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Pubbl. Mar, 21 Nov 2017

Abusi edilizi: è illegittimo l´ordine di demolizione di un immobile abusivo colpito da sequestro penale

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Virginia Galasso


Con la sentenza n. 2337 del 17 maggio 2017, il Consiglio di Stato si è discostato dall’ indirizzo giurisprudenziale, amministrativo e penale prevalente, dichiarando inefficace l´ordine di demolizione e i conseguenti provvedimenti sanzionatori, di un immobile abusivo colpito da sequestro penale.


Sommario: 1. La massima; 2. Il caso; 3. La motivazione del Consiglio di Stato.

1. La massima

È illegittimo un provvedimento con il quale un Comune ha irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria, ai sensi dell'art. 31, comma 4-bis, d.P.R. 380/2001, per la mancata ottemperanza all'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo, nel caso di immobile sottratto alla disponibilità delle parti, in quanto sottoposto a sequestro penale; infatti, l'ordine di demolizione di un immobile colpito da un sequestro penale deve essere ritenuto affetto dal vizio di nullità, ai sensi dell'art. 21-septies l. n. 241 del 1990 e, quindi, radicalmente inefficace, per l'assenza di un elemento essenziale dell'atto, tale dovendo intendersi la possibilità giuridica dell'oggetto del comando”.

2. Il caso

Il Comune di Gabicce Mare irrogava alla società Oasi s.r.l. la sanzione pecuniaria di 20.000,00 Euro, per non aver ottemperato all’ordinanza n. 99 del 9 luglio 2013 di riduzione in pristino dello stato dei luoghi a seguito della realizzazione di opere abusive. Successivamente, con provvedimento n.147/III Settore del 17 giugno 2015 disponeva l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale del fabbricato oggetto degli interventi abusivi. Tali provvedimenti venivamo impugnati dalla società Oasi s.r.l. dinanzi il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche il quale rigettava il ricorso con le seguenti motivazioni: “… la sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4 bis, del citato DPR n. 380/2001 è conseguenza della constatata inottemperanza all’ingiunzione di demolizione….”.

Ebbene, secondo i Giudici di primo grado anche qualora l’immobile sia sottoposto a sequestro penale non è possibile poter invocare l’impossibilità ad ottemperare all’ordine di demolizione, poiché il proprietario può chiedere il dissequestro, specie se la richiesta sia fondata sull’intento di procedere al ripristino dello stato dei luoghi (“emerge dagli atti, … che le istanze di dissequestro proposte dall’interessata all’autorità giudiziaria penale, in uno all’istanza di accesso all’immobile .., da essa invocate a sostegno della dedotta impossibilità di dare esecuzione alla demolizione, sono state precedenti alla citata ordinanza …comunque, sono state presentate per ragioni del tutto diverse dall’intento di provvedere alla riduzione in pristino… Nei circa tre anni successivi all’emanazione di tale ordine di demolizione, invece, non risulta che la ricorrente si sia in alcun modo attivata”).

Avverso la predetta decisione veniva proposto appello dalla società Oasi, insistendo nel sostenere l’invalidità dei provvedimenti impugnati e concludendo per il loro annullamento, in riforma della sentenza appellata.

La sentenza di primo grado è stata integralmente riformata dai Giudici del Consiglio di Stato. Con sentenza del 17 maggio 2017, n. 2337, il Supremo Collegio ha affermato l’illegittimità e l’inefficacia dell’'ordine di demolizione laddove riguardi un immobile sottoposto a sequestro penale, poiché il destinatario dell'ordine si trova nell'impossibilità giuridica di eseguire la demolizione.

3. La motivazione del Consiglio di Stato.

La quaestio presentata ai Giudici d’appello richiede di stabilire se, i provvedimenti sanzionatori adottati sulla base dell’omessa esecuzione di presupposti ordini di demolizione (o di riduzione in pristino), sono validi ed efficaci anche nel caso in cui il bene sia sottoposto a sequestro penale.

Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ha stabilito che, quando il bene sia sottoposto a sequestro, il destinatario dell'ordine si trova nell'impossibilità giuridica di eseguire la demolizione, poiché l'ordine è privo di un elemento essenziale, ossia della possibilità giuridica dell'oggetto del comando.

In mancanza di un elemento essenziale dell’atto, lo stesso, deve ritenersi affetto dal vizio di nullità, ai sensi dell'articolo 21-septies della Legge 7 agosto 1990, n. 241[1], e quindi, radicalmente inefficace.

Con la pronuncia in esame, il Collegio ha ritenuto di allontanarsi dal prevalente indirizzo giurisprudenziale, sia amministrativo (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 28 gennaio 2016, n.283), che penale (Cass. Pen., sez. III, 14 gennaio 2009, n.9186) secondo cui la pendenza di un sequestro non rappresenta un impedimento assoluto all'attuazione dell'ingiunzione di demolizione, poiché il destinatario dell'ordine potrebbe chiedere il dissequestro del bene, al fine di procedere alla demolizione (Consiglio di Stato, sentenza del 28 gennaio 2016, n. 283; Cassazione, sentenza del 14 gennaio 2009, n. 9186).

Tale assunto è stato respinto per diversi motivi.

Innanzitutto, l'eseguibilità dell'ingiunzione non può essere ricondotta ad una eventualità futura, astratta ed indipendente dalla volontà dell'interessato (ossia alla decisione del giudice penale), ma deve sussistere già al momento genetico dell’ordine, pena l'illegittimità dell'atto.

Occorre precisare che, nessuna norma giuridica impone al privato l’obbligo di chiedere il dissequestro al fine di poter effettuare la demolizione. Si tratta di una condotta priva di qualsiasi fondamento giuridico.

In realtà si fa riferimento ad un "dovere di collaborazione" ideato dalla giurisprudenza, trascurando che l'articolo 23 della Costituzione vieta ogni prestazione che non sia preventivamente stabilita dalla legge.

La possibilità di richiedere il dissequestro dovrebbe rappresentare una scelta processuale dell'indagato, il quale, per sua precisa strategia difensiva, potrebbe avere interesse a conservare l'immobile.

Dunque, l’ingiunzione prescrive un obbligo di facere inesigibile, poiché rivolto alla demolizione di un immobile che è stato sottratto alla disponibilità del destinatario del comando (il quale, se eseguisse l’ordinanza, commetterebbe il reato di cui all’art. 334 c.p.[2]).

Inoltre, si aggiunga che, le misure contemplate dall’art. 31, commi 3 e 4-bis, del d.P.R. n.380 del 2001, hanno carattere sanzionatorio. Affinché possano essere validamente applicate necessitano della colpa del destinatario dell’ingiunzione rimasta ineseguita, in ossequio ai canoni generali ai quali deve obbedire ogni ipotesi di responsabilità.

Sennonché, nei casi come quello in esame, non è possibile individuare  alcun profilo di rimproverabilità nella condotta inerte del destinatario dell’ordine, poiché si trova nell’impossibilità di eseguire il comando in presenza di un altro provvedimento giudiziario, che gli ha sottratto la disponibilità giuridica e fattuale del bene.

Ebbene, l’irrogazione di una sanzione per una condotta che non può in alcun modo essere soggettivamente ascritta alla colpa del soggetto colpito dalla sanzione stessa, non può che essere giudicata illegittima per il difetto del necessario elemento psicologico della violazione.

In conclusione, è invalido e, comunque, inefficace, l'ordine di demolizione, e i conseguenti provvedimenti sanzionatori, di un immobile abusivo colpito da sequestro penale.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1]“È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”.
[2]“Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa sottoposta a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall'autorità amministrativa e affidata alla sua custodia, al solo scopo di favorire il proprietario di essa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a cinquecentosedici  euro.Si applicano la reclusione da tre mesi a due anni e la multa da trenta euro a trecentonove euro, se la sottrazione, la soppressione, la distruzione, la dispersione o il deterioramento sono commessi dal proprietario della cosa, affidata alla sua custodia. La pena è della reclusione da un mese ad un anno e della multa fino a trecentonove euro, se il fatto è commesso dal proprietario della cosa medesima non affidata alla sua custodia”.