• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Ven, 28 Apr 2017

I poteri del giudice amministrativo sugli atti di pianificazione urbanistica

Modifica pagina

Fiorella Floridia


La giurisprudenza granitica del Consiglio di Stato. Le scelte operate dalla Pubblica Amministrazione, in tema di pianificazione urbanistica sono sottratte al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, se non per manifesta illogicità ed irragionevolezza.


Sommario. 1. L’urbanistica: la nozione e l’evoluzione normativa. 2. Gli atti di pianificazione urbanistica. 3. Il Piano regolatore generale. 4. La motivazione del Piano regolatore generale. 5. Il potere del Giudice amministrativo sugli atti di pianificazione urbanistica.

1. L’urbanistica: la nozione e l’evoluzione normativa

Nell’ordinamento giuridico italiano l’urbanistica nasce come disciplina avente ad oggetto lo sviluppo e l’assetto dei centri abitati. La prima normativa unitaria si ebbe con la cd. Legge Urbanistica (17 agosto 1942, n. 1150) avente lo scopo di garantire “L’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere”. In prosieguo  di tempo, con le L. nn. 765/67 (cd. Legge Ponte) e 1187/68, l’attenzione del nostro legislatore è andata oltre, andando ad occuparsi anche del territorio, comprendendo la “sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato” e della “tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici”. La materia del “governo del territorio”, in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione, è stata inclusa tra quelle di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, mentre non viene inserita la materia urbanistica tra quelle oggetto di potestà legislativa concorrente. L’urbanistica non viene inserita né tra le materie oggetto di legislazione concorrente ma neanche tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato. La dottrina ed anche la giurisprudenza ampiamente interrogatesi sui motivi di tale omissione, arrivarono a considerare il governo del territorio come “materia-funzione” o “fascio di funzioni”. Infatti nella lettura data dalla Consulta con due importanti pronunce il “governo del territorio” comprende:

“In linea di principio tutto ciò che attiene all’uso e alla localizzazione di impianti o attività” (1) e rappresenta “l’insieme della norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili dal territorio” (2).

La dottrina ha poi sottolineato che con la nozione di “governo del territorio”, il legislatore costituzionale abbia voluto riferirsi non solo ad un ambito di intervento ma anche ad una modalità di intervento, un nuovo modo di intendere il rapporto tra i differenti livelli istituzionali che operano nella gestione del territorio, che si estrinseca in una vera e propria “governance a rete”.

2. Gli atti di pianificazione urbanistica

La funzione di pianificazione urbanistica rappresenta la più significativa espressione dei pubblici poteri in materia di governo del territorio. La legislazione attuale prevede un’articolata gamma di piani urbanistici. Secondo un parere espresso in data 21 Novembre 1991 dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, questi possono distinguersi:

  1. quanto all’ampiezza del territorio: il loro ambito può essere regionale, provinciale, comunale, sub-comunale, di zona, sino ai limiti di piani di lottizzazione comprendenti un unico lotto;
  2. quanto ai rapporti di gerarchia: tendenzialmente la scala gerarchia corrisponde a quella dell’estensione dei rispettivi ambiti territoriali, in quanto i piani di minore estensione debbono rispettare le prescrizioni di quelli di  maggiore estensione;
  3. quanto agli effetti giuridici: alcuni piani regolano direttamente i comportamenti dei privati, altri invece, si dirigono all’autorità urbanistica ai fini dell’esercizio della potestà pianificatoria;

quanto ai soggetti ed alla natura giuridica: vi sono piani la cui iniziativa e formazione sono atti amministrativi autoritativi, in quanto sono riservate alla pubblica amministrazione; altri assumono la natura di atto negoziale tra privati e la P.A. Nell’ambito di questa esaustiva elencazione, può dirsi che il sistema della pianificazione urbanistica si articola nei seguenti tipi principali di piano:

a. piani territoriali di coordinamento regionali (PTR)  e provinciali (PTCP): costituiscono il primo livello della pianificazione urbanistica, avendo efficacia di orientamento ed indirizzo. Infatti, tracciamo le linee guida che i piani comunali devono rispettare.

b. piani regolatori generali intercomunali (PRGI): sono strumenti normativi che regolano l’attività edificatoria in un’area appartenente a comuni diversi. Sostanzialmente si traduce in un piano regolatore generale redatto da più comuni.

c. piani regolatori generali comunali: sono strumenti urbanistici che regolano l’attività edificatoria con riferimento alla totalità di un territorio comunale.

d. programmi di fabbricazione: possono definirsi come elementari piani regolatori dei comuni minori.

e. programmi pluriennali di attuazione (PPA): sono strumenti urbanistici che perseguono finalità di coordinamento dei piani attuativi di nuovi insediamenti o rilevanti strutturazioni urbanistiche; è il principale strumento di attuazione del piano regolatore generale e degli altri piani urbanistici.

f. piani particolareggiati di esecuzione (e piani di lottizzazione):è uno strumento urbanistico di attuazione dei piani regolatori generali, specificandone le destinazioni fino al dettaglio planivolumetrico.

g. piani speciali di zona (piani per l’edilizia economica e popolare): appartengono alla categoria dei piani particolareggiati, ma se ne distinguono per essere finalizzati all’espropriazione dell’intero territorio da essi considerato.                                 Il sistema di pianificazione urbanistico delineato si articola in una serie di     procedimenti di procedimenti per conferire un assetto ordinato al territorio. I piani di livello comunale e sub comunale sono di competenza dell’ente locale, ma sono soggetti all’approvazione dell’autorità statale. Al riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo di  sottolineare (3):

«Gli strumenti urbanistici sono retti dai principi di nominatività e tipicità secondo cui un’amministrazione locale non può adottare od approvare una figura di piano di organizzazione del territorio medesimo, che non corrisponda, per presupposti, competenze, oggetto, funzione ed effetti, ad uno schema già predeterminato, in via generale ed astratta, da una norma primaria dell’ordinamento statale o regionale; pertanto, gli unici strumenti urbanistici legittimamente applicabili sono solo quelli previsti – per nome, causa e contenuto – dalla legge; ne deriva che, al di fuori di un tale numero chiuso, l’amministrazione non può legittimamente introdurre qualsivoglia nuova categoria di strumento di pianificazione dell’assetto del territorio (nella specie, è stato affermato che le previsioni di «Zpu» – zone di progettazione unitaria – non rientrano in alcuno degli schemi pianificatori previsti dalla legislazione statale o regionale)”.»

3. Il Piano regolatore generale

Il piano regolatore generale è il principale strumento di pianificazione, mediante il quale l’amministrazione comunale determina le direttive per lo sviluppo urbanistico ed edilizio del suo territorio. Il suo contenuto può essere suddiviso in due grandi categorie. Il primo ambito riguarda la cd. “zonizzazione”, cioè la suddivisione del territorio comunale in aree omogenee in relazione  alla loro destinazione (abitativa, agricola et cetera) e la determinazione dei parametri relativi all’attività edilizia. Il secondo ambito ha ad oggetto la cd. “localizzazione” delle opere di urbanizzazione primaria (piazze, fognature et cetera) e  di urbanizzazione secondaria (chiese, scuole et cetera).  Il procedimento di formazione del Piano regolatore generale si compone di due fasi: una prima fase di competenza comunale, che si conclude con l’adozione del piano; una seconda di competenza regionale, invece, che si conclude con l’approvazione del piano. La fase di competenza regionale deve concludersi entro un anno dalla trasmissione del P.R.G. dal Comune alla Regione. Nelle more dell’approvazione del P.R.G., il Comune non può rilasciare titoli abilitativi edilizi che, anche se conformi al piano vigente, siano in contrasto con le prescrizioni del piano adottato ma non ancora approvato. Una volta intervenuta l’approvazione da parte della Regione, il P.R.G. può essere modificato attraverso il procedimento di variante. La possibilità di varianti si spiega in considerazione della possibilità di adeguare un piano alle mutevoli esigenze della collettività; in poche parole consentono di intervenire in modo più semplice e rapido con modifiche settoriali ad alcune zone del territorio. Il procedimento di formazione ha dato vita in dottrina ad un vivace dibattito in ordine alla natura del P.R.G.. Secondo una primo approccio ermeneutico, si tratta di un atto semplice, caratterizzato da due fasi procedimentali di spettanza di due autorità diverse. Invece, in base ad un altro orientamento, prevalente in dottrina ed in giurisprudenza, si tratta di un atto complesso, in quanto alla sua formazione prendono parte due enti distinti. Il Consiglio di Stato ha avuto modo di sottolineare (4) che si tratta di un “atto complesso ineguale”, poiché alla sua formazione ed approvazione concorrono due soggetti pubblici (il Comune e la Regione) a ciascuno dei quali è riconducibile una volontà tipizzata (rispettivamente adozione ed approvazione) e di conseguenza, con effetti giuridici autonomi e differenziati. E’ sorto un intenso dibattito in dottrina con riferimento alla natura giuridica del Piano regolatore generale. Una prima posizione ritiene che il P.R.G. abbia natura regolamentare e, quindi, normativa, perché sarebbe caratterizzato da previsioni generali ed astratte che trovano attuazione soltanto al momento dell’adozione dei piani attuativi. Un altro indirizzo, ne afferma la natura di atto amministrativo generale, sostenendo da un lato, che il Piano regolatore generale contiene vincoli e prescrizioni efficaci, caratterizzati da immediata lesività; dall’altro lato si nota, invece, che il P.R.G. indica direttamente i destinatari, a differenza degli atti regolamentari, giacché le prescrizioni in esso racchiuse riguardano beni immobili  determinati o determinabili. L’orientamento dominante, invece,  propende per una tesi intermedia, secondo la quale il P.R.G. rientra nel genus degli atti c.d. misti, contenenti sia previsioni di carattere programmatico, aventi natura normativa, sia previsioni di contenuto precettivo, cui, invece, va riconosciuta natura provvedimentale.

4. La motivazione del Piano regolatore generale

La motivazione delle scelte urbanistiche è una tematica assai complessa, perché da un lato strettamente collegata alla controversa questione sulla motivazione del provvedimento amministrativo, dall’altro caratterizzata da un orientamento granitico della  giurisprudenza amministrativa. Il Piano regolatore generale è uno strumento importantissimo nella pianificazione urbanistica del territorio, in quanto coinvolge una molteplicità di interessi, sia di natura pubblica ed anche privata, per la cui sintesi e soluzione le autorità pianificatrici godono di massima discrezionalità (5); è possibile, al riguardo, il rischio che possa tradursi in arbitrio, se non esercitata secondo parametri di ragionevolezza. In questo caso, sarebbe auspicabile la possibilità di motivare tali scelte, scongiurando ogni possibile rischio di imparzialità e ragionevolezza dell’agire amministrativo. Con riferimento al P.R.G., il significato garantistico dell’obbligo motivazionale è stato sminuito da un filone giurisprudenziale che ha sempre ribadito l’ampia discrezionalità in sede di pianificazione del territorio da parte della P.A. (6). E’ opinione consolidata in giurisprudenza che le scelte espresse attraverso lo strumento urbanistico generale, oltre che caratterizzate da ampia discrezionalità, rientrando nel genus degli atti amministrativi generali, sarebbero esentati dall’obbligo motivazionale, in forza di quanto previsto dall’articolo 3, comma II della L. n. 241/1990. Tale sottrazione all’obbligo motivazionale dipende, essenzialmente, dalla funzione che assolve nel nostro ordinamento giuridico la motivazione del provvedimento amministrativo. In tal senso, è stato affermato che poiché la P.A. possiede un potere autoritativo ed esecutorio di incidere negativamente sulla sfera giuridica del destinatario “di questa prerogativa, che la pone in condizioni di evidente superiorità sugli altri soggetti, l’Amministrazione deve non solo fare un uso legittimo, ma anche renderlo plausibile a coloro cui l’atto si indirizza: il che si raggiunge con l’esposizione dei motivi da cui si è lasciata guidare nell’ emanazione dell’atto” (7). La motivazione è strettamente legata alla lesività del provvedimento amministrativo e diventa strumento di garanzia delle diverse situazioni soggettive, permettendo a chi subisce effetti pregiudizievoli dell’esercizio del potere di comprenderne le relative ragioni. Come sottolineato dalla Corte Costituzionale:  “l’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell’azione amministrativa. Esso è radicato negli artt. 97 e 113 Cost., in quanto, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e d’imparzialità dell’amministrazione e, dall’altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale” (8). Gli atti amministrativi generali si rivolgono a destinatari determinabili solo ex post in sede di esecuzione e queste caratteristiche non sono individuabili, all’interno del P.R.G.. I destinatari dell’atto di pianificazione urbanistica sono individuabili, sia ex ante che ex post, a causa del rapporto che lega questi ultimi ai beni oggetto di conformazione, ma soprattutto il P.R.G. contiene tantissime prescrizioni conformative della proprietà od addirittura espropriative, con immediato effetto lesivo. Bisogna anche concludere che i piani urbanistici forniscano una dimostrazione a contrario del fatto che la ragione della dispensa motivazionale di tali atti risieda nella loro efficacia generale. Verificando che la natura giuridica di questo provvedimento, non può determinare l’esclusione dell’obbligo motivazionale, si può concludere che tale verifica deve essere condotta alla luce del diritto vivente, consolidatosi, a tal proposito, da una copiosa giurisprudenza, più volte espressasi su tale argomento.

5. Il potere del Giudice amministrativo sugli atti di pianificazione urbanistica

Le scelte effettuate dalla Pubblica Amministrazione in tema di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e quindi sottratte al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, se non per profili di manifesta illogicità ed irragionevolezza. Questa la posizione granitica del Consiglio di Stato sull’argomento in questione, di cui la IV sezione, con la sentenza n. 3806 del 5 settembre 2016 ha continuato a ribadire i principi già espressi dalla giurisprudenza in relazione all’esercizio del potere di pianificazione urbanistica ed alla natura della motivazione delle scelte in tal modo effettuate. Con la pronuncia in esame il Supremo Consesso ha avuto modo di sottolineare che le relative scelte effettuate dalla Pubblica Amministrazione possono essere oggetto di sindacato di legittimità da parte del Giudice amministrativo solo se caratterizzate da illogicità ed irragionevolezza. Per citare un esempio che renda concretamente il concetto appena espresso si può fare riferimento ad una sentenza emessa dal Consiglio di Stato, sez. IV, la n. 921 del 15 febbraio 2013: in tale pronuncia i giudici segnalavano un esempio di abnorme illogicità nell’ambito della trasformazione di un’area da “verde privato” a “parcheggio”, peraltro di ampie dimensioni, in una zona non praticabile essendo presente un canneto di valore naturalistico ed ambientale, con divieto di balneazione. Alla luce di quanto affermato dal Consiglio di Stato, essenziale  è come viene inteso il concetto di urbanistica, come più volte ribadito da altre pronunce (9): “Il concetto di urbanistica non è strumentale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in relazione alle diverse tipologie di edificazione, ma è volto funzionalmente alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente tutelati”. Insomma, il concetto di urbanistica, con riferimento agli atti di pianificazione, non ha ad oggetto esclusivamente la disciplina dell’edificazione di suoli, ma riguarda anche, il perseguimento degli obiettivi economico-sociali della comunità locale. Quindi tutte le volte in cui le scelte della Pubblica Amministrazione non siano caratterizzate da illogicità od irragionevolezza, il Giudice amministrativo non può incidere sulle valutazioni e decisioni effettuate di volta in volta dalla Pubblica Amministrazione, con riferimento agli atti di pianificazione urbanistica. Il Consiglio di Stato nella citata sentenza ha affermato quanto segue:

“Per granitico orientamento giurisprudenziale le scelte effettuate dall’Amministrazione in sede di pianificazione urbanistica di carattere generale (come quella qui in rilievo) costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità se non per profili di manifesta illogicità ed irragionevolezza, qui non rinvenibili".

 

Note e riferimenti bibliografici

  1. Corte Costituzionale, 7 ottobre 2003, n. 307.
  2.  Corte Costituzionale, 28 giugno 2004, n. 196.
  3.  Consiglio di Stato, sez. II, 10 dicembre 2003, n. 454.
  4.  Consiglio di  Stato, Ad. Plen., 9 marzo 1983, n. 1.
  5. In dottrina, è stato rilevato che, forse, proprio nella materia urbanistica si ha la discrezionalità più ampia che in qualsiasi altro ramo della pubblica amministrazione. In tal senso, P. STELLA RICHTER, Profili funzionali dell’urbanistica, Milano, 1984. D’altro canto, in giurisprudenza, si è ha affermato che “la pianificazione urbanistica, finalizzata all’ ordinato assetto complessivo del territorio, con tutte le attività che vi si svolgono, coinvolge una pluralità di interessi rispetto ai quali l’ordinamento non pone alcuna gradazione, né fissa criteri per la scelta. Ne deriva che rientra nell’ampia discrezionalità dell’amministrazione l’impostazione da dare alla pianificazione, soprattutto […] in relazione alle individuazioni delle aree da assoggettare al vincolo di piano ed all’assetto degli interessi collettivi da realizzare”: Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 1986, n. 582,
  6. In tal senso, si finisce col pregiudicare ancor di più il cittadino che, già leso dalle determinazioni pianificatorie, non è in grado nemmeno di comprendere il perché di siffatte scelte pregiudizievoli.
  7.  MIELE, L’obbligo di motivazione degli atti amministrativi.
  8. Corte Costituzionale, 5 novembre 2010, n. 310.
  9. Consiglio di  Stato, Sez. IV, n. 7492 del 2010