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Pubbl. Dom, 9 Ott 2016
Sottoposto a PEER REVIEW

Il soft law

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Salvatore Magra


Dell’espressione soft law non si trova traccia in fonti di diritto comunitario o statuale. Nel presente approfondimento esploriamo l´elaborazione dottrinale intorno a questo termine.


Introduzione

Dell’espressione soft law non si trova traccia in fonti di diritto comunitario o statuale.

Il giurista “ortodosso” percepisce la realtà ordinamentale in modo rassicurante, nel senso che parte dalla convinzione che le lacune dell’ordinamento possono essere colmate attraverso il ricorso ad elementi presenti in esso, in modo che si pervenga a una pressoché totale autoreferenzialità dell’ordinamento stesso.

Per lungo tempo lo Stato, come apparato e istituzione, ha funto da riferimento per la normazione, con una prevalenza della società “locale” su quella “globale”. La globalizzazione ha interessato anche il giuridico, con una quota rilevante di importanza assunta dalla governance internazionale ed europea (comunitaria), la quale ha bisogno di strumenti sufficientemente elastici, in rapporto alle diverse realtà spesso eterogenee dei vari Paesi, per poter provvedere a una soddisfacente ponderazione di interessi talvolta configgenti e per creare un assetto unitario pur nella diversità.

La mediazione statuale comincia a pesare e occorrono strumenti flessibili per emanciparsi da essa. Tra di essi il soft law assume rilievo, riguardo, in particolare, alla politica del lavoro e occupazionale. E’ chiaro che può crearsi un parallelo fra il consolidarsi del lavoro flessibile e la flessibilità del soft law nel contesto globalizzante, anche in rapporto alla maggiore adattabilità del diritto “dolce”, ai fini della protezione del lavoratore precario, nel senso che vi è un rapporto di proporzionalità diretta tra consolidarsi della flessibilità (e precarietà) nei vari settori lavorativi e flessibilità del soft law. La tutela di soggetti deboli come lavoratori (precari) e consumatori può avvenire in maniera più efficace sfruttando la flessibilità del soft law e da questo deriva l’attività dell’Organizzazione internazionale del lavoro, attraverso raccomandazioni e Dichiarazioni, da considerare atti di soft law. Pertanto il “diritto dolce” può, proprio per la sua duttilità, costituire uno strumento di tutela maggiore per consumatori e lavoratori.

Il paradigma Stato-centrico è messo in crisi dall’internazionalizzazione del pensiero sotto ogni angolazione, in un intreccio dei vari settori del sapere e il soft law appare uno strumento coerente con questa evoluzione della realtà globale, in un processo di disgregazione delle certezze stabili sine die. Un’interazione di fattori economici, storici, giuridici ha posto la base per la creazione di tecniche di disciplina diverse da quelle preesistenti e un ruolo primario in questo contesto è stato esercitato dalla crisi dell’istituzione statale, soprattutto in rapporto alla  gestione della collettività e al sovrapporsi alla realtà di tale istituzione dei paradigmi comunitari e internazionalistici, nel cui ambito il soft law  attecchisce in maniera rilevante.

Diretta conseguenza di tale situazione è la crisi della Legge formale, la quale appare difficilmente in grado di gestire la complessa, multiforme e mutevole realtà socio-economica contemporanea.

Peraltro, descrivere il soft law come reazione all’inadeguatezza dello Stato istituzione a risolvere e gestire la realtà nel suo sviluppo e nella sua struttura eterogenea appare una visione parziale del fenomeno.

Nella problematica delle fonti del diritto il soft law assume un’importanza di non poco momento, potendosi configurare come un’alternativa alle fonti di diritto “codificato” e consuetunario (hard law). In realtà, il fenomeno può essere letto secondo varie angolazioni, potendosi anche rappresentare come tentativo di realizzare una diversità di gradazione della forza di una normazione, secondo una maggiore o minore potenza di essa.

L’inadeguatezza delle fonti giuridiche tradizionali in ordine alla gestione della realtà multiforme ed eterogenea, che viene a presentarsi implica che la creazione del soft law non avvenga in modo del tutto estemporaneo. Esiste una pianificazione razionale che porta al “diritto mite”, in modo da gestire i cambiamenti della società globale.

Questo conferma la giuridicità del soft law, rispetto all’utilizzo per la creazione di esso di meccanismi di natura macroeconomica o di logiche di massimizzazione del profitto. Una componente di matrice economica vi è, ma occorre concludere che il fenomeno è essenzialmente giuridico.

L’utilizzo dell’espressione soft law può farsi risalire agli anni ’70 e ha risolto un problema di qualificazione per quanto riguarda vari atti di diritto internazionale, fino ad arrivare a quelli delle Autorità amministrative indipendenti, nell’ambito del diritto statale. Il termine soft law sembra sia usato per la prima volta da Lord Mcnair[1] negli anni ’70, in un contesto in cui la giurisprudenza comunitaria sostiene la prevalenza della sostanza sulla forma in consonanza con la “libertà di forma” del soft law.[2]

 Va evidenziato che taluni operatori del diritto fino agli anni ’80 negano la giuridicità del soft law, relegando il medesimo nell’ambito del metagiuridico proprio per  la difficoltà di collocazione all’interno di schemi mentali troppo abituati alla struttura e alla procedimentalizzazione della legge formale. La terminologia soft law sembra una contraddizione in termini (ossimoro) in quanto la legge, per essere tale, imprescindibilmente dovrebbe possedere il carattere della cogenza. Pertanto, il soft law munito di effetti normativi non è tale, ma è hard law, e nominalisticamente è qualificato in modo sbagliato. Vi è chi tenta la via di specificare che il soft law produce effetti pratici, sia pure non giuridici in senso stretto[3]. Peraltro, in questa maniera si permane sempre all’interno di una descrizione empirica e non si ottiene alcun approdo definitorio.

Diritto internazionale e soft law

Per perimetrare l’essenza del soft law occorre premettere talune nozioni di diritto internazionale, in quanto il fenomeno in esame si sviluppa in ambito extra-statuale.. Non vi è un’Autorità centrale che in ambito transnazionale emani diritto cogente con efficacia erga omnes. Ciò implica che le disposizioni di diritto internazionale si formino attraverso una convergenza di consensi, la quale si può esplicitare nella consuetudine internazionale o nei trattati. Pertanto, la concezione di partenza è che non esistano altre fonti di diritto internazionale oltre ai trattati e alle consuetudini, e deve concludersi che le regole contenute in altre tipologie di atti abbiano solo una valenza metagiuridica, con conseguente corollario (non adeguatamente dimostrato) secondo cui non è ammissibile una ipotesi intermedia fra il lecito e il non lecito, il legittimo e l’illegittimo. Si nega, come ulteriore passaggio, l’attitudine del soft law a produrre norme di diritto internazionale[4] .

Il diritto consuetudinario si forma attraverso la ripetizione di  pratiche accettate dall’intera Comunità internazionale e reputate dalla medesima come obbligatorie. I trattati internazionali consistono in documenti, attraverso cui gli Stati si obbligano reciprocamente in rapporto a determinate materie. Pertanto, emerge un meccanismo spontaneo di formazione delle norme internazionali. In certi casi, peraltro, le classiche fonti di diritto internazionale, ossia la consuetudine e i trattati, non sono in grado di comporre taluni interessi. L’assimilazione di talune tendenze evolutive può essere effettuata in misura maggiore con altri strumenti ancor più flessibili, i quali possono avere una maggior forza propulsiva nelle dinamiche dei rapporti fra gli Stati e altri soggetti di diritto internazionale, come in materia di protezione di categorie deboli (lavoratori precari, consumatori), la tutela dell’ambiente, la protezione dei diritti umani. Pertanto, si assiste all’esigenza di un’evoluzione dei paradigmi, in modo da evitare uno stallo, in rapporto alla gestione di tali problematiche essenziali e il diritto “dolce” si presenta come uno strumento che consente di avvicinarsi alla realizzazione delle tendenze evolutive in parola. Pertanto, relegare il diritto “dolce” al di fuori dei confini del giuridico in senso proprio appare fuorviante  sul piano conoscitivo. Occorre, un ripensamento della realtà europea e mondiale, in cerca si un fondamento diverso da un presunto primato dello Stato nella produzione normativa. Se globalizzazione implica anche creazione di una “umanità europea” e mondiale, occorre anche una rivisitazione delle categorie apparentemente assolute ma in realtà provvisorie, precedentemente adottate, in modo da favorire questo processo evolutivo. Gli accordi non vincolanti sono un esempio di soft law (non binding agreements). e contengono dichiarazioni di princìpi e programmatiche su determinate materie,. Queste regole a maglie larghe dovranno essere successivamente attuate, tenendo conto dell’evoluzione delle circostanze[5] i loro contenuti di tali accordi difficilmente vengono disattesi  dagli Stati. Un’analisi del fenomeno degli accordi non vincolanti dimostra come non sia possibile considerare il “diritto dolce” come una sorta di categoria residuale, data l’importanza che la medesima sta assumendo sempre più proprio per la sua forza propulsiva, in rapporto alla gestione di problemi “mobili”, che richiedono una gestione progressiva delle varie sfaccettature e complicazioni.

Occorre, pertanto, una rivisitazione delle categorie generali, in modo da creare un percorso evolutivo, anche in rapporto a una rigida schematizzazione dei problemi connessi alle fonti del diritto secondo uno schema meramente piramidale e gerarchico. Respingere l’importanza dell’emersione di fenomeni come il diritto “dolce” implica il rischio di un sostanziale fallimento del processo globalizzante che tenga adeguato conto delle diversità. Ciò potrebbe determinare una crisi del sistema.

Problemi definitori

Un tentativo di definizione del soft law è necessario per delimitare questo fenomeno, rispetto ad altre, differenti ipotesi.

Si è già rilevata la crisi della centralità dello Stato, non in  grado di ottenere una soddisfacente gestione della società globale e da ciò deriva la diffusione del soft law, ma queste osservazioni non risolvono il problema definitorio, né appare soddisfacente definire in negativo il soft law, partendo dall’hard law. Può crearsi una corrispondenza logica fra l’eterogeneità delle manifestazioni di diritto dolce e la difficoltà di una definizione univoca, in quanto il soft law costituisce una sorta di mosaico di materiale frammentato e grezzo. Peraltro, bisogna evitare sovrapposizioni, ad esempio nei confronti del diritto consuetudinario.

Intorno alla definizione del soft law si sono sviluppati vari orientamenti, partendo dal presupposto di come appaia fuorviante (ma vi è anche la possibilità di ragionare in modo diverso) inglobare l’ipotesi all’interno del paradigma delle fonti atipiche, proprio per la peculiare struttura del fenomeno in esame. Il problema definitorio è arduo. Si può ritenere che il soft law individui una tipologia di atti o una tecnica di regolazione o entrambe le tipologie.

Un tentativo che si limiti alla ricognizione di un’efficacia pratica del diritto mite rinuncia a indagare i presupposti e l’essenza del soft law, vale a dire se il medesimo sia di matrice giuridica o extragiuridica.

Si può ragionare nel senso che il soft law configuri una tecnica normativa e/o una tipologia di atti o una nuova tipologia di norme giuridiche. In tal maniera, peraltro,non si conosce la struttura del fenomeno in esame. Appare condivisibile ritenere che la struttura del soft law, al fine di approdare a una definizione, che appare necessaria, almeno a livello orientativo, si possa comprendere se si allargano gli orizzonti e non ci si limiti a esaminare la problematica solo all’interno della configurazione delle varie fonti di diritto, attenuato o cogente, secondo il tradizionale schema gerarchico e piramidale. E’ auspicabile che si aggreghino varie fonti secondo una schema non gerarchico.. Gli atti di soft law possono essere caratterizzati da un abbondante utilizzo di clausole generali, ma a volte presentano tratti che li rendono difficilmente distinguibili dalla normativa di hard law, quantomeno sul piano della formulazione letterale.

In passato, è emersa l’opinione che il soft law rappresentasse un coacervo di regole e programmi non maturo per acquisire il crisma della giuridicità[6] Si tratta di una visione riduttiva del complesso e variegato fenomeno. Le dichiarazioni che rientrano nel soft law hanno intento normativo.

Può affermarsi che, nel momento in cui si crea il soft law, il medesimo aspira alla normatività, ma è privo di sanzioni in senso proprio[7] Nonostante l’assenza dell’irrogazione di una sanzione non può negarsi che da questa normativa “dolce” derivino degli effetti concreti, in quanto esiste un’adesione ai precetti non sanzionati.

Il termine soft law si è concettualmente agganciato a quello di lex mercatoria (si è arrivati a un’identificazione dei due concetti), la quale può definirsi come quel corpo autonomo di regole, aventi diversa origine e contenuto, create dalla comunità dei commercianti, in particolare per il commercio internazionale. Tale corpus emerge dall’attività di commercio internazionale.

Il soft law è una conseguenza dell’inadeguatezza dello Stato nazionale di risolvere le problematiche afferenti alla realtà sovranazionale. Il carattere esteso di tali questioni cruciali non può essere compresso all’interno dell’angusta realtà dello Stato nazionale e l’emancipazione avviene con la creazione di un diritto forse solo apparentemente mite.

Il soft law deriva da fonti eterogenee e bisogna cercare in qualche modo di delimitarlo, in quanto appare fuorviante, ai fini della definizione del medesimo, adoperare gli strumenti conoscitivi propri delle disposizioni di hard law. Si considerano inerenti al soft law accordi fra Stati eventualmente stringenti, ma privi di sanzione. Pertanto, si ha soft law quando non c’è coercibilità del comportamento prescritto.

Orbene, analizzare il soft law secondo il paradigma dell’ordinamento giuridico appare fuorviante proprio perché la nozione in esame ne è sostanzialmente estranea. Un testo normativo è tale e non acquista effetti vincolanti e, pertanto, è presente un paradosso, nonostante che il testo di soft law possa apparire in tutto analogo a un testo di hard law. Pertanto, è una normatività caratterizzata da una formazione che non è pervenuta a suo totale compimento, quantomeno secondo gli schemi ordinariamente conosciuti. Se la disposizione di soft law non è obbligatoria e cogente secondo i criteri ordinamentali, in ogni caso l’adesione da parti dei consociati ai precetti in esso contemplati è un fenomeno, di cui occorre tener conto. Appare chiaro che, nonostante la non previsione di sanzioni per le disposizioni di soft law, le stesse appaiono anche riconoscibili in positivo, in quanto si tenga presente che le medesime sono tali da prescrivere comportamenti senz’altro leciti e auspicabili, a prescindere dalle modalità di creazione della norma. Possono riscontrarsi casi, in cui il potere politico può ritenere opportuno non esprimere statuizioni di norme implicanti un’obbligatorietà cogente. norme prive di sanzione. Il soft law contempla precetti non cogenti, ma aventi effetti giuridici. e si pone come alternativa alle norme cogenti, mirando a raggiungere le stesse conseguenze dei precetti vincolanti.

Si tratta, secondo un’impostazione di matrice anglosassone, di condotte che vengono considerate come da seguire, nonostante l’assenza di una vincolatività delle stesse Viene considerato un punto di riferimento anche l’art 249 CE, da cui discende la distinzione fra atti vincolanti (regolamenti, direttive e decisioni) e atti non vincolanti (raccomandazioni e pareri). Vi è, peraltro, nonostante la non vincolatività, l’intenzione di produrre effetti giuridici, eventualmente anche in modo mediato o indiretto.

La dottrina ha individuato le ipotesi di pre law, in cui si emanano atti preparatori, rispetto a successivi atti vincolanti. A tali atti di pre law, come i Libri verdi o i Libri bianchi non va attribuito il carattere di soft law, in quanto trattasi di atti meramente preparatori, in funzione della produzione di atti giuridicamente vincolanti. L’ordinamento internazionale conosce anche gli atti di post-law (strumenti di interpretazione di atti vincolanti quali linee guida, codici di condotta, comunicazioni interpretative), i quali, proprio perché strumentali all’interpretazione di atti vincolanti, non possono farsi rientrare nella categoria della soft law. Possono farsi rientrare negli atti di soft law solo gli strumenti alternativi agli atti non vincolanti come per es le raccomandazioni e i pareri, i quali non sono in collegamento né ex ante, né ex post con altro atto, di per sé vincolante.

Le tesi di stampo più propriamente continentale, pur assumendo le stesse premesse (e cioè di una effettiva vincolatività degli atti di soft law) giungono a conclusioni differenti circa la necessità dell’inclusione del fenomeno nell’area degli atti comunitari. In questa prospettiva, infatti, l’art. 249 CE dovrebbe costituire la norma di riconoscimento degli atti giuridici dell’Unione, anche di quelli non vincolanti..

Si tende a distinguere un soft law dell’Unione Europea da una soft law del diritto internazionale. Il primo ha una non vincolatività meno sfumata, il che ha provocato taluni dubbi di legittimità. Perciò gli altri atti creati dalla prassi comunitaria, quali gli atti atipici e cioè quelli che “pur corrispondendo nella denominazione alla tipologia elencata all’art. 249 CE hanno tuttavia natura, caratteri, ed effetti diversi da quelli propri degli atti tipici ivi previsti” (quali regolamenti interni, direttive, pareri e raccomandazioni che una istituzione indirizza ad un’altra nell’ambito di un procedimento, ovvero alcune decisioni che mascherano quando accordi internazionali, quando accordi interistituzionali), ovvero gli atti non previsti, che “non rientrano in alcuna delle categorie di cui all’art. 249 e che neanche sono contemplati dai Trattati”, costituiscono prassi da evitare o comunque da ridurre.

Tali atti, infatti, concretano un soft law dell’Unione europea che, a differenza del soft law del diritto internazionale è costituito da atti che creano un vincolo giuridico più preciso. L’incertezza sulla loro natura ed i loro effetti provoca, in questa prospettiva, dubbi di legittimità e di opportunità poiché essi “potrebbero prestarsi al tentativo di creare degli obblighi di comportamento, falsando i meccanismi istituzionali, senza offrire adeguate garanzie per gli interessati”.

Il soft law vale come fonte di interpretazione, nel momento in cui si osservi come la medesima rilevi prevalentemente sul piano della configurabilità di una fonte atipica, avente valore di strumento ermeneutico. Accanto alla tesi del soft law come strumento interpretativo si pone l’idea di essa come via alternativa per conseguire effetti giuridici.

Il soft law nasce proprio dall’osservazione della realtà quotidiana e dell’emanazione e pullulare di atti, con la spontanea e spesso non ordinata produzione di fonti alternative rispetto a quelle istituzionali, Si tratta di atti extra ordinem, che entrano a far parte dell’ordine, mettendo a rischio la posizione di chi è propenso a osservare solo l’estrinsecazione degli strumenti ordinari di normazione. L’autoreferenzialità della normazione tende ad attenuarsi. Il soft law è uno strumento per arginare la difficoltà, delle difficoltà di espressione degli strumenti di hard law.

Il soft law è un termine utilizzato per comprendere un complesso di atti, documenti, i quali, pur non avendo in modo immediato valore normativo, esplicano effetti equivalenti a quelli normativi, per un’adesione rilevante da parte dei consociati.  Si tratta di strumenti utilizzati dalle istituzioni comunitarie che, pur non  normativi, secondo le prescrizioni dei trattati,  ovvero, pur essendo previsti come strumenti di natura non vincolante, producono comunque effetti giuridici nell’ordinamento comunitario, tra Stati e Stati, tra Stati e Unione e nei confronti dei cittadini comunitari. Ciò deriva dalla implicita o esplicita adesione alla prevalenza della sostanza sulla forma, che caratterizza il diritto internazionale, in cui si estrinseca in modo maggiormente intenso il fenomeno del soft law. Non sempre, peraltro, appare agevole distinguere  tra forma e contenuto dell’atto. Nella categoria in esame vengono oggi ricompresi una serie davvero eterogenea di strumenti: pareri e raccomandazioni, la Carta dei diritti, la Carta di Parigi per una Nuova Europa, le Comunicazioni della Commissione,  i Libri bianchi e i Libri Verdi,  Action Programmes o Action plans, i Codici di condotta

L’atto di legge “dolce” si connota perché privo dei tratti forse più tipici e ricorrenti della norma giuridica: l’essere parte di un ordinamento giuridico e l’essere dotata di una qualche forza vincolante o precettiva, eventualmente attraverso la previsione di una sanzione esplicita o implicita. Questi elementi mancano nel soft law.

I destinatari delle regole di soft law possono essere soggetti indeterminati, oppure categorie specifiche. Con un ossimoro, si suole affermare che l’essenza del soft law è la sua informale obbligatorietà, in quanto, pur in assenza di previsione di sanzioni, vengono comunemente accettati gli effetti giuridici degli atti di soft law. Il carattere soft deriva dalla circostanza che non si tratta di disposizioni, cui si collegano sanzioni, in ipotesi di violazione delle medesime. Lo Stato nazione sovrano di derivazione liberale, fondato sui cardini del positivismo giuridico, in cui rileva il diritto “posto” dal medesimo Stato appunto, nella dialettica del rapporto fra autorità e libertà,  attraversa un momento di profonda crisi di legittimazione derivante dalla oggettiva, ormai strutturale, difficoltà di gestire le collettività di cui dovrebbe porsi come massima espressione rappresentativa. Pertanto, intervengono strutture eterodosse, talora spontanee e più o meno caotiche, che creano dei precetti  a rigore non vincolanti,  ma poi effettivamente seguiti. Va, d’altronde, rilevato che esistono, nell’ambito dell’hard law, oltre alle norme precettive, anche quelle programmatiche e con efficacia precettiva differita, in cui l’elemento della cogenza è ridimensionato (e allora sotto questo prisma appare più labile il confine tra soft law e hard law).

Sul piano linguistico accade spesso che soft law e hard law siano indistinguibili nella formulazione letterale. Pertanto, ragionare nel senso che il soft law sia privo del carattere della giuridicità sol perché in esso non è prevista una sanzione appare poco condivisibile. Si aggiunga che la violazione del precetto soft, in specie sul piano internazionale, può comportare sanzioni di natura extragiuridica (economica, politica, etc.).

Appare costruttivo tentare di rivisitare la stessa nozione di “sanzione” e scindere essa dall’essenza della norma giuridica, in quanto talvolta la sanzione manca, come nel caso delle norme programmatiche, anche nell’ambito dell’hard law.  Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, emerge un’immagine del soft law come un insieme eterogeneo di fonti di produzione di regole che assurgono al rango della giuridicità, sia pur di una giuridicità attenuata, nel momento in cui diventano concretamente efficaci ed effettive.

Secondo una certa prospettiva, il soft law nasce come reazione fisiologica alla crisi della tradizionali fonti di produzione, in rapporto alla sempre maggiore difficoltà delle medesime di esplicare una loro efficacia normativa piena. In un certo senso, l’interesse per il soft law si ridimensiona per quanto attiene all’individuazione  dell’esatta origine del fenomeno, preferendo ascrivere il medesimo alle categorie meramente descrittive.

Si ritiene di preferire a questa ricostruzione l’idea che il soft law esprima pur sempre una manifestazione di ius publicum, in quanto è pur sempre presente, quale diritto prodotto, o quanto meno indirizzato, controllato da parte delle istituzioni pubbliche dei differenti ordinamenti dati, anche laddove gli attori protagonisti della concreta effettiva elaborazione regolamentare siano soggetti di natura chiaramente privata.

Pertanto, si tratta di una produzione di regole, che avviene per percorsi diversi, rispetto a quelli ortodossi. Accanto al soft law si propone spesso l’espressione governance, la quale allude all’utilizzo di procedure eterodosse, che si sovrappongono a quelle istituzionalizzate. In alcuni casi si è rilevato che le istituzioni del diritto dell’Unione presentano un tasso di antidemocraticità in quanto premono sul mercato, impedendo al medesimo di autoregolarsi. E’ la solita dialettica fra l’idea che il mercato giunga di per sé a un’ottima allocazione delle risorse (La “mano invisibile” di Adam Smith) e quella secondo cui occorre un intervento dell’istituzione (in questo caso di natura extrastatuale, ma anche statuale) a sistemare la situazione, in ordine all’allocazione delle risorse. In alcuni casi il soft law discende dalla autoregolamentazione” da parte di singole componenti del tessuto sociale, con assimilazione delle pratiche virtuose, con l’intento di dar sostanza a precetti di hard law spesso generici (e allora si pone una coordinamento e un’armonizzazione fra hard law e soft law, in specie quando all’interno di precetti di hard law si utilizzino dei concetti generali). In alcuni casi , vengono giuridicizzate le regole del mercato, le quali sono recepite dallo Stato. Dalla ricognizione effettuata si comprende come sia arduo tentare una definizione del soft law,data l’eterogeneità a volte anche totale dei componenti che lo formano. Non manca chi esprime dissenso nei confronti della categoria del soft law, proprio per la sua volatilità e per l’emancipazione, rispetto al diritto della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, né al fondamentale principio di diritto internazionale “pacta sunt servanda. In senso sfavorevole alla soft law si è di recente espresso una sentenza del Tribumale di Milano con la sentenza 18/05/2016 n. 1539/2016 stigmatizza la deliberazione 21/2015 della Corte dei conti, Sezione Autonomie, in merito alla possibilità per i segretari comunali di percepire i diritti di rogito, quando siano incaricati in sedi di segreteria nelle quali non siano presenti dirigenti)( nella veste di Giudice del Lavoro., secondo cui nell’intento di salvaguardare beni pur meritevoli di tutela, finisce per restringere il campo di applicazione della norma compiendo un’operazione di chirurgia giuridica non consentito nemmeno in nome della res pubblica”. Viene elaborata una critica al controllo collaborativo esercitato dalla Corte dei Conti, il quale può interpretarsi estensivamente nel senso che analogo ragionamento potrebbe essere effettuato per quelle Autorità amministrative che esercitano un’influenza più o meno notevole sugli organi di amministrazione attiva. E’ qui il crinale e l’intersezione fra soft law e civil law, nel senso che le Autorità amministrative indipendenti possono considerarsi come tali da ricoprire un ruolo a quello di coloro che emanano atti di soft law in ambito internazionale.

Dal punto di vista degli effetti, il tratto generale del soft law è la sua informale obbligatorietà. La non-vincolatività delle regole in esso poste, ovvero la mancata previsione degli atti dal novero delle fonti di produzione del sistema (di qui la natura “soft”), non interdice, infatti,  la produzione di effetti giuridici, o comunque non impedisce che ad essi vengano ricollegati determinati effetti.

Lo sviluppo considerevole di tali strumenti, perciò, inizia a porre una serie di questioni tra cui, principalmente quelle connesse alla loro legalità e alla loro legittimazione, nonché alla loro conseguente collocazione e valore sia nel diritto comunitario, sia nei diritti nazionali.

Si ribadisce come caratteristica essenziale del soft law sia la non coercibilità delle sue previsioni, come nel caso dell’accordo fra due Stati, in rapporto al quale si preveda la non sanzionabilità delle sue previsioni o gli accordi segreti, non ratificato e, quindi, non conosciuti dagli organi legislativi delle parti., anche se gli stipulanti dovranno tenere conto delle previsioni dei medesimi accorsi. Si considerano atti di soft law gli accordi contenenti previsioni, pere cui attuazione occorrerà emanare altri accordi (si tratta di una sorta di contratto preliminare internazionale). In alcuni casi, le stesse parti contraenti escludono l’obbligatorietà delle prescrizioni (l’ipotesi può verificarsi ove vi sia un conflitto talmente intenso sulle questioni cui afferisce il trattato, al punto che l’unico modo per raggiungere una provvisoria intesa. Queste sono ipotesi, in cui il soft law può fungere da presupposto ed essere propedeutico all’hard law. Nel soft law può anche riscontrarsi un effetto di “inerzia” della situazione, o una cristallizzazione della medesima, fino a un rilevante mutamento delle circostanze. Dell’assetto provvisoriamente stabilito per mezzo del diritto dolce si dovrà tener conto. Un progetto di regolamento su una qualsiasi materia molto tecnica spinge i vari Stati e soggetti di diritto internazionale a uniformarvisi, in quanto proprio il tecnicismo suggerisce prudenza e omologazione dei comportamenti. In alcuni casi (come nell’ipotesi di “Libro Bianco”).

Resta, pertanto confermato come non si possa pervenire a una definizione univoca si soft law, ma come esso si caratterizzi per la non coattività e per la liceità delle sue previsioni.

 


[1] Cfr. L. De Bernardin, Soft law, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, vol. 4, Milano, 2006, p. 5605The Protection of the Environment and International Law, Sijthoff, Leiden, 1975, pagg. 623-627; e R.J.

Dupuy, Droit déclaratorie et droit programmatoire : de la coutume sauvage à la soft law , in L’élaboriation du droit international public, Colloque de Toulouse, Société Française de Droit International

[2] cfr. Wellens K. C., and Borchardt G. M., “Soft law in European Community  law”, European Law Review, 1989, Vol. 14, pagg. 267-321. Per approfondimenti cfr. DE LUCA tesi di dottorato di ricerca in diritto ed economia, Università di Bologna, XIX ciclo, pagg.8 e ss e passim. http://www.fedoa.unina.it/2734/1/De_Luca_Diritto_ed_Economia.pdf

[3] cfr.Wellensk . C., and Borchdart G. M., “Soft law in European Community  law”, European Law Review, 1989, Vol. 14, pagg. 267-321. Per approfondimenti cfr. DE LUCA tesi di dottorato di ricerca in diritto ed economia, Università di Bologna, XIX ciclo, pagg.8 e ss e passim. http://www.fedoa.unina.it/2734/1/De_Luca_Diritto_ed_Economia.pdf

[4] Cfr.  Klabbers J., The Concept of Treaty in International Law, The Hague-London-Boston : Kluwer Law International, 1996, pag. 163 e sgg.

[5] Cfr MOSTACCI, la soft law nel sistema delle fonti, uno studio comparato.

[6]  R.J. Dupuy, op.cit., pag. 140, che identifica soft law in droit mou, o meglio ancora in droit vert ; ed ancora si veda M. Virally, La distinction entre textes internationaux de portée juridique, in Annuire de l’Institut de Droit International, Session de Cambridge, vol. 60-I, Pedone, Paris, 1983, pag. 166 e sgg

[7] La Spina A. – Majone G., Lo Stato regolatore, il Mulino, 1998, pag. 87.