ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Dom, 15 Mag 2016

Licenziamento legittimo per chi si rifiuta di eseguire la prestazione lavorativa in luogo diverso dal precedente.

Graziano Tortora


La Suprema Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con sentenza n. 5056 del 15 marzo 2016, ha ritenuto legittimo il licenziamento comminato ad una lavoratrice che si era rifiutata di eseguire la prestazione lavorativa, su disposizione del datore di lavoro, non più a domicilio ma presso i locali dell’azienda.


La Suprema Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con sentenza n. 5056 del 15 marzo 2016, ha ritenuto legittimo il licenziamento comminato ad una lavoratrice che si era rifiutata di eseguire la prestazione lavorativa, su disposizione del datore di lavoro, non più a domicilio ma presso i locali dell’azienda.

La Suprema Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con sentenza n. 5056 del 15 marzo 2016, ha ritenuto legittimo il licenziamento comminato ad una lavoratrice che si era rifiutata di eseguire la prestazione lavorativa, su disposizione del datore di lavoro, non più a domicilio ma presso i locali dell’azienda.

Ed infatti la determinazione del luogo della prestazione lavorativa rientra nella potestà organizzativa datoriale e incontra un limite solo nelle previsioni dettate in materia di trasferimento del lavoratore, che nel caso in esame non sono suscettibili di venire in rilievo in ragione dell’impossibilità di ravvisare un’autonoma unità produttiva presso il domicilio del dipendente.

1. Il Caso

Con sentenza del 17.5.2012, la Corte di appello di Salerno confermava la statuizione di primo grado che aveva rigettato l’impugnativa proposta da una lavoratrice avverso il licenziamento intimatole dal datore di lavoro.  

La Corte - infatti - rilevava che era stato ingiustificato il rifiuto opposto della lavoratrice di eseguire la prestazione lavorativa, non più a domicilio ma presso i locali dell’azienda, e che il mancato pagamento di talune retribuzioni non poteva costituire valido presupposto per l’esercizio dell’eccezione di inadempimento.

Avverso tale decisione, la lavoratrice proponeva ricorso in Cassazione sulla base di due motivi: 

Con il primo motivo, la ricorrente denunciava la  violazione e falsa applicazione dell’articolo 2103 codice civile (mansioni del lavoratore) nonché di non meglio precisate norme di diritto e di contratti collettivi ed altresì omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per avere la Corte di merito ritenuto la legittimità dell’ordine aziendale di mutare il luogo della prestazione dal suo domicilio alla sede dell’azienda.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamentava violazione dell’articolo 1460 codice civile nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per avere la Corte ritenuto insussistenti i presupposti per un valido esercizio dell’eccezione di inadempimento, nonostante da alcuni mesi ella non percepisse alcuna retribuzione e avesse all’uopo messo in mora la propria datrice di lavoro.

2. Il ragionamento della Corte.

In merito al primo motivo, la Corte di Cassazione - premesso che nella specie la lavoratrice non lamentava alcun mutamento di mansioni, bensì esclusivamente un aggravio della prestazione che, a suo dire, deriverebbe dall’ordine aziendale di mutare il luogo del lavoro – rilevava al riguardo che la determinazione del luogo della prestazione lavorativa rientra nella potestà organizzativa datoriale e incontra un limite solo nelle previsioni dettate in materia di trasferimento del lavoratore, che nel caso in esame non sono suscettibili di venire in rilievo in ragione dell’impossibilita’ di ravvisare un’autonoma unità produttiva presso il domicilio del dipendente.

Per quanto concerne, invece, il secondo motivo, la Corte di Cassazione ha rilevato che parte ricorrente non indicava specificamente nel ricorso gli atti processuali su cui si fonda e la sede in cui gli stessi sono rinvenibili (fascicolo d’ufficio o di parte).

Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con sentenza n. 5056 del 15 marzo 2016, ritenendo legittimo il licenziamento comminato alla lavoratrice per essersi rifiutata di rendere la prestazione lavorativa per il mutamento del luogo di lavoro (non più a domicilio, ma presso i locali aziendali) ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione.