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Pubbl. Lun, 18 Apr 2016

Accertamento bancario: garanzie e tutela del contribuente.

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Daniela Mendola
Avvocato


L´Amministrazione Finanziaria può avvalersi dello strumento delle indagini bancarie per rideterminare la pretesa erariale. Tale strumento di indagine, proprio per la sua natura invasiva necessita di una tutela più ampia per il contribuente sottoposto a verifica. L´Ufficio può esercitare legittimamente il proprio potere di controllo solo a seguito del rilascio di apposita autorizzazione alle indagini bancarie.


Accertamento bancario.

Tra gli strumenti di cui può avvalersi l’Amministrazione Finanziaria per rideterminare la pretesa erariale vi sono anche le cd. indagini bancarie[1] che trovano cittadinanza all’art. 32, punto n. 7, del DPR. 600/73. La prefata disposizione normativa rubricata “Poteri degli uffici” testualmente dispone “gli uffici possono richiedere, previa autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo di guardia di finanza, del comandante regionale, alle banche, alla società Poste italiane Spa, per le attività finanziarie e creditizie, alle società ed enti di assicurazione per le attività finanziarie, agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento, agli organismi di investimento collettivo del risparmio e alle società fiduciarie, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi o dagli operatori finanziari sopra indicati e le generalità dei soggetti per i quali gli stessi operatori finanziari abbiano effettuato le suddette operazioni e servizi o con i quali abbiano intrattenuto rapporti di natura finanziaria”.

Da ciò deriva che gli Uffici al fine di rideteminare il reddito possono avvalersi di tutte le movimentazioni bancarie[2] poste in essere dal contribuente considerandole come ricavi ovvero compensi. In particolare come indicato al punto numero 2 dell’art. 32 del DPR. 600/73 l’Ufficio può porre “come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”. Al contribuente, tuttavia, è riconosciuto il diritto di fornire la cd. prova contraria[3] atteso che l’Ufficio invita i contribuenti indicandone il motivo a comparire di persona o a mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti.

Il contribuente[4] può, altresì, dimostrare di aver già tenuto conto di quelle movimentazioni finanziarie per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che tali movimentazioni non hanno rilevanza allo stesso fine. Come sostenuto dalla Suprema Corte “il fisco può contestare maggiori ricavi - quindi rideterminare il reddito imponibile della società - sulla base delle rilevate discordanze tra i dati emergenti dalle dichiarazioni fiscali e quelli risultanti dalle operazioni attive derivanti dall'utilizzo di carte di credito e bancomat. Questi movimenti in denaro sono infatti paragonabili ai flussi sul conto corrente bancario. Spetta al contribuente smentire tale presunzione legale (trib.  01 luglio 2015 n. 13494)”.

Per molti versi la prova posta a carico del contribuente si configura come una cd. probatio diabolica essendo tenuto a dimostrare in modo analitico la riferibilità di ogni operazione posta in essere con quella indicata nella dichiarazione[5]. Nello stesso senso la Corte di Cassazione sez. trib.  11 marzo 2015 n. 4829 “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall'art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell'esercizio dell'attività d'impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell'affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell'estraneità delle stesse alla sua attività. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto non congruo il volume degli affari e l'importo dei ricavi così come ricalcolato dall'Ufficio, esclusivamente in ragione delle modeste dimensioni della società e nonostante fosse stata riscontrata anche la mancanza di documentazione contabile legittima). (Cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. del Veneto, 23/07/2007).

In particolare, se si tratta di versamenti sul conto è onere del contribuente dimostrare[6] di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito imponibile; dimostrare che trattasi di movimentazioni fiscalmente irrilevanti, in quanto riferite a redditi esenti o esclusi da tassazione. Se si tratta di prelevamenti, invero, il contribuente deve indicare il soggetto beneficiario, dimostrare di aver registrato nelle proprie scritture contabili la relativa movimentazione ovvero dimostrare che trattasi di movimentazioni fiscalmente irrilevanti, in quanto somme impiegate per fini irrilevanti sotto il profilo fiscale.

Si tratta dell'ipotesi del cd. contraddittorio anticipato ovvero preventivo che, nella fattispecie, rappresenta una facoltà e non un obbligo dell'Ufficio. In ogni caso l'Ufficio deve verificare attentamente le giustificazioni addotte dal contribuente escludendo, tra l'altro, quelle movimentazioni finanziarie di valore irrisorio che trovano giustificazione in spese extra-professionali sostenute dal contribuente. 

L’ufficio può estendere i controlli anche ai parenti del contribuente ed in tal caso si configura una cd. presunzione semplice di riferibilità delle operazioni dei parenti con quelle del contribuente sottoposto a verifica. Per ciò che concerne i terzi, invece, il controllo[7] è ammesso, ma in tal caso si configurerà una presunzione cd. qualificata ovvero l’Ufficio[8] ha l’onere di dimostrare che sussiste un collegamento tra le movimentazioni relative al conto del contribuente e quelle relative al conto dei terzi. Occorrono, in tal caso, indizi gravi, precisi e concordanti.

La presunzione “prelevamenti e versamenti corrispondono a ricavi o compensi” è stata da tempo oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale al punto da risultare necessario l’intervento della Corte Costituzionale al fine di verificare la legittimità costituzionale della presunzione anche in riferimento ai lavoratori autonomi. Nella fattispecie, si è posto il problema di capire se anche per i lavoratori autonomi (e non solo per gli imprenditori) vada applicata la presunzione dei prelevamenti come compensi. Sul punto si è pronunciata la Corte Costituzionale affermando che “anche se le figure dell'imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini, esistono specificità di quest'ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l'omogeneità di trattamento prevista dall'art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973, alla cui stregua il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo. L'attività svolta dai lavoratori autonomi si caratterizza per la preminenza dell'apporto del lavoro proprio e la marginalità dell'apparato organizzativo. Tale marginalità assume poi differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi, sino a divenire quasi assenza nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell'attività svolta, come per le professioni liberali. La non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria; assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali. Nel caso di specie la presunzione è quindi lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell'ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”. In altre parole il lavoratore autonomo esercita l'attività prevalentemente con il lavoro proprio e l'organizzazione ha una funzione essenzialmente marginale. Di converso l'imprenditore si avvale di apposita organizzazione di mezzi e collaboratori per l'esercizio della propria attività ed è probabile e non abitrario che i prelievi effettuati siano destinati ad un investimento finalizzato all'attività d'impresa. La Corte Costituzionale, dunque, pone fine al dibattito e definisce in modo definitivo e puntuale la disciplina da applicare ai lavoratori autonomi.

L’autorizzazione alle indagini bancarie.

Come indicato dall’art. 32, punto n. 7, del DPR. 600/73, l’Ufficio procede “previa autorizzazione” del Direttore Centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle Entrate o del Direttore Regionale della stessa o del comandante regionale. Occorre, tuttavia, capire, se è necessario che tale autorizzazione[9] vada allegata all’avviso di accertamento bancario[10] andando così a costituirne la motivazione[11] ovvero è sufficiente che essa esista e che, a richiesta del contribuente, venga esibita. Sul punto si è pronunciata la Suprema Corte “in tema di accertamento dell'Iva, l'autorizzazione prescritta dall'art. 51, comma 2, n. 7, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, ai fini dell'espletamento delle indagini bancarie risponde a finalità di mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti d'imposta e non richiede alcuna motivazione. Pertanto, la mancata esibizione della stessa all'interessato non comporta l'illegittimità dell'avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall'ufficio o dalla Guardia di Finanza, potendo l'illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell'autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente” (sez. VI  02 luglio 2013 n. 16579). Dunque, secondo codesta Corte, perché l’attività dell’Amministrazione Finanziaria possa essere considerata illegittima è necessario non soltanto che l’autorizzazione risulti essere materialmente inesistente, ma che da tale inesistenza sia derivato un pregiudizio al contribuente. Resta, tuttavia, da capire se l’esistenza di un pregiudizio debba essere dimostrata dal contribuente ovvero se l’Amministrazione Finanziaria debba provare di non aver arrecato alcun pregiudizio.

Appare chiaro che l’autorizzazione deve esistere, altrimenti, il controllo[12] effettuato dall’Ufficio risulterebbe essere illegittimo proprio per carenza di autorizzazione che determinerebbe la nullità dell'eventuale avviso di accertamento. Parimenti l’Ufficio non è obbligato ad allegare la motivazione all’avviso di accertamento essendo sufficiente che essa esista. E' necessario, dunque, che l'avviso di accertamento sia stato "autorizzato".

Un altro orientamento, tuttavia minoritario, sostiene che l’autorizzazione debba essere allegata all’avviso di accertamento ovvero ne debba essere riprodotto il contenuto minimo configurando così la cd. motivazione per relationem. Quest’ultima risulta essere ammissibile in ossequio all’art. 7 della l. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente). In altre parole l’autorizzazione stessa dovrebbe contenere l’indicazione delle ragioni che hanno determinato l’Amministrazione Finanziaria ad esercitare il controllo[13] sulle movimentazioni bancarie e tale motivazione varrebbe anche per l’avviso di accertamento conseguentemente emesso.

L'autorizzazione alle indagini bancarie rappresenta un atto endoprocedimentale oltrechè preparatorio dell'attività della Pubblica Amministrazione e consente al contribuente di verificare la legittimità dell'operato dell'Ufficio proprio perchè con essa ha inizio l'attività d'indagine dell'Amministrazione Finanziaria.

Proprio in virtù della natura endoprocedimentale e non provvedimentale non è necessario che l'autorizzazione contenga una motivazione, dal momento che non è idonea a produrre effetti nella sfera giuridica del destinatario e non è neppure atto impugnabile. L'autorizzazione, dunque, non è elemento costitutivo dell'avviso di accertamento in termini di motivazione, ma è deteminante per verificare la legittimità dell'attività dell'Amministrazione Finanziaria. Ciò muovendo dall'assunto che il procedimento tributario rappresenta una sequenza pocedimentale tale per cui ogni atto si fonda su un atto precedente e ogni attività trova scaturigine da una precedente attività.

Non è da sottacere che ogni elemento acquisito dall'Amministrazione Finanziaria in mancanza di autorizzazione risuterebbe essere stato acquisito irritualmente e, pertanto, i dati sarebbero inutilizzabili. 

Beninteso che l’autorizzazione alle indagini bancarie consente di superare l’ostacolo rappresentato dall’obbligo di rispettare la privacy di ciascun individuo, dunque, se l’Ufficio esercitasse il controllo senza autorizzazione finirebbe per violare le norme poste a tutela della privacy.

Il diritto alla privacy viene sacrificato per la tutela di un interesse supremo e superiore ovvero quello fiscale e tale sacrificio trova giustificazione proprio nell’autorizzazione.

Conclusioni.

Le indagini bancarie rappresentano uno strumento invasivo della sfera personale del contribuente. Tuttavia, tale invasività è giustificata dal dovere della Pubblica Amministrazione di tutelare un interesse superiore ovvero l’interesse fiscale. L’Ufficio presume che le movimentazioni bancarie, siano essi versamenti o prelevamenti, rappresentino ricavi o compensi percepiti dal contribuente, ma trattasi di una presunzione legale relativa atteso che il contribuente può fornire giustificazioni in relazione a tali movimentazioni. Il confronto con il contribuente rappresenta l’aspetto più importante dell’intero procedimento perché consente di evitare di presumere sic et simpliciter la percezione di ricavi o compensi. Ed ecco che il contraddittorio torna ad essere strumento di “individualizzazione” di ogni atto impositivo che conduce all’emissione di un avviso di accertamento il più possibile vicino ad un equo recupero erariale.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1]Cassazione civile sez. III  20 marzo 2014 n. 6513 in www.dejure.it “nel caso di falsificazione di assegno bancario nella firma di traenza - la quale presenti, nella specie, "un tracciato assolutamente piatto" - la misura della diligenza richiesta alla banca nel rilevamento di detta falsificazione è quella dell'accorto banchiere, avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata, alla stregua del paradigma di cui al secondo comma dell'art. 1176 c.c.. Ne consegue che spetta al giudice del merito valutare la rispondenza al predetto paradigma della condotta richiesta alla banca in quel dato contesto storico e rispetto a quella determinata falsificazione, attivando cosi un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto e caso per caso, il grado di esigibilità della diligenza stessa; verifica che, di regola, verrà a svolgersi in base ad un apprezzamento rivolto a verificare se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell'assegno da parte dell'impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico/tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche”.

[2]Cassazione civile sez. I 06 agosto 2014 n. 17732 in www.dejure.itnel contratto bancario regolato in conto corrente, gli atti di accreditamento e di prelevamento non sono qualificabili alla stregua di autonomi negozi giuridici o di pagamenti, vale a dire come atti estintivi di obbligazioni, ma si presumono, fino a prova contraria, atti di utilizzazione dell'unico contratto ad esecuzione ripetuta. Ne consegue che i relativi documenti non costituiscono prova di debito o di credito, ma solo della correttezza della posta contabile che concorre al saldo esigibile dall'una o dall'altra parte, onde può esserne dimostrata l'erroneità senza i limiti previsti, per la prova per testi, per presunzioni ed in tema di confessione, rispettivamente, dagli artt. 2725, 2726, 2729, comma secondo, e 2732 cod. civ.(Nella specie, in una controversia per l'accertamento dell'errore commesso da un cassiere, che aveva accreditato al correntista una somma maggiore di quella effettivamente versata, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto provato dalla banca, in via presuntiva, l'errore di scritturazione). Rigetta, Trib. Roma, 12/01/2007.

 

[3]Cassazione civile sez. VI  28 aprile 2015 n. 8606 in www.dejure.it “l’Amministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento della evasione fiscale può - in linea di principio -avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dalla Amministrazione in violazione di un diritto del contribuente. Sono perciò utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l'eventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco). Spetterà quindi al giudice di merito, in caso di contestazioni fiscali mosse al contribuente, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro con le difese del contribuente”.

[4]Cassazione civile sez. VI  26 maggio 2014 n. 11765  in www.dejure.it “in tema di accertamento fiscale, la mancata esibizione, in sede amministrativa, dei libri, della documentazione e delle scritture all'Ufficio dell'Agenzia delle Entrate giustifica l'esercizio dei poteri di indagine ed accertamento bancario propri dell'Amministrazione finanziaria, mentre la sanzione dell'inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dall'art. 32 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, opera solo in presenza di un invito specifico e puntuale all'esibizione da parte dell'Amministrazione purché accompagnato dall'avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, che si giustifica - in deroga si principi di cui agli artt. 243 e 53 Cost. - per la violazione dell'obbligo di leale collaborazione con il Fisco. Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. della Campania, sez. dist. di Salerno, 11/04/2013”

[5]Cassazione civile sez. trib.  04 marzo 2015 n. 4314  in www.dejure.it “in tema di indagine bancarie, non è necessario attivare un contraddittorio preventivo tra contribuente e fisco nel caso in cui tali indagini siano svolte esclusivamente sui conti e depositi bancari intestati al socio accomandante di una società in accomandita semplice, venendo meno il presupposto cui tende l'instaurazione del procedimento, in quanto il contribuente socio accomandatario è l'unico, quale titolare (o che ha la disponibilità) dei conti, che può far pervenire all'Ufficio finanziario elementi conoscitivi idonei a modificare od ad evitare l'emissione di provvedimenti impositivi. (Rigetta, Comm. Trib. Reg. del Piemonte, 18/09/2007)”

[6]Comm. trib. prov.le Cremona sez. I 14 maggio 2013 n. 59  in www.dejure.it “è legittimo l'avviso di accertamento motivato per relationem mediante rinvio alle conclusioni contenute nel p.v.c. redatto dalla Guardia di finanza; l'Ufficio, condividendo tali conclusioni, ha inteso realizzare un'economia di scrittura che non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio, atteso che si tratta di rinvio ad elementi già noti al contribuente. L'Amministrazione finanziaria può legittimamente utilizzare i dati relativi alle movimentazioni risultanti dai conti correnti bancari dei contribuenti senza instaurare un preventivo contraddittorio. Nessuna norma impone l'obbligo di convocare il contribuente prima dell'emissione dell'avviso accertamento. Il diritto di difesa del contribuente non subisce pregiudizi in quanto può essere esercitato sia nella fase contenziosa sia in sede amministrativa mediante, l'attivazione della procedura di definizione in adesione, ovvero del potere di autotutela della pubblica amministrazione. L'Amministrazione finanziaria può procedere all'accertamento fiscale anche attraverso indagini sui conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente. In ordine alla distribuzione dell'onere probatorio, grava sull'Ufficio dimostrare la riconducibilità alla società contribuente dei rapporti bancari formalmente intestati a soggetti terzi, mentre grava sul contribuente dimostrare la estraneità di ogni singola operazione bancaria alla propria attività d'impresa. Con riferimento all'acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili ad un'attività d'impresa, debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive sia quelle passive, senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili essendo posto, a carico del contribuente, l'onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili.

[7] Cassazione civile sez. I  09 ottobre 2013 n. 22922  in www.dejure.it “la sentenza passata in giudicato, relativa al riconoscimento del diritto del titolare della cassetta di sicurezza ad ottenere la liquidazione dell'intero massimale assicurativo, non costituisce giudicato sostanziale in ordine alla quantificazione del valore degli oggetti custoditi, nel successivo giudizio introdotto al fine di ottenere il risarcimento del maggior danno subito, mancando il nesso causale inscindibile tra l'accertamento compiuto nel giudizio chiusosi con sentenza passata in giudicato, avente ad oggetto esclusivamente l'integrità del massimale, e quello successivo, volto ad accertare il valore degli oggetti custoditi nella cassetta, né costituendo il primo giudizio la premessa logica ineludibile del secondo. Rigetta, App. Roma, 03/03/2005”.

[8]Cassazione civile sez. trib.  20 luglio 2012 n. 12625  in www.dejure.it “in tema di controlli tributari, l'Ufficio finanziario, nella fase delle indagini dirette all'accertamento dell'evasione di imposta da parte di una società di capitali, è legittimato a richiedere agli istituti bancari, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 32, comma 1, n. 7) e del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 51, comma 2, n. 7), l'accesso ai conti e depositi bancari formalmente intestati ai soci anche non amministratori e — in caso di ristretta compagine sociale — anche ai conti/depositi intestati ai loro familiari, qualora sussistano ‘fondati sospetti' che la società verificata abbia partecipato ad operazioni imponibili ‘soggettivamente' inesistenti volte a evadere l'imposta sul valore aggiunto. Costituiscono ‘fondati sospetti' l'avere intrattenuto ripetuti rapporti commerciali con società sfornite di personale adeguato, di beni aziendali ovvero comunque prive di adeguata struttura organizzativa di impresa — cd. società fantasma — in relazione alle operazioni commerciali in concreto svolte.

[9]Comm. trib. reg. Milano (Lombardia) sez. XLV  10 dicembre 2012 n. 150  in www.dejure.it “le indagini bancarie previste dall'art. 32, n. 6 bis, del d.P.R. n. 600/1973 e dall'art. 51, n. 7, d.P.R. n. 633 del 1972 rientrano tra i poteri attribuiti all'ufficio per il controllo delle dichiarazioni dei redditi e dell'Iva, che per essere esercitati non richiedono particolari motivazioni, ma necessitano solo dell'autorizzazione del direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle Entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della Guardia di Finanza, del comandante regionale. La mancata allegazione all'avviso di accertamento dell'autorizzazione alle indagini finanziarie non configura un'ipotesi di carenza di motivazione dell'atto stesso, in quanto non vi è alcun controllo da effettuare sulle ragioni che hanno generato le indagini bancarie. Sotto il profilo probatorio, l'eventuale inesistenza dell'autorizzazione, della quale, invece, nel p.v.c., ne viene affermata l'esistenza, può essere fatta valere solo mediante querela di falso, in quanto la predetta affermazione è assistita dall'efficacia di cui all'art. 2700 c.c.

[10]Cassazione civile sez. VI  29 ottobre 2012 n. 18609  in www.dejure.it “in caso di indagini bancarie, la contabilità regolare e la prassi commerciale del pagamento in contanti bloccano l'accertamento (dichiarato inammissibile il ricorso dell'Amministrazione finanziaria, in quanto non era staa argomentata l'asserita illogicità della motivazione della sentenza impugnata, secondo cui l'esame della contabilità non consentiva di individuare corrispettivi o spese non registrati e l'utilizzo quasi esclusivo del conto "cassa" era giustificato dalla prassi locale di effettuare soltanto pagamenti in contanti. Il Giudice del gravame, pertanto, aveva ritenuto ragionevole che il conto corrente fosse stato utilizzato prevalentemente per ragioni personali e familiari).

[11]Comm. trib. prov.le Cremona sez. I 14 maggio 2013 n. 59 in www.dejure.it è legittimo l'avviso di accertamento motivato per relationem mediante rinvio alle conclusioni contenute nel p.v.c. redatto dalla Guardia di finanza; l'Ufficio, condividendo tali conclusioni, ha inteso realizzare un'economia di scrittura che non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio, atteso che si tratta di rinvio ad elementi già noti al contribuente. L'Amministrazione finanziaria può legittimamente utilizzare i dati relativi alle movimentazioni risultanti dai conti correnti bancari dei contribuenti senza instaurare un preventivo contraddittorio. Nessuna norma impone l'obbligo di convocare il contribuente prima dell'emissione dell'avviso accertamento. Il diritto di difesa del contribuente non subisce pregiudizi in quanto può essere esercitato sia nella fase contenziosa sia in sede amministrativa mediante, l'attivazione della procedura di definizione in adesione, ovvero del potere di autotutela della pubblica amministrazione. L'Amministrazione finanziaria può procedere all'accertamento fiscale anche attraverso indagini sui conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente. In ordine alla distribuzione dell'onere probatorio, grava sull'Ufficio dimostrare la riconducibilità alla società contribuente dei rapporti bancari formalmente intestati a soggetti terzi, mentre grava sul contribuente dimostrare la estraneità di ogni singola operazione bancaria alla propria attività d'impresa. Con riferimento all'acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili ad un'attività d'impresa, debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive sia quelle passive, senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili essendo posto, a carico del contribuente, l'onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili.”

[12]Comm. trib. reg. Brescia (Lombardia) sez. LXV  13 giugno 2013 n. 76 in www.dejure.it “per determinare la pretesa impositiva non sono utilizzabili le operazioni bancarie ottenute in seguito ad indagini bancarie autorizzate sul conto corrente personale del socio, ma l'ente impositore ha l'onere di provare il collegamento e/o la riferibilità alla società e l'autonomia patrimoniale in capo alla società di capitali”.

[13]Comm. trib. prov.le Milano sez. III  27 luglio 2011 n. 276 in www.dejure.it “L'utilizzazione da parte dell'Amministrazione Finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari in disponibilità del contribuente, ai fini dell'accertamento, è legittima anche in assenza di preventiva convocazione dell'interessato e la legittimità delle indagini bancarie è subordinata solamente all'esistenza dell'autorizzazione del Direttore regionale dell'Agenzia delle Entrate. I versamenti e i prelievi di fondi dai depositi bancari concretizzano una presunzione legale di maggiori compensi non dichiarati e spetta al contribuente fornire la prova della provenienza di tali disponibilità finanziarie. Non è ammissibile nel processo tributario, come espressamente previsto dall'art. 7 del D.Lgs. 546/1992, la produzione di dichiarazione giurata. (F.C.)”