Pubbl. Lun, 25 Apr 2016
Interruzione della gravidanza: il Consiglio d´Europa bacchetta l´Italia
Modifica paginaIl Consiglio d´Europa bacchetta l´Italia sulla corretta applicazione della normativa a tutela dell´interruzione volontaria della gravidanza.
Che cos’è il Consiglio d’Europa?
Il Consiglio d’Europa, fondato nel 1949, è una rinomata organizzazione internazionale (basti pensare che gode dello status di “osservatore” all’interno dell’assemblea ONU) che vede tra i suoi membri diversi stati dell’Europa. Il suo scopo principale, è quello di assicurare la tutela dei diritti umani e ricercare soluzioni per i problemi sociali più attuali.
Nel Febbraio del 2013 il sindacato CGIL si rivolse proprio a questa organizzazione quando decise di presentare un ricorso a causa della effettiva deficienza d’applicazione della legge n. 194 del 1978, riguardante le “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” [1]
Tale ricorso aveva ad oggetto, nello specifico l’art. 9 della predetta legge.
In tale articolo, infatti, viene enunciata la possibilità della c.d. obiezione di coscienza per ogni membro del personale sanitario che non si senta a suo agio nel compiere un intervento d’aborto; al contempo, però, viene assicurato che: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8” il tutto sotto il controllo della regione.
Proprio qui, secondo ciò che si era presentato, si è venuta a creare una, tanto vasta quanto dannosa, lacuna legislativa.
Sebbene l’art. 9, difatti, assicura la possibilità di interruzione della gravidanza e delle procedure strumentali e necessarie a tale scopo, non specifica le misure da intraprendere per assicurare la presenza di personale medico, qualificato e non obiettore, all’interno delle strutture ospedaliere pubbliche.
Questa vaghezza del testo normativo, insieme a percentuali elefantiache di medici obiettori negli anni più recenti, viola la Carta Sociale Europea [2], trattato del 1961 (poi riveduto ed entrato in vigore nel 1999), adottato proprio dal Consiglio d’Europa per sostenere la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, salvaguardando alcuni diritti fondamentali tra cui il diritto alla salute (tutelato, oltretutto, dall’art. 32 della nostra Costituzione).
L’11 Aprile 2016, il comitato europeo dei diritti sociali, facente capo al Consiglio d’Europa, ha accolto il ricorso presentato tratteggiando una situazione alquanto preoccupante: si ritiene violato non solo il diritto alla salute delle donne desiderose di effettuare una interruzione volontaria della gravidanza, bensì anche quello dei medici non obiettori, praticamente discriminati (in maniera diretta e non) sul posto di lavoro e costretti a turni massacranti per sopperire alla evidente carenza di personale non obiettore.
Il Ministero della Salute ha abbozzato una flebile replica sostenendo che i dati esaminati risalgono all’anno del ricorso, il 2013, tuttavia, come sostiene la CGIL, promotrice del ricorso, i dati (mai smentiti dal Ministero) sono aggiornati al 7 Settembre 2015, il giorno dell’ultima udienza davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Ma qual è l’importanza normativa della legge n. 194 del 1978?
La risposta a tale quesito è al limite dell’ovvietà giuridica. Oltre al fatto che ormai, il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, sta entrando a far parte della macro-area dei diritti fondamentali, da un punto di vista meramente utilitaristico risulta di primaria rilevanza.
Basta, infatti, avere una minima conoscenza della teoria del Diritto Penale per comprendere i lapalissiani limiti di una tipizzazione criminologica dell’aborto ovvero di una sua mancata applicazione legale.
Se sussistesse un reato d’aborto si andrebbe contro alla basilare funzione general preventiva tipica della norma penale: infatti, l’anno prima dell’entrata in vigore della legge 194 in Italia, venne calcolato il numero di aborti illegali praticati: circa 350.000. Nel 1982, dopo appena quattro anni da quando venne promulgata la legge, il numero di aborti clandestini effettuati scese alla cifra di 100.000. Considerando il più recente passato, nel 2006, gli aborti clandestini praticati sono scesi a 20.000. [3]
Sembra dunque evidente dai dati che questa legge abbia nel corso degli anni, evitato migliaia, se non milioni, di aborti, clandestini e non.
La certezza applicativa di tale normativa appare quindi indispensabile, sia per garantire il diritto alla salute, sia per evitare una discriminazioni lavorativa a danno di medici non obiettori e, infine, per scopi general preventivi, evitando così il proliferare di strutture criminali che praticano interventi insicuri dietro discutibili pagamenti esentasse.
Note e riferimenti bibliografici:
[1] http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_normativa_845_allegato.pdf
[2] https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId=090000168047e179
[3] “Manuale di Diritto Penale – Parte Generale” di Giorgio Marinucci e Emilio Dolcini, Giuffrè Editore