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Pubbl. Lun, 25 Mag 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Le difficoltà di accesso al credito per l´impresa agraria multifunzionale

Maria Carlotta Rizzuto
Ricercatore (TDA)Università degli Studi di Catanzaro Magna Græcia



Il difficile accesso al credito per l´impresa agraria multifunzionale potrebbe rinvenire nel microcredito, quale forma di finanza etica, uno strumento privilegiato per l´avviamento e lo sviluppo delle sue variegate attivitá


Sommario: 1. Il credito agrario 1.1. Il difficile accesso al credito agrario per il settore agricolo 1.2 Lo strumento del Microcredito 1.3 L’impresa agricola multifunzionale 1.4 Il microcredito quale strumento privilegiato di accesso al credito per la impresa agricola multifunzionale.

Sommario: 1. Il credito agrario 1.1. Il difficile accesso al credito agrario per il settore agricolo 1.2 Lo strumento del Microcredito 1.3 L’impresa agricola multifunzionale 1.4 Il microcredito quale strumento privilegiato di accesso al credito per la impresa agricola multifunzionale.

 

1. Il credito agrario

Discorrere di accesso al credito per l’impresa agraria implica la necessaria analisi di due sistemi intrinsecamente connessi: Credito e Agricoltura, entrambi interessati, sia a livello nazionale sia comunitario, da notevoli evoluzioni normative[1].

L’entrata in vigore del Testo Unico Bancario[2] se, per un verso, ha notevolmente semplificato la precedente regolamentazione [3], sopprimendo la distinzione tra operazioni di prestito di breve periodo per le banche e di lungo periodo per gli Istituti di credito speciale e la differenziazione basata sulla tipologia di credito – ordinario o speciale- da erogare[4], per altro verso, ha lasciato al credito agrario[5] una propria collocazione specifica nel nuovo quadro normativo.

Il credito agrario, definito come l’insieme di finanziamenti di breve o di medio-lungo termine, concessi a favore di imprenditori agricoli singoli o associati, trova la sua apposita disciplina nelle disposizioni 43[6]; 44[7] e 46 del Testo Unico Bancario, dalle quali traspare una particolare attenzione all’interesse pubblico sotteso all’erogazione di tali finanziamenti ossia al sostegno e all’incremento di quel particolare settore produttivo rappresentato dall’attività agricola.

In particolare, gli artt. 44 e 46 del Testo Unico Bancario dettano un’apposita disciplina concernente il sistema di garanzie che le imprese hanno l’onere di fornire al fine di poter accedere ai finanziamenti a breve, medio e lungo termine, facendo riferimento al privilegio legale o speciale e, diversamente da quanto prima previsto, non imponendo più l’utilizzo della cambiale agraria, la sottoscrizione della quale è divenuta, infatti, facoltativa.

Con riferimento, invece, all’art. 43 del T.u.b., quest’ultimo tratteggia l’oggetto del credito agrario, individuandolo nella “concessione, da parte di banche, di finanziamenti destinati alle attività agricole e zootecniche nonché a quelle a essa connesse o collaterali” e fornisce, al contempo, una puntale elencazione delle attività da ritenere agricole per connessione, per tali intendendosi “l’agriturismo, la manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti, nonché le altre attività individuate dal CICR”[8].

Dalla lettura della suddetta disposizione, affiora una qualificazione del credito agrario alla stregua di credito di scopo[9], il quale è, però, ora, individuato, non con riferimento a specifiche operazioni bancarie, bensì alle attività svolte dalle singole imprese agricole.

In tale direzione, si assiste sia ad un ampliamento della categoria di soggetti potenzialmente destinatari dei finanziamenti all’agricoltura, includendo anche quegli operatori che si pongono a monte e a valle del processo produttivo ovvero lungo la filiera agro-alimentare, sia ad una estensione dei prodotti e delle operazioni finanziarie proponibili alle stesse imprese agricole.

Ed, infatti, la nuova disposizione è stata qualificata come norma aperta, non limitandosi alle attività prettamente agricole, ma estendendo la propria portata anche ad attività che siano potenzialmente riferibili a quelle agrarie ancorché esercitate da soggetti non agricoli[10]

Al contempo, l’abolizione della specializzazione bancaria ai fini della concessione del credito agrario e l’inserimento del principio di Banca universale hanno condotto all’affermazione della libera scelta del mercato sì da garantire ai singoli istituti bancari la autonoma valutazione sulla convenienza economica delle operazioni da effettuare[11].

In tal guisa, il nuovo assetto normativo sembrerebbe esporre la notevole estensione dell’ambito di concessione di tale tipologia di credito, prevedendo l’eventuale finanziamento di tutte le attività che abbiano una destinazione agricola o che, ad essa, siano assimilate, in quanto attività connesse.


Tuttavia, tale apparente semplicità nella concessione dei finanziamenti mostra il fianco a due diverse critiche, giacché per un verso, la stessa definizione di impresa agricola sembrerebbe una nozione in costante divenire, sì da assorbire nel suo alveo disciplinare sempre nuove attività e rendere sempre più labile il confine tra impresa agricola e impresa commerciale; per altro verso, le sempre maggiori garanzie rivendicate dagli istituti di credito ed i nuovi sistemi di rating introdotti rappresentano una vera e propria barriera di accesso al credito per molte delle imprese richiedenti.

1.1 Il difficile accesso al credito agrario per il settore agricolo

Il sistema bancario sembra piuttosto refrattario a concedere finanziamenti alle imprese agricole, poiché tende a considerare il credito da erogare al settore agricolo altamente rischioso.

Ed, infatti, lo stesso codice civile, pur postulando sia per l’imprenditore commerciale sia per l’imprenditore agricolo il possesso dei requisiti di cui all’art. 2082[12], dispone, per l’esercente un’attività agricola, una differente regolamentazione basata su notevoli agevolazioni per l’impresa agraria[13] proprio sul presupposto che la stessa, oltre ad essere assoggettata al rischio di impresa, sia costretta a sostenere un ulteriore e, ancor più, imprevedibile rischio: quello legato allo svolgimento della propria attività nell’ambiente naturale[14], un’attività esposta, dunque, agli eventi mutevoli ed incontrollabili della natura, i quali potrebbero influire, in modo anche irreparabile, sulla effettiva resa dell’attività agricola[15].

Ed, infatti, il compimento del ciclo produttivo agricolo richiede spesso orizzonti temporali più lunghi rispetto a quelli necessari per il settore industriale[16] ed i servizi e gli investimenti realizzati, oltre ad essere difficili da smobilizzare, possiedono payback, tempi di ritorno, particolarmente estesi.

In tale direzione, l’attività agricola appare contraddistinta da una rigidità dei costi e da una variabilità elevata dei ricavi, secondo una circostanza che si ripercuote, inevitabilmente, sulla stessa situazione finanziaria delle imprese agricole, originando un fattore di rischio ulteriore ovvero quello della mancata concessione di finanziamenti spesso necessari per la sua continuazione e sviluppo.

In tale direzione, ai rischi già insiti nelle attività agricole, si devono aggiungere le problematicità connesse alla valutazione del merito creditizio, le quali tendono ad accentuarsi per le aziende familiari di dimensioni minori[17].

In particolare, la valutazione del merito creditizio del cliente (rating) avviene sulla base di quanto stabilito dagli accordi di Basilea[18] si ché la selezione delle imprese alle quali accordare i finanziamenti e la definizione del relativo prezzo, subiscono gli effetti di sistemi più complessi e dettagliati[19], fondati su modelli statistici i quali vagliano fattori quantitativi e, a differenza dell’EM-Score di Altman, qualitativi, basati sulle informazioni finanziarie pubblicamente disponibili, sul patrimonio informativo dell’Ismea e su variabili di tipo competitivo, strutturale e gestionale[20].

Orbene, tale approccio, se, per un verso, permette alle banche di stimare meglio le garanzie fornite dalle imprese richiedenti, per altro verso, le mette in difficoltà nella valutazione delle richieste di credito non coperte da sostegni pubblici.

L’erogazione di finanziamenti, infatti, nonostante le novità introdotte sul credito agrario, costituisce un gravissimo problema per tutte le imprese del settore agricolo, giacché la mancanza di una certa ricostruzione contabile, dovuta alla semplificazione in fase di rendiconto gestionale, fa sì che, alle stesse, siano assegnati punti di score alquanto generici sì che molte di esse, non riuscendo a soddisfare gli stringenti parametri economici e patrimoniali pretesi dagli istituti di credito, finiscono per essere totalmente escluse dall’accesso al credito.

Le semplificazioni fiscali[21] di cui godono le imprese agricole si trasformano, dunque, in un vero e proprio boomerang nel momento della richiesta di un finanziamento, poiché tali fattori, seppure solamente di natura fiscale, inducono gli istituti di credito ad una sottostima delle potenzialità produttive delle aziende richiedenti, compiendo un’analisi statico-patrimoniale dell’impresa agraria e misurando la capacità di credito di quest’ultima prevalentemente sulla base delle garanzie, personali o reali, da essa concedibili.

In tale direzione, appare evidente come il difficile dialogo tra il settore primario ed il settore creditizio generi una notevole incertezza in ordine alla valutazione creditizia e, conseguentemente, numerose problematiche commerciali e gestionali.

Si va delineando una situazione particolarmente avventata, la quale potrebbe, forse, esporre ad una distorta erogazione del credito agrario. In particolare, quest’ultimo potrebbe essere riconosciuto ad imprese ben capitalizzate, seppur poco dinamiche e con scarse idee innovative ed, al contrario, essere negato ad aziende che, seppur incapaci di rispettare i parametri patrimoniali richiesti dalle banche ai fini della concessione del finanziamento, siano dotate di dinamicità e capacità innovative.

Proprio le suddette difficoltà spingono le imprese agricole a ricercare fonti alternative di finanziamento e a tentare di recuperare con le banche quel rapporto informativo ed operativo andato perduto, in seguito all’emanazione del T.u.b., con la dismissione delle sezioni specializzate.

È proprio in un siffatto contesto, che il microcredito potrebbe assurgere al rango di “strumento privilegiato” per le imprese agrarie, al fine di garantire a queste ultime l’accesso a quei finanziamenti necessari per l’avvio e/o continuazione delle proprie attività imprenditoriali.

Il microcredito, quale strumento che rompe il sinallagma “di fatto”, consolidatosi nell’odierno circuito bancario, per il quale si concede un prestito solamente a fronte di garanzie patrimoniali ritenute adeguate o di positive valutazioni del merito creditizio, diviene potenzialmente capace di garantire una forma di finanziamento a quella impresa agricola che va assumendo sempre più nuove funzioni.

1.2 Lo strumento del microcredito

Muhammad Yunus[22] partì dal modo di ottenere il denaro: nascere in una famiglia agiata, chiedere finanziamenti ad istituti di credito, lavorare. Di tali alternative, solamente una, però, rimaneva ad una persona bisognosa, giacché se la prima non l’aveva acquisita per diritto di nascita, la seconda era impossibilitata ad ottenerla, in assenza di garanzie reali da offrire alle banche, sì che solamente il duro lavoro poteva consentire al soggetto bisognoso di ottenere il denaro.

Il “banchiere dei poveri” fu il fondatore della prima banca al mondo ad effettuare prestiti ai più poveri tra i poveri, basandosi, non sulla solvibilità, bensì sulla fiducia: la “Grameen Bank” ossia “la banca del villaggio”[23].

La sua più importante intuizione è, certamente, rappresentata dall’idea di “andare oltre l’aiuto caritatevole” e di tentare di fornire una soluzione, la quale potesse, non diminuire ma, eliminare la situazione di povertà di una parte di umanità.

Preliminarmente, quando si discorre di microcredito appare opportuno operare una prima differenziazione tra i diversi, seppur interconnessi, concetti di “microcredito” e “microfinanza”, molte volte adoperati in modo intercambiabile. Ed, infatti, se per un verso, con il termine “microcredito” ci si riferisce allo strumento con cui le istituzioni di microfinanza forniscono, a chi ne faccia richiesta, importi di basso ammontare; per altro verso, il concetto di microfinanza è utilizzato per far riferimento a tutti i possibili prodotti e/o servizi finanziari di entità ridotta, offerti dalle cosiddette “istituzioni di microfinanza”, a soggetti reputati non solvibili e, dunque, a persone povere, le quali non avrebbero, altrimenti, accesso alle tradizionali attività finanziarie svolte dagli istituti di credito.

In tale direzione, l’elemento discretivo tra i due concetti sarebbe, cioè, da rinvenire nella circostanza che il microcredito agisce in modo più circoscritto rispetto alla ampia gamma di servizi finanziari offerti dalla microfinanza.

Orbene, nel corso del tempo, svariate sono state le forme di microcredito sì da far sembrare piuttosto ardua una loro categorizzazione unitaria.

Una delle prime manifestazione di tale strumento, abbastanza nota in Italia, è, probabilmente, quella dei monti dei pegni. Questi ultimi, equiparabili ai monti di pietà ma, da essi, differenziabili per le ragioni sottese all’accoglimento del finanziamento[24],  si sostanziano nella concessione di un prestito a fronte di una garanzia costituita su un bene personale del richiedente.

Il valore del bene che era concesso in garanzia aveva, solitamente, un valore inferiore rispetto alla somma richiesta, al contempo, però, il debitore attribuiva a quest’ultimo una importanza non di tipo economico quanto piuttosto un legame di tipo affettivo o strumentale - ad esempio, il pegno concesso sulla propria fede o su attrezzi da lavoro. Tale connotazione affettiva legava, in sé, il richiedente al bene sì da rendere quest’ultimo uno strumento passibile della qualificazione di garanzia e facendo propendere per la restituzione del capitale erogato.

Successivamente, si diffusero molte altre forme di microcredito quali le mutue di credito[25], il credito rotativo[26], le banche mutualistiche, le casse rurali[27] e così via discorrendo.

In seguito al progressivo sviluppo di tale strumento, al fine di regolamentare ed evitare gli abusi, con il decreto legislativo n. 141 del 2010 e con il successivo Decreto ministeriale n. 176 del 2014, nel dare attuazione alla direttiva 2008/48/CE[28], l’Italia ha revisionato il titolo V del Testo unico bancario con riferimento alle attività dei soggetti operanti nel settore finanziario dettando una apposita disciplina per il microcredito.

La situazione di crisi ha, infatti, indotto il legislatore ad incentivare istituti diretti al sostegno della persona, sì da realizzare un contesto economico aperto e inclusivo, una società più solidale, la quale possa individuare ed appoggiare l’imprenditorialità anche di quei soggetti, validi intellettivamente ma deboli economicamente. Tra tali istituti sicuramente un ruolo nevralgico è stato ed è ricoperto, per l’appunto, dal microcredito quale strumento utile all’avvio di attività autonome, microimprese e auto-imprese.

Il microcredito è stato visto, infatti, come strumento di welfare, sì da poter essere collocato sia nell’ambito delle politiche del lavoro sia in quelle per l’inclusione sociale.

Ai fini disciplinari, due sono le disposizioni del Testo Unico Bancario da prendere in considerazione: l’art. 111, relativamente al funzionamento e l’art. 113, il quale regolamenta le modalità di vigilanza sui soggetti che esercitano una tale forma di finanziamento.

Sulla base delle sopra citate disposizioni, ad oggi, si possono distinguere due diverse forme di micro-finanziamento: per un verso, il credito sociale, erogato a beneficio delle «persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale» e, dunque, volto a far fronte alle difficoltà economiche delle fasce sociali deboli; per altro verso, il credito di impresa ossia le erogazioni di finanziamenti a micro-imprese per le attività imprenditoriali o di lavoro autonomo indirizzate, dunque, all’avvio di attività di impresa finalizzato all’occupazione e start-up di piccole imprese individuali.

Per quanto concerne il microcredito, c.d. “sociale”, quest’ultimo può essere identificato come quella forma di finanziamento che è concessa in favore di “persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale”.

Secondo una parte della dottrina[29], tale tipologia di finanziamento sarebbe qualificabile alla stregua di una vera e propria forma di beneficenza giacché si prescinderebbe completamente sia dalla valutazione del merito creditizio sia dalle capacità di rimborso da parte del beneficiario dell’erogazione.

Al contrario, una differente prospettiva ermeneutica focalizza l’attenzione sulla previsione, seppur minima, di tassi interessi e sull’obbligo di restituzione incombente sul beneficiario[30] sì da confutare la tesi della “carità”.

Al di là dei sopra esposti indirizzi dottrinali, l’elemento che, sicuramente, contraddistingue il microcredito sociale è la sua finalità di inclusione sociale e finanziaria dei soggetti beneficiari.

Questi ultimi, devono, secondo quanto espressamente stabilito dall’art. 5 del Decreto attuativo n. 176/2014, essere persone fisiche che si trovino in una delle condizioni di vulnerabilità economica o sociale elencate. In particolare, devono essere persone in stato di disoccupazione o soggette alla sospensione o alla riduzione dell’orario di lavoro per cause non dipendenti dalla propria volontà. Ed, ancora, persone in condizioni di non autosufficienza propria o di un componente il nucleo familiare o soggette ad una significativa contrazione del reddito o aumento delle spese non derogabili per il nucleo familiare.

Resta, comunque, alta l’attenzione sulla stabilità degli operatori finanziari e, a tal fine, sono fissati tetti massimi all’importo di tali finanziamenti, i quali non possono eccedere i 10.000 euro. Al contempo, sono indicati precisi limiti temporali giacché la durata del prestito non può superare i cinque anni. Infine, è prevista l’obbligatorietà della prestazione di servizi ausiliari di bilancio familiare, una sorta di curatela alla quale sono sottoposti i soggetti beneficiari in cambio della fiducia a loro accordata con l’erogazione del finanziamento in assenza di garanzie reali e a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato.

Per quanto riguarda, invece, la seconda tipologia di microcredito, ossia il microcredito imprenditoriale, anche quest’ultimo deve, ai sensi dell’art. 111 del T.u.b., possedere determinate caratteristiche, giacché i finanziamenti devono essere di ammontare non superiore a 25.000 Euro e non devono essere assistiti da garanzie reali (pegno o ipoteca)[31]; devono essere finalizzati all’avvio od allo sviluppo di iniziative imprenditoriali oppure all’inserimento nel mercato del lavoro ed, infine, devono essere accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati.

In tale direzione, i tratti salienti del microcredito imprenditoriale possono essere sintetizzati nella tipologia di finanziamento concessa ovvero nel limitato importo di 25.000 euro, innalzabile, se rispettoso di determinate condizioni, sino a 35.000; nell’assenza di garanzie reali; nello scopo giacché è uno strumento teso a garantire l’avvio o lo sviluppo di iniziative imprenditoriali o l’inserimento nel mercato del lavoro. Altri elementi peculiari di questa forma di finanziamento sono la durata del prestito di ottantaquattro mesi; l’assenza di vincoli, con riferimento ai tassi di interessi al di fuori di quelli di legge sui tassi usurai nonché la prestazione di servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati.

Ed, invero, la suddetta disciplina, apparentemente del tutto favorevole per l’avvio e lo sviluppo di iniziative imprenditoriali e per l’inserimento nel mercato del lavoro, presenta, però, notevoli elementi di lacunosità. In particolare, il microcredito, come forma di intervento sul tessuto socio-economico, risulterebbe caratterizzato dalla presenza di una garanzia immateriale, la fiducia, e dall’assenza di garanzie reali[32]. Eppure, non si può non rimarcare come la disciplina si riferisca all’assenza di garanzie reali, nulla dicendo sulle garanzie soventemente utilizzate nella prassi bancaria ossia quelle personali, in primis la fideiussione di cui agli artt. 1936 ss. del Cod. Civ.[33]

Ciò nonostante le notevoli difficoltà riscontrate dalle imprese agricole nell’accedere alle varie forme di finanziamento, indispensabili per l’avvio e lo sviluppo del proprio percorso imprenditoriale, lascerebbe intravedere proprio nello strumento del microcredito una diversa forma di finanziamento, la quale, ben potrebbe garantire alle imprese agrarie di adempiere a quel variegato quadro funzionale che l’ordinamento giuridico sembrerebbe ad esse attribuire.

1.3 L’impresa agricola multifunzionale

Nel corso degli anni, la realtà economico-sociale ha, sempre più, sollecitato il territorio agricolo all’assolvimento di una pluralità di funzioni, non sempre o non tutte tra di loro compatibili; anzi, sovente, conflittuali.

Accanto alla primigenia funzione produttiva a scopi alimentari, l’imprenditore agricolo è stato investito di ulteriori funzioni destinate ad integrarsi con attività industriali, come la funzione insediativa, ricreativa, biologica, paesaggistica, protettiva e di salvaguardia dell’ambiente[34].

In seguito all’influenza europea, l’impresa agricola ha assunto i contorni di impresa agricola multifunzionale sì da arrivare a ricoprire un ruolo nevralgico nello sviluppo economico-sociale del Paese.

Molteplici interventi legislativi[35] hanno riconosciuto e consolidato, in applicazione di quanto stabilito a livello europeo[36], attività di agricoltura e bioagricoltura sociali, cd. care farming; quella agricoltura che, non riconducibile ad un unico modello, accomuna attività di carattere socio-sanitario, educativo, di formazione e inserimento lavorativo, di ricreazione, rivolte a fasce di popolazione svantaggiate o a rischio di marginalizzazione[37]. Peculiare la donazione di cibo inutilizzato,[38] sì da essere riadoperato per beneficenza o nel settore delle bioenergie,[39] nel pieno rispetto di quell’idea che si sta diffondendo di economia circolare[40], in cui i prodotti sono progettati per durare più a lungo ed essere riutilizzati, disassemblati rifabbricati e, in ultima istanza, riciclati. L’idea di tale differente modello di economia -il quale affianca al concetto di rifiuto-scarto quello innovativo di rifiuto-risorsa, trova la sua base giuridica in tutte le politiche europee sviluppate nel corso degli ultimi anni[41] e, per quanto concerne più specificatamente l’impresa agraria, gli aspetti che vengono in rilievo sono molteplici: dallo spreco alimentare, all’approvvigionamento energetico, dal consumo del suolo all’inquinamento ambientale.

La gestione dei rifiuti alimentari riveste un ruolo centrale nell’ambito delle politiche di economia circolare sia per l’apparente insostenibilità dell’impatto ambientale, cui si aggiungono le perdite finanziarie per i consumatori e per l’economia connesse allo scarto di cibo ancora commestibile sia per l’aspetto sociale. Ed, infatti, mediante la diffusione gratuita di prodotti alimentari, ancora commestibili, ma che, per ragioni logistiche o di mercato, non possono essere commercializzati, è possibile appagare la necessità di approvvigionamento alimentare delle fasce della popolazione più bisognose.

Proprio in tale direzione, l’Unione Europea ha adottato un documento programmatico, nel quale ha sviluppato un dettagliato piano di azione, tracciando le linee direttrici delle possibili soluzioni per la concreata realizzazione di un efficace sistema di economia circolare. Orbene, il suddetto piano evidenzia per un verso, la necessità di modificare i comportamenti umani mediante delle vere e proprie campagne di sensibilizzazione, l’adozione di best practices e, ciò, soprattutto, con particolare riferimento alla prevenzione dei rifiuti alimentari; per altro verso, tende a rimarcare l’esigenza di operare una semplificazione della normativa relativamente al cosiddetto “dono” di alimenti ed alla utilizzazione dei medesimi e dei sottoprodotti provenienti dalla filiera alimentare nella produzione dei mangimi.

In tale direzione, l ’impresa agricola, intrinsecamente produttrice e potenzialmente riciclatrice di rifiuti-risorse, si presenta come attività potenzialmente idonea ad assurgere, mediante la corretta gestione delle proprie attività, un ruolo da protagonista nello sviluppo del concetto di economia circolare.

Da quanto esposto, trapela una concezione diversa dell’impresa agraria, non più solamente impegnata a assicurare la originaria funzione alimentare ma un’impresa che mira a tutelare nuovi e variegati interessi e che si colora di sempre più innovative funzioni. Ed, infatti, è proprio nel corretto utilizzo delle risorse della terra, nella tutela dell’ambiente[42], nella lotta al cambiamento climatico[43], nella perfetta compenetrazione tra utilità individuale-imprenditoriale e utilità collettiva-sociale che si può, forse, rinvenire la vera ragione giustificativa dell’estensione della disciplina, racchiusa nell’art. 2135 cod. civ., ad attività che, ad uno sguardo attento, si appalesano di natura commerciale quali le attività agrituristiche e le attività da fonti di energia rinnovabile. In tale direzione, solamente una differente interpretazione del concetto di prevalenza[44], inteso in termini quali-quantitativi e non solamente quantitativi o qualitativi, sorretta dal profilo teleologico dapprima esposto, sarebbe idonea a garantire alle suddette attività la qualificazione di attività agricole per connessione.

Orbene, affinché l’impresa agraria possa riuscire ad assolvere tutte le funzioni che l’ordinamento giuridico sembrerebbe assegnare a quest’ultima, appare necessario che la stessa possa disporre di un capitale monetario adeguato teso a sostenere l’avviamento e il mantenimento delle proprie svariate attività[45] ed, in tal senso, il microcredito, in quanto forma di intervento sul tessuto socio-economico, non basato su garanzie patrimoniali ma caratterizzato dalla presenza di una garanzia immateriale, la fiducia, potrebbe rappresentare lo strumento idoneo a procurare la disponibilità economico-finanziaria necessaria.

1.4. Il microcredito quale strumento privilegiato di accesso al credito per la impresa agricola multifunzionale

Senza alcuna ambizione di propugnare soluzioni conclusive, le considerazioni sopra esposte potrebbero, forse, persuadere sulla necessità di trovare per l’impresa agraria uno strumento creditizio il quale possa essere maggiormente rispondente alle sue peculiari caratteristiche. Quest'ultimo ben potrebbe essere identificato nel microcredito.

È palese che le considerevoli difficoltà sopportate dalla stessa impresa agraria nell’accedere a forme di finanziamento, non le permettono, soventemente, di assolvere le innumerevoli funzioni che, nel corso del tempo, sembrerebbero esserle state assegnate, con conseguente violazione anche di quanto statuito dalla nostra Carta Costituzionale.

Ed, infatti, da quanto espressamente statuito nell’art. 47, secondo cui “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito”, non può che trarsi la logica considerazione che l’ordinamento tenda a propugnare una vera e propria politica del credito, la quale, però, non potrebbe considerarsi realizzata nel collegamento con le sole aspirazioni economiche. In particolare, al fine di trovare effettiva concretizzazione, è necessario, infatti, che la parte economica sia funzionalizzata dai valori di solidarietà politica, economica e sociale, di pieno sviluppo della persona per come stigmatizzati negli artt. 2 e 3 della Costituzione.

È solamente nella perfetta compenetrazione tra la progressione economica e la promozione del pieno sviluppo della persona umana che si deve rinvenire la più profonda ragione giustificativa dell’art. 47, la quale, invero, ben potrebbe trovare nell’istituto del microcredito una sua concreta applicazione.

Ed, invero, se per un verso, differentemente da quanto avvenuto nei paesi in via di sviluppo, il microcredito è nato, in Europa, al fine di sopperire alle carenze nell’erogazione del credito del sistema creditizio tradizionale, per altro verso, la sua qualificazione alla stregua di “norma di chiusura”, potrebbe rischiare di far considerare quest’ultimo come uno strumento residuale, circostanza che, tra l’altro, è possibile rinvenire dallo scarso panorama di pronunce giurisprudenziali e contributi dottrinali esistenti in materia. D’altronde, la sproporzione tra gli elevati costi di gestione delle operazioni rispetto al guadagno introitabile dalle banche nonché la rischiosità dell’erogazione a soggetti potenzialmente non solvibili, rendono il microcredito uno strumento poco appetibile per gli istituti di crediti e scarsamente, da questi ultimi, concedibile.

Al contempo, dal quadro normativo esistente, emerge inequivocabilmente che la impresa agraria tende a perseguire accanto alla, seppur preminente, funzione alimentare anche ulteriori e fondamentali funzioni. È evidente che l’impresa agricola multiservizi, fortemente voluta a livello comunitario[46], è apprezzata, non come un insieme di attività diverse ed autonome, secondo una logica puramente reddituale-quantitativa[47], bensì in virtù del perseguimento di finalità diverse dalla produzione di beni, dei mezzi e dell’attività aziendali[48], secondo un indirizzo che colora l’impresa di una funzione più complessa e ne tratteggia i contorni, non più semplicemente in termini agrari, ma in quelli agro-ambientali[49].

In tale direzione, il profilo teleologico del microcredito, quale forma di finanza etica, in cui, ai fini della erogazione, ci si avvale non solo di standard economici, bensì di principi morali e sociali, fa di esso uno degli strumenti più idonei all’avviamento e allo sviluppo delle nuove attività agrarie indirizzate, sempre più, all’esercizio di attività connotate da scopi sociali di solidarietà.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, non sembrerebbe avventato ritenere che la simultanea valorizzazione dei profili assiologici e funzionali dell’impresa agraria e del microcredito, potrebbe garantire ad entrambi lo sviluppo delle proprie insite potenzialità.

 

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Per una lettura più approfondita sul credito agrario, si vedano R. Tesoniero, Il credito agrario e peschereccio nella nuova disciplina del Testo unico bancario, in 1/Dir. fall., 2001, p. 119 e ss.; G. Tucci, Particolari operazioni di credito: credito fondiario, agrario e peschereccio, in A.A.V. V., Il Testo unico bancario: esperienze e prospettive, Roma, 1996, p. 251 e ss.; A. Grasso, Il credito agrario nella nuova legge bancaria, in Dir. e giur. agr. e amb., 1995, p. 461 e ss.

[2] Prima dell’entrata in vigore del Testo Unico Bancario, il credito agrario era disciplinato per un verso, dalla legge del 5 luglio 1928, n.1760 sulle operazioni di credito agrario e per altro verso, dalla legge bancaria del 1936 ossia dalla legge del 7 marzo 1938 n.141, con le modifiche apportate dalla legge 7 aprile del 1938, leggi ambedue di conversione di decreti legge, la prima di quello del 1936 e la seconda del 1937, concernente la specializzazione degli istituti di credito.

[3] Diffusamente A. Jannarelli, Il credito agrario e peschereccio nel Testo Unico della legge bancaria, in 1/Rivista di diritto e giurisprudenza agraria e dell’ambiente, 1994. In particolare, il sistema creditizio era solito distinguere tra credito finalizzato all’esercizio e, dunque, operazioni volte alla conduzione dell’impresa agricola [utilizzazione, manipolazione e trasformazione dei prodotti agricoli, all’acquisto del bestiame, dei macchinari e delle attrezzature] e credito indirizzato al miglioramento, per tale intendendosi quei tipi di operazioni tassativamente elencate dal Legislatore [l’esecuzione di piantagioni e di trasformazioni colturali; la costruzione di viabilità poderale; la sistemazione dei terreni; la costruzione di pozzi e di abbeveratoi e di opere di derivazione delle acque per scopi irrigui; i sistemi di recinzione dei fondi;
la costruzione e/o ristrutturazione di fabbricati rurali;
le opere di bonifica o di miglioramento dei fondi;
i rimboschimenti;
l’acquisto dei terreni per la formazione della piccola proprietà contadina].

[4] Le Banche di credito Ordinario [Istituti di diritto pubblico; Banche di interesse nazionali; Banche di credito ordinario; Banche popolari e casse di Risparmio; Casse rurali] dovevano gestire il credito a breve ( entro 18 mesi), mentre gli istituti di credito [Istituti di credito fondiario; Istituti e società di credito edilizio; Istituti per il credito agrario; Istituto mobiliare italiano; Consorzio di credito per le opere pubbliche; Istituti di credito per le imprese si pubblica utilità; Istituto di credito navale; Istituto di credito nazionale per il lavoro italiano all’estero] dovevano gestire il medio-lungo (oltre i 18 mesi). Per un’analisi più approfondita si veda P. Crivellaro, Il nuovo credito bancario alle imprese agricole. Cosa è cambiato con Basilea 2, in Il sole 24ore Edagricole, 2008, p. 8 e ss.

[5] Sulla regolamentazione del credito agrario prima dell’entrata in vigore del Testo Unico Bancario, ex multis si vedano A. Carrozza, Aspetti giuridici-normativi del sistema del credito agrario di miglioramento, in 1/Riv. dir. agr., 1988, p. 34; G. Carrara, Il credito agrario di miglioramento, in 1/Riv. dir. agr, 1960, p. 136.

[6] In particolare l’art. 43 T.U.B. (Credito agrario e peschereccio) statuisce che: “1. Il credito agrario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti destinati alle attività agricole e zootecniche nonché a quelle a esse connesse o collaterali. 2. Il credito peschereccio ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti destinati alle attività di pesca e acquacoltura, nonché a quelle a esse connesse o collaterali. 3. Sono attività connesse o collaterali l’agriturismo, la manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti, nonché le altre attività individuate dal CICR. 4. Le operazioni di credito agrario e di credito peschereccio possono essere effettuate mediante utilizzo, rispettivamente, di cambiale agraria e di cambiale pesca. La cambiale agraria e la cambiale pesca devono indicare lo scopo del finanziamento e le garanzie che lo assistono, nonché il luogo dell’iniziativa finanziata. La cambiale agraria e la cambiale pesca sono equiparate a ogni effetto di legge alla cambiale ordinaria”.

[7] Secondo quanto disposto dall’art.44 T.U.B. (Garanzie) “1. I finanziamenti di credito agrario e di credito peschereccio, anche a breve termine, possono essere assistiti dal privilegio previsto dall’articolo 46. 2. I finanziamenti a breve e medio termine di credito agrario e di credito peschereccio sono assistiti da privilegio legale sui seguenti beni mobili dell’impresa finanziata: a) frutti pendenti, prodotti finiti e in corso di lavorazione; b) bestiame, merci, scorte, materie prime, macchine, attrezzi e altri beni, comunque acquistati con il finanziamento concesso; c) crediti, anche futuri, derivanti dalla vendita dei beni indicati nelle lettere a) e b). 3. Il privilegio legale si colloca nel grado immediatamente successivo ai crediti per le imposte sui redditi immobiliari di cui al numero 2) dell’articolo 2778 del codice civile. 4. In caso di inadempimento, il giudice del luogo in cui si trovano i beni sottoposti ai privilegi di cui ai commi 1 e 2 può, su istanza della banca creditrice, assunte sommarie informazioni, disporne l’apprensione e la vendita. Quest’ultima è effettuata ai sensi dell’articolo 1515 del codice civile. 5. Ove i finanziamenti di credito agrario e di credito peschereccio siano garantiti da ipoteca su immobili, si applica la disciplina prevista dalla sezione I del presente capo per le operazioni di credito fondiario”.

[8] Invero, unica deliberazione, finora adottata dal CICR, riconosce l’agrarietà “connessa o collaterale” ad attività esercitate nei comparti dei servizi a favore dell’agricoltura e della pesca, quali quelli di natura informatica, di ricerca, di sperimentazione, di risparmio energetico e di trattamento industriale dei residui agroalimentari. Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, deliberazione 22 aprile 1995 norme in materia di credito agrario e peschereccio, in attuazione dell'art. 43, comma 3, del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385: “testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”. (gu n.111 del 15-5-1995) “il comitato interministeriale per il credito ed il risparmio  Visti i commi 1 e 2 dell’art. 43 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, che definiscono le nozioni di credito agrario e di credito peschereccio, prevedendo che:  il credito agrario ha per oggetto la concessione, da parte di banche,  di  finanziamenti destinati alle attività agricole e zootecniche nonché a quelle a esse connesse o collaterali; il credito peschereccio ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti destinati alle attività di pesca  e acquacoltura nonché a quelle a esse connesse o collaterali;  Visto il comma 3 del medesimo articolo, il quale dispone che sono attività connesse o collaterali l'agriturismo, la manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti nonché le altre attività individuate dal CICR;  Vista la delibera del 27 ottobre 1983 con la quale sono stati dichiarati finanziabili nell'ambito del credito agrario i comparti dei servizi all'agricoltura (informatica, ricerca, sperimentazione), del risparmio energetico e del trattamento industriale di residui agroalimentari;  Su proposta della Banca d'Italia;  Delibera:  1. Ai fini del credito agrario e del credito peschereccio sono attività connesse o collaterali anche quelle svolte nei comparti dei servizi a favore dell’agricoltura e della pesca, tra i quali rientrano quelli di natura informatica, di ricerca, di sperimentazione, di risparmio energetico e di trattamento industriale di residui agroalimentari.  2. Ai fini del credito peschereccio, l'acquacoltura in acqua dolce è equiparata a quella in acqua salata.  3. Sono abrogate la delibera assunta in data 27 ottobre 1983 e tutte quelle incompatibili con le previsioni della presente delibera.  4. La Banca d'Italia emanerà istruzioni applicative della presente delibera.  La presente delibera sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.”

[9] Tale connotazione del credito agrario emerge in modo rilevante da quanto affermato dal Tribunale di Foggia nella sentenza del 5 gennaio 2011 secondo cui «i contratti di mutuo di scopo, nel cui novero vanno ricompresi i contratti di finanziamento di credito agrario che possono effettuarsi mediante utilizzo di cambiale agraria ex articolo 43 del T.U.B., si differenziano dal mutuo tipico per la natura consensuale e non reale e perché il perseguimento dello scopo previsto entra a far parte dello stesso schema causale; ne deriva che il mutuo di scopo è nullo per difetto originario della causa quando il contratto sia stato stipulato dell’istituto di credito e dal mutuatario con l’accordo che il finanziamento sarà utilizzato per una finalità diversa, quale ad esempio estinguere debiti in precedenza contratti dal sovvenuto verso l’istituto mutuante, di modo che il mutuatario stesso è esonerato ab initio dall’adempimento dell’obbligazione di impiegare la somma mutuata per il raggiungimento dello scopo stabilito in conformità alla legge speciale»

[10] In tal senso, L. Costato, art. 43, in Le nuove leggi civili commentate, Roma, 1995, p. 322, il quale afferma “Emblematico, al riguardo, l’esemplificazione secondo cui la genericità della definizione del comma 1 dell’articolo 43, rafforzata, in parte, da quella del terzo comma consente di ritenere plausibile che anche l’attività di trasformazione dei prodotti agricoli, considerata ex se, possa essere finanziata dal credito agrario, potendo includervi anche quello erogato per ristrutturare industrie di trasformazione di prodotti agricoli”. Sulla irrilevanza del collegamento tra credito agrario e qualificazione agricola del soggetto beneficiario si guardi anche l’art. 44 T.U.B. il quale statuisce che “i finanziamenti di credito agrario e di credito peschereccio, anche a breve termine, possono essere assistiti dal privilegio previsto dall'articolo 46”.

[11] Dalla Relazione illustrativa del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, adottata nella riunione del 27 agosto 1993 dal Consiglio dei Ministri, traspariva l’esigenza di una razionalizzazione del sistema legislativo bancario troppo confusionario sì da armonizzare la complessa materia che “è divenuta più pressante a seguito dei processi di ristrutturazione organizzativa e di despecializzazione operativa sollecitati da recenti provvedimenti legislativi quali il d.lgs. 356/90 e il d.lgs. 481/92[…]Sotto il profilo operativo, l’art. 6 (dell’ultimo decreto citato) coerentemente con l’introduzione della banca universale, ha abilitato tutte le banche a effettuare operazioni attive di credito speciale secondo la disciplina propria di ciascuno di esse, anche con riferimento alle misure riguardanti le misure fiscali e tariffe. La norma non è invece intervenuta sulla stratificazione normativa preesistente, lasciando in vita forme tecniche, garanzie, la durata, privilegi di procedura tipici di ciascuna operazione. A completamento del disegno legislativo avviato col d.lgs. 481, il presente capo coordina la normativa in parola, procedendo all’eliminazione delle antinomie e delle incongruenze. Ne consegue una disciplina comune delle tipologie di operazioni affini, comprensiva, tra l’altro, dei richiamati privilegi sostanziali e di procedura”.

[12] L’art. 2082 cod. civ. esordisce: “È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata (2555, 2565) al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (2135, 2195)”. In tale direzione, tale disposizione indica i requisiti necessari affinché un soggetto possa essere qualificato come imprenditore. Il primo concerne l’esercizio di una attività economica ossia di una molteplicità di atti diretti ad uno scopo comune: la produzione o lo scambio di uno o più beni, di uno o più servizi.  Il secondo: l’organizzazione, è necessario cioè che l’imprenditore abbia mezzi patrimoniali e umani ossia sia in condizione di coordinare il capitale ed il lavoro [In senso contrario, per tutti W. Bigiavi, La piccola impresa, Milano, 1947, p. 91 e ss.; F. Galgano, Trattato di diritto civile, cit. p. 28 e ss.] Terzo requisito richiesto è la professionalità ossia intesa come abitualità dell’esercizio [In tal senso, per tutti v. W. Bigiavi, La professionalità dell’imprenditore, Padova, 1948, p. 9 e ss.; G. Bonfante, G. Cottino, L’imprenditore, in G. Cottino (diretto da) Tratt. dir. comm., Padova, 2001, p. 423 e ss.]. Infine, i termini di produzione ed economica, ci ricordano l’ultimo requisito: lo scopo di lucro. Ed, infatti, in seguito ad un forte contrasto dottrinale e giurisprudenziale sull’essenzialità [T. Ascarelli, Corso di diritto commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa, Milano, 1962, p. 189 e ss.; L. Buttaro, Diritto commerciale. Lezioni introduttive, Bari, 1995, p. 9; G. Bonfante, G. Cottino, L’imprenditore, cit. p. 435 e ss.]o meno [F. Galgano, Trattato di diritto civile, cit. p. 22 e ss.; R. Franceschelli, Imprese e imprenditori, Milano, 1964, p. 103 e ss.] di questo requisito per ottenere la qualifica di imprenditore, si è attribuita all’economicità un ruolo preminente poiché in un’attività imprenditoriale si ritiene che il meccanismo funzioni là dove i ricavi possano coprire i costi sì che si assiste al “tramonto dello scopo di lucro”[G. Santini, Il Tramonto dello scopo lucrativo nelle società di capitali, in Riv. dir. civ., 1973, p. 151].

[13] Entrambi gli imprenditori, agricolo e commerciale, sono sottoposti alla disciplina dell’imprenditore generale ma, al contrario dell’imprenditore commerciale, quello agricolo è esonerato dall’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, dalla tenuta delle scritture contabili nonché dalla soggezione al fallimento o ad altre procedure concorsuali in ipotesi di insolvenza. Per tutti si veda M. Sferrazza, Appunti di diritto commerciale, Padova, 2011, p. 37 e ss.

[14] Le principali differenze intercorrenti tra imprenditore agricolo ed imprenditore commerciale si rinvenivano nell’obbligo, per quest’ultimo, di iscrizione nel registro delle imprese; della tenuta delle scritture contabili e della soggezione al fallimento ed alle altre procedura concorsuali in caso di insolvenza. In realtà, per quanto concerne l’iscrizione nel registro delle imprese, la legge del 29 dicembre 1993, n. 280 ha eliminato, per gli imprenditori agricoli, la totale esenzione dalla iscrizione nel registro delle imprese, per imporre la registrazione nelle sezioni speciali appositamente istituite seppure con una funzione differente ed espressamente sancita dall’art. 2 del D.Lgs. n. 228 del 18 maggio 2001, secondo cui l'iscrizione degli imprenditori agricoli, dei coltivatori diretti e delle società semplici esercenti attività agricola nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all'articolo 2188 e seguenti del codice civile, oltre alle funzioni di certificazione anagrafica ed a quelle previste dalle leggi speciali, ha l'efficacia di cui all'articolo 2193 del codice civile”, la cui portata letterale induce, tra l’altro, a dubitare su un’avvenuta abrogazione dell’art. 2136 cod. civ. ossia dell’obbligo della tenuta delle scritture contabili. Con riferimento, invece, alle procedure concorsuali, principio della esenzione dell'imprenditore agricolo dal fallimento, già messo in crisi con la modifica dell’art. 2135 cod. civ., che ha ampliato la nozione di imprenditore agricolo introducendo nella nozione di impresa agricola anche attività che non richiedono una connessione necessaria tra produzione e utilizzazione del fondo, è stato definitivamente superato dalla legge n. 155 del 19 ottobre 2017, la quale ha espressamente incluso tra i debitori assoggettabili ai procedimenti di accertamento dello stato di crisi e di insolvenza l'imprenditore agricolo. In, realtà, una prima apertura si era già avuta con il d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011, il quale aveva esteso anche agli imprenditori agricoli la possibilità̀ di accedere agli accordi di ristrutturazione e alla transazione fiscale.

[15] In tal senso, A. Germanò, Sul perché dello speciale «statuto» dell’impresa agricola: una ricerca sulla dottrina italiana, in S. Mazzamuto (a cura di), Impresa agricola ed impresa commerciale. Le ragioni di una distinzione, Napoli, 1992, passim

[16] La dottrina non è stata unanime nel ritenere l’imprenditore agricolo e l’imprenditore commerciale come soggetti differenti. Dell’idea che l’imprenditore agricolo fosse una categoria specifica si veda G. Ferri, Proprietà produttiva ed impresa agricola, Torino, 1992, p. 15; F. Galgano, Imprenditore commerciale, in Dig. disc. priv., Sez. comm., Torino, 1992, p. 27. Di contrario avviso, nel senso si ritenere esatta la previsione di due distinte categorie di imprenditore: agricolo e commerciale, invece, E. Romagnoli, L’impresa agricola, in P. Rescigno (diretto da), Trat. Dir. priv., Torino, 1986; A. Germanò, Riedizione della tesi dell’inesistenza della «impresa agricola» come impresa in senso tecnico: una critica, in Riv. dir. agr., 1993, p. 351; A. Jannarelli, L’imprenditore agricolo e le origini del libro V del codice civile, in Quad. fiorentini, 2011, p. 511; M. Tamponi, Impresa agricola e registro delle imprese alla luce del Dlgs.18 maggio 2001, n. 228, in Dir. giur. agr. Amb., 2001, p. 523 ss.

[17] D’altronde, l’agricoltura italiana è, da sempre, connotata da una caratterizzazione familiare. Dal codice civile alle norme di legislazione speciale, la disciplina normativa era sempre predisposta al fine di fornire risposte alle micro aziende, spesso a conduzione familiare, caratterizzate – ad eccezione di quelle dedite al vitivinicolo volte alla produzione su più ampia scala- da labili confini tra autoconsumo e produzione diretta al mercato.

[18] Con il termine rating si intendono una serie di calcoli matematici che includono fattori quantitativi (indici di bilancio, centrale di rischi e indici di andamento aziendale) e fattori qualitativi (prospettive settoriali e altre situazioni caratteristiche dell’azienda). Il risultato è un valore numerico al quale corrisponde una determinata “propensione all’insolvenza”.

[19] Sulla valutazione del merito creditizio si vedano S. Cataldo, L. Signorini, Investimenti, finanza e tassazione nel settore agricolo, Maggioli Editore, 2010, p. 75 e ss.; M. Mateev, Sustainable Development and Social Responsibility, Dubai, 2018; P. Cupo, M. Di Domenico, La valutazione del merito creditizio in agricoltura alla luce dell'Accordo Basilea 2: Un'applicazione ad un'impresa floricola, Aestimum 53, 2008, i quali in modo preciso affrontano la problematica del merito creditizio. Questi ultimi affermano testualmente “Nelle politiche di affidamento tradizionali antecedenti all’Accordo Basilea 2, il merito creditizio era determinato in modo diretto e soggettivo dal valutatore della banca (spesso il direttore della filiale) sulla base, normalmente, di una relazione personale con l’imprenditore. Questo approccio implicava non pochi problemi: mancata interiorizzazione delle informazioni da parte della banca dato che esse erano note esclusivamente al valutatore; assenza di sanzioni per il personale della banca in caso di comportamenti fraudolenti, in quanto i presupposti della valutazione del merito creditizio non erano formalizzati; assenza di metodi standardizzati per la gestione delle informazioni; tensioni all’interno dell’azienda per la variazione del personale bancario; eccessiva presenza di elementi di soggettività nella valutazione; richiesta di una scarsa documentazione atta esclusivamente a censire i dati anagrafici dell’azienda e degli esponenti aziendali ed a dimostrare l’esistenza e l’escutibilità delle necessarie garanzie. Con tali metodi si privilegiava troppo la valutazione della rischiosità della singola operazione di prestito nei confronti di quella del soggetto prenditore, con la conseguenza di esprimere parere positivo solo in presenza di adeguate garanzie. La valutazione del merito creditizio era, quindi, incentrata sulla individuazione della solidità patrimoniale e reddituale dell’impresa agricola ed in particolare sulla conoscenza personale, o sull’esistenza di un preesistente rapporto con l’istituto, derivante dall’appartenenza a un determinato gruppo di clienti della banca o ad associazioni di categoria.

[20] Si veda P. Cupo, M. Di Domenico, La valutazione del merito creditizio in agricoltura alla luce dell'Accordo Basilea 2: Un'applicazione ad un'impresa floricola, cit. “La collaborazione tra ISMEA e Moody’s KMV consentono di superare la semplice e spesso penalizzante richiesta di garanzie patrimoniali, punto di forza delle valutazioni di merito creditizio antecedenti l’Accordo Basilea 2. Per raggiungere tale obiettivo Moody’s ha messo a disposizione di ISMEA: un modello per calcolare la probabilità di insolvenza che determina mensilmente la rischiosità delle imprese; uno strumento per la raccolta, l’analisi e la conservazione dei dati finanziari, economici e di trend collezionati dall’ISMEA al fine di generare rating aziendali specifici. Tale collaborazione ha permesso la realizzazione di tre modelli che garantiscono un’attenta e specifica valutazione del rischio di insolvenza in funzione delle diverse tipologie di aziende esaminate: 1. ISMESM-SME per le piccole e medie aziende agricole senza obbligo di bilancio; 2. ISMESM-MM per le società di capitale con obbligo di bilancio; 3. ISME-COOP per le cooperative agricole”.

[21] A differenza di altri settori produttivi, quello agricolo gode di particolari agevolazioni a partire dalla tassazione ai fini del reddito. Infatti, l’attività agricola delle società semplici viene tassata non sui risultati di bilancio, ma sulla base della rendita catastale a prescindere dal reddito effettivamente prodotto o dalla perdita conseguita. Tutte le altre società diverse dalla società semplice determineranno il reddito derivante dall’esercizio di attività agricole in base alle risultanze di bilancio. Ai fini fiscali, in ogni caso la determinazione del reddito è di carattere forfetario, in quanto effettuata mediante l’applicazione di tariffe d’estimo, stabilite dalla legge catastale per ogni qualità e classe di coltura, tenendo conto dell’ammontare delle spese e dei costi. Per una lettura approfondita sui Regimi Fiscali dell’imprenditore agricolo si vedano S. Mogorovich, Azienda agricola e fisco, Maggioli Editore, 2019; C. D’Erba, Iva e regime fiscale in Agricoltura, Maggioli Editore, 2015.

[22] M. Yunus, Un mondo senza povertà, Milano, Universale Economica Feltrinelli, 2010, p. 32 afferma: “L’elargizione di denaro non costituisce una soluzione, né a breve né a lungo termine. [...] allungare la moneta significa implicitamente invitare il mendicante a sparire, è un modo per sbarazzarsi comodamente del problema. [...] Dal punto di vista del destinatario, la carità può avere effetti devastanti. Chi raccoglie denaro mendicando non è motivato a migliorarsi. [...] In ogni caso mendicare priva l’uomo della sua dignità. Togliendogli l’incentivo a provvedere alle proprie necessità con il lavoro, lo rende passivo e incline ad una mentalità parassitaria [...]. Il meccanismo che opera sul piano individuale è lo stesso che interviene più in grande nel campo degli aiuti internazionali.”

[23] Lo stesso Yunus quando gli chiedevano come gli fossero arrivate quelle idee innovative rispondeva “Abbiamo guardato come funzionano le altre banche e abbiamo fatto il contrario” in Muhammad Yunus, Il banchiere dei poveri, Milano, XIV edizione, 2010, p.115

[24] I monti di pietà consistono, infatti, come i monti di pegni nell’erogazione di prestiti di piccola entità a condizioni favorevoli rispetto a quelle esistenti sul mercato in cambio di un pegno del valore di almeno un terzo della somma richiesta. I due istituti, però, si differenziano per la ragione etica sottesa alla erogazione dei primi. In particolare, i Monti di pietà sorsero nei vari Stati italiani intorno alla metà del 15° sec., grazie all’opera dei francescani, con l’intento di liberare le classi meno abbienti dall’usura. Il primo monte di pietà sorse a Perugia nel 1462 benché l’istituto si diffuse soprattutto dopo che Leone X nella sesta sessione del V Concilio Laterano riconobbe la liceità dell’interesse sì da consentire a tale istituto di crescere e trasformarsi in istituzioni di natura bancaria. Per una lettura più approfondita sui Monti di pietà si veda N. Di Mauro, I Monti di Pietà nel XV secolo: Origini e aspetti generali della loro fondazione, Torino, 2013; B. Cusato, Il pegno, in P. Cedon (a cura di), Fatto e diritto, Milano, 2006, p.12

[25] È il banchiere napoletano Lorenzo Tonti a fornire lo spunto per la creazione delle mutue di credito, chiamate appunto Tontine, che, a partire dall’Africa Francofona, insegnarono alle comunità un nuovo modo di vivere il credito. Nella tontina, ognuno dei partecipanti corrisponde la propria quota di ingresso. Il capitale raccolto è investito sì che gli appartenenti possano godere degli utili ricavati sino al momento della loro morte. Dopo il decesso, il capitale versato dalla persona defunta è ripartita fra i restanti appartenenti alla tontina. Le tontine ebbero una notevole importanza perché consentirono al matematico francese Deparcieux di costruire le prime tavole di mortalità basandosi sui registri degli anni 1689, 1696, 1734 sui quali era annotata l’età di ingresso e di morte delle persone partecipanti alle tontine così E. Damiani, Contratto di assicurazione e prestazione di sicurezza, Milano, 2008, p. 72 e ss. Sulla storia delle tontine si veda J. Hermand, Théorie et pratique des assurances terrestres, I Parigi, 1924, p 162 e ss.

[26] Sul credito rotativo ed in particolare sulla rosca, si vedano L. Viganò, Microfinanza in Europa, Bellio, 2004, p. 23 ss; B.Helms, Access for All: Building Inclusive Finacial Systems, Washington, 2006; B. Armendariz de Aghion, ‎J. Morduch, The economics of Microfinance, Massachusetts, 2005; I. Kawachi, ‎So. Takao, ‎S.V. Subramanian, Global perspectives on social capital and health, New York, 2013.

[27] Il 20 giugno del 1883 veniva fondata la prima Cassa rurale a Loreggia in provincia di Padova ad opera di Leone Wollemborg. Solo quattro anni dopo venne costituita la prima Federazione delle Casse rurali organizzate in modo unitario. Sulla storia della Casse rurali v. G. De Rosa (a cura di) I tempi della Rerum novarum, Roma, 2002.

[28] M.Pellegrini, La svolta bancaria degli intermediari finanziari non bancari. Da un riscontro di regolarità alla “supervisione” in Scritti in onore di Francesco Capriglione, Padova, 1/2010, I, p. 285; G. Carriero, La riforma del credito ai consumatori e le nuove polizie di tutela del risparmiatore nel settore bancario, in Europa e dir. priv., 2/2011, p. 505 e ss.

[29] L. Brunoni (a cura di), La complessa identità del microcredito. Una ricerca multidisciplinare, Bologna, 2014, p. 30 


[30] M. Baccini., “Prefazione”, in N. Bocella (a cura di) Il sistema del microcredito. Teoria e pratiche, Milano, 2011, p. 8

[31] È, tuttavia, possibile, secondo quanto espressamente statuito dalla lettera b) del quinto comma del nuovo art. 111 TUB che le norme di attuazione dettate dal Ministero dell’Economia, sentita la Banca d’Italia, possano prevedere dei casi il cui l’importo del finanziamento erogabile sia superiore a 25.000 Euro ed in cui le condizioni economiche applicate possano essere diverse da quelle normali del microcredito

[32] I. Isaia., Il processo creditizio e le garanzie, in A. Limone. D. Ciravegna, Otto modi di dire Microcredito, Il Mulino, 2007, secondo il quale “l’inadempimento, all’interno di un contesto sociale stringente, oltre ad essere un atto legalmente perseguibile, diviene, innanzitutto, un atto di irresponsabilità ed ingiustizia nei confronti dei pari, che pagano sulla propria pelle la slealtà dell’individuo o comunque ne riconoscono l’inaffidabilità “marchiandolo” per sempre. Ovviamente tale meccanismo si verifica nelle civiltà meno aperte e sviluppate, come ad esempio i villaggi dei Paesi arretrati. Nei Paesi industrializzati, chiaramente, la situazione diventa, da questo punto di vista, più difficile perché l’individuo sfugge al controllo da parte dei suoi pari proprio perché viene a mancare l’intreccio di relazioni che permette le forme di controlli. A ciò, si aggiunge una più accentuata mobilità spaziale del cliente che lo rende “sfuggente” anche da un punto di vista fisico: se infatti nei paesi meno sviluppati, l’individuo difficilmente si allontana dal proprio villaggio e territorio di riferimento, per mancanza di prospettiva, ma anche perché logisticamente impossibilitato (trasporti inefficienti o inesistenti), nei paesi industrializzati la possibilità di movimento è molto maggiore, e quindi con essa anche l’eventualità che il cliente “sparisca” per sfuggire alle obbligazioni contratte”.

[33] L’assenza di qualsiasi statuizione al riguardo non consentirebbe, invero, di escludere che gli istituti di credito possano ricorrere a queste ulteriori forme di garanzie, rendendo, dunque, tale forma di finanziamento, addirittura più svantaggiosa rispetto ad altre e con la inevitabile conseguenza di tradire la ratio stessa dell’istituto. Ed, ancora, per quanto concerne i tassi di interesse, non vi sono vincoli se non quelli di legge sui tassi usurai; tuttavia in riferimento a tale profilo, non si deve trascurare che la mancata previsione, ai fini rilevazione effettuata del tasso effettivo globale medio, di una apposita categoria di riferimento potrebbe condurre all’inevitabile accostamento del microcredito ad altre operazioni aventi tassi soglia elevati, magari superiori rispetto a quelli previsti per altre forme di finanziamento, alle quali le stesse imprese potrebbero accedere.

[34] Nella bipartizione postunitaria del codice civile e del codice commerciale, il settore agricolo, lungi dall’essere considerato fonte di attività produttive, era preso in considerazione esclusivamente al fine di poter ricondurre tale settore nell’alveo civilistico ossia sotto il duplice profilo della proprietà del fondo o dei contratti diretti al godimento dello stesso. D’altronde, non può trascurarsi, in tal senso, come il codice civile del 1865 fosse suddiviso in tre libri, di cui il secondo ed il terzo dedicati alla proprietà ed ai suoi modi d’acquisto, sì da essere ritenuto il codice della proprietà fondiaria. In tale direzione, il diritto agrario era eletto quale branca del diritto civile del tutto disancorata dal diritto commerciale anche se, già in tale periodo storico, si riteneva che laddove l’esercizio dell’attività agricola fosse svolto attraverso l’utilizzo di rilevanti mezzi di produzione, la stessa sarebbe stata qualificata alla stregua di attività commerciale. In tal senso, si vedano L. Costato, La definizione giuridica di agricoltura negli ordinamenti italiano e comunitario, in Aa.Vv. (a cura di), Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario, Cedam, Padova, 2003, passim; A. Vecchione, L’imprenditore agricolo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2004, p. 17 e ss.; R. Bracco, L’impresa nel sistema del diritto commerciale, Cedam, Padova, 1960, p. 274.

[35] L. 18 agosto 2015, n. 141 «promuove l’agricoltura sociale, “quale aspetto della multifunzionalità” delle imprese agricole, finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l’accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate».

[36] La L. 18 agosto 2015, n. 141, si inserisce nella programmazione dell’Unione Europea in materia di agricoltura per il periodo 2014-2020. Ed, infatti, il Regolamento UE n. 1305/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo Europeo Agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) che abroga il Regolamento CE n. 1698/2015, prevede, all’art. 5, punto 16, l’inclusione sociale tra le priorità della politica di sviluppo rurale; mentre il Regolamento UE n. 702/2014 della Commissione del 25 giugno 2014 dichiara compatibili con il mercato interno, in applicazione degli artt. 107 e 108 del TFUE, alcune categorie di aiuti nei settori agricolo, forestale e nelle zone rurali, qualora tali aiuti siano concessi ai sensi del Regolamento UE n. 1305/2013 e siano cofinanziati dal FEASR o concessi a titolo di finanziamenti nazionali integrativi a favore di misure cofinanziate ai sensi del combinato disposto degli artt. art. 1, comma 1, lett. A, punto II, 3 e 45.

[37] Tutte attività che si ricollegano «ad una attitudine antica dell'agricoltura - da sempre caratterizzata dal legame tra azienda agricola e famiglia rurale e da pratiche di solidarietà e mutuo aiuto – che oggi si presenta come una ulteriore declinazione del concetto di multifunzionalità, capace di fornire risposte ad ulteriori bisogni della società, soprattutto in ragione dei cambiamenti che interessano e interesseranno negli anni a venire il sistema del wejfare». In tal senso, Camera dei Deputati XVI Legislatura, Commissione Agricoltura, Indagine conoscitiva sull’agricoltura sociale, 4 luglio 2012, p.5 e ss.

[38] La Legge 19 agosto 2016, n. 166, recante «Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi», le cui disposizioni sono entrate in vigore a partire dal 14 settembre 2016 recepisce alcune delle indicazioni che erano fornite nel PNPR, apprestando una semplificazione degli oneri amministrativi connessi alle procedure previste per la donazione di cibo inutilizzato. In particolare, il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti indicava cinque misure da adottare a livello nazionale e locale ai fini della prevenzione dei rifiuti biodegradabili, comprensivi degli scarti alimentari ossia prevedeva la valorizzazione dei sottoprodotti dell’industria alimentare, così da poterli impiegare per scopi ulteriori (ad esempio, mangimi per animali); la distribuzione delle eccedenze alimentari da parte delle imprese afferenti alla grande distribuzione organizzata. In tale settore, è possibile individuare due categorie rilevanti di rifiuti prodotti: gli scarti alimentari ed i rifiuti da imballaggio. I rifiuti alimentari nella distribuzione sono spesso legati alla gestione del magazzino, dal momento che si tratta soprattutto di prodotti invenduti prossimi alla data di scadenza e di prodotti che presentano un imballaggio danneggiato. A tale proposito, il programma metteva in luce gli effetti positivi sulla riduzione dei rifiuti derivanti da un ipotetico accorciamento della catena di distribuzione. Gli alimenti non deteriorati e non ancora giunti a scadenza possono infatti essere intercettati prima che diventino rifiuti ed essere utilmente distribuiti ad esempio alle mense sociali; promozione della filiera corta, in modo tale da diminuire gli scarti legati alle fasi e ai passaggi che separano il produttore dal consumatore; promozione dei sistemi di certificazione di qualità ambientale dei servizi alimentari, e quindi dei servizi di ristorazione, hotel, catering, bar, etc. L’obiettivo era quello di incentivare i soggetti economici del territorio a migliorare le proprie performances ambientali soprattutto in materia di prevenzione dei rifiuti, attraverso un ritorno di immagine derivante dall’accreditamento del marchio e la sua pubblicizzazione; infine, l’obiettivo di ridurre gli scarti alimentari a livello domestico, da perseguire mediante una maggiore consapevolezza riguardo alla quantità di cibo ancora commestibile di cui ci si disfa, alla perdita economica che rappresenta e all’impatto ambientale legato alla raccolta e trattamento di questo tipo di rifiuti.

[39] Non più elemento negativo ma categoria valoriale, sostanze organiche quali rifiuti e residui industriali, agricoli e forestali ai fini della produzione energetica. In tal senso, v. G. Cocco, Il rifiuto come categoria valoriale, in Riv. giur. dell’Ambiente, 3-4/2014, p. 295 e ss. secondo il quale «è possibile fare qualche riflessione scavando “a monte” di queste tematiche e soffermandosi un poco sull’idea che il mondo contemporaneo si è costruito del “rifiuto”. Secondo l’accezione comune si tratta di qualcosa di cui vogliamo disfarci, se non qualcosa di ripugnante o addirittura pericoloso. Eppure, non è così per altre culture, per ceti diversi, e non è stato così in altre epoche storiche. Può ben accadere che ciò che un qualsiasi organismo scarta può non essere un rifiuto, ma una materia prima per qualcun altro. E, allargando un poco lo scenario, aiuta a ricordare che in un ecosistema naturale gli organismi viventi fanno parte di una rete molto complessa di relazioni: ci sono i produttori di sostanze organiche (le piante), i consumatori primari e secondari (gli animali) ed i decompositori (microorganismi) che si nutrono di organismi morti o di materiali biologici espulsi (peli, penne e foglie) trasformandoli in sostanze che vengono utilizzate nuovamente dai produttori per costruire altra materia vivente. Così si configura il sistema naturale definito “a ciclo chiuso” che ricicla e non distrugge. L’uomo, pur facendo parte della natura, ha creato un nuovo “ecosistema artificiale” aperto, che non ha molto in comune con i cicli chiusi ed in cui non si crea e non si aiuta la vita, ma si producono beni di consumo, oggetti. L’uomo è pressoché l’unico tra gli esseri viventi che ha questa capacità di creare degli oggetti, e così facendo ha aperto il ciclo chiuso della natura: estrae dalla terra le materie prime e le utilizza per costruire oggetti che poi, terminato il loro scopo, vengono buttati, accumulati e non reimpiegati, i rifiuti». Nell’ambito delle politiche bioeconomiche, un ruolo fondamentale è ricoperto dal settore delle bioenergie, il quale consiste nel reimpiegare sostanze organiche quali rifiuti e residui industriali, agricoli e forestali ai fini della produzione energetica. Il settore della bioenergia, però, crea numerosi problemi quando la stessa sia prodotta da colture alimentari sì da entrare in competizione con l’interesse all’approvvigionamento alimentare. In tale direzione, è necessario differenziare tre diverse situazioni: la prima concerne biocarburanti convenzionali, derivanti da colture alimentari, come zucchero, amido e oli vegetali prodotti da terreni utilizzando materie prime che possono essere utilizzate anche per l’alimentazione umana e animale sì che, in queste ipotesi, l’attività agricola è finalizzata alla produzione di vegetali, quali ad esempio girasoli, soia, mais, ovvero di tutti quei vegetali che possono essere impiegati al fine di produrre biocombustibili a scopi energetici; la seconda riguarda i biocarburanti avanzati, ossia l’impiego di sostanze organiche di scarto dell’attività agricola e della filiera alimentare nella produzione di energia. In tal caso, tali biocarburanti derivano da fonti che non sono in concorrenza diretta con colture alimentari e foraggere, come i rifiuti e i residui agricoli. L’ultima situazione concerne la destinazione di suoli agricoli all’installazione di impianti energetici, come ad esempio quelli fotovoltaici ed eolici. Orbene, tralasciando quest’ultima nella quale gli interessi alimentari si scontrano con quelli energetici, le altre due sono state oggetto di intervento legislativo europeo. In particolare, mediante la Direttiva (UE) 2015/1513, si è avviata la transizione da biocarburanti di prima generazione a quelli di seconda generazione, e cioè dai biocarburanti convenzionali a quelli avanzati, allo scopo precipuo di salvaguardare gli interessi ambientali e alimentari, riducendo sia le emissioni di gas a effetto serra sia il consumo di risorse altrimenti destinabili alle dinamiche di produzione alimentare.

[40] Sull’economia circolare si vedano G. Rossi (a cura di) I rifiuti: dallo smaltimento alla prevenzione, in Diritto dell’ambiente, Torino, 2/2015, p. 308 e ss.; C. Bovino, Verso un’economia circolare: la revisione delle direttive sui rifiuti, in Ambiente e sviluppo, 10/2014, p. 682 e ss.; F. De Leonardis, Economia circolare: saggio sui suoi tre diversi aspetti giuridici. Verso uno Stato circolare? in Dir. amm., 3/2017, il quale parla di multidisciplina dell’economia circolare. In particolare, secondo l’A. «L’economia circolare è, dunque, interconnessione, integrazione e interdisciplinarietà dal momento che in essa vengono a confluire discipline diverse: l’etica (con i doveri nei confronti del pianeta e delle generazioni future); la filosofia della scienza (con il cambio dei paradigmi); l’economia (con i suoi modelli di sviluppo); le scienze cd. dure (e tra di esse la biologia, l’agraria, l’ingegneria), il diritto (con le sue regole)»

[41] È sufficiente riporre attenzione al Settimo programma di azione ambientale che stabilisce gli obiettivi entro il 2020 ed, in prospettiva, entro il 2050, nel quale assume particolare rilievo la trasformazione di rifiuti come risorsa; alla Comunicazione della Commissione europea del 2014 che propone l’aggiornamento di tutte le direttive in tema di rifiuti; al piano di azione “pacchetto economia circolare”, per favorire la transizione verso un’economia che sia sostenibile, rilasci poche emissioni di gas ad effetto serra e utilizzi le risorse in modo efficiente. Il piano di Azione è basato su un’economia che assicuri la chiusura del ciclo dei prodotti e, dunque, un ciclo che si sviluppi in tal senso: produzione, consumo, gestione dei rifiuti e loro trasformazione in materie prime secondarie. In particolare, il piano di azione parla di anello mancante, giacché discute della necessità di chiudere il ciclo in modo virtuoso ossia della necessaria ricerca di una metodologia che riesca ad abbracciare tutta la vita del prodotto dalle materie prime: progettazione, produzione, commercializzazione, consumo, riciclo e smaltimento.

[42] Interessante, anche se in tema di valutazione di impatto ambientale, A. Moliterni, La regolazione delle fonti energetiche rinnovabili tra tutela dell’ambiente e libertà di iniziativa economica privata: la difficile semplificazione amministrativa, in federalismi.it, 27 settembre 2017, il quale evidenzia come «la stessa normativa sull’autorizzazione unica degli impianti da fonti energetiche rinnovabili costituirebbe il segno di una precisa scelta di “politica programmatoria” del legislatore il quale ha inteso perseguire il raggiungimento dell’obiettivo di interesse generale – cioè la riduzione delle emissioni inquinanti – non attraverso la “mano pubblica”, ma attraverso l’iniziativa economica privata, quando non ostino altri interessi di carattere generale»( par. 4 della sentenza Corte cost., n. 267/2016). L’apporto del settore privato risulta infatti imprescindibile per l’effettivo raggiungimento degli obiettivi di interesse pubblico, non assumendo rilievo il fatto che esso sia mosso da scopi di carattere lucrativo. In sostanza, l’obiettivo pubblico di ridurre le emissioni inquinanti attraverso l’incremento della produzione di energia “pulita” – che costituisce a livello europeo il riflesso di un vero e proprio obbligo di servizio pubblico – viene perseguito non già in via diretta dai poteri pubblici, ma valorizzando piuttosto le libere dinamiche dell’iniziativa economica privata». Ed, ancora, P. Magno, G. Giove, Profili del nuovo diritto agrario e dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2006, p. 191 e ss.

[43] G. Stumpo, La promozione delle fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno, in Dir. e Giust., 2004, il quale sottolinea come «Il VI programma comunitario di azione in materia di ambiente (anno 2002), individua nel cambiamento climatico un tema prioritario per l'Ue e prevede per il 2005, l'istituzione di un sistema per lo scambio di emissioni esteso a tutta la Comunità europea; tale programma afferma in particolare l’impegno dell'Ue a conseguire, tra il 2008 ed il 2012, una riduzione dell’8% delle emissioni di gas ad effetto serra rispetto al livello del 1990, riconoscendo altresì che, a più lungo termine occorrerà che le predette emissioni diminuiscano del 70% circa, rispetto allo stesso livello del 1990. Le imprese, in persona dei gestori degli impianti che emettono gas inquinanti ed il settore dell’energia e dei trasporti in Europa, saranno in particolare tenuti ad una serie di importanti adempimenti, finalizzati al controllo ed al monitoraggio delle emissioni dei gas ad effetto serra, come precisati dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2003/87/Ce e dalla decisione della Commissione n. 2004/156/Ce. Nel contesto degli impegni assunti dall'Ue con la sottoscrizione della Convenzione delle Nazioni Unite per il controllo dei cambiamenti climatici e del Protocollo di Kyoto, spicca inoltre l’obiettivo di promuovere a livello europeo la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili, fatto proprio già dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2001/77/Ce, le cui disposizioni hanno costituito oggetto di recepimento da parte dell'Italia, con il D. Lgs. 387/03 (in G.U. 31.1.2001 n. 25, S.O. n. 17)».

[44] L’art. 2135 c.c. menziona il criterio di prevalenza due volte e lo fa secondo accezioni differenti. In una prima accezione l’espressione è riferita alla produzione [la c.d. prevalenza per prodotto,]; mentre, secondo una seconda applicazione, il suddetto criterio è riferito alle attrezzature e alle risorse [la cd prevalenza per attività]. A sua volta, la prevalenza dei prodotti è stata intesa in due ulteriori significati, giacché per un verso, il criterio è stato ancorato a profili di tipo quantitativo, nel senso di qualificare le attività di trasformazione, manipolazione, commercializzazione dei prodotti agricoli come attività agricole per connessione solamente là dove la produzione del bene finale sia avvenuta mediante l’uso prevalente di prodotti della propria impresa agricola rispetto a quelli acquistati da terzi. Per altro verso, il secondo significato, ossia quello di tipo reddituale-valoriale rinvia, invece, alla prevalenza dell’attività dalla quale derivi la maggior fonte di guadagno. In tale ipotesi, la condizione di prevalenza andrà verificata confrontando il valore normale dei prodotti agricoli ottenuti dall’attività agricola principale ed il costo dei prodotti acquistati da terzi; sarà necessario, però, che, sui prodotti acquistati dai terzi, intervenga, comunque, una attività di manipolazione o di trasformazione [Cass. civ., 10 aprile 2015, n. 7238, in Giustizia Civile Massimario 2015] e che i prodotti, così realizzati, rientrino nella tipologia di appartenenza dei beni ottenuti dalla trasformazione dei prodotti propri [Cass. civ., 22 aprile 2016, n. 8128, in Giustizia Civile Massimario 2016]. Ed, infatti, è bene ricordare che un’attività connessa, per essere considerata tale, non deve, comunque, alterare la natura dell’attività agricola ex se e questo sia dal punto di vista della coerenza merceologica sia per quanto concerne lo scopo dell’impresa, dovendo rimanere pur sempre agganciato ad un comparto agricolo e non deviato verso un’attività di trasformazione, produzione che si allontani troppo dall’attività primaria. In tal senso, A. Rocchi E L. Scappini, La misurazione della prevalenza nelle attività connesse “di produzione” in agricoltura, in Il fisco, 9/2017, 852. Secondo la quasi unanime opinione della dottrina, il criterio della prevalenza dovrebbe far riferimento sempre ad una parametrazione in termini puramente quantitativi in ipotesi di omogeneità merceologica; mentre si dovrebbe introdurre una valutazione economica là dove l’imprenditore acquistasse prodotti eterogenei presso terzi, giacché sarebbe impossibile porre a confronto quantità relative a beni di specie diversa. In tal senso, A. Germanò, L’impresa agricola, in Dir. e giur. agr., 2001, p. 516. Altra dottrina ha segnalato l’incertezza che in concreto può generare il criterio della prevalenza, per il quale la legge non offre ulteriori specificazioni. In tal senso M. Bione, Imprenditore agricolo, Dir. priv., in EG, Roma, 16/2003, p. 7. Si veda anche F. Preziosi, Il regime fiscale delle attività agricole connesse, in Corr. trib., 2004, p. 3654, secondo il quale “la prevalenza può essere misurata in termini di quantità o di valore: il primo parametro può essere utilizzato se i beni da porre a confronto risultano omogenei (ad esempio trasformazione in marmellate di mele prodotte e mele acquistate). Se, invece, i beni non sono omogenei, il criterio più idoneo è quello del valore (ad esempio, trasformazione in marmellate di mele prodotte e pere acquistate da terzi). L’interpretazione evolutiva della prevalenza cd. per attività ha consentito di attratte nell’orbita gravitazionale dell’impresa agricola attività che la rigida applicazione del tradizionale criterio di prevalenza quantitativa avrebbe, invero, escluso quali, ad esempio, quelle agro-turistiche. La connotazione agraria di queste ultime attività suggerisce un significato diverso della prevalenza e lascia intravedere l’intento legislativo di spingere, mediante l’applicazione dei rinnovati criteri di connessione, verso l’agrarietà, di creare un collegamento, sempre più forte, tra persona e ambiente, giacché il dibattito sull’ambiente si traduce in un dibattito sulla persona e sui suoi diritti. Traspare la volontà del sistema di ampliare le frontiere dell’impresa agricola e di agevolare un sempre e maggiore avvicinamento a quest’ultima. La soluzione che parrebbe, invero, preferibile e più congrua a livello sistematico, è quella che ostenti una estensione razionale dei concetti di connessione e di prevalenza, la quale si presta, ad una lettura del tutto diversa da quella adoperata tradizionalmente. Ed, infatti, pare ragionevole che, così come avvenuto per l’agriturismo, la qualificazione agricola o commerciale delle attività da fonti di energia rinnovabili debba avvenire mediante il ricorso agli ulteriori elementi qualitativi quali gli investimenti effettuati, i costi di manutenzione, i prezzi fissati dal GSE per la cessione di energia; tutte voci che non sostituiscono il parametro quantitativo ma che, in un’ottica di valorizzazione della nuova funzione attribuita all’impresa agraria, concorrono alla individuazione della reale natura dell’attività esercitata.

[45] Il maggiore incentivo all’avvicinamento tra settore agricolo e settore creditizio perviene, sicuramente, dalla normativa comunitaria. In particolare, sin dalla riforma Fischler, la Politica agricola comune ha iniziato lo spostamento di risorse dal primo [politiche di sostegno ai redditi] al secondo pilastro [politiche strutturali]. Tale programmazione delle risorse, ancor più accentuata per il 2014-2020, è indirizzata ad agevolare uno sviluppo rurale organico ed inclusivo giacché si tenta di spingere il comparto primario verso un’agricoltura multifunzionale, capace sia di produrre derrate alimentari sia di offrire molteplici servizi alla propria comunità di riferimento.

[46] Il programma americano del sopra menzionato Million Solar Roofs ha svolto un ruolo decisivo nello sviluppo delle fonti fotovoltaiche in tutto il mondo. La stessa Unione Europea ha redatto un programma, The one hundred thousand Solar Roofs Program, che rispecchia fedelmente quello americano. Sull’impresa agricola nel diritto comunitario si vedano L. Costato, Corso di diritto agrario italiano e comunitario, Giuffrè, Milano, 2008, p. 8 e ss.; G. Sgarbanti, Le fonti del diritto agrario. Le fonti del diritto costituzionali e comunitarie, Cedam, Padova, 1988, p. 305 e ss.

[47] Come accade, ad esempio, nell’ambito della disciplina dell’agriturismo in cui si ritiene comunemente che il riconoscimento della qualità agrituristica dell'attività di ricezione ed ospitalità richiede la contemporanea sussistenza della qualifica di imprenditore agricolo da parte del soggetto che la esercita, dell’esistenza di un rapporto di connessione e complementarietà con l’attività propriamente agricola e della permanenza della principalità di quest'ultima rispetto all'altra. Con la conseguenza che l'attività di “ricezione” e di “ospitalità” non deve essere prevalente rispetto all'attività agricola. In tal senso, si veda Cass. civ., 11 agosto 2015, n.16685 con nota di S. Servidio, Nell’agriturismo l’attività agricola prevale sull’ospitalità, in Agricoltura, 5/2017, p. 24; Cass.civ., 22 febbraio 2019, n. 5262; Cass. civ. 10 aprile 2013, n. 8690, in Giustizia Civile Massimario 2013, secondo la quale L’indagine sulla natura, commerciale o agricola, di un'impresa agrituristica, ai fini della sua assoggettabilità a fallimento, ai sensi dell'art. 1 legge fall., va condotta sulla base di criteri uniformi valevoli per l’intero territorio nazionale, e non già sulla base di criteri valutativi evincibili dalle singole leggi regionali, che possono fungere solo da supporto interpretativo. L’apprezzamento, in concreto, della ricorrenza dei requisiti di connessione tra attività agrituristiche ed attività agricole, nonché della prevalenza di queste ultime rispetto alle prime, va condotto alla luce dell’art. 2135, terzo comma, cod. civ., integrato dalle previsioni della legge 20 febbraio 2006, n. 96 sulla disciplina dell’agriturismo, tenuto conto che quest’ultima costituisce un’attività para-alberghiera, che non si sostanzia nella mera somministrazione di pasti e bevande, onde la verifica della sua connessione con l’attività agricola non può esaurirsi nell’accertamento dell’utilizzo prevalente di materie prime ottenute dalla coltivazione del fondo e va, piuttosto, compiuta avuto riguardo all’uso, nel suo esercizio, di dotazioni (quali i locali adibiti alla ricezione degli ospiti) e di ulteriori risorse (sia tecniche che umane) dell'azienda, che sono normalmente impiegate nell'attività agricola.

[48] S. Masini, Sulla delega per l’orientamento di una moderna definizione dell’impresa agricola, in DGAgr, 2000, p. 381.

[49] Interessante il contributo di L. Ciccarese, G. Detti, Sistemi agricoli e benefici ambientali dell’agricoltura familiare, in https://agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/56/sistemi-agricoli-e-benefici-ambientali-il-contributo-dellagricoltura-familiare, i quali esordiscono «… La trasformazione dell’agricoltura sia avvenuta a scapito delle forme sostenibili dell’agricoltura e a spese delle risorse naturali e più in generale dell’ambiente. Attualmente, l’agricoltura — soprattutto dove assume forme di elevata intensificazione e specializzazione e di larga scala — è considerata tra i responsabili dell’inquinamento delle acque, dell’erosione del suolo, dell’inquinamento e dell’acidificazione dei suoli; dell’aumento dell’effetto serra, della perdita di habitat e di diversità genetica e di specie; e dell’alterazione e della semplificazione dei paesaggi tradizionali (Canfieldet al., 2010; Smith et al., 2013; Evenson e Gollin 2003; McIntyre, 2009; Pingali 2012; Steffen et al., 2015; Muller et al. 2017). L’analisi sugli impatti dei principali settori produttivi sulla biodiversità, svolta dall’ultima edizione del Global Biodiversity Outlook, indica che l’agricoltura contribuisce per il 70% alla perdita della biodiversità terrestre globale (Secretariat of the Convention on Biological Diversity, 2014). Queste numerose esternalità ambientali creano un enorme costo economico che i produttori di alimenti industrializzati raramente pagano... Negli ultimi decenni alcune forme di produzione agricola alternative a quelli monocolturali e industriali, orientate verso la sostenibilità ambientale e sociale e ai principi agro-ecologici, sono state proposte come soluzioni efficaci per coniugare sufficienti livelli di produzione alimentare con la protezione dell’ambiente in generale e con la conservazione della biodiversità in particolare. Queste forme di produzione, anche se molto diversificate tra loro e riassumibili nell’espressione diversified food systems, riguardano tutte quelle pratiche agricole […] che intenzionalmente includono la biodiversità funzionale a scale spaziali e/o temporali multiple, al fine di mantenere servizi ecosistemici che forniscono input cruciali all’agricoltura, quali la fertilità del suolo, il controllo dei parassiti e delle malattie, l'efficienza nell'uso dell'acqua e l’impollinazione» (Kremen et al., 2012).. La Pac prevede alcune misure per la tutela della biodiversità e pone nell’Accordo di Partenariato la priorità 4 di «preservare, ripristinare e valorizzare gli ecosistemi connessi all’agricoltura e alla silvicoltura». L’Accordo di Partenariato specifica che il Fondo Europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr) dovrebbe favorire la realizzazione delle infrastrutture verdi, il mantenimento e la gestione dei sistemi agricoli ad alto valore naturale (Hnvf) e le pratiche agricole sostenibili in aree protette che possono contribuire alla tutela, al miglioramento e al recupero della biodiversità e dei servizi ecosistemici (Rnr, 2018). Il Feasr, inoltre, dovrebbe sostenere interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio naturale e paesaggistico, contribuendo anche alla diversificazione delle economie locali».