatori, la motivazione per relationem è pacificamente ammessa per gli effetti fiscali, rispondendo all'esigenza sostanziale di garantire un'adeguata informazione al destinatario e quindi l'esercizio del diritto di difesa».

7. Conclusioni.

Concludendo, la Corte di Cassazione, con la sentenza n° 5082/2011, ha ritenuto che il contribuente avesse la conoscenza dei presupposti di fatto e di diritto fondanti la pretesa tributaria, anche se il processo verbale di constatazione era stato notificato solo alla società partecipata. Per questo motivo, la Suprema Corte ha considerato soddisfatto l’obbligo di motivazione considerando anche che, secondo l’articolo 7 della legge n° 212/2000, l’amministrazione deve allegare  gli atti citati nell’avviso di accertamento per integrare le ragioni alla base dell’atto impositivo. L’obbligo, dunque, è delimitato ai soli atti di riferimento necessari per sostenere le ragioni dell’atto. Ebbene, con la pronuncia in esame, la Corte ha esaminato il tema della motivazione per relationem anche con riferimento allo “Statuto del contribuente”. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale precedente, il principio cardine era quello secondo cui l’obbligo di allegare gli atti  esisteva solo per quelli necessari a sostenere la pretesa, in ossequio alla formulazione dell’articolo 42 del d.p.r. n° 600/1973 ante riforma.  Con la pronuncia annotata, gli Ermellini hanno esteso il ragionamento anche agli avvisi di  accertamento notificati in epoca successiva all’introduzione dello “Statuto del contribuente”,  considerando diversamente gli atti che hanno rilevanza ai fini motivazionali. Devono, quindi, essere allegati  all’atto impositivo solo gli atti che fondano la pretesa tributaria e, dunque, le ragioni  dell’Amministrazione finanziaria, anche se integrative.

La Corte va, quindi, oltre la lettura restrittiva fornita dalla giurisprudenza di merito sulla scorta dell’articolo 7 dello “Statuto del contribuente” che poneva a carico dell’amministrazione un onere più gravoso rispetto a quello ora riconosciuto.

Dunque, alla luce di quanto affermato, pur rimanendo nel solco del rispetto dello “Statuto del contribuente”, è tutelato il  principio secondo il quale il contribuente ha diritto di conoscere la motivazione dell’atto impositivo e perciò ha sempre diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione. Non ha, però, il diritto di conoscere il contenuto di tutti gli atti ai quali si faccia rinvio nell’atto impositivo qualora il loro contenuto non serva ad integrare la motivazione dell’atto impositivo oppure se, comunque, il contenuto essenziale di tali ulteriori atti è già riportato nell’atto noto. Il contribuente è comunque gravato dell’onere di dimostrare che gli atti richiamati nell’avviso di accertamento non sono da lui conosciuti oppure che una parte del contenuto degli stessi vada ad integrare la motivazione dell’atto impositivo.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Per approfondimenti sul punto cfr. R. Miceli, La motivazione degli atti tributari, in A. Fantozzi, A. Fedele (a cura di), Statuto dei diritti del contribuente, --- pag. 281 ss.; m. Beghin, La motivazione dell’avviso di accertamento, in G. Marongiu (a cura di), Lo statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2004, pag. 9 ss.
[2] Il fondamento giuridico dell’obbligo di motivare gli atti amministrativi venne individuato nell’art. 3 L.A.C. a mente del quale le autorità amministrative hanno il dovere di provvedere ai loro affari mediante decreti motivati, ammesse le deduzioni e le osservazioni in iscritto delle parti interessate.
[3] Con l’entrata in vigore dell’art. 3 l. n. 241/90 e la correlata codificazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, questi ultimi, ove carenti della motivazione, saranno illegittimi non più per eccesso di potere bensì per violazione di legge. Rimane comunque un ampio ventaglio di illegittimità riconducibili ancora oggi al vizio di eccesso di potere laddove, pur in presenza di una motivazione (con assolvimento del relativo obbligo) questa si presenti, ad es., perplessa, contraddittoria o discriminatoria.
[4] Secondo TAR Campania – Napoli, sez. VII, sent. n. 9734/2006 l’obbligo di motivazione trova il suo riferimento normativo nel generale principio di buona amministrazione, correttezza e trasparenza cui la p.a. deve uniformare la sua azione e rispetto al quale sorge per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e i motivi del provvedimento riguardante la sua richiesta.
[5] Cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffré, 2010, pag. 525; l’Autore  specifica che «in ogni caso, la motivazione dovrebbe esprimere  ‘sostanzialmente’ l’interesse pubblico che ha guidato l’azione dell’amministrazione e non limitarsi ad indicare ‘formalmente’ norme e fatti».
[6] Secondo la giurisprudenza prevalente (TAR Lombardia, sez. III, sent. n. 86/2004, Cons. St., sez. VI, sent. n. 2400/2002) nel caso di rinvio per relationem sarebbe sufficiente che il documento richiamato sia reso disponibile e cioè sia suscettibile di essere conosciuto mediante accesso agli atti, escludendo così la necessità che venga allegato. Per vero, tale posizione è criticata da una parte della dottrina (Casetta) che ritiene in questo modo frustrata la finalità della norma; tale orientamento dottrinale ha talvolta trovato conforto giurisprudenziale laddove è stato affermata la necessaria contestualità documentale tra atto rinviato e atto rinviante, creandosi così un’unica statuizione per cui senza quella parte l’atto sarebbe incompleto (TAR Campania – Napoli, sez. I, sent. n. 1041/1997). Ne consegue che l’obbligo di allegare l’atto al quale si rinvia sarebbe escluso solo ove esso sia stato tempestivamente comunicato al destinatario (Cons. St., sez. VI, sent. n. 3389/2006).
[7] La determinazione del contenuto della motivazione, ai fini della legittimità degli atti d'imposizione, è stata, da lungo tempo, oggetto di un vivace dibattito in dottrina e in giurisprudenza. All'opinione di chi ha sostenuto che la motivazione abbia esclusivamente la funzione di informare il contribuente e di consentirgli l'esercizio del diritto di difesa in sede giurisdizionale, in quanto l'atto di accertamento costituirebbe un mera provocatio ad opponendum (in tal senso r. Lupi, Motivazione e prova nell'accertamento tributario, con particolare riguardo alle imposte dirette e all'Iva, in Riv. dir. fin., 1988, I, 295). In giurisprudenza: Cass., 21 gennaio 2000, n. 658, in Gius. civ. mass.), si è contrapposta l'idea di chi ha ritenuto che la motivazione debba consentire al contribuente anche il controllo sulle regole dell'istruttoria e sulle modalità di formazione del convincimento dell'Ufficio (P.Selicato, L'attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001, 350. In giurisprudenza: Cass., sez. trib., 21 aprile 2001, n. 5924). Il contrasto giurisprudenziale è stato successivamente superato dalle Sezioni Unite, le quali con la sentenza del 5 ottobre 2004, n. 19854, escludendo che l'avviso di accertamento sia una mera provocatio ad opponendum, hanno chiarito che tale atto, “come tutti gli atti amministrativi autoritativi, costituisce lo strumento attraverso il quale, in ossequio ai principi di tipicità e normatività, l'amministrazione enuncia nei confronti del destinatario ciò che deve essere per lui di diritto nel caso concreto; per quanto attiene all'imposizione fiscale, le ragioni e il contenuto della pretesa tributaria”.
[8]  Secondo  I. MANZONI, Potere di accertamento e tutela del contribuente, Milano, 1993, 13, “prima ancora che alle norme che disciplinano i singoli tributi, è alle disposizioni dell'art. 3 della legge n. 241/1990 che deve aversi riguardo al fine di stabilire quale sia, ai sensi di tale normativa, il contenuto minimo che deve contrassegnare la motivazione degli atti di accertamento, indipendentemente dal tributo cui essi si riferiscano”. In senso analogo G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, 1999
[9]  Per il completo esame delle disposizioni modificate a seguito dell'entrata in vigore dello Statuto dei diritti del contribuente, cfr. Agostinelli p., Riflessioni sul valore e sulla funzione della motivazione degli atti impositivi, Riv. dir. trib. 2004, 06, 709, 705.
[10] Si tratta della disposizione con la quale è stata conferita al Governo la delega ad emanare, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore dello Statuto, uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti, strettamente necessarie per garantire la coerenza rispetto ai principi desumibili dallo stesso Statuto. Sull'argomento, ferlazzo natoli l., La motivazione dell'accertamento tributario e della cartella dei pagamenti alla luce del D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, in Fisco, 2001, 7709.
[11] La successiva disciplina del 2001, attuativa delle disposizioni dello Statuto del contribuente, è stata criticata dalla dottrina che non ha mancato di rilevare come essa abbia  paradossalmente derogato proprio all'art. 7 dello Statuto, il quale non prevede affatto l'alternativa della riproduzione del contenuto essenziale, ma solo l'obbligo, tassativo, della allegazione dell'atto, nella sua fisicità, con una disposizione tacitamente utile ad eccettuare, di dubbia legittimità e ragionevolezza: una «sostanziale controriforma» (così, a. Voglino, L'abuso di delega nelle disposizioni «correttive» della legislazione sulla motivazione degli atti tributari, in Boll. trib., 2001, 428 ss. e, spec., 431) o un segno che il legislatore non ha abbandonato «le riserve che avevano frenato la stessa approvazione» (così, l. Ferlazzo natoli, La motivazione dell'accertamento tributario e della cartella dei pagamenti alla luce del d.lg. 26 gennaio 2001, n. 32, in Fisco, 2001, 7709) di detto art. 7 e dello Statuto più in generale. Cfr. anche Costantino Scalinci, Nota a Commissione tributaria provinciale di Bari, 15 Aprile 2010, n. 61, sez. 2, Giur. merito 2011, 1, 228.
[12] Secondo quanto si legge nella sentenza predetta «l'accertamento si esaurisce in un provvedimento autorizzativo, con il quale l'Amministrazione finanziaria fa valere la propria pretesa tributaria, esternandone il titolo e le ragioni giustificative, al solo fine di consentire al contribuente di valutare l'opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale, instaurando un procedimento nell'ambito del quale la parte creditrice sarà tenuta a passare dall'allegazione della propria pretesa alla prova del credito tributario vantato nei confronti del ricorrente". Risulta palese come questa impostazione possa compromettere pesantemente la posizione del contribuente: in base alle richiamate disposizioni del nuovo processo tributario, quest'ultimo non può certo limitarsi a far valere l'"opportunità" di ricorrere, essendo invece tenuto, a pena di inammissibilità, a dettagliare l'oggetto della domanda, pur non avendo a disposizione tutti i necessari strumenti conoscitivi. Questa ed altre considerazioni hanno indotto autorevole dottrina ad affermare come l'orientamento giurisprudenziale sopra citato abbia "operato un'erronea (...) confusione fra l'indicazione degli elementi di prova, che rappresenta una componente essenziale della motivazione dell'atto impositivo e la verifica degli stessi elementi di prova, che può essere effettuata (essa sola sì) anche soltanto nella successiva sede giudiziale, ove l'Amministrazione è tenuta ad assolvere al noto onere probatorio su di essa incombente (...)»
[13] Sull'avviso motivato per relationem, ex multis: del torchio f., Ancora sulla legittimità degli accertamenti motivati per relationem, in Bollettino Tributario, 1992, p. 222; bruzzone m.,  Motivazione per relationem. Il revirement della Suprema Corte in Corriere Tributario n.10/2002 p. 869 e ss; bernardini p., La legittimazione dell'accertamento motivato per relationem in Corriere Tributario, 1988, p. 178 e ss; montuori n., La motivazione per relationem degli atti impositivi . E' pacifico che la questione non è pacifica in Il Fisco n.48/2000 p.14335; salvini l.,  La motivazione per relationem nelle più recenti pronunce della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione in Rassegna Tributaria n.3/2002 p. 848 e ss.
[14] Con la circolare 3.8.2001 n. 77, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che “qualora i processi verbali di constatazione o gli altri atti procedimentali richiamati nella motivazione siano stati preventivamente notificati o comunicati al contribuente, gli uffici non hanno l’obbligo di allegare gli stessi agli avvisi di accertamento.
[15] Cfr.  Voglino a., L'abuso di delega nelle disposizioni «correttive» della legislazione sulla motivazione degli atti tributari, in Boll. trib., 2001, 428 ss. e, spec., 431
[16] Cfr. Ferlazzo natoli l., La motivazione dell'accertamento tributario e della cartella dei pagamenti alla luce del d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, in Fisco, 2001, 7709
[17] Cfr. Cass. n. 5575 del 2005 con riguardo agli atti generali di un comune che, essendo adottati con delibere consiliari, sono soggetti a forme di pubblicità legale.