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Pubbl. Lun, 11 Set 2017

Qual è la natura giuridica dell´interdittiva antimafia?

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Alessandra Inchingolo


Tutelare la libera concorrenza tra le imprese e il buon andamento della P.A. è possibile grazie all´interdittiva antimafia che verifica e accerta affidabilità e assenza di legami con la criminalità organizzata delle imprese con cui la stessa pubblica amministrazione ha rapporti.


L’informazione antimafia è una misura volta a tutelare la libera concorrenza tra le imprese e il buon andamento della pubblica amministrazione che, a tal proposito, ha interesse a poter verificare ”affidabilità” e “moralità” delle imprese con le quali stipula rapporti contrattuali, come le concessioni demaniali, ivi incluse quelle che operano in subappalto, sin dall’avvio delle procedure di gara. 

L’art. 94 del codice antimafia stabilisce che, in presenza di un “pericolo di infiltrazione mafiosa” all’interno dell’impresa, viene precluso ogni rapporto con l’Amministrazione ovvero la possibilità di accedere a benefici economici, con conseguente revoca dell’aggiudicazione o, se la stipula negoziale è già intervenuta, della risoluzione del contratto, e può portare anche alla restituzione delle erogazioni già percepite: tale obbligo si applica anche ai casi in cui l’informativa antimafia viene trasmessa successivamente alla stipula del contratto (Consiglio di Stato n. 3247 del 2016 e del Tar Catanzaro n. 1808 del 2016), salvo casi particolari, come quello disciplinato dall’art. 32, comma 10, del decreto legge n. 90/2014, che affida alla prefettura l’autorizzazione al completamento dell’esecuzione del contratto e la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, o la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici (Consiglio di Stato n. 3400 del 2016 e del Tar Catania n. 25 del 2017). 

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3633/2016, e il Tar Liguria, con sentenza n. 978/2016, con riferimento alle aziende sottoposte a commissariamento per interdittiva antimafia o ad amministrazione straordinaria a seguito di sequestro giudiziario, hanno precisato che la nomina del nuovo amministratore giudiziario non preclude la partecipazione ad appalti pubblici limitatamente alle gare indette posteriormente alla nomina stessa (misura volta proprio a recidere i legami dell’azienda con i gruppi criminali), altrimenti va presunta l’indebita influenza sull’esito della procedura di gara.

L’art. 83 del D.Lgs. n. 159/2011 obbliga le Amministrazioni a verificare l’assenza del pericolo di infiltrazione mafiosa per i contratti di importo superiore a 150 milioni di euro e per alcune tipologie di lavori, ritenute come "maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa" anche al di sotto di tale soglia, fatta salva la facoltà della stessa Amministrazione di richiedere la documentazione antimafia anche per gare di più modesto valore, in tal senso si è pronunciato il Tar Lecce con sentenza n. 1005/2016.

Due sentenze del Consiglio di Stato, la n. 3300 e la 3566 del 2016, hanno statuito che l’Amministrazione inoltre è obbligata ad uniformarsi alle risultanze degli accertamenti della prefettura, in quanto la legge è “volta ad evitare radicalmente l’erogazione di risorse pubbliche a soggetti esposti ad infiltrazioni di tipo mafioso, e che pertanto mal tollera che ciò possa avvenire solo entro determinati limiti quantitativi”, ragion per cui risulta legittimo il provvedimento di sospensione delle erogazioni assunto da un’Amministrazione, in attesa della verifica da parte della prefettura in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa (Tar Lazio n. 2692/2017).

Le imprese sono tenute a fornire tutti i dati necessari all’espletamento delle verifiche antimafia. Tuttavia, il codice antimafia all’art. 100 evidenzia come anche per le amministrazioni sciolte per infiltrazioni mafiose sia disposto l’obbligo di acquisire, nei cinque anni successivi allo scioglimento, l’informazione antimafia precedentemente alla stipulazione, all’approvazione o all’autorizzazione di qualsiasi contratto o subcontratto, ovvero precedentemente al rilascio di qualsiasi concessione o erogazione indicati nell’articolo 67 indipendentemente dal valore economico degli stessi.

Tenendo presente quello che ormai è divenuto un orientamento ormai consolidato, grazie alle due sentenze con cui il Consiglio di Stato si è pronunciato, la 4121/2016 e la 739/2017, l’informativa prefettizia che accerti il pericolo di infiltrazione mafiosa ha una validità indeterminata nel tempo, salvo che emergano fatti nuovi e negativi, mentre il termine di 12 mesi indicato dall’art. 86, comma 2, va inteso come obbligo per le singole amministrazioni di richiedere nuovamente la documentazione antimafia, una volta trascorsi 12 mesi dalla precedente informativa, al fine di verificare l’attualità dell’esistenza del pericolo di infiltrazioni dell’azienda interessata.

Al fine di garantire una maggior efficienza del sistema la legge n. 190 del 2012 (art. 1, commi 52 e ss.) ha istituito presso ogni prefettura dell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, una sorta di white list finalizzata a rendere più efficaci i controlli antimafia nei comparti maggiormente a rischio quali noli a caldo, movimentazione terra, trasporto e smaltimento rifiuti, etc., in pratica una certificazione dell’insussistenza delle cause ostative alla partecipazione alle procedure di affidamento di appalti pubblici ed alla stipula dei relativi contratti.

Le prefetture hanno un ruolo attivo nella verifica dei presupposti per l’iscrizione delle aziende nella white list, anche perché è supportata nel ruolo dell’istruttoria dalla Direzione investigativa antimafia al servizio di tutte le altre Amministrazioni pubbliche, che devono conseguentemente adeguare la propria azione alle risultanze dell’interdittiva, senza poter svolgere alcuna attività discrezionale

Si osservi però che la interdittiva antimafia altro non è se non una misura di carattere preventivo ed esula dall’accertamento di eventuali responsabilità penali, si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale, poiché risponde alla logica che ispira il codice antimafia che è quella di prevenire un pericolo grave e non già quella di punire, nemmeno in via indiretta, una condotta penalmente rilevante.

Affinchè venga emanata un’interdittiva è sufficiente il “tentativo di infiltrazione” utile a condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato, così come usualmente si caratterizza il metodo mafioso, che fa suoi gli strumenti della intimidazione, dell’influenza e del condizionamento latente di attività economiche apparentemente lecite.

Sulla scorta di quanto appena detto, gli elementi alla base dell’informativa possono anche non essere oggetto di procedimenti penali, poichè il pericolo di un’infiltrazione mafiosa può essere accertato anche soltanto sulla scorta di una prova che lo renda probabile, senza necessità del massimo grado di certezza dei suoi presupposti.

E’ opportuno altresì chiedersi quali siano le caratteristiche di una relazione prefettizia.

Sul punto il Consiglio di Stato punta a rimarcare l’importanza di una visione globale di tutti gli elementi raccolti nel corso dell’istruttoria, atti a dimostrare in modo plausibile l’effettiva sussistenza del condizionamento esercitato dai gruppi criminali sulla singola azienda, aldilà del valore da attribuire al singolo accadimento. Pertanto l’eventuale carenza o l’insufficienza d’un dato non inficia la valutazione complessiva, se controbilanciato dalla presenza di altri che, nel loro insieme, siano precisi e univoci nel testimoniare il pericolo d’infiltrazione. Spetta al giudice amministrativo, in sede di sindacato di legittimità, valutare la complessiva logicità e coerenza della relazione. Analizzando i dati sulle decisioni più recenti di Tar e Consiglio di Stato, relative al 2016-inizio 2017, si evidenzia che le argomentazioni contenute nelle relazioni prefettizie reggono al vaglio del giudice amministrativo oltre l’80 per cento circa dei ricorsi discussi e la percentuale si alza ulteriormente considerando soltanto le sentenze definitive del Consiglio di Stato (in controtendenza, almeno limitando l’esame alle sole ordinanze dei primi mesi del 2016, appare la giurisprudenza del Consiglio per la giustizia amministrativa della regione siciliana: meno del 50 per cento delle richieste di sospensiva delle imprese sono respinte).

Quali però gli indici rivelatori di una presenza mafiosa?

Tra le fattispecie rivelatrici di una infiltrazione mafiosa, il codice antimafia per esempio individua la condanna per taluni delitti o la mancata denuncia di delitti di concussione e di estorsione da parte dell’imprenditore, vedi l’art. 84, comma 4, lett. a) e l’art. 91, comma 6.
In questi casi (caratterizzati da un particolare interesse delle organizzazioni di stampo mafioso, e che destano maggiore allarme sociale) la presenza di legami con la criminalità organizzata è data per presupposta dal legislatore, salva ovviamente la prova contraria: il Consiglio di Stato (sentenze nn. 981 e 982 del 2017, di riforma delle sentenze del Tar Lazio nn. 8064 e 8059 del 2014) sottolinea infatti anche in questi casi la natura discrezionale dell’attività della prefettura “che deve fondarsi su di un autonomo apprezzamento degli elementi delle indagini svolte, o dei provvedimenti emessi in sede penale, senza istituire un automatismo tra l’emissione del provvedimento cautelare in sede penale e l’emissione dell’informativa ad effetto interdittivo”. Orientamento ribadito di recente (sentenza Consiglio di Stato n. 1315 del 2017) con riferimento ad un’ipotesi di traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 260 del D.L.vo n. 152 del 2006.

Anche il Consiglio di Stato individua un’ampia casistica degli elementi-spia che evidenziano una condizione di potenziale soggezione o condizionamento dell’azienda rispetto alle attività delle organizzazioni di stampo mafioso.

Sovente accade che le organizzazioni criminali di stampo mafioso escogitino svariate modalità per esercitare il loro condizionamento sull’impresa, anche contro la volontà del singolo; dunque al fine di consolidare la propria presenza nel mondo dell’economia e degli appalti, attraverso l’uso di prestanome, esercitano attività imprenditoriali di reinvestimento di proventi illeciti, tentando di eludere i provvedimenti giudiziali posti a loro carico. Pertanto si viene a creare una fitta rete di rapporti tanto con soggetti affiliati quanto con soggetti che ad esse si legano per timore per la propria sopravvivenza o per quella dell’azienda. A tal proposito si spiega l’ampio margine di discrezionalità lasciato al Prefetto proprio per ovviare all’impossibilità di indicare a priori tutte le modalità con cui i tentativi di infiltrazione mafiosa si realizzano nella pratica.

La relazione può fondarsi anche su un unico elemento presuntivo, purché non in contrasto con altro ragionamento presuntivo di segno contrario, atto a dimostrare, per la sua attualitàunivocità e gravità, il pericolo concreto di infiltrazione mafiosa nell’impresa.

In questo contesto, una particolare rilevanza assumono innanzitutto le circostanze desumibili dalle sentenze di condanna, anche non definitiva, confermata in appello, o di rinvio a giudizio per particolari delitti precisati dall’art. 84 del Codice antimafia, in quanto tali imputazioni hanno anche valore sintomatico dell’inquinamento della criminalità organizzata: in caso di condanna l’interdittiva antimafia scatta in modo automatico (cfr. sentenza del Consiglio di Stato n. 4555 del 2016), mentre il semplice deferimento all’Autorità giudiziaria può comunque costituire un elemento, all’interno delle valutazioni della Prefettura, dei tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzare (vedi sentenza del Tar Catanzaro n. 1801 del 2016). 

Naturalmente il giudice amministrativo non potrà sostituirsi a quello penale nella valutazione dei fatti penalmente rilevanti e nella valutazione delle fonti di prova (Tar di Napoli n. 107 del 2016, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 3583 del 2016). Tali sentenze assumono valore ai fini dell’interdittiva “anche se risalenti nel tempo”, quando gli elementi raccolti dal Prefetto siano sintomatici di un condizionamento attuale dell’attività dell’impresa: il mero decorso del tempo non smentisce, da solo, la persistenza di legami con organizzazioni mafiose, tenuto anche conto della natura stessa di tali organizzazioni criminali, caratterizzate dalla durevolezza dei rapporti che esse instaurano con il mondo imprenditoriale (vedi sentenza del Tar Napoli n. 4274 del 2016). Occorre, pertanto, che sussistano elementi da cui si ricavi che i legami con organizzazioni mafiose, pur risalenti nel tempo, siano ancora connotati da attualità (in questo senso cfr. la sentenza del Consiglio di Stato n. 441 del 2017, di riforma della sentenza del Tar Veneto n. 608 del 2016, che evidenzia “l’indiscutibile linea di continuità diretta ed immediata” tra la vecchia gestione e la nuova; vedi anche  n. 1681 del 2016 e le sentenze del Tar di Napoli nn. 2104 e 4850 del 2016; vedi anche gli elementi raccolti della prefettura a conferma di una precedente interdittiva, richiamati dalla sentenza del Tar Calabria n. 1330 del 2016, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1131 del 2017). Anche in caso di assoluzione, le motivazioni addotte dal giudice penale potrebbero essere comunque utilizzate per confermare la validità dell’impianto accusatorio dell’interdittiva (vedi al riguardo la sentenza del Tar Catanzaro n. 1619 del 2016 e quella del Consiglio di Stato n. 4030 del 2016).

L’esito assolutorio in sede penale potrà ovviamente influire sulla sorte dell’interdittiva nel caso in cui non sussistano altri elementi atti a dimostrare l’esistenza del condizionamento mafioso. Le nuove emergenze giudiziarie potranno portare, su richiesta dell’interessato, anche ad una revisione della prima interdittiva.

Peraltro, l’assoluzione per prescrizione del reato non è sufficiente a smentire la validità dei fatti addebitati (Consiglio di Stato n. 681 del 2016 e n. 2756 del Tar di Napoli), laddove dalle motivazioni della sentenza emergano elementi in ordine al pericolo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali. Il procedimento penale deve comunque riguardare un soggetto che svolga funzioni di rilievo all’interno della società (cfr. sul punto le sentenze del Tar Lazio nn. 2279 e 2882 del 2016).

Assumono altresì rilevo anche le misure di prevenzione antimafia per i delitti espressamente elencati dall’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., senza cioè che siano necessari ulteriori accertamenti istruttori a supporto della tesi del pericolo di infiltrazione mafiosa (sul punto vedi la sentenza del Consiglio di Stato n. 1632 del 2016, di riforma della sentenza del Tar di Napoli n. 3661 del 2015, relativa ad un’interdittiva basata su di un traffico illecito di rifiuti, proprio in considerazione del disvalore sociale e della portata del danno ambientale propri di tale reato; vedi anche la sentenza dello stesso Consiglio di Stato n. 1109 del 2017).

Ma alla base dell’interdittiva assumono in generale valore tutti i provvedimenti del giudice penale, civile, amministrativo, contabile, tributario, dalla cui motivazione emergano elementi di condizionamento delle associazioni malavitose sull’attività dell’impresa oppure agevolazioni, aiuto, supporto, anche solo logistico, che questa abbia fornito a tali associazioniAnche una condanna per il reato di “voto di scambio”, senza l’aggravante mafiosa, può essere considerata sintomatica della disponibilità a venire a patti con un gruppo criminale, ed ottenere così benefici in cambio dell’appoggio elettorale (Consiglio di Stato n. 3574 del 2016).

Recentemente, proprio il Consiglio di Stato si è pronunciato sulle c.d. “informative a cascata”, cioè sulla possibilità di estendere l’utilizzo di un’informativa antimafia legittimamente emessa nei confronti di un’azienda anche nei confronti di un’altra impresa socia della prima (ad esempio in un consorzio di imprese).
Il massimo giudice amministrativo – sciogliendo anche in questo caso i problemi emersi in sede giurisprudenziale (vedi per tutte la sentenza del Tar Roma n. 11249 del 2015) – sottolinea a tale riguardo la necessità che i rapporti tra le due imprese non siano episodici, ma siano invece stabili e continuativi, in quanto natura, consistenza e contenuti delle modalità di collaborazione tra le due imprese devono essere idonei a rivelare il carattere illecito dei legami stretti tra i due operatori economici (sentenza n. 2774 del 2016, di riforma della sentenza n. 8690 del 2015 del Tar Roma – orientamento confermato dalla successiva sentenza n. 1103 del 2017; vedi anche, in attuazione di tale principio, la sentenza del Tar di Catania n. 2750 del 2016, la cui esecutività è stata peraltro sospesa con ordinanza n. 765 del 2016 del Consiglio per la giustizia amministrativa per la regione siciliana).
Il Tar Emilia Romagna pone in risalto, a tale proposito, il fatto che due amministratori della società oggetto della nuova interdittiva erano stati amministratori delle due società in passato colpite da analogo provvedimento: ed il fatto che attualmente esse siano in amministrazione giudiziaria non consente di escludere che le infiltrazioni mafiose si siano già verificate (sentenza n. 1027 del 2016). Su un caso di assenza dei presupposti individuati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato vedi invece la sentenza del Tar Roma n. 4778 del 2017.

Anche le variazioni strutturali dell’impresa (ad esempio le sostituzioni negli organi sociali e nella rappresentanza legale della società, gli spostamenti della sede legale od operativa in zone apparentemente esenti dall’influsso mafioso, gli aumenti di capitale sociale finalizzati a garantire il controllo della società sempre da parte degli stessi soggetti, etc.) se attuate al fine di dissimulare il reale assetto gestionale ed eludere la normativa sulla documentazione antimafia, come ad esempio, la perdita della carica di amministratore di una società, affidata peraltro a familiari, da parte di un soggetto che mantiene il ruolo di socio accomandante, lascia presumere che il controllo dell’azienda rimanga nelle sue mani (sentenza del Consiglio di Stato n. 1443 del 2017). Anche la presenza di sedi legali fantasma, o la presenza di prestanome nelle cariche sociali, o il ricorso con il subappalto, ad altre imprese controllate dai gruppi mafiosi possono costituire validi indizi di infiltrazione mafiosa.

Tutto ciò al precipuo scopo di garantire che le imprese che hanno rapporti con la Pubblica amministrazione, infatti, siano altamente affidabili "non solo nella selezione di amministratori e soci, ma anche dei dipendenti, e devono vigilare affinché nella loro organizzazione non vi siano dipendenti risultati contigui al mondo della criminalità organizzata” (Consiglio di Stato n. 3299 del 2016, di riforma di una sentenza del Tar di Reggio Calabria).