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Pubbl. Mar, 12 Apr 2016

Lavorare durante il periodo di malattia: violazione dell’obbligo di fedeltà

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Annalisa Sassaro


Il permesso per malattia concesso al lavoratore non può essere utilizzato per scopi e finalità differenti o incompatibili con lo stato di malattia, in caso contrario è lecito il licenziamento. Corte di Cassazione, Sentenza n. 10627 del 22 maggio 2015.


La Corte di Cassazione con la sentenza n. 10627 del 22 maggio 2015 ha ribadito un orientamento consolidato in materia di licenziamento: il lavoratore che presta attività lavorativa presso terzi durante il periodo di malattia viola l’obbligo di fedeltà integrando la giusta causa ex art 2119 c.c. per il licenziamento.

La pronuncia prende vita da una sentenza della Corte d’Appello di L’aquila, la quale, confermando la sentenza emessa in primo grado, ha rigettato il ricorso di un lavoratore nei confronti della società ex datrice di lavoro, intento a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa con tutte le conseguenti tutele ripristinatorie e risarcitorie previste dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Nel nostro ordinamento l’obbligo di fedeltà, codificato all’art 2105 c.c., prevede che "il prestatore di lavoro non deve trattenere affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio."

Il licenziamento era fondato sulle risultanze dei pedinamenti effettuati da unAgenzia Investigativa assunta dalla società da cui era emerso che il ricorrente, nel periodo in cui godeva del periodo di malattia, era stato sorpreso a prestare attività lavorativa come addetto alle pulizie in favore di un’Università per conto di altra società. La circostanza appena menzionata  integrava una fattispecie di assoluta gravità dal punto di vista disciplinare, minando in modo manifesto e patente i doveri di lealtà e  fedeltà che sono alla base di ogni rapporto lavorativo.

Contro la sentenza della Corte d’appello il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione,  facendo leva su considerazioni attinenti alla attendibilità dei testimoni e all’esito di connessi giudizi penali e altresì alla efficacia probatoria dei rilievi fotografici.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal lavoratore, ribadendo come la Corte di secondo grado abbia correttamente verificato, in virtù degli accertamenti condotti dalla Agenzia investigativa, che il ricorrente avesse prestato servizio presso la società di lavoro di cui faceva parte la consorte.