Pubbl. Ven, 21 Ott 2016
L´introduzione del Freedom of Information Act nella legge n. 124 del 2015
Modifica paginaDal need to know al right to know: novità, difficoltà e prospettive del Freedom of Information Act, dalla campagna digitale online all´implementazione di un nuovo strumento di trasparenza e partecipazione
Sommario: 1. Dal diritto di accesso previsto dalla legge 7 agosto 1990 n.241 al Freedom of Information Act; 2. La campagna digitale per il FOIA e la presentazione dell’emendamento in commissione affari costituzionali; 3. Problemi e possibili “effetti collaterali” del Freedom of Information Act
1. Dal diritto di accesso previsto dalla legge 7 agosto 1990 n. 241 al Freedom of Information Act
L’introduzione del Freedom of Information Act nell’ordinamento italiano ha rivoluzionato il diritto di accesso come tradizionalmente inteso e disciplinato all’art. 22 e ss. della legge n.241/1990. L’accesso “classico” previsto dalla legge sul processo amministrativo è condizionato da una serie di limitazioni e condizioni: occorre un interesse qualificato per formulare l’istanza nonché l’onere di motivazione a carico del richiedente; presuppone la preesistenza del documento rispetto alla domanda per legittimare l’esercizio di tale diritto e non può essere strumentalizzato per operare una verifica sull’operato della pubblica amministrazione. Costituisce un mezzo di conoscenza a disposizione del cittadino e principio generale dell’attività amministrativa, ma non originariamente preordinato all’ottenimento di specifiche garanzie di trasparenza. Solo con il d.lgs. n. 33/2013[1] la trasparenza è stata definita come l’accessibilità totale delle informazioni concernenti attività e organizzazione delle amministrazioni e intesa secondo una logica di controllo da parte dei cittadini sulla pubblica amministrazione, volta ad incoraggiare il rapporto fiduciario tra i due soggetti, promuovere la legalità e prevenire la corruzione[2].
Tuttavia l’accesso civico previsto dall’art. 5 del d.lgs n. 33/2013 presentava due forti limiti: seppur riconosciuto a chiunque, quindi privo di vincoli con riferimento alla legittimazione soggettiva, si riferiva esclusivamente ai documenti dati e informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria per le amministrazioni. Non costituiva un diritto vero e proprio bensì una sanzione attivabile in caso di mancato ottemperamento degli obblighi di pubblicazione per legge a carico della PA.
In tale contesto legislativo emerge quindi l’assoluta innovatività del FOIA, che al contrario prescinde da interessi particolari e motivati e presume esclusivamente l’interesse del cittadino, il quale autonomamente si mobilita nella richiesta dell’informazione alla pubblica amministrazione anche in assenza di pubblicità obbligatoria dei dati.
L’acronimo FOIA richiama l’analogo accesso previsto nei sistemi anglosassoni e pilastro della trasparenza nell’amministrazione pubblica presente ormai in oltre novanta paesi e segna il fondamentale passaggio dal “need to know” al “right to know”. Nella legge 7 agosto 2015, n. 124 è stato inserito questo modello di accesso civico, riconosciuto a chiunque, senza la necessità di essere titolari di situazioni giuridiche rilevanti, a dati e documenti detenuti dalle amministrazioni pubbliche.
2. La campagna digitale per il FOIA e la presentazione dell’emendamento in commissione affari costituzionali
Il Freedom of Information Act viene introdotto nel disegno di legge con un emendamento aggiuntivo in Commissione proposto dai deputati PD Anna Ascani, Paolo Coppola e dalla deputata del Gruppo Misto Mara Mucci, membri dell’intergruppo innovazione alla Camera[3] e approvato in Commissione affari costituzionali con il seguente testo: “al comma 1, dopo la lettera c), inserire la seguente: c-bis) fermi restando gli obblighi di pubblicazione, riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche; semplificazione delle procedure di iscrizione nelle white lists, di cui all’articolo 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n. 190, con modifiche della relativa disciplina, mediante l’unificazione o l’interconnessione delle banche dati delle Amministrazioni centrali e periferiche competenti, e previsione di un sistema di monitoraggio semestrale, finalizzato all’aggiornamento degli elenchi costituiti presso le Prefetture; previsione di sanzioni a carico delle amministrazioni che non ottemperano alle disposizioni normative in materia di accesso, di procedure di ricorso all’ANAC in materia di accesso civico e in materia di accesso ai sensi della presente lettera, nonché della tutela giurisdizionale ai sensi dell’articolo 116 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.”
L’approvazione di questo emendamento ha costituito il primo, fondamentale passo per la nascita effettiva di un diritto a lungo annunciato ma fino a quel momento mai concretizzatosi. Centrale durante tutto il percorso di elaborazione e approvazione è stato il ruolo e la pressione esercitata anche dalla società civile, nonostante la volontà politica manifestata dal Presidente del Consiglio di provvedere in tal senso.
Trenta associazioni sulla piattaforma FOIA 4 Italy hanno raccolto ottantottomila firme e redatto un primo sintetico testo che potesse, per punti, offrire un’indicazione e una guida sul contenuto, mantenendo alta l’attenzione sul tema fino alla sua definitiva adozione nel maggio 2016, partecipando anche ad un’audizione in Commissione Affari Costituzionali e illustrando i “dieci punti irrinunciabili”[4] per un effettivo Freedom of Information Act, presentati il 18 febbraio ai parlamentari dell’intergruppo innovazione. Il documento era frutto del risultato delle consultazioni pubbliche online per la riforma del diritto di accesso svoltesi da ottobre 2014 a gennaio 2015. La deputata Anna Ascani, aveva annunciato al Perugia Journalism Festival del 2015 che il FOIA sarebbe stato inserito nella legge sulla pubblica amministrazione su raccomandazione dello stesso Ministro Madia.
Tuttavia in un primo momento il testo adottato era molto diverso da quello proposto dalla società civile. Lo stesso Consiglio di Stato aveva espresso le sue perplessità[5], legate alla circostanza che ci fosse un solo ufficio deputato a fornire le informazioni richieste; aveva anche aspramente criticato l’assenza di sanzioni in caso di mancata risposta. Il primo testo presentava anche problemi connessi alle eccezioni, formulate in modo poco chiaro e riferite ad “interessi economici e commerciali”.
Molte delle criticità rilevate sono state superate dal testo definitivo adottato, modificato in più parti, anche su sollecitazione dei pareri espressi nelle commissioni parlamentari: è stato eliminato il silenzio diniego, in precedenza previsto in caso di mancata risposta dopo 30 giorni[6]; il testo originario parlava inoltre di “dati” detenuti dalla pubblica amministrazione ma non conteneva riferimenti ai “documenti”, una differenza sostanziale e non solo terminologica colmata dal testo definitivo.
Richiedere il documento o il dato sarà gratuito: originariamente i costi dovevano essere a carico del richiedente senza dettagli sulla regolamentazione, né sulle casistiche o procedure da seguire. Lo stesso rigetto necessiterà di motivazione, recependo la segnalazione del Consiglio di Stato, il quale aveva denunciato che “il silenzio rigetto costituisce…un istituto non poco problematico dal punto di vista della partecipazione dei cittadini alla vita amministrativa, ancor più quando, come nel caso di specie, non è accompagnato dall’obbligo di motivare il rifiuto espresso”[7].
Un altro problema consisteva nelle tutele giurisdizionali previste in caso di diniego; il governo è intervenuto consentendo la possibilità di ricorrere al responsabile della trasparenza o al difensore civico ed in ogni caso al TAR.
3. Problemi e possibili “effetti collaterali” del Freedom of Information Act
Ad oggi esiste finalmente uno strumento, certamente migliorabile ma necessario per monitorare adeguatamente il lavoro della pubblica amministrazione e ricevere informazioni essenziali.
Questi obblighi sempre più stringenti di pubblicazione e comunicazione per la pubblica amministrazione trovano la loro ragion d’essere nella richiesta di una sempre maggiore vigilanza da parte dei cittadini sull’attività e l’amministrazione della cosa pubblica. Tuttavia queste innovazioni, soprattutto in materia di accesso agli atti, hanno posto essenzialmente due problematiche: le prime relative all’esistenza cumulativa di due tipi di accesso, che farebbero ritenere presumibile la preferenza del ricorso al FOIA. Coesisteranno infatti accesso “classico” come disciplinato dalla legge n. 241/1990 e accesso civico ex d.lgs. n. 33/2013 come modificato dal d.lgs. n.97/2016; il cittadino probabilmente preferirà il ricorso all’accesso civico, presentando quest’ultimo maggiori vantaggi, tra cui la motivazione non necessaria e invece richiesta nell’accesso c.d. “classico”.
La seconda problematica già sollevata in particolare dall’Autorità Nazionale Anticorruzione ma anche dal Consiglio di Stato e dalla società civile, importanti interlocutori anche nel processo di messa a punto del FOIA attualmente in corso, attiene al concreto pericolo di applicazione difforme da parte delle amministrazioni pubbliche in risposta alle richieste di accesso.
Il decreto legislativo 25 maggio 2016 n. 97 all’art.6 introduce le modifiche all’art. 5 del d.lgs n.33 del 2013 e inserisce gli articoli 5 bis e ter: i cittadini possono inviare la richiesta per conoscere anche gli atti non soggetti a pubblicazione obbligatoria ex lege. Tuttavia i casi di esclusione restano molto generici[8]; secondo l’art. 5 bis della legge l’accesso civico è rifiutato per evitare pregiudizio a sicurezza e ordine pubblico, sicurezza nazionale, difesa e questioni militari, relazioni internazionali, la politica e la stabilità economica e finanziaria dello Stato, la conduzione di indagini sui reati e sul loro perseguimento, il regolare svolgimento ad attività ispettive.
Non sono i soli casi in cui l’accesso è escluso: ulteriori ipotesi in cui l’accesso può essere legittimamente negato sono rappresentati dal possibile pregiudizio a interessi privati quali la protezione dei dati personali, la libertà e segretezza della corrispondenza, gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica anche con riguardo a segreti commerciali, diritto d’autore, segreto di stato (art. 5 bis, commi 2 e 3)[9].
L’ovvia preoccupazione dei sostenitori di un FOIA il più possibile non vincolato è che queste esclusioni e limiti all’accesso, numerosi e genericamente formulati, possano costituire un valido alibi per l’amministrazione che non voglia rispondere al cittadino, eludendo così di fatto il Freedom of Information Act. A presidio di tale diritto, proprio al fine di scongiurare una possibile negligenza amministrativa senza ripercussioni sui soggetti responsabili, è stata appositamente inserita una previsione che modifica l’art. 46 del d.lgs. n.33/2013 secondo cui “il differimento e la limitazione dell’accesso civico, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 5-bis, costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili”.
L’accesso introdotto è così ampio da riferirsi anche ai dati elaborati dalle stesse amministrazioni pubbliche e non risulta limitato alle sole informazioni da esse detenute, intervenendo su quanto in precedenza stabilito dall’art. 24, co. 3. della l. 241/1990. Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato era solida nell’escludere questa possibilità proprio per lo scopo a cui l’accesso era preordinato, ossia la tutela di un interesse ben definito e non un accertamento sull’attività amministrativa svolta. Nello specifico il Consiglio di Stato, Sez. V, nella pronuncia n. 408 del 31.01.2007, aveva affermato che "ove l'istanza di accesso agli atti postuli un'attività valutativa ed elaborativa dei dati in possesso dell'amministrazione, è precluso il suo accoglimento poiché rivela un fine di generale controllo sull'attività amministrativa che non risponde alla finalità per la quale lo specifico strumento in parola può venire azionato, che è solo quello della tutela di un ben specifico interesse".
Questa circostanza fa temere che il nuovo accesso finisca per prevalere su quello “classico” disciplinato dalla l. 241/1990, ma questo probabilmente sarà la futura giurisprudenza in materia a chiarirlo[10].
Alla luce dei problemi necessari è imprescindibile un atteggiamento di costante vigilanza e attenzione anche in questa fase di implementazione. Sarà importante anche il ruolo che giocheranno ANAC, Garante per la privacy e società civile per rendere effettivo e garantista e non un onere pretestuoso per le pubbliche amministrazioni questo strumento innovativo di trasparenza e partecipazione.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Il decreto concretizzava la delega contenuta nella legge anticorruzione n. 190/2012, che elevava la trasparenza a livello essenziale delle prestazioni attinenti ai diritti civili e sociali di cui all’art. 117, comma 2, lett. m).
[2] Per approfondimenti sulla disciplina dell’accesso agli atti e sulle evoluzioni legislative in materia di trasparenza v. D. Urania Galletta, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del d.lgs. n. 33/2013, in federalismi.it, p.3 e R. Garofoli, Il contrasto alla corruzione. La l. 6 novembre 2012, n.190, il decreto di trasparenza e le politiche necessarie, in giustizia-amministrativa.it, 30 marzo 2013.
[3] L’intergruppo innovazione è un’associazione di parlamentari di varia appartenenza politica che si prefigge l’obiettivo di promuovere l’innovazione tecnologica in Italia; tramite le discussioni online, di cui l’intergruppo si serve, decidono di presentare, individualmente o in gruppo, emendamenti in Commissione o in generale atti parlamentari.
[4] 1. Il diritto di accesso è previsto per chiunque, senza obbligo di motivazione (eliminando le restrizioni previste dalla Legge n. 241/1990).
2. Possono essere oggetto dell’accesso tutti i documenti, gli atti, le informazioni e i dati formati, detenuti o comunque in possesso di un soggetto pubblico
3. Si applica non solo alle Amministrazioni ma anche alle società partecipate e ai gestori di servizi pubblici
4. Le risposte delle Amministrazioni devono essere rapide (max 30 gg)
5. Le eccezioni all’accesso sono chiare e tassative
6. L’accesso a documenti informatici è gratuito (non sono dovuti nemmeno costi di riproduzione)
7. Nel caso di atti e documenti analogici, può essere richiesto solo il costo effettivo di riproduzione e di eventuale spedizione
8. Quando un’informazione è stata oggetto di almeno tre distinte richieste di accesso, l’amministrazione deve pubblicare l’informazione nella sezione “Amministrazione Trasparente”
9. In caso di accesso negato, i rimedi giudiziari e stragiudiziali sono veloci e non onerosi per il richiedente
10. Prevede sanzioni in caso di accesso illegittimamente negato
[5] Si fa riferimento in particolare al parere n. 515/2016 espresso dal Consiglio di Stato ricco di osservazioni su tutte le modifiche più rilevanti alla legge n. 190/2012 e al d.lgs. n. 33/2013.
[6] Originariamente previsto probabilmente per assimilazione con l’accesso “classico”.
[7] Cfr. par. 11.11 del parere n. 515/2016.
[8] La legge n.241/1990 individuava all’art. 24, comma 1 le categorie di atti escluse dall’accesso: Il diritto di accesso è escluso: "a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo; b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; c) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi”, oltre ad ulteriori ipotesi previste nella legge.
[9] L’art. 5 fa chiarezza anche sull’opportuna procedura da seguire, con una particolare sospensione del termine ordinario, pari a 30 giorni, in caso di coinvolgimento dell’interessato, recependo così il parere del Consiglio di Stato n.515/2016.
[10] La legge è infatti stata pubblicata in G.U. l’8 giugno 2016 ed entrata in vigore il 23 giugno 2016, pertanto al momento non è possibile escludere il ricorso da parte dei cittadini, anche all’accesso agli atti “classico”.