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Pubbl. Gio, 29 Set 2016

Riflessioni sull’uso della procreazione assistita

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Beniamino Piciullo


Il nostro è il mondo dell´innovazione, dell´imprevedibile che diventa prevedibile, dell´impossibile che diventa possibile. È tutto oro quel che luccica?


Il diritto solo negli ultimi anni sta trovando spazio “oltre la vita”: prima infatti ogni scelta era lasciata al caso, alla natura. Tuttavia sempre più spesso si discute dell'esistenza di diritti “ultra-vitali”, esempi sono il “diritto di morire”, l'eutanasia, il “diritto di nascere” e il “diritto di non nascere-se-non-sani”. Tutto ciò non fa altro che soffocare le sentenze dei giudici di argomenti bioetici, che difficilmente riescono a trovare soluzioni da tutti condivise, dato anche e precipuamente il carattere tipicamente “soggettivo” delle decisioni di matrice morale.

Un interrogativo assai controverso è quello che accompagna la “scelta” del concepimento. Il concepimento è una scelta? Ebbene, è assai complesso rispondere ad una domanda del genere perché, seppur sarebbe stato più semplice il secolo scorso, oggigiorno gli strumenti che la scienza medica ha da offrire sono tanto avanzati da lasciare solo un minimo margine “di errore” al caso ed alla natura in sé per sé. Il XXI secolo è l'era della “bio-scelta”, nei secoli passati ed ancora oggi il diritto si è affermato permettendo all'uomo di poter scegliere sulla sua vita, assumendo però in premessa un elemento fondamentale, il fatto dell'esistenza. Oggi l'uomo non solo può scegliersi, ma può anche scegliere sulla sua esistenza biologica, incidere la tela della casualità e svelare se stesso, scegliere per la vita e scegliere per la morte.

Fino a che punto l'uomo può scegliere sulla sua esistenza nel mondo come fatto della natura? Fino a che punto l'uomo può tangere non già la sua vita biografica (il bios), quanto la sua vita biologica (la zoé)? Fino a che punto poi l'uomo può scegliere della vita altrui?

In effetti quest'ultimo interrogativo sembra essere il più delicato ed il più complesso cui sia possibile rispondere. Sembra che nel nostro ordinamento la vita sia una scelta di coppia, ma perché, ad esempio, non può egualmente una persona sola o più di due? Ordine pubblico? Interesse del nascituro? Sono tanti i fattori che qui entrano in gioco.

Qualche passo indietro

Ebbene sembra necessario partire da lontano, prima che le tecnologie di procreazione assistita potessero essere concepite e incluse nella sfera del giuridico e della vita associata. Ecco così che la prima formazione sociale, la famiglia, si componeva – nella prassi occidentale – di un uomo ed una donna: unica composizione antropologica potenzialmente in grado di generare una prole e dunque consentire la continuazione della specie. Il fatto della riproduzione viene dunque a rientrare nella sfera dei diritti di natura della coppia eteroaffettiva, data l’indubbia predisposizione “secondo natura” della stessa. Tuttavia detto “fenomeno naturale”, quale è la riproduzione, col passare del tempo, diviene “fenomeno sociale” e prende il nome di procreazione ovvero di filiazione.

Oggigiorno, come ribadito da una fondamentale pronuncia della Corte Costituzionale, «la scelta [di una] coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi»1. Qui il passaggio fondamentale: un fenomeno naturale diventa una libertà fondamentale dell’ordinamento costituzionalmente sanzionata. Ciò significa dunque che lo Stato non può impedire ad una “coppia” di procreare ogniqualvolta questa ne abbia la possibilità. E nessun problema sembra emergere finché l’unico strumento che la coppia ha per procreare è il naturale processo di riproduzione. Nel definito contesto non è infatti lo Stato a decidere quali coppie possono e quali coppie invece non possono generare: è la natura stessa che ne predetermina la sorte.

Reinseriamo adesso l’opportunità di poter procreare al di fuori della sfera propria della naturale riproduzione degli esseri viventi. Può lo Stato impedire a una coppia eteroaffettiva, sterile, di far ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita (pma)?

D’impulso sarebbe pacifico rispondere con un «No» secco. La questione tuttavia, per la delicatezza che porta con sé, non può essere sorpassata con troppa leggerezza. Quando la “scienza medica” si trova ad “aggirare la natura” bisogna tener sotto controllo tutte le variabili ed evitare che l’artificiale venga ad alterare il bene più prezioso che abbiamo: l’unicità della vita umana.

Hans Jonas, ad esempio, ha insistito a lungo sul “diritto trascendente di ciascun individuo a un genotipo soltanto suo, non condiviso con altri, irripetibile”2. Ebbene è da questo assunto che bisogna partire per valutare talune pratiche di scienza medica che talvolta alterano o tendono ad alterare l’essenza dell’unicità della vita umana. È per tale ragione che la bioetica e il biodiritto indagano più nello specifico i due momenti delicatissimi dell’inizio e della fine della vita.

Tornando al tema sollevato poco sopra, la pma è uno strumento accettabile dal punto di vista della dignità delle persone che, per il suo tramite, verranno ad esistenza? Ebbene il consenso non è mai stato unanime, basti leggere il primo articolo della legge n. 40 del 2004 che consente il ricorso alle tecniche di pma solo per «la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana»3 e soltanto «qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità». Al verificarsi delle citate condizioni è possibile quindi praticare la pma, ma esclusivamente «secondo le modalità previste dalla [stessa legge 40], che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». È questo il punto: la legge 40 risponde all’esigenza di salvaguardare i diritti del concepito che, nell’evidenza, non può “difendersi”.

In questa direzione ogniqualvolta la condizione del concepito possa comportare, in previsione, una lesione della dignità della persona che un giorno sarà, la libertà fondamentale della coppia ad avere dei figli arretra e viene superata dall’altrettanto fondamentale diritto di chi un giorno sarà persona.

Se dunque il ricorso alla pma è possibile – entro certe regole – per talune coppie che naturalmente non sono nella possibilità di poter generare, perché è tanto critica la posizione di chi crede nell’estensione di dette tecnologie di scienza medica alle coppie omoaffettive?

Note e riferimenti bibliografici
1. Corte Costituzionale, sent. n. 162 del 2014, punto 6, considerato in diritto.
2 S. Rodotà, La vita e le regole (2006), Feltrinelli, Bergamo, 2012, p. 204.
3 La Corte Costituzionale con la sent. n. 96 del 2015 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di parte della legge 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui non consente il ricorso alle tecniche di pma alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti a certi criteri di gravità.