ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Lun, 11 Apr 2016

Il referendum, questo sconosciuto.

Modifica pagina

Pierluigi Montella


La consultazione del 17 aprile, tra dilemmi ambientalisti e legittimo affidamento


Il prossimo 17 aprile gli Italiani saranno chiamati alle urne, ben quattro anni dopo l’ultima tornata referendaria (quella del 2011), per esprimersi su di un quesito, ictu oculi di non immediata comprensione, concernente il futuro energetico della nostra penisola. Questo l’interrogativo che vuole sottoporsi all’attenzione dei cittadini elettori:

«Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?»

In estrema sintesi, in virtù anche di quelle che sono direttive europee di protezione e salvaguardia degli ecosistemi naturali, nel codice dell’ambiente (il d.lgs. 152/2006) già era sancito, prima della modifica intervenuta con la legge di stabilità del 2016, il divieto di porre in essere “[…] attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare[…]” entro le dodici miglia marine dalla costa, ma il comma 239 dell’art.1 appartenente alla legge succitata aggiunge la possibilità, per coloro che posseggano una tale tipologia di concessione, di poterla utilizzare per tutta la durata utile del giacimento oggetto della concessione medesima.

Se vincesse il SI, e quindi si abrogasse parte della normativa in questione, il risultato sarebbe quello di impedire a chi già ha un titolo abilitativo per la coltivazione ed estrazione di idrocarburi di poterlo fare fin quando Madre Natura glielo consenta. 

Se invece vincesse il NO, la normativa rimarrebbe invariata. Insomma, il tutto con buona pace dei comitati che brandiscono lo slogan “stop alle trivelle”.

Al di là della possibilità, più o meno concreta, che tale tipologia di quesito raggiunga o meno il fatidico quorum necessario affinché la votazione possa dirsi valida (e cioè il cinquanta per cento più uno degli aventi diritto al voto), occorre soffermarsi su alcuni profili, che l’attuale consultazione referendaria necessariamente sottopone alla nostra attenzione.

referendum abrogativi (vedi la stagione referendaria segnata dal politico italiano Mario Segni) sono sempre stati strumenti utili di partecipazione diretta che il Costituente ha messo a disposizione, per così dire, del popolo affinché, nel caso di inevitabile frattura tra cittadini e rappresentanti di costoro in Parlamento, si potesse esprimere il proprio consenso o meno su di una legge dello Stato (ricordiamo, infatti, che: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1, comma 2, Cost.). 

Molte volte, tuttavia, il dibattito politico interno al Paese va ad inficiare quella che dovrebbe essere la sana e costruttiva valutazione degli elettori intorno la legge, o parte di essa, su cui sono chiamati ad esprimersi. E, così, il referendum rischia di naufragare a causa dell’invito all’astensionismo: si veda, ad esempio, l’invito lanciato dal Premier Renzi nelle scorse settimane[1]; oppure, la precisa volontà di non “accorpare” referendum ed elezioni amministrative proprio per non permettere il raggiungimento del fatidico quorum del cinquanta per cento più uno degli aventi diritto.

Se quest’ultimo punto risulta maggiormente discutibile, dato che per lunghissima tradizione referendaria italiana le consultazioni popolari hanno sempre avuto un “d-day” a loro esclusivamente dedicato, non si può ignorare come la spaccatura, in seno allo stesso Partito Democratico sia evidente, come lampanti sono anche le divisioni in seno al mondo scientifico sulla utilità o meno di questo referendum. Molte volte, quindi, sono le liti di partito a segnare il passo piuttosto che la valutazione sic et simpliciter di quale sia la scelta migliore per il Paese.

Innanzitutto, in base al rapporto annuale  2015[2] edito dalla Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche, possiamo notare come i pozzi produttivi deputati all’estrazione del gas naturale in mare siano ben 306, a fronte dei 56 dedicati all’estrazione degli idrocarburi in forma oleosa (leggasi petrolio). Si deduce quindi che l’attività estrattiva in mare sia prevalentemente gassosa e di per sé meno pericolosa rispetto a quella prevalentemente di tipologia liquida. Questo può far riflettere sul fatto che, se anche le concessioni entro le 12 miglia rimanessero “a vita”, la maggior parte degli impianti ha un indice di pericolosità abbastanza basso, considerando la loro destinazione estrattiva.

Non solo: se la legge attuale fosse abrogata, le imprese petrolifere che hanno fatto affidamento sulla durata della concessione che presumevano sicuramente più lunga rispetto a quanto sancito nel Codice dell’ambiente o da una prospettiva di abrogazione del comma 293 ex art.1 legge di Stabilità 2015, rimarrebbero con in mano un pugno di mosche dato che non potrebbero recuperare il capitale investito così come inizialmente da loro prospettato. 

Non si tratta di prendere le parti di grosse compagnie petrolifere. Si tratta di rispettare il principio del legittimo affidamento da parte di chi ha investito determinate somme confidando in un determinato quadro normativo vigente. Affidamento che va, com’è giusto che sia, bilanciato anche con l’esigenza, altrettanto sacrosanta, che l’ambiente sia rispettato e tutelato.

In questo senso, se l’Italia non fosse tra i Paesi più corrotti del Continente potremmo stare sereni confidando nel corretto funzionamento degli organi di vigilanza, ma la corruzione endemica non può giustificare un trattamento deteriore che si vuol riservare a delle imprese che potrebbero continuare ad utilizzare i loro impianti fino alla durata utile del giacimento.

Corretta, invece, la previsione attuale che impedisce di costruire nuovi impianti entro le dodici miglia. Ma, qualora se ne costruissero di nuovi, giusto qualche centinaio di metri dopo il limite previsto per legge, magari da qualche altra compagnia di qualche altro Paese? Chi vivrà, vedrà.

L’importante è che tutti i cittadini vadano a votare: ogni elezione, ogni votazione generalmente intesa è sacra e l’esercizio del voto è un diritto-dovere sacro per ogni cittadino italiano.