Pubbl. Gio, 12 Feb 2015
Lo sviluppo sostenibile
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Uno studio sulle criticità dell´evoluzione industriale e i rimedi approntati dalla società civile.
Gli effetti negativi dello sviluppo civile sull’ambiente sono riconosciuti come una delle principali criticità del nostro tempo, soprattutto in previsione di quello che potrà essere il futuro della società civile.
La nascita e l’evoluzione del concetto di sviluppo sostenibile, nel senso di considerare possibile uno sviluppo civile che metta tra le sue priorità la conservazione della Terra (in termini di elementi naturali, di clima, di civiltà, di progresso, ecc.), sono conquiste recenti; il loro divenire è caratterizzato da eventi significativi la cui interpretazione aiuta a comprendere la portata delle “rivoluzioni”, in atto e paventate, nei diversi settori delle attività umane.
L’analisi dei limiti della crescita economica/tecnologica della nostra civiltà è iniziata negli anni ‘60/’70 del XX secolo, prima da parte dei piccoli gruppi di “intellettuali” rappresentativi di diversi settori d’interesse e poi da parte di organizzazioni influenti nei riguardi delle politiche internazionali.
Il primo documento accettato a livello internazionale è The limits to growth ( I limiti dello sviluppo) redatto come resoconto finale di uno studio elaborato da ricercatori del Massachusetts Istitute of Technology (MIT) Di Boston su commissione dei membri del c.d. Club of Rome (Club di Roma).
In questo documento, grazie all’applicazione di un modello teorico-matematico, si disegnano per la prima volta possibili scenari previsionali di quello che sarebbe avvenuto sul pianeta se non si fossero cambiate le regole di base che stavano governando la crescita della rivoluzione industriale del XIX secolo e se non si fosse avviata una nuova rivoluzione denominata rivoluzione sostenibile.
Il termine sostenibile, allora introdotto nel testo, si rivelò determinante ai fini della riscoperta di quei principi comportamentali e decisionali che, attraverso l’applicazione di regole istintive, avevano virtuosamente governato, almeno da questo punto di vista, la storia della civiltà preindustriale. Questa riscoperta si è concretizzata in modo graduale e affatto scontato.
Negli stessi anni della redazione del documento del Club di Roma si tiene a Stoccolma (1972) la prima conferenza sul clima organizzata dall’ ONU. I Paesi partecipanti analizzano le inevitabili relazioni tra azioni compiute dall’uomo e ambiente e, per coordinare e promuovere le iniziative dell’ONU sulle questioni ambientali, istituiscono l’UNEP (United Nations Environment Programme).
Un altro evento riconosciuto fondamentalmente è la fondazione, ancora da parte delle Nazioni Unite, della Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo (World Commission on Environment and Development, WCED). Nel 1987, a Ginevra, il presidente della Commissione sottoscrive il documento finale di una conferenza, Our common future (Il nostro comune futuro), ove viene definito il concetto di sviluppo sostenibile:
“Lo sviluppo sostenibile è quello capace di soddisfare le necessità attuali senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare le proprie”.
Nel documento compaiono alcune analisi dello stato di fatto del pianeta e alcune proposte per una politica, di respiro internazionale, volta a controllare i cambiamenti negativi della Terra. Da tali proposte emergono alcuni concetti ritenuti basilari nell’ottica della sostenibilità:
- Il pianeta si sta degradando con tempi sempre più rapidi;
- le risorse a disposizione non sono infinite, in particolare si fa riferimento alle risorse non rinnovabili;
- i problemi del nostro pianeta devono essere affrontati a livello globale con interventi interdisciplinari e internazionali;
- è necessario fare scelte in base alla capacità di carico (carrying capacity), ossia alla capacità dell’ambiente di fornire le necessarie risorse per le attività umane tenendo conto delle conseguenze negative che tali attività hanno sull’ambiente stesso.
Tra i risultati diretti della conferenza di Ginevra vi è la fondazione, nel 1988, da parte dell’UNEP e del WMO (World Meteorological Organization), dell’IPPC (Intergovernative Panel on Climate Change); questo soggetto diventa l’organo ufficiale per la raccolta mondiale di dati e per la elaborazione delle analisi tecniche-scientifiche sui cambiamenti del clima e sulle potenziali conseguenze in ambito ambientale e socio-economico. I primi risultati relativi alle analisi sui cambiamenti climatici sono presenti nella II Conferenza mondiale dell’ambiente e dello sviluppo organizzato dalle Nazioni Unite (United Nations Conference on Environment and Development, denominato anche Eart Summit) tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992.
Questa conferenza costituisce un’ulteriore ed importante capitolo nell’evoluzione del principio di sviluppo sostenibile. Durante i lavori, infatti, viene proposto alle nazioni partecipanti di sottoscrivere la Convention on Climate Change (Convenzione sui Cambiamenti Climatici) che fissa i principi dello sviluppo sostenibile che guideranno i successivi vertici mondiali tematici. In particolare viene scritta la Rio Declaration (Dichiarazione di Rio) e viene redatta l’Agenda 21.
Nella Dichiarazione sono emanati 27 principi su cui dovranno basarsi le future decisioni delle parti in materia di ambiente e sviluppo.
Alcuni di questi principi sono di particolare interesse anche per il settore delle costruzioni:
- l’uomo, la sua salute e il suo sviluppo devono essere al centro di ogni azione; va tenuto conto, però, delle esigenze dell’ambiente naturale che deve essere protetto nel presente e per le generazioni future;
- si deve introdurre la pratica di valutazione dell’intero ciclo di vita dei materiali e dei prodotti inserendo come variabile di valutazione la relativa stima di impatto ambientale. Di conseguenza va promosso l’uso delle materie prime e delle energie più adatte a minimizzare tale impatto;
- si deve incentivare la conoscenza, la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’applicazione di nuove tecnologie volte a promuovere lo sviluppo sostenibile del Pianeta.
L’Agenda 21 è un documento in cui, con proiezione al XXI secolo, sono decretati principi, obiettivi e azioni per promuovere lo sviluppo sostenibile in termini sociali, ambientali ed economici.
Il documento è suddiviso in quattro sezioni che sintetizzano gli argomenti fondamentali del programma sottoscritto dalle parti nella Dichiarazione di Rio:
- dimensioni economiche e sociali;
- conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo;
- rafforzamento del ruolo delle forze sociali;
- strumenti di attuazione.
Sempre nell’ambito della Conferenza di Rio è stato fondato l’organo ufficiale per coordinare le azioni della Convenzioni delle Parti, l’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change).
A partire dal Summit di Rio de Janeiro si sono susseguite numerose Conferenze delle Parti (COP, Conference Of Parts) che hanno promosso le più importanti decisioni per il progetto mondiale di sviluppo sostenibile. La prima conferenza, la COP-1, si è tenuta a Berlino nel 1995; la conferenza ritenuta fondamentale, per le potenziali conseguenze delle decisioni assunte, è stata sicuramente la COP-3 tenutasi a Kyoto nel 1997. A Kyoto si approva il c.d. Protocollo di Kyoto che fissa le regole per raggiungere, nel periodo di adempimento 2008-2012, un risultato fondamentale: ridurre le emissioni di gas ad effetto serra nella misura media di almeno il 5% rispetto ai livelli raggiunti nel 1990. Durante la COP-3 il Protocollo viene ratificato da 109 Nazioni. Il numero non è sufficiente per raggiungere il 55% delle emissioni totali causate dalle attività degli Stati responsabili; la percentuale sarà raggiunta grazie alla ratifica da parte della Russia durante il COP-10 di Buenos Aires. Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio del 2005.
L’ entrata in vigore del Protocollo apre due distinte linee di azione: da una parte si continua a lavorare per raggiungere i risultati fissati e si progettano nuove forme di sviluppo planetario a partire dal 2012; dall’altra si gestiscono, a livello europeo, nazionale e locale, le conseguenze direttamente collegate agli esiti pratici del Protocollo.
Nel settore delle costruzioni, considerato tra quelli maggiormente responsabili dei cambiamenti climatici, le Commissioni Europee hanno delineato le regole più significative con la direttiva 2002/91/EC che, in pratica, è una “traduzione” dei principi del Protocollo che tiene conto delle esigenze specifiche dell’Unione Europea e delle caratteristiche del settore delle costruzioni. Tale direttiva considera gli aspetti riguardanti il risparmio energetico e l’efficienza energetica nelle costruzioni, in quanto ambiti ad ampio margine di miglioramento per la riduzione dei fabbisogni energetici.
L’Italia è da considerarsi un Paese all’avanguardia sulle questioni energetiche per le costruzioni. La L. 10/1991(Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia) entra in vigore anni prima della stesura del Protocollo di Kyoto e contiene molte di quelle regole inserite nella Direttiva Europea. Tale legge nazionale è stata modificata, per tenere conto dei principi introdotti dalla Direttiva europea, con due successivi Decreti Legislativi (il 192/2005 e il 311/2006) che sono da considerarsi ulteriori traduzioni dei principi fissati dal Protocollo di Kyoto per quanto mediati dalla 2002/91/EC e “nazionalizzati” sulle specifiche esigenze italiane. Alcune regioni italiane hanno precisato le regole per l’efficienza energetica fissando normative attuative per l’applicazione a livello locale.
Ritornando al contesto internazionale, va ricordato che le Conferenze delle Parti sono continuate e che ogni nuovo appuntamento ha aggiunto qualcosa ai risultati ottenuti nella COP-3 (la conferenza COP-15 si è tenuta a Copenaghen nel 2009). Dal punto di vista del monitoraggio, i dati disponibili su cambiamenti climatici e uso delle risorse naturali sono notevolmente aumentati grazie alle registrazioni effettuate dalle diverse agenzie internazionali fra cui, in particolare, l’IEA (International Energy Agency) e l’IPCC. Tali dati mostrano ulteriori cambiamenti, in positivo e in negativo, certamente condizionati dalla crisi economica globale iniziata nel 2007. Da una parte si assiste a una parziale riduzione di emissioni CO2, dall’altra si tracciano previsioni assai negative stante la mancanza di efficaci provvedimenti.
Il raggiungimento di risultati positivi tali da ricreare buone condizioni ambientali implica forti investimenti in diversi settori (tra cui, per importanza, emerge anche il settore delle costruzioni).
Riprendendo la definizione più diffusa fornita nel 1987 dalla Commissione Indipendente sull’Ambiente e lo Sviluppo (World Commission on Environment and Development):
”L’umanità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di far sì che esso soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità delle generazioni future di rispondere ai loro”.
La sostenibilità è, da intendersi non come uno stato o una visione immutabile, ma piuttosto come un processo continuo, che richiama la necessità di coniugare le tre dimensioni fondamentali e inscindibili dello sviluppo: Ambiente, Economia e Sociale. Appare indispensabile garantire uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi, operante quindi in regime di equilibrio delle tre “E” : Ecologia, Equità, Economia. Ne deriva, dunque, che il perseguimento dello sviluppo sostenibile dipende dalla capacità della governance di garantire una interconnessione completa tra economia, società e ambiente.
Concludo con questa frase, condivisibile o meno: "Occorre guardare il mondo con lo sguardo di Dio, così contribuiremo a salvarlo con i talenti che ci sono donati".
A cura di Michela Cavallo