Pubbl. Sab, 7 Mag 2016
I rapporti tra fisco e contribuente. La voluntary disclosure.
Modifica paginaLa voluntary disclosure rappresenta una collaborazione volontaria tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Tale istituto si pone in linea con l´obiettivo di migliorare i rapporti tra fisco e contribuente.
Principio di leale collaborazione tra fisco e contribuente.
L’art. 10 della l. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) testualmente dispone “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”. Al fine di migliorare i rapporti tra fisco e contribuente, è necessario che entrambe le parti operino secondo i principi della correttezza e buona fede improntati alla leale collaborazione[1]. Il principio di leale collaborazione rappresenta un principio cardine dell’intero ordinamento giuridico che governa non solo la materia strettamente tributaria, ma anche altre branche del diritto. Si tratta di un principio di matrice comunitaria e trova cittadinanza all’art. 4 del Trattato dell’Unione Europea e all’art. 13 del medesimo. In particolare a tenore dell’art. 4 del TUE è richiesta una collaborazione da parte degli Stati membri rispetto alle istituzioni, infatti, sugli stessi grava l'obbligo di contribuire al buon funzionamento dell’Unione Europea. Se il precitato articolo invita alla collaborazione degli Stati con le Istituzioni, l’art. 13 prescrive la collaborazione tra le Istituzioni dell’Unione Europea.
Il principio di leale collaborazione è stato recepito anche nel diritto interno: ad esempio nel diritto amministrativo è ravvisabile sia nei rapporti tra Stato e Regioni, sia nei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione. Nel primo caso il riferimento è alla riforma del Titolo V della Costituzione, a tenore della quale, i compiti e le funzioni sono affidate agli enti più vicini ai cittadini ovvero Province, Comuni e Città metropolitane in ossequio al principio di sussidiarietà. In altre parole i compiti e le funzioni sono affidate agli enti più vicini ai cittadini (principio di sussidiarietà verticale) perché in grado maggiormente di comprendere le esigenze degli stessi, oppure ai privati, ad esempio alle associazioni operanti sul territorio (principio di sussidiarietà orizzontale).
I privilegi dello Stato e delle Regioni, dunque, iniziano ad affievolirsi in favore di un ampliamento di poteri degli Enti locali. L’art. 114 della Costituzione, infatti, testualmente dispone “la Repubblica è costituita da Comuni, Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, mentre nell’originaria formulazione prescriveva “la Repubblica si riparte in……”. Oggi, invece, Stato, Regioni ed Enti locali sono posti sullo stesso piano, senza distinzione alcuna. Il principio di sussidiarietà è strettamente connesso al principio di leale collaborazione[2] dal momento che gli Enti locali collaborano[3] con lo Stato e con le Regioni nella gestione del territorio. Come anzidetto il principio di leale collaborazione è ravvisabile anche nei rapporti tra cittadini e Pubblica Amministrazione e si manifesta in forme diverse: diritto di accesso, diritto di partecipazione al procedimento amministrativo, preavviso di rigetto. Il cittadino ha diritto di accedere agli atti per tutelare il proprio interesse legittimo, ha diritto di partecipare al procedimento amministrativo e di essere convocato dalla Pubblica Amministrazione per ottenere chiarimenti ed ha il diritto di essere informato preventivamente di un eventuale diniego da parte Pubblica Amministrazione (art. 10 bis l. 241/90).
Nel diritto tributario, come precedentemente esposto, il principio di leale collaborazione trova cittadinanza all’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente. Come noto la l. 212/2012 rappresenta il recepimento dei principi costituzionali e prescrive regole di condotta nei rapporti tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. Diversi sono gli istituti che mirano ad una leale collaborazione tra fisco e contribuente: interpello[4], autotutela[5], contraddittorio[6], accertamento con adesione[7], mediazione[8], conciliazione[9], voluntary disclosure.
La voluntary disclosure.
La voluntary disclosure o collaborazione volontaria rappresenta una manifestazione di collaborazione da parte del contribuente nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria. Essa trova puntuale disciplina alla legge 186/2014 e prevede la possibilità per il contribuente che abbia trasferito all’estero capitali, per sottrarsi alla tassazione italiana, di farli rientrare. Si tratta di una sorta di scudo fiscale[10] per cui il contribuente che abbia condotto dei capitali[11] all’estero può riportarli nel territorio dello Stato godendo di un abbattimento delle sanzioni proprio in virtù di tale collaborazione. Il contribuente presenta un’apposita istanza di collaborazione volontaria che deve contenere tutti i dati identificativi. Se persona fisica occorre l’indicazione del nome, cognome, data di nascita, luogo di nascita etc… Se si tratta di persona giuridica deve contenere l’indicazione della denominazione o ragione sociale. L’istanza deve contenere l’indicazione della consistenza patrimoniale detenuta all’estero in violazione della disciplina sul monitoraggio fiscale in relazione ai periodi di imposta per i quali alla data di presentazione della richiesta non sono scaduti i termini per l’accertamento o per la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione indicati all’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 167/1990. In più occorre indicare i maggiori imponibili ai fini delle imposte sui redditi, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive, dell’imposta sul valore aggiunto, le maggiori ritenute e i maggiori contributi previdenziali.
E’ lo stesso contribuente, dunque, ad informare l’Amministrazione Finanziaria dell’esistenza di capitali[12] ad essa sconosciuti e a fornire i documenti utili alla ricostruzione delle somme. Per aderire alla voluntary disclosure è necessario che il contribuente versi le imposte e gli interessi non pagati in maniera integrale, per ciò che concerne le sanzioni, invece, il contribuente che ha denunciato il trasferimento dei capitali all’estero potrà godere di abbattimenti e sconti. La Suprema Corte ha precisato che “la non punibilità prevista dalla disciplina del cosiddetto 'scudo fiscale' riguarda solo condotte afferenti i capitali oggetto della procedura di rimpatrio in Italia e non le somme distinte e diverse che non attengono agli importi oggetto di tale beneficio fiscale” (Cassazione penale sez. II 17 novembre 2015 n. 49191). Ad abundantiam “la causa di non punibilità di cui all'art. 13 bis d.l. 78 del 2009 e s.m., approntata per chi aderisca al cd. "scudo fiscale ter", non determina un'immunità soggettiva rispetto ai reati fiscali ma opera solo per quelli direttamente riconducibili ai capitali rimpatriati o regolarizzati, cosicché è onere dell'interessato, quanto meno, allegare la sussistenza di fatti a riprova del collegamento attivante l'esimente, prova che, in sede cautelare, può anche fondarsi su elementi indiziari e presuntivi "in bonam partem", purché vi sia una certa, ancorché non esatta, corrispondenza tra la somma "scudata" e quella oggetto di contestazione” (Cassazione penale sez. III 06 ottobre 2015 n. 2221).
Il contribuente (l. 186/2014) che voglia aderire alla voluntary disclosure deve:
- indicare spontaneamente all'Amministrazione finanziaria, mediante la presentazione di apposita richiesta, tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all'estero, anche indirettamente o per interposta persona, fornendo i relativi documenti e le informazioni per la determinazione dei redditi che servirono per costituirli o acquistarli, nonche' dei redditi che derivano dalla loro dismissione o utilizzazione a qualunque titolo, unitamente ai documenti e alle informazioni per la determinazione degli eventuali maggiori imponibili agli effetti delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell'imposta regionale sulle attivita' produttive, dei contributi previdenziali, dell'imposta sul valore aggiunto e delle ritenute, non connessi con le attività costituite o detenute all'estero, relativamente a tutti i periodi d'imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta, non sono scaduti i termini per l'accertamento o la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all'articolo 4, comma 1;
- versare le somme dovute entro il quindicesimo giorno antecedente la data fissata per la comparizione e secondo le ulteriori modalità indicate nel comma 1-bis del medesimo articolo per l'adesione ai contenuti dell'invito, ovvero le somme dovute in base all'accertamento con adesione entro venti giorni dalla redazione dell'atto, oltre alle somme dovute in base all'atto di contestazione o al provvedimento di irrogazione delle sanzioni per la violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all'articolo 4, comma 1, del presente decreto entro il termine per la proposizione del ricorso, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, senza avvalersi della compensazione prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni. Il versamento può essere eseguito in unica soluzione ovvero essere ripartito, su richiesta dell'autore della violazione, in tre rate mensili di pari importo. Il pagamento della prima rata deve essere effettuato nei termini e con le modalità di cui alla presente lettera. Il mancato pagamento di una delle rate comporta il venir meno degli effetti della procedura;
Entro trenta giorni dal versamento delle somme da parte del contribuente l’Agenzia delle Entrate comunica all’autorità giudiziaria competente la conclusione della procedura di collaborazione volontaria. La collaborazione volontaria non è ammessa se la richiesta è presentata dopo che l’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’art. 4, comma 1,del decreto 167/90 abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni e verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria.
Conclusioni.
Si va verso un miglioramento dei rapporti tra fisco e contribuente, o almeno, è in atto un tentativo di miglioramento dei rapporti tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. Al fine di favorire il pubblico interesse e in ossequio al dovere, che grava su tutti i cittadini, di partecipazione alle spese dello Stato è riconosciuto al contribuente il diritto di far rientrare i capitali che abbia trasferito all’estero. L’istituto della voluntary disclosure detta una duplice tutela: da un lato per l’Amministrazione Finanziaria che recupera somme che concorreranno alle spese dello Stato; dall’altro per il contribuente che beneficia di un abbattimento delle sanzioni per aver collaborato con l’Ufficio.
Note e riferimenti bibliografici
[1]Consiglio di Stato sez. VI 08 febbraio 2016 n. 508 in www.dejure.it “in relazione al principio di correttezza e di leale collaborazione tra pubblica amministrazione e cittadino, l'erronea indicazione dell'autorità decidente impone comunque al soggetto adito, essendo comunque lo stesso incardinato nella medesima amministrazione, di provvedere alla trasmissione della stessa all'organo competente per l'ulteriore corso. Tale principio trova riferimento nell'articolo 2, comma 3, del d.p.r. n. 1199 del 1971, il quale, in tema di ricorso gerarchico, prevede che i ricorsi rivolti nel termine prescritto ad organi diversi da quello competente, ma appartenenti alla stessa amministrazione, non sono soggetti a dichiarazione di irricevibilità ed i ricorsi stessi sono trasmessi d'ufficio all'organo competente. Tale disposizione normativa, infatti, se pure dettata nella specifica materia del ricorso gerarchico, è espressione comunque di un principio generale, il quale rende rilevante, ai fini della procedibilità della richiesta, la presentazione all'Amministrazione competente, non assumendo valenza preclusiva la circostanza che il privato non abbia correttamente individuato la concreta articolazione organizzativa di essa cui spetta l'esame e la definizione della pratica (fattispecie in cui l'appellante aveva avanzato la sua istanza direttamente al Ministero e non invece alla struttura ministeriale competente ai fini del rilascio dell'autorizzazione richiesta).
[2]Corte Costituzionale 15 luglio 2015 n. 156 in www.dejure.it “non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 457, l. 24 dicembre 2012, n. 228, censurato per violazione degli artt. 4, n. 1-bis), 51 e 54 dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, nonché dell'art. 3 Cost., nella parte in cui dispone che, in caso di mancato accordo ai sensi dei commi 454 e 455, si applicano alle Regioni a statuto speciale le disposizioni previste in materia di patto di stabilità interno per gli enti locali del restante territorio nazionale. La disciplina di cui al comma censurato costituisce principio di coordinamento della finanza pubblica, come tale pacificamente applicabile anche alle autonomie speciali, in quanto necessario per preservare l'equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.) e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (artt. 11 e 117, comma 1, Cost.). È inoltre erroneo il presupposto interpretativo che attribuisce la qualifica di “fonte rinforzata” ai commi 154 e 155 dell'art. 1 l. 13 dicembre 2010, n. 220, laddove attribuiscono alla Regione speciale poteri di coordinamento finanziario sugli enti locali costituenti il sistema regionale integrato, in quanto la circostanza che alcune disposizioni di detta legge siano state il frutto del recepimento di un Protocollo d'intesa tra Stato e singola Regione a statuto speciale non rappresenta ragione idonea, di per sé, a rendere tali disposizioni insuperabili ad opera del legislatore statale successivo, qualora questi intervenga, in via transitoria, nell'attesa di un nuovo accordo, in un mutato contesto economico-finanziario e sulla scorta dell'esigenza di adempiere a nuovi e ulteriori obblighi assunti in sede di Unione europea e senza ledere i canoni generali di ragionevolezza e proporzionalità dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato (sentt. nn. 353 del 2004, 82, 169 del 2007, 120 del 2008, 229 del 2011, 30 del 2012, 60, 219, 236 del 2013, 39, 175 del 2014, 77, 82 del 2015”.
[3]Corte Costituzionale 16 luglio 2015 n. 171 in www.dejure.it “è costituzionalmente illegittimo l'art. 30-ter, comma 1, lett. b), d.l. 24 giugno 2014, n. 91, conv., con modif., in l. 11 agosto 2014, n. 116, nella parte in cui non prevede la necessaria partecipazione al procedimento della Regione interessata. La disposizione impugnata — la quale prevede che il Comitato interministeriale, di cui all'art. 2, comma 1, d.l. 10 gennaio 2006, n. 2, nomini un commissario ad acta per l'esecuzione degli accordi per la riconversione industriale del settore bieticolo-saccarifero, nei casi in cui siano decorsi infruttuosamente i termini di legge previsti per la conclusione di tali procedimenti — consente l'esercizio di un potere sostitutivo con modalità non idonee a soddisfare appieno il principio di leale collaborazione espressamente richiamato dall'art. 120, comma 2, Cost., in quanto la disposizione impugnata non garantisce che le Regioni e gli enti locali direttamente interessati dall'esercizio del potere sostitutivo siano specificamente e individualmente coinvolti in modo da poter far valere le proprie ragioni, non essendo sufficiente, a tal fine, che il potere sostitutivo sia affidato ad un Comitato interministeriale composto anche da tre presidenti di Regione designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, poiché ciò non garantisce la presenza degli esponenti della Regione (o dell'ente locale) destinataria dei poteri sostitutivi (sentt. nn. 43, 240 del 2004, 209, 249, 250, 254 del 2009, 44 del 2014)”.
[4]Cassazione civile sez. trib. 17 luglio 2014 n. 16331 in www.dejure.it “il contribuente è tenuto a proporre interpello ex art. 11, della legge 27 luglio 2000 n.212, prima di porre in essere, nell'esercizio della propria attività economica, la condotta oggetto della richiesta di informazioni all' amministrazione finanziaria, atteso che, diversamente, non si giustificherebbe l'efficacia vincolante, per entrambe le parti del rapporto tributario, dell'interpretazione fornita dall' amministrazione medesima delle norme applicabili alla specifica fattispecie concreta. Rigetta, Comm. Trib. Reg. Marche, 25/05/2007”.
[5]Cassazione civile sez. trib. 20 novembre 2015 n. 23765 in www.dejure.it “a riconosciuta sindacabilità del diniego di autotutela non autorizza il giudice tributario a rivedere il fondamento della pretesa impositiva a suo tempo non contestata; alla valutazione discrezionale dell'Amministrazione non può sostituirsi quella dell'organo giurisdizionale. In altri termini può esercitarsi un sindacato sulla mera legittimità del rifiuto, e non già sulla fondatezza della pretesa impositiva”.
[6]Comm. trib. reg. Potenza (Basilicata) sez. II 01 febbraio 2016 n. 55 in www.dejure.it “solo per i tributi "armonizzati" sussiste un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l'invalidità dell'atto purché il contribuente abbia assolto all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa, mentre per i contributi "non armonizzati" non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. Qualora la causa verta su questioni attinenti la materia catastale non è applicabile l'invocato principio generale. Il diritto di difesa del contribuente potrà essere dunque esercitato nella successiva fase contenziosa”.
[7]Cassazione civile sez. VI 26 ottobre 2015 n. 21762 in www.dejure.it “in tema di contenzioso tributario, la definitività dell'autonomo avviso di accertamento, emesso ai fini IRPEF nei confronti del socio di società di persone in considerazione dei maggiori ricavi accertati in capo alla società di persone, ne comporta l'intangibilità, escludendo, pertanto, che il socio possa invocare, in sede d'impugnazione della conseguente cartella di pagamento, le vicende dell'atto impositivo riferito alla società di persone (nella specie, definizione agevolata della pretesa tributaria scaturita dall'istanza di accertamento per adesione autonomamente proposta dalla società medesima, onde ottenere la sostanziale rideterminazione della pretesa tributaria a proprio carico). (Cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Lombardia, 26/10/2012)”.
[8]Corte Costituzionale 16 aprile 2014 n. 98 in www.dejure.it “sono inammissibili, per inconferenza dei parametri evocati, le q.l.c. dell'art. 17 bis d.lg. 31 dicembre 1992, n. 546 (nel testo originario anteriore alle modificazioni apportate dalla l. n. 147 del 2013), censurato, in relazione agli art. 3, 24 e 25 cost., nella parte in cui prevede l'obbligatorietà della mediazione tributaria per le controversie concernenti atti emessi dall'Agenzia delle entrate e di valore non superiore a ventimila euro. Le doglianze sono motivate esclusivamente attraverso il rinvio alla sentenza n. 272 del 2012, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale, peraltro in riferimento ai diversi parametri degli art. 76 e 77 cost., dell'obbligatorietà della mediazione per la conciliazione di alcune controversie civili e commerciali. In tal modo, è lo stesso giudice a quo ad affermare che le argomentazioni da lui spese (tramite il rinvio alla menzionata sentenza) a sostegno delle questioni sollevate non sono conferenti rispetto ai parametri invocati (sent. n. 272 del 2012)”.
[9]Cassazione civile sez. VI 13 luglio 2015 n. 14547 in www.dejure.it “in tema di contenzioso tributario, gli atti dichiarativi delle varie specie di conciliazione di cui all'art. 48 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 non determinano di per sé la cessazione della materia del contendere, che si ha solo con il versamento della somma concordata, sicché, nella conciliazione cosiddetta "breve postfissazione", in cui la proposta è depositata dopo la fissazione dell'udienza e prima della trattazione in camera di consiglio, la Commissione Tributaria Provinciale, nel silenzio della norma, deve rinviare l'udienza di trattazione ad una data successiva alla scadenza del termine per il versamento, decorrente dalla comunicazione dell'ordinanza di rinvio, in applicazione analogica della disciplina dettata per la conciliazione cosiddetta "breve prefissazione", in cui la proposta è depositata prima della fissazione dell'udienza di trattazione, ed, in mancanza di tale rinvio e del versamento, la sentenza dichiarativa dell'estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere è appellabile dall'Ufficio, che non può essere costretto all'esecuzione di una conciliazione inesistente, né privato della sua legittima pretesa di far valere l'interesse ad una pronuncia del giudice di merito sul rapporto giuridico controverso. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Catania, 29/01/2013)”.
[10]Cassazione penale sez. III 15 ottobre 2014 n. 50308 in www.dejure.it “la causa di non punibilità prevista, per i reati tributari ivi indicati, dall'art. 13 bis comma 4 d.l. 1 luglio 2009 n. 78, conv. con modif. in l. 3 agosto 2009 n. 102 (c.d. "scudo fiscale"), deve ritenersi applicabile non solo a quelli, fra i detti reati, che abbiano avuto come presupposto l'avvenuta esportazione illecita di attività le quali siano state quindi sottratte all'imposizione fiscale, ma anche a quelli mediante i quali le dette attività siano state conseguite, avendone costituito il prezzo o il profitto”.
[11] Cassazione penale sez. III 15 ottobre 2014 n. 50308 in www.dejure.it “la causa di non punibilità prevista dall'art. 13-bis d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., in l. n. 102 del 2009 (c.d. “scudo fiscale”), applicandosi a tutti i reati fiscali nella cui condotta rilevano i capitali trasferiti o posseduti all'estero e successivamente oggetto di rimpatrio, opera anche per i delitti di dichiarazione fraudolenta o infedele, omessa dichiarazione, occultamento o distruzione di scritture contabili, che abbiano portato al conseguimento, come prezzo o profitto, del denaro o delle altre attività successivamente rimpatriati”.
[12]Tribunale Como 24 luglio 2013 n. 1025 in www.dejure.it “la speciale causa di non punibilità prevista dal cd. scudo fiscale prevede che vi sia stato l’effettivo versamento dell’ammontare dell’imposta evasa prima dell’esercizio dell’azione penale da parte del p.m. e che tale imposta si riferisca a capitali detenuti all’estero e successivamente rimpatriati (Nel caso di specie pur avendo l’imputato pagato l’imposta evasa prima della notifica del decreto di citazione a giudizio del p.m., non vi era la prova che si trattasse di capitali detenuti all’estero e rimpatriati).